giovedì 3 maggio 2012

LA LITURGIA FERITA




La Liturgia ferita


di Mons. Marc Aillet,
Vescovo di Bayonne, Francia

All'origine del Movimento Liturgico ci fu la volontà del Papa San Pio X, soprattutto con il motu proprio "Tra le sollecitudini" (1903), che aveva lo scopo di restaurare la liturgia rendendo più accessibili le sue ricchezze, tornando ad essere la fonte di una vita autenticamente cristiana, mettendo in guardia dal pericolo di una crescente secolarizzazione ed esortando i fedeli a consacrare il mondo a Dio. Da qui nasce la definizione del Concilio Vaticano II sulla liturgia quale "fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa".

Contro ogni aspettativa, come hanno spesso dichiarato il Beato Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI, la realizzazione della riforma liturgica ha talvolta condotto a una sorta di sistematica desacralizzazione, permettendo che la liturgia venisse sempre più pervasa dalla cultura secolarizzata del mondo circostante, perdendo così la sua propria natura e identità: "Questo Mistero di Cristo la Chiesa annunzia e celebra nella sua Liturgia, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1068).

Senza negare i veri frutti della riforma liturgica, si può dire comunque che la liturgia è stata ferita da quelle che Giovanni Paolo II definì "pratiche non accettabili" (Ecclesia de Eucharistia, n. 10) e Benedetto XVI ha denunciato come "deformazioni al limite del sopportabile" (Lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del Motu proprio 'Summorum Pontificum'). Ne risultarono feriti anche l'identità della Chiesa e il sacerdote.

Negli anni post-conciliari, abbiamo assistito a una sorta di opposizione dialettica tra i difensori del culto liturgico e i promotori dell'apertura verso il mondo. E poiché questi ultimi finivano per ridurre la vita cristiana a soli sforzi sociali, basandosi su un'interpretazione secolare della fede, i primi, per reazione, si rifugiavano nella pura liturgia fino al punto del "rubricismo", col rischio di spingere i fedeli a proteggersi eccessivamente dal mondo.

Nell'Esortazione Apostolica 'Sacramentum Caritatis', Papa Benedetto XVI mette fine alla controversia e unifica tale contrapposizione. L'azione liturgica deve riconciliare fede e vita. Proprio come la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo realmente si attualizza in mezzo al suo popolo, la liturgia dà forma eucaristica all'intera vita cristiana rendendola "un'offerta spirituale a Dio gradita". Pertanto, sia l'impegno dei cristiani nel mondo che il mondo stesso, sono chiamati a consacrarsi a Dio mediante la liturgia. L'impegno dei cristiani nella missione della Chiesa e nella società trova infatti sorgente e impulso nella liturgia, fino a venire attirati nel dinamismo dell'offerta dell'amore di Cristo che ivi si rende presente.

Il primato che Benedetto XVI intende dare alla liturgia nella Chiesa - "Il culto liturgico è l'espressione suprema dell'esistenza sacerdotale ed episcopale", egli disse ai vescovi di Francia riuniti a Lourdes in Assemblea Plenaria straordinaria il 14 settembre 2008 - è tale da ricollocare l'adorazione al centro della vita del sacerdote e dei fedeli. Invece e al posto del "cristianesimo secolare" che ha spesso accompagnato la realizzazione della riforma liturgica, Papa Benedetto XVI intende promuovere un "cristianesimo teologico", l'unico capace di servire quella che egli ha definito essere la priorità in questa fase storica, cioè "rendere Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l'accesso a Dio" (Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009). Dove infatti meglio che nella liturgia, il sacerdote approfondisce la propria identità, eccellentemente definita dall'autore della Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb. 5, 1)?

L'apertura verso il mondo richiesta dal Vaticano II è stata spesso interpretata, negli anni successivi al Concilio, come una sorta di "conversione alla secolarizzazione". Tale atteggiamento non mancava di generosità, ma portava ad oscurare l'importanza della liturgia e a minimizzare l'osservanza dei riti, considerati troppo distanti dalla vita del mondo che doveva essere amato e col quale occorreva entrare in piena sintonia, fino ad esserne affascinati. Ne è risultata una grave crisi d'identità del sacerdote, il quale non riusciva più a percepire l'importanza della salvezza delle anime e l'obbligo di annunciare al mondo la novità del Vangelo di Salvezza.

Indubbiamente, la liturgia è il luogo privilegiato per approfondire l'identità del sacerdote, che è chiamato a "combattere la secolarizzazione" poiché, come il Signore Gesù dice nella sua preghiera sacerdotale: "Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità" (Gv. 17, 15-17).

Ciò sarà certamente possibile con un'osservanza più rigorosa delle norme liturgiche che preservano il sacerdote dal desiderio, anche inconscio, di attirare l'attenzione dei fedeli sulla sua persona: il rituale liturgico che il celebrante è chiamato a ricevere filialmente dalla Chiesa, permette infatti ai fedeli di accostarsi più facilmente alla presenza di Cristo Signore, di cui la celebrazione liturgica è segno efficace e che sempre deve essere al primo posto.

La liturgia è ferita quando i fedeli sono lasciati all'arbitrarietà del celebrante, alle sue stranezze, alle sue idee personali od opinioni, alle sue stesse ferite. Ne deriva l'importanza di non banalizzare i riti poiché, strappandoci dal mondo secolare e dunque dalla tentazione d'immanentismo, essi hanno il dono di farci immergere subito nel Mistero e di farci aprire al Trascendente.

Al riguardo, non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio che precede la celebrazione liturgica, come in un santuario interiore, nel quale siamo liberati dalle preoccupazioni - anche legittime - del mondo secolare, ed entrare nello spazio e nel tempo sacro dove Dio rivela il suo Mistero; non si sottolinea mai abbastanza l'importanza del silenzio nella liturgia per divenire più disponibili all'azione di Dio; e ancora non si sottolinea mai abbastanza la necessità di un tempo congruo per il ringraziamento, integrato o meno con la celebrazione, per cogliere intimamente la portata della missione che ci attende, una volta tornati nel mondo. L'obbedienza del sacerdote alle rubriche è anche in sé un segno eloquente e silenzioso del suo amore per la Chiesa, della quale egli non è che ministro, anzi servitore.
Da qui deriva pure l'importanza della formazione nella liturgia dei futuri sacerdoti, e specialmente nella partecipazione interiore, senza la quale la partecipazione esteriore invocata dalla riforma, sarebbe senz'anima e favorirebbe una comprensione parziale della liturgia, che si esprimerebbe in termini di eccessiva teatralità dei ruoli, in un cerebralismo riduttivo dei riti e in un'autocelebrazione abusiva dell'assemblea. Se la partecipazione attiva - principio operativo della riforma liturgica - non è l'esercizio del "senso soprannaturale della fede", la liturgia non è più l'opera di Cristo, ma degli uomini. Insistendo sull'importanza della formazione liturgica dei sacerdoti, il Concilio Vaticano II ha fatto della liturgia una delle principali materie degli studi ecclesiastici, evitando di ridurla a una formazione puramente intellettuale. In effetti, prima di essere oggetto di studio, la liturgia è viva, o meglio, "trascende la vita di ciascuno per fonderla con la vita di Cristo". E' l'immersione massima di ogni vita cristiana: immersione nel senso della fede e nel senso della Chiesa, nella lode e nell'adorazione, e nella missione.

Siamo chiamati perciò a un vero "Sursum corda". L'invito del prefazio, "in alto i nostri cuori", introduce i fedeli al cuore dei cuori della liturgia: la Pasqua di Cristo, il suo passaggio cioè da questo mondo al Padre. L'incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena la mattina della risurrezione, è molto significativo in questo senso: dicendo "Noli me tangere", Gesù invita Maria Maddalena a "guardare alle cose di lassù", facendole intuire nel suo cuore che egli non è ancora asceso al Padre, e chiedendole di andare a dire ai suoi discepoli che egli deve tornare al suo e nostro Dio, Padre suo e nostro. La liturgia è esattamente il luogo di questa elevazione, del tendere verso Dio che dà alla vita un nuovo orizzonte, il suo decisivo orientamento. Purché noi non la trattiamo come materiale a disposizione delle nostre manipolazioni fin troppo umane, ma osservando, con filiale obbedienza, le prescrizioni della Santa Chiesa.

Come dichiarò Papa Benedetto XVI alla conclusione della sua omelia nella solennità dei SS. Pietro e Paolo nel 2008: "Quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo".

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Conferenza tenuta presso la Pontificia Università Lateranense, Roma, 11 marzo 2010.
trad. it. a cura di d. Giorgio Rizzieri

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