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lunedì 12 ottobre 2020

ADORIAMO...e FORMIAMO le Anime all'adorazione

 

Adorare e formare le anime all'adorazione
4-1-1951. 

Sono impegnata nella contemplazione dell'adorazione di Maria santissima al suo piccolo Gesù. La vedo là, nel più misero abituro del mondo, innanzi a una povera mangiatoia - rozza culla per il neonato Figlio di Dio - primo trono dell'adorazione.
Gesù vi giaceva nell'assoluta impotenza dell'infanzia e Maria si offriva desiderando di poterlo sostituire, fino a che avesse raggiunto l'età conveniente, nell'immolazione richiesta per soddisfare il gran debito dell'umanità colpevole.
Gli uomini erano ancora molto lontani ed oscurati per apprezzare il gran dono di Dio e sapersene valere, ed ella, Madre universale, intendeva supplire per tutti i suoi figli. Tutti li abbracciò nella sua adorazione che, come anello d'oro, parve congiungere al trono dell'Altissimo tutta la famiglia umana.


Comprendo la finezza della mia Madre buona nel presentarmi questi punti in un momento per noi particolarmente difficile.
Ci sarebbe davvero motivo di rimanere angosciate, trepidanti, riguardo all'avvenire dell'Opera e di queste figliole che tanto fiduciosamente si sono affidate a me... Cerco di rimanere stretta a Lei e, chiudendo gli occhi su tutto, rinnovo il mio atto di abbandono.


Un punto mi ha fatto sempre particolarmente riflettere nella vita della Madonna: il vedere Lei, tanto illuminata dall'alto, lasciata assolutamente all'oscuro nella circostanza dello smarrimento del fanciullo Gesù a Gerusalemme. Iddio, con questo, ci fa vedere come finché siamo sulla terra dobbiamo esercitare la fede.
In questo, che ritengo essere l'ultimo periodo della mia vita terrena, sento il dovere di imitare Maria santissima particolarmente nella sua continua adorazione del Padre: adorare e formare le anime all'adorazione.


18-1-1951. 

Ho chiesto alla Madonna di volerci indicare un metodo semplice, alla nostra portata per convenientemente adorare, ed ella mi ha risposto di seguirla nelle linee che verrà tracciando.
Non pensavo più alla mia domanda quando, appena in cappella, mentre fissando la sua immagine, intendevo unirmi a Lei per adorare Gesù sacramentato, in una bella luce mi si è fatta accanto dicendomi:


«Figliola, se vuoi che la tua adorazione raggiunga la perfezione voluta da Dio, chiama in tuo aiuto e abituati a farti precedere dal tuo Angelo custode».


Aveva appena finito di parlare quando, in un chiarore soavissimo, si è reso presente il mio Angelo custode. La sola vista di lui disponeva le mie potenze all'adorazione. Di più, questo spirito celeste ha penetrato l'anima di una luce, di un ardore, di una forza che mi hanno perduta in tale annientamento adorante da darmi la percezione del più intimo contatto con Dio.
Ho chiesto perdono al mio santo Angelo di non essermi abbastanza ricordata di lui, dato che la mia piccolezza mi aveva indirizzata con più ardire verso la mia buona Madre del Cielo.
Questo mio procedere non deve averlo offeso.
Ho compreso come questi potenti e splendidi messaggeri di Dio pongano molta cura per aiutare la santificazione delle anime, onde metterle in grado di offrire all'Altissimo omaggi meno indegni della sua Maestà.

Madre M. Costanza Zauli

domenica 13 settembre 2015

I benefìci sono potenti



12 giugno 2011 – L’abbondanza di amore durante l’Adorazione vi rende più forti e più calmi

L’abbondanza di amore durante l’Adorazione 
vi rende più forti e più calmi

Domenica, 12 giugno 2011, alle ore 19:00

Mia amata figlia, i benefici ricevuti dai Miei figli durante l’Adorazione Eucaristica sono potenti. Essi non vi provvedono solo le grazie per fare fronte alle sofferenze della vita, ma vi rendono più forti nel vostro amore per Me, il vostro devoto e leale Salvatore.
L’amore che viene riversato sulle anime durante l’Adorazione viene dato in abbondanza. L’anima avverte l’ondata delle Mie grazie in modi molto diversi. Il primo Dono è quello della pace nella vostra anima. Sentirete questo immediatamente dopo aver completato il vostro tempo in stretta unione con Me.
Moltissimi dei Miei figli si stanno negando i molteplici Doni che Io ho da offrire durante l’Adorazione, in cui trascorrete un’ora del vostro tempo, dinanzi alla Mia Presenza, sull’altare. Sebbene i cattolici siano consapevoli del Potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono la rilevanza di questo tempo importantissimo con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo Dono. Si annoiano di dover trascorrere questo ulteriore tempo con Me.
Oh, se solo essi sapessero quanto questo li renderebbe forti! Le loro paure e preoccupazioni svanirebbero, se soltanto essi Mi tenessero compagnia in una tranquilla e intima riflessione. Se i Miei figli, potessero vedere la Luce che avvolge le loro anime, durante questa speciale Ora Sacra, si stupirebbero.
Figli, è durante quest’ora che vi avvicinate moltissimo a Me. È qui dove la vostra voce, le vostre suppliche, le vostre promesse d’amore per Me, saranno udite. Molte grazie meravigliose sono date a voi, figli, durante tale tempo, quindi vi prego, non ignorate le Mie suppliche di trascorrerlo in Mia compagnia.
Le ricompense vi renderanno liberi dalla preoccupazione

Le ricompense vi renderanno liberi dalla preoccupazione, luminosi di cuore, mente, anima e più calmi in voi stessi. Quando Mi ricevete, durante l’Eucaristia, Io riempirò la vostra anima. Ma, quando venite a Me in Adorazione, Io vi avvolgerò a un punto tale che le cateratte del Mio Amore Misericordioso satureranno la vostra mente, corpo e anima. Sentirete una forza tale che a sua volta produrrà una serena fiducia che troverete difficile da ignorare.
Ora venite a Me, figli. Ho bisogno della vostra compagnia. Ho bisogno che voi parliate con Me, quando la Mia Divina Presenza è più forte. Io vi amo e voglio versare tutte le Mie grazie su di voi, così potete infondere le vostre anime nel Mio Sacro Cuore.
Il vostro amorevole Salvatore

Gesù Cristo

venerdì 5 giugno 2015

Repetita juvant


Liturgia: Così Papa Benedetto XVI riportò i neocatecumenali sul retto cammino
Il documento riservato con cui il papa tronca gli abusi del Cammino Neocatecumenale nel modo di celebrare la messa.
di Sandro Magister



ROMA, 27 dicembre 2005 – Nel suo poderoso discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI ha dedicato un passaggio anche al sinodo dei vescovi sull’eucaristia, tenuto in Vaticano lo scorso ottobre. Il papa ha apprezzato che “dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia dell’adorazione del Signore risorto, presente nell'Eucaristia con carne e sangue, con corpo e anima, con divinità e umanità”. 

Ha ricordato che questo risveglio dell’adorazione eucaristica s’è manifestato anche nella Giornata Mondiale della Gioventù dello scorso agosto, a Colonia. E l’ha contrapposto a una tendenza invalsa nel dopoconcilio, da lui giudicata negativa: 

“Nel periodo della riforma liturgica spesso la messa e l'adorazione fuori di essa erano viste come in contrasto tra loro: il pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato, secondo un’obiezione allora diffusa”. 

Questa tendenza ha lasciato il suo segno nel modo in cui si celebra la messa, in molti luoghi. E continua ad avere importanti sostenitori. Ad esempio, nel sinodo dello scorso ottobre, l’arcivescovo di Agana, nell’isola di Guam, Anthony Sablan Apuron, presidente della conferenza episcopale del Pacifico, ha chiesto che si estenda l’uso di far la comunione seduti, perché“se l’eucaristia è un banchetto, questa è la postura più adatta”

Gli ha fatto eco il vescovo polacco Zbigniew Kiernikowski, di Siedice, secondo cui, per evidenziare che la messa è un banchetto, “il pane dovrebbe avere l’aspetto di un cibo” e “il calice dovrebbe essere dato per berne”

Entrambi questi vescovi hanno portato come esempio da seguire il modo di celebrare la messa in uso tra i neocatecumenali.


* * *


È il Cammino Neocatecumenale, infatti, tra i nuovi movimenti sorti nella Chiesa cattolica, quello che si è spinto più in là nell’innovare il modo di celebrare la messa. Nel Cammino Neocatecumenale la comunione si fa seduti attorno a una grande mensa quadrata, col pane che è una grossa pagnotta divisa fra i commensali e col vino che circola di mano in mano in boccali. Ma non è solo la comunione a distaccarsi dalla liturgia tradizionale. Anche altre parti della messa registrano sensibili innovazioni. 

Ad esempio, nella liturgia della Parola le letture sono commentate ciascuna da lunghe “ammonizioni” da parte dei catechisti del gruppo, e seguite da “risonanze” da parte di numerosi presenti. L’omelia del sacerdote si distingue poco o per nulla dall’insieme dei commenti. Anche i tempi e i luoghi delle messe sono particolari. I neocatecumenali celebrano le loro messe non la domenica ma il sabato sera, in piccoli gruppi, separatamente dalla comunità parrocchiale alla quale appartengono. Dato che ciascun gruppo neocatecumenale corrisponde a un suo particolare stadio del Cammino, ciascun gruppo di venti-trenta persone ha la sua messa. Se in una parrocchia i neocatecumenali hanno dieci gruppi, il sabato sera celebrano dieci messe a sé stanti, in locali separati. 

Dal 2002 lo statuto approvato dalla Santa Sede obbliga le messe dei neocatecumenali ad essere “aperte anche ad altri fedeli” (art. 13, 3), ma nei fatti niente è cambiato. I loro riti d'ingresso sono scambi di saluti, di presentazioni, di applausi che fanno da naturale sbarramento agli estranei.


* * *


Ebbene, su tutto questo Benedetto XVI ha scritto la parola fine. 

A metà dicembre i fondatori e dirigenti del Cammino Neocatecumenale – gli spagnoli Kiko Argüello e Carmen Hernandez e il sacerdote italiano Mario Pezzi – hanno ricevuto una lettera di due pagine dal cardinale Francis Arinze, prefetto della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, con un elenco di “decisioni del Santo Padre” alle quali dovranno ubbidire.

La lettera è riprodotta più sotto. Dei sei punti in cui si articolano le direttive del papa, uno solo concede ai neocatecumenali di continuare come fanno. Riguarda lo scambio della pace anticipato a prima dell’offertorio: prassi tradizionale nella liturgia cristiana e in uso fino ad oggi, ad esempio, nel rito ambrosiano celebrato nell’arcidiocesi di Milano. Su tutti gli altri punti il Cammino Neocatecumenale dovrà azzerare gran parte delle sue innovazioni liturgiche. 

Nel praticarle, fino a ieri i fondatori e dirigenti del Cammino s’erano fatti scudo di autorizzazioni verbali accordate – a loro dire – da Giovanni Paolo II. Ma con Benedetto XVI la vacanza è finita. E sta per finire anche per gli abusi liturgici praticati nell’insieme della Chiesa. Sarà di grande interesse, in proposito, il documento che papa Joseph Ratzinger emanerà a coronamento del sinodo sull’eucaristia. La lettera del cardinale Arinze è stata recapitata ad Argüello, Hernandez e Pezzi in via riservata. Ma il 22 dicembre il vaticanista Andrea Tornielli ne ha dato notizia sul quotidiano “il Giornale”. 

Eccola qui di seguito per intero:


***


Sono a comunicarVi le decisioni del Santo Padre...” 

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum 

Prot. 2520/03/L 

Dalla Città del Vaticano, 1 dicembre 2005 

Egregi Signor Kiko Argüello, Sig.na Carmen Hernandez e Rev.do Padre Mario Pezzi, 

a seguito dei dialoghi intercorsi con questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti circa la celebrazione della Santissima Eucaristia nelle comunità del Cammino Neocatecumenale, in linea con gli orientamenti emersi nell’incontro con Voi dell’11 novembre c.a., sono a comunicarVi le decisioni del Santo Padre. 

Nella celebrazione della Santa Messa, il Cammino Neocatecumenale accetterà e seguirà i libri liturgici approvati dalla Chiesa, senza omettere né aggiungere nulla. Inoltre, circa alcuni elementi si sottolineano le indicazioni e precisazioni che seguono: 

1. La Domenica è il “Dies Domini”, come ha voluto illustrare il Servo di Dio, il Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica sul Giorno del Signore. Perciò il Cammino Neocatecumenale deve entrare in dialogo con il Vescovo diocesano affinché traspaia anche nel contesto delle celebrazioni liturgiche la testimonianza dell’inserimento nella parrocchia delle comunità del Cammino Neocatecumenale. Almeno una domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale. 

2. Circa le eventuali monizioni previe alle letture, devono essere brevi. Occorre inoltre attenersi a quanto disposto dall’”Institutio Generalis Missalis Romani” (nn. 105 e 128) e ai Praenotanda dell’”Ordo Lectionum Missae” (nn. 15, 19, 38, 42). 

3. L’omelia, per la sua importanza e natura, è riservata al sacerdote o al diacono (cfr. C.I.C., can. 767 § 1). Quanto ad interventi occasionali di testimonianza da parte dei fedeli laici, valgono gli spazi e i modi indicati nell’Istruzione Interdicasteriale “Ecclesiae de Mysterio”, approvata “in forma specifica” dal Papa Giovanni Paolo II e pubblicata il 15 agosto 1997. In tale documento, all’art. 3, §§ 2 e 3, si legge: 

§ 2 - “È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata e anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza sempre adeguata alle norme liturgiche e offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.) se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l’omelia”. 

§3 - “La possibilità del ‘dialogo’ nell’omelia (cfr. Directorium de Missis cum Pueris, n. 48) può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo, con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione”. 

Si tenga inoltre attentamente conto di quanto esposto nell’Istruzione “Redemptionis Sacramentum”, al n. 74. 

4. Sullo scambio della pace, si concede che il Cammino Neocatecumenale possa usufruire dell’indulto già concesso, fino ad ulteriore disposizione. 

5. Sul modo di ricevere la Santa Comunione, si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare dal modo invalso nelle sue comunità di ricevere la Santa Comunione (seduti, uso di una mensa addobbata posta al centro della chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio) al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo. 

6. Il Cammino Neocatecumenale deve utilizzare anche le altre Preghiere eucaristiche contenute nel messale, e non solo la Preghiera eucaristica II. 

In breve, il Cammino Neocatecumenale, nella celebrazione della Santa Messa, segua i libri liturgici approvati, avendo tuttavia presente quanto esposto sopra ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6. 

Riconoscente al Signore per i frutti di bene elargiti alla Chiesa mediante le molteplici attività del Cammino Neocatecumenale, colgo l’occasione per porgere distinti saluti. 

+ Francis Card. Arinze 
Prefetto
----------
Egregi
Sig. ARGÜELLO Kiko, Sig.na HERNANDEZ Carmen, Rev.do P. PEZZI Mario
Via dei Gonzaga, 205
ROMA

martedì 17 giugno 2014

ADORA


12 giugno 2011 – L’amore e l’adorazione in abbondanza vi rendono più forti e più calmi

Mia diletta figlia, le grazie ricevute dai Miei figli nell’Adorazione Eucaristica sono potenti. Esse non solo vi daranno le grazie per far fronte alle sofferenze della vita, ma vi rendono più forti nel vostro amore per Me, il vostro devoto e leale Salvatore.
L’amore che si riversa sulle anime durante l’Adorazione è dato in abbondanza. Le anime sentono quest’ondata delle Mie grazie in tanti modi diversi. Il primo dono è la pace nella vostra anima. Sentirete ciò immediatamente dopo aver completato il vostro tempo in stretta unione con Me.
Così molti dei Miei figli si stanno negando i tanti doni che Io offro per l’Adorazione, nella quale trascorrete un’ora del vostro tempo dinanzi alla Mia presenza sull’altare. Sebbene i Cattolici siano consapevoli del potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono l’importanza di questo fondamentale momento con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo dono. Si annoiano a trascorrere quest’ulteriore tempo con Me.
Oh, se solo voi sapeste quanto questo li renderebbe forti. Le loro paure e preoccupazioni sparirebbero se soltanto essi Mi tenessero compagnia in una tranquilla riflessione intima.  Se i Miei figli potessero vedere la luce che avvolge le loro anime durante questa speciale Ora Sacra si stupirebbero.
Bambini, è durante quest’ora che vi avvicinate moltissimo a Me. E’ qui che la vostra voce, le vostre suppliche, le vostre promesse di amore per Me saranno ascoltate. Molte grazie meravigliose sono date a voi bambini in questo momento, quindi per favore non ignorate le Mie richieste di trascorrere questo tempo in Mia compagnia.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni, leggeri di mente, cuore ed anima e più calmi in voi stessi. Quando Mi ricevete durante l’Eucaristia io riempio la vostra anima. Ma quando venite a Me in adorazione Io vi avvolgerò a tal punto che le chiuse del Mio amore misericordioso satureranno la vostra mente, il corpo e l’anima. Sentirete una forza che produrrà una serena fiducia che non potrete ignorare.
Venite a Me ora, bambini. Ho bisogno della vostra compagnia. Ho bisogno che parliate con Me quando la Mia presenza Divina è più forte. Io vi amo e voglio riversare tutte le Mie grazie su di voi, in modo che voi possiate infondere le vostre anime con il Mio Sacro Cuore.
Il tuo amato Salvatore
Gesù Cristo
AMDG et BVM

mercoledì 11 giugno 2014

Tornare al Sacrificio per salvare il Sacramento * (tornare al corretto rito della Messa, alla Messa della Tradizione).



Tornare al Sacrificio
per salvare il Sacramento


Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale)
anno VII - GIUGNO 2014 n. 6

- impaginazione e neretti sono nostri -



Giugno è il mese del Corpus Domini. È il mese della grande festa dedicata tutta a Gesù eucaristico. Anche noi, come tutte le parrocchie, ci apprestiamo a celebrarla Domenica 22 Giugno, visto che in Italia il Giovedì della solennità non è più giorno festivo. Lo faremo soprattutto con la processione solenne dopo la Messa cantata, portando per le vie del paese l'Ostia Santa.

Dovrebbe essere questa la processione più importante dell’anno, perché in essa non si porta una statua venerata della Beata Vergine Maria o di un santo, non si porta una reliquia, ma Gesù stesso, vivo e vero nel SS. Sacramento; vivo e vero con il suo Corpo Sangue Anima e Divinità. Questa processione dovrebbe essere solennissima, colma di adorazione e di sacro rispetto per il Signore che passa.

Sicuramente molti sentiranno affiorare delle decise e malinconiche considerazioni: ormai nei nostri paesi non è più così, non si riesce a fare più il Corpus Domini di una volta; un tempo sì che tutte le strade erano addobbate, le pareti del percorso tutte coperte dai drappi più belli; e vi ricordate poi gli altari delle soste? Si faceva a gara per farli uno più bello dell’altro! E la gente come si inginocchiava...!

Sì, non è più così. Oggi, se va bene, quella del Corpus Domini è la processione del piccolo resto dei credenti che adorano ancora la SS. Eucarestia. Per la processione della Madonna forse c'è da sperare in qualche cristiano in più, ma per il Corpus Domini...!
Sono tutte considerazioni realiste, ma sbaglieremmo se ci fermassimo lamentosamente solo ad esse, senza andare più a fondo.

Perché si è perso lo spirito di adorazione? Perché l’animo di tantissimi battezzati non riconosce più il Signore che passa nell’Ostia Santa?

Molti tra i “conservatori” diranno che tutto è stato causato da alcuni fattori: dallo spostamento dei tabernacoli nelle chiese, che dagli altari sono stati relegati in qualche altro angolo; dal non fare più la genuflessione; dal ricevere la comunione in piedi e sulla mano; dalla riduzione se non scomparsa del digiuno eucaristico, ecc...
Tutto vero, ma non siamo ancora alla causa più profonda, quella vera.

Tutto ha inizio da una disastrosa riforma del rito della Messa, seguita al Concilio Vaticano II.

Con la scusa di tradurre nella lingua parlata la Messa, nel 1969 questa fu cambiata radicalmente, praticamente rifatta, epurata da tutti gli espliciti riferimenti al Sacrificio Propiziatorio, e questo per piacere ai Protestanti.
Di fatto la Messa si trasformava sempre più in una Santa Cena, fatta, praticamente, solo perché preti e fedeli si cibino alle “due mense”, della Parola e del Corpo di Cristo; in una parola, la Messa fatta per fare la Comunione.
Scomparve così nel vissuto del popolo cristiano il fatto centrale e determinante: il Sacrificio di Cristo in Croce. Per questo Gesù ha istituito l’Eucarestia, perché sia perpetuata la Sua offerta sulla Croce, quella offerta che sola cancella i peccati e placa la giustizia divina. Ogni giorno, nelle chiese del mondo, è necessario che sia offerto il Sacrificio di Cristo, perché il mondo si salvi dall’abisso.

Ma cosa c’entra tutto questo con la presenza di Gesù nell’Ostia, con l’adorazione, con il Corpus Domini? Semplice, se la Messa non è più intesa come l’oblazione di Cristo sull’altare della Croce, ma solo come pasto sacro, è messa in pericolo anche la presenza stessa di Cristo nell’Eucarestia.

Un grande autore scriveva:


Ci sono due grandi realtà nella Messa, che sono il sacrificio e il sacramento. Queste due grandi realtà si realizzano nello stesso istante, nel momento in cui il prete pronuncia le parole della consacrazione del pane del vino. Quando ha terminato le parole della consacrazione del prezioso sangue, il sacrificio di Nostro Signore è realizzato e Nostro Signore è in quel momento pure presente, il sacramento di Nostro Signore è anch’esso lì. (...) Questa separazione mistica delle specie del pane e del vino realizza il sacrificio della Messa. Dunque, queste due realtà sono realizzate dalle parole della consacrazione. Non si può separarle. Ed è ciò che hanno fatto i protestanti; hanno voluto solamente il sacramento senza il sacrificio. Non hanno né uno né l‘altro, né il sacramento né il sacrificio. E questo è il pericolo delle Messe nuove. Non si parla più del sacrificio; sembra che si prescinda dal sacrificio. Non si parla più che dell’Eucarestia, si fa una «Eucarestia», come se non vi fosse che un pasto. Si rischia bene di non avervi più né l'uno né l’altro. È molto pericoloso. Nella misura che il sacrificio scompare il sacramento scompare anch’esso, perché ciò che è stato presentato nel sacramento, è la vittima. Se non c’è più il sacrificio, non c’è più vittima.


“Se non c’è più il Sacrificio, non c’è più la Vittima”: parole pesanti ma logicissime, secondo fede. Senza inoltrarci in delicatissime considerazioni sacramentarie, possiamo tranquillamente dire che almeno nel vissuto dei cristiani si è proprio provocato questo: l’offuscamento del carattere sacrificale della Messa ha fatto perdere la coscienza della presenza sostanziale di Cristo nel Sacramento.

A MESSA ANTICA corrisponde la sottolineatura e del Sacrificio propiziatorio e della presenza sostanziale di Cristo nell’Ostia Santa.

A MESSA NUOVA corrisponde la sottolineatura del banchetto eucaristico, della santa comunione e... guarda caso... la quasi scomparsa dello spirito di adorazione.

Non è proprio un caso: se non c’è più il Sacrificio, non c’è nemmeno più la Vittima, non c’è Gesù presente.

Ecco perché è sbagliato arginare il disastro liturgico con qualche semplice lavoro di “maquillage”, magari riportando i segni esterni dell’adorazione - incenso, candele, balaustre e inginocchiatoi... grandi adorazioni anche notturne... - senza preoccuparsi di tornare al corretto rito della Messa, alla Messa della Tradizione.

Sbaglia chi si ferma ai segni esterni, giocando con un sentimento vago della Tradizione, facendo leva sulla sola estetica che inganna. La questione è tornare alla chiarezza, tutta cattolica, del Sacrificio Propiziatorio espresso nella Messa, quella giusta.

Il tornare alla Messa giusta sanerà anche la processione del Corpus Domini, e sanerà prima ancora la vita dei cristiani, chiamati a partecipare al Sacrificio di Cristo con tutte le fibre del proprio essere.

lunedì 3 febbraio 2014

* ADORAZIONE



Adorazione

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12 giugno 2011 – L’amore e l’adorazione in abbondanza vi rendono più forti e più calmi

Mia diletta figlia, le grazie ricevute dai Miei figli nell’Adorazione Eucaristica sono potenti. Esse non solo vi daranno le grazie per far fronte alle sofferenze della vita, ma vi rendono più forti nel vostro amore per Me, il vostro devoto e leale Salvatore. L’amore che si riversa sulle anime durante l’Adorazione è dato in abbondanza. … Continua a leggere »

sabato 11 gennaio 2014

Sebbene i Cattolici siano consapevoli del potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono l’importanza di questo fondamentale momento con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo dono. Si annoiano a trascorrere quest’ulteriore tempo con Me.


12 giugno 2011 – L’amore e l’adorazione in abbondanza vi rendono più forti e più calmi

Mia diletta figlia, le grazie ricevute dai Miei figli nell’Adorazione Eucaristica sono potenti. Esse non solo vi daranno le grazie per far fronte alle sofferenze della vita, ma vi rendono più forti nel vostro amore per Me, il vostro devoto e leale Salvatore.
L’amore che si riversa sulle anime durante l’Adorazione è dato in abbondanza. Le anime sentono quest’ondata delle Mie grazie in tanti modi diversi. Il primo dono è la pace nella vostra anima. Sentirete ciò immediatamente dopo aver completato il vostro tempo in stretta unione con Me.
Così molti dei Miei figli si stanno negando i tanti doni che Io offro per l’Adorazione, nella quale trascorrete un’ora del vostro tempo dinanzi alla Mia presenza sull’altare. Sebbene i Cattolici siano consapevoli del potere dell’Eucaristia, molti non riconoscono l’importanza di questo fondamentale momento con Me, in contemplazione. Essi semplicemente ignorano questo dono. Si annoiano a trascorrere quest’ulteriore tempo con Me.
Oh, se solo voi sapeste quanto questo li renderebbe forti. Le loro paure e preoccupazioni sparirebbero se soltanto essi Mi tenessero compagnia in una tranquilla riflessione intima.  Se i Miei figli potessero vedere la luce che avvolge le loro anime durante questa speciale Ora Sacra si stupirebbero.
Bambini, è durante quest’ora che vi avvicinate moltissimo a Me. E’ qui che la vostra voce, le vostre suppliche, le vostre promesse di amore per Me saranno ascoltate. Molte grazie meravigliose sono date a voi bambini in questo momento, quindi per favore non ignorate le Mie richieste di trascorrere questo tempo in Mia compagnia.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni.
La ricompensa vi renderà liberi dalle preoccupazioni, leggeri di mente, cuore ed anima e più calmi in voi stessi. Quando Mi ricevete durante l’Eucaristia io riempio la vostra anima. Ma quando venite a Me in adorazione Io vi avvolgerò a tal punto che le chiuse del Mio amore misericordioso satureranno la vostra mente, il corpo e l’anima. Sentirete una forza che produrrà una serena fiducia che non potrete ignorare.
Venite a Me ora, bambini. Ho bisogno della vostra compagnia. Ho bisogno che parliate con Me quando la Mia presenza Divina è più forte. Io vi amo e voglio riversare tutte le Mie grazie su di voi, in modo che voi possiate infondere le vostre anime con il Mio Sacro Cuore.
Il tuo amato Salvatore
Gesù Cristo

giovedì 13 giugno 2013

L'importanza dell'inginocchiarsi


Chi impara a credere impara ad inginocchiarsi

tratto da Joseph RatzingerIntroduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, parte IV - Forma liturgica, cap. II – Il corpo e la liturgia, n. 3 - Atteggiamenti, pp. 181-190.




Atteggiamenti
Inginocchiarsi (Prostratio)

Vi sono ambienti, che esercitano notevole influenza, che cercano di convincerci che non bisogna inginocchiarsi. Dicono che questo gesto non si adatta alla nostra cultura (ma a quale, allora?); non è conveniente per l’uomo maturo, che va incontro a Dio stando diritto, o, quanto meno, non si addice all’uomo redento, che mediante Cristo è divenuto una persona libera e che, proprio per questo, non ha più bisogno di inginocchiarsi.

Se guardiamo alla storia possiamo osservare che Greci e Romani rifiutavano il gesto di inginocchiarsi. Di fronte agli dei faziosi e divisi che venivano presentati dal mito, questo atteggiamento era senz’altro giustificato: era troppo chiaro che questi dei non erano Dio, anche se si dipendeva dalla loro lunatica potenza e per quanto possibile ci si doveva comunque procacciare il loro favore. Si diceva che inginocchiarsi era cosa indegna di un uomo libero, non in linea con la cultura della Grecia; era una posizione che si confaceva piuttosto ai barbari. Plutarco e Teofrasto definiscono l’atto di inginocchiarsi come un’espressione di superstizione; Aristotele ne parla come di un atteggiamento barbarico (Retorica, 1361 a 36). Agostino gli dà per un certo verso ragione: i falsi dei non sarebbero infatti altro che maschere di demoni, che sottomettono l’uomo all’adorazione del denaro e del proprio egoismo, che in questo modo li avrebbero resi «servili» e superstiziosi. L’umiltà di Cristo e il suo amore che è giunto sino alla croce, ci hanno liberato – continua Agostino – da queste potenze ed è davanti a questa umiltà che noi ci inginocchiamo.

In effetti, l’atto di inginocchiarsi proprio dei cristiani non si pone come una forma di inculturazione in costumi [181] preesistenti, ma, al contrario, è espressione della cultura cristiana che trasforma la cultura esistente a partire da una nuova e più profonda conoscenza ed esperienza di Dio.

L’atto di inginocchiarsi non proviene da una cultura qualunque, ma dalla Bibbia e dalla sua esperienza di Dio. L’importanza centrale che l’inginocchiarsi ha nella Bibbia la si può desumere dal fatto che solo nel Nuovo Testamento la parola proskynein compare 59 volte, di cui 24 nell’Apocalisse, il libro della liturgia celeste, che viene presentato alla Chiesa come modello e criterio per la sua liturgia.

***

Osservando più attentamente possiamo distinguere tre atteggiamenti strettamente imparentati tra di loro.
Il primo di essi è la prostratio: il distendersi fino a terra davanti alla predominante potenza di Dio; soprattutto nel Nuovo Testamento c’è, poi, il cadere ai piedi e, infine, il mettersi in ginocchio. I tre atteggiamenti non sono sempre facili da distinguere, anche sul piano linguistico. Essi possono legarsi tra di loro, sovrapporsi l’uno all’altro.

Per ragioni di brevità vorrei citare, a proposito della prostratio, due testi, uno tratto dall’Antico Testamento, l’altro dal Nuovo.

Quello tratto dall’Antico Testamento è la teofania a Giosuè prima della conquista di Gerico, che dallo scrittore biblico è posta in stretto parallelo con la teofania a Mosè presso il roveto ardente. Giosuè vede «il capo dell’esercito del Signore» e, dopo aver riconosciuto la sua identità, si getta a terra davanti a lui. In quel momento ode le parole che, in precedenza, erano già state rivolte a Mosè: «Togli i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo» (Gs 5,14s). Nella figura misteriosa del «capo dell’esercito del Signore» il Dio nascosto parla a Giosuè e davanti a Lui questi si getta a terra. È bella l’in[182]terpretazione di questo testo data da Origene: «C’è un altro capo delle potenze del Signore oltre al nostro Signore Gesù Cristo?». Giosuè adora dunque Colui che doveva venire, il Cristo veniente.

Per quanto riguarda, invece il Nuovo Testamento, a cominciare dai Padri è divenuta particolarmente importante la preghiera di Gesù al monte degli Ulivi. Secondo Matteo (26,39) e Marco (14,35) Gesù si prostra a terra, anzi, cade a terra (Mt); Luca, invece, che in tutta la sua opera - Vangelo e Atti degli Apostoli - è in maniera particolare il teologo del pregare in ginocchio, ci racconta che Gesù pregava in ginocchio.

Questa preghiera, come preghiera introduttiva alla Passione, è esemplare, sia per quanto riguarda il gesto che per i suoi contenuti. I gesti: Gesù fa sua la caduta dell’uomo, si lascia cadere nella sua caducità, prega il Padre dal più profondo abisso della solitudine e del bisogno umani. Ripone la sua volontà nella volontà del Padre: Non la mia volontà sia fatta, ma la Tua. Ripone la volontà umana nella volontà divina. Fa sua ogni negazione della volontà dell’uomo e la soffre con il suo dolore; proprio l’uniformare la volontà umana alla volontà divina è il cuore stesso della redenzione.

Difatti la caduta dell’uomo si poggia sulla contraddizione delle volontà, sulla contrapposizione della volontà umana alla volontà divina, che il tentatore dell’uomo fa ingannevolmente passare come condizione della sua libertà. Solo la volontà autonoma, che non si sottomette ad alcuna altra volontà, sarebbe, secondo lui, libertà. Non la mia volontà, ma la tua – è questa la parola della verità, poiché la volontà di Dio non è il contrario della nostra libertà, ma il suo fondamento e la sua condizione di possibilità. Solo rimanendo nella volontà di Dio la nostra volontà diventa vera volontà ed è realmente libera. La sofferenza e la lotta del monte degli Ulivi è la lotta per questa verità liberante, per l’unità di ciò che [183] è diviso, per una unione che è la comunione di Dio.

Comprendiamo così che in questo passo si trova anche l’invocazione d’amore del Figlio Padre: Abbà (Mc 14,36). Paolo vede in questo grido la preghiera che lo Spirito Santo pone sulle nostre labbra (Rm 8,15; Gal 4,6) e àncora così la nostra preghiera spirituale alla preghiera del Signore sul monte degli Ulivi.

Nella liturgia della Chiesa la prostratio appare oggi in due occasioni: il venerdì santo e nelle consacrazioni.
Il venerdì santo, giorno della crocifissione, essa è espressione adeguata del nostro sconvolgimento per il fatto di essere, con i nostri peccati, corresponsabili della morte in croce di Cristo. Ci gettiamo a terra e prendiamo parte alla sua angoscia, alla sua discesa nell’abisso del bisogno. Ci gettiamo a terra e riconosciamo così dove siamo e chi siamo: caduti, che solo Lui può sollevare. Ci gettiamo a terra come Gesù davanti al mistero della presenza potente di Dio, sapendo che la croce è il vero roveto ardente, il luogo della fiamma dell’amore di Dio, che brucia, ma non distrugge.

In occasione delle consacrazioni questo gesto esprime la consapevolezza della nostra assoluta incapacità di accogliere con le sole nostre forze il compito sacerdotale di Gesù Cristo, di parlare con il suo Io. Mentre i candidati all’ordinazione giacciono a terra, l’intera comunità radunata canta le litanie dei santi. Resta per me indimenticabile questo gesto compiuto in occasione della mia ordinazione sacerdotale ed episcopale. Quando venni consacrato vescovo la percezione bruciante della mia insufficienza, dell’inadeguatezza davanti alla grandezza del compito fu forse ancora più grande che in occasione della mia ordinazione sacerdotale. Fu per me meravigliosamente consolante sentire la Chiesa orante invocare tutti i santi, sentire che la preghiera della Chiesa mi avvol[184]geva e mi abbracciava fisicamente. Nella propria incapacità, che doveva esprimersi corporeamente in questo stare prostrati, questa preghiera, questa presenza di tutti i santi, dei vivi e dei morti, era una forza meravigliosa, e solo essa poteva sollevarmi, solo lo stare in essa poteva rendere possibile la strada che mi stava davanti.

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In secondo luogo bisogna ricordare il gesto del cadere ai piedi, che nei Vangeli è indicato quattro volte (Mc 1,40; 10,17; Mt 17,14; 27,29) con il termine gonypetein. Partiamo da Mc 1,40. Un lebbroso va da Gesù e gli chiede aiuto; si getta ai suoi piedi e gli dice: «Se tu vuoi, puoi guarirmi». Qui è difficile valutare la portata di questo gesto. Non si tratta sicuramente di un vero atto di adorazione, ma di una preghiera espressa con fervore, anche con il corpo, in cui le parole manifestano una fiducia nella potenza di Gesù che va al di là della dimensione puramente umana. È diverso il caso dell’espressione classica dell’adorazione in ginocchio – proskynein.

Scelgo ancora una volta due esempi per chiarire la questione che si pone al traduttore. Anzitutto la storia di Gesù che, dopo la moltiplicazione dei pani, sosta sulla montagna, in colloquio con il Padre, mentre i discepoli lottano invano sul mare con il vento e le onde. Gesù va verso di loro sulle acque; Pietro gli si affretta incontro, ma impaurito, sprofonda nelle acque e viene salvato dal Signore. Gesù, allora, sale sulla barca e il vento si placa. Il testo, poi, prosegue: ma i discepoli sulla barca «gli si prostrarono davanti» e dissero: «veramente tu sei il Figlio di Dio!» (Mt 14,33). Precedenti traduzioni scrivevano: i discepoli adorarono Gesù sulla barca e dissero... Ambedue le traduzioni sono giuste, ambedue mettono in rilievo un aspetto di ciò che accade: quelle recenti l’espressione corporale, quelle più antiche l’avveni[185]mento interiore. Difatti, dalla struttura del racconto si desume con estrema chiarezza che il gesto di riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio è adorazione.

Anche nel Vangelo di Giovanni incontriamo una simile problematica, nel racconto della guarigione del cieco nato. Questa storia, costruita teo-drammaticamente, si conclude in un dialogo tra Gesù e la persona sanata, che può essere considerato il prototipo del dialogo di conversione; inoltre, l’intera storia deve essere intesa come una spiegazione interiore dell’importanza esistenziale e teologica del battesimo. In questo dialogo Gesù aveva chiesto all’uomo se credeva nel figlio dell’Uomo. Alla domanda del cieco nato: «Chi è, Signore?» e alla risposta di Gesù: «Colui che ti parla», segue la professione di fede: «Io credo, Signore! Ed egli si prostrò davanti a lui» (Gv 9,35-38). Traduzioni precedenti avevano scritto: «ed egli lo adorò». Di fatto, tutta la scena mira all’atto di fede e di adorazione di Gesù, che ne segue: ora non sono aperti solo gli occhi dell’amore, ma anche quelli del cuore. L’uomo è diventato davvero vedente. Per l’interpretazione del testo è importante osservare che nel Vangelo di Giovanni la parola proskynein ricorre undici volte, di cui nove nel dialogo di Gesù con la Samaritana, presso il pozzo di Giacobbe (Gv 4,19-24). Questa conversazione è tutta dedicata al tema dell’adorazione ed è fuori discussione che qui, come del resto in tutto il Vangelo di Giovanni, la parola ha sempre il significato di «adorare». Anche questo dialogo si conclude comunque – come quello con il cieco sanato – con l'autorivelazione di Gesù: «Sono io, che ti parlo».

Mi sono trattenuto a lungo su questo testo perché in esso compare qualcosa di importante. Nei due passi qui approfonditi
il significato spirituale e quello corporeo della parola proskynein non sono affatto separa[186]bili.
II gesto corporale è, come tale, portatore di un senso spirituale – quello, appunto, dell’adorazione, senza del quale esso resterebbe privo di significato – mentre, a sua volta, il gesto spirituale, per sua stessa natura, in forza dell’unità fisico-spirituale della persona umana, deve esprimersi necessariamente nel gesto corporale. Ambedue gli aspetti sono integrati in una sola parola perché si richiamano intimamente l’un l’altro.

Quando l’inginocchiarsi diventa pura esteriorità, semplice atto corporeo, diventa privo di senso; ma anche quando si riduce l’adorazione alla sola dimensione spirituale senza incarnazione, l’atto dell’adorazione svanisce, perché la pura spiritualità non esprime l’essenza dell’uomo. L’adorazione è uno di quegli atti fondamentali che riguardano l’uomo tutto intero. Per questo il piegare le ginocchia alla presenza del Dio vivo è irrinunciabile.

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Con ciò siamo già arrivati
al tipico atteggiamento dell’inginocchiarsi su uno o su ambedue i ginocchi. Nell’Antico Testamento ebraico alla parola berek (ginocchio) corrisponde il verbo barak, inginocchiarsi.

Le ginocchia erano per gli ebrei un simbolo di forza; il piegarsi delle ginocchia è quindi il piegarsi della nostra forza davanti al Dio vivente, riconoscimento che tutto ciò che noi siamo, lo abbiamo da Lui. Questo gesto appare in importanti passi dell’Antico Testamento come espressione di adorazione. In occasione della consacrazione del tempio, Salomone «si inginocchiò davanti a tutta l’assemblea di Israele» (2Cr 6,3). Dopo l'esilio, nella situazione di bisogno in cui venne a trovarsi Israele dopo il ritorno in patria, Esdra ripete lo stesso gesto all’ora del sacrificio della sera: «Poi caddi in ginocchio e stesi le mani al mio Signore e pregai il Signore, mio Dio» (Esdra 9,5). Il grande salmo della Passione («Mio Dio, mio Dio perché mi hai abban[187]donato») si conclude con la promessa: «Davanti a Lui si piegheranno tutti i potenti della terra, davanti a Lui si prostreranno quanti dormono sotto terra» (Sal 22,30). Rifletteremo sul passo affine di Is 45,23 in contesto neotestamentario. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano della preghiera in ginocchio di san Pietro (9,40), di san Paolo (20,36) e di tutta la comunità cristiana (21,5).

Particolarmente importante per la nostra questione è il racconto del martirio di santo Stefano. Il primo martire cristiano viene presentato nella sua sofferenza come perfetta imitazione di Cristo, la cui passione si ripete nel martirio del testimone fin nei particolari. Stefano, in ginocchio, fa così sua la preghiera del Cristo crocifisso: «Signore non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Ricordiamo in proposito che Luca, a differenza di Matteo e di Marco, aveva parlato della preghiera in ginocchio del Signore sul monte degli Ulivi e osserviamo, quindi, che Luca vuole che l’inginocchiarsi del protomartire sia inteso come un entrare nella preghiera di Gesù.

L’inginocchiarsi non è solo un gesto cristiano, è un gesto cristologico. Il passo più importante sulla teologia dell’inginocchiarsi è e resta per me il grande inno cristologico di Fil 2,6-11. In questo inno prepaolino ascoltiamo e vediamo la preghiera della Chiesa apostolica e riconosciamo la sua professione di fede; ma sentiamo anche la voce dell’Apostolo, che è entrato in questa preghiera e ce l’ha tramandata; torniamo ancora una volta a percepire la profonda unità interiore di Antico e Nuovo Testamento, così come l’ampiezza cosmica della fede cristiana.
L’inno ci presenta Cristo in contrapposizione al primo Adamo: mentre questi cerca di arrivare alla divinità con le sole sue forze, Cristo non considera come un «tesoro geloso» la divinità, che pure gli è propria, ma si abbassa fino alla morte di croce. Proprio questa umiltà, che viene dall’amore, è il propriamente [188] divino e gli procura il «nome che è al di sopra di tutti i nomi», «perché tutti, in cielo e sulla terra e sotto terra, pieghino le loro ginocchia davanti al nome di Gesù...». L’inno della Chiesa apostolica riprende qui la parola profetica di Isaia 45,23: «Lo giuro su me stesso dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile: davanti a me si piegherà ogni ginocchio...».

Nella compenetrazione di Antico e Nuovo Testamento è chiaro che Gesù, proprio in quanto è il Crocifisso, porta il «nome che è al di sopra di tutti i nomi» – il nome dell’Altissimo – ed è Egli stesso di natura divina. Per mezzo di Lui, il Crocifisso, si compie la profezia dell’Antico Testamento: tutti si pongono in ginocchio davanti a Gesù, Colui che è asceso, e si piegano così davanti all’unico vero Dio, al di sopra di tutti gli dei.

La croce è divenuta il segno universale della presenza di Dio, e tutto ciò che noi abbiamo finora udito sulla croce storica e cosmica, deve trovare qui il suo vero senso. La liturgia cristiana è proprio per questo liturgia cosmica, per il fatto che essa piega le ginocchia davanti al Signore crocifisso e innalzato. È questo il centro della vera «cultura» – la cultura della verità. Il gesto umile con cui noi cadiamo ai piedi del Signore, ci colloca sulla vera via della vita, in armonia con tutto il cosmo.

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Si potrebbe aggiungere ancora molto, come, per esempio, la commovente storia che ci racconta Eusebio di Cesarea nella sua storia ecclesiastica, riprendendo una tradizione che risale a Egesippo (II secolo), secondo cui Giacomo, il «fratello del Signore», primo vescovo di Gerusalemme e «capo» della Chiesa giudeo-cristiana, aveva sulle ginocchia una sorta di pelle di cammello per il fatto che stava sempre in ginocchio, adorava Dio e implorava perdono per il suo popolo (II, 23, 6). Oppure il racconto tratto dalle senten[189]ze dei Padri del deserto, secondo cui il diavolo fu costretto da Dio a mostrarsi a un certo abate Apollo, e il suo aspetto era nero, orribile a vedersi, con delle membra spaventosamente magre e, soprattutto, non aveva le ginocchia. L’incapacità a inginocchiarsi appare addirittura come l’essenza stessa del diabolico.

Ma non voglio andare troppo in là. Vorrei aggiungere solo un’osservazione:
l’espressione con cui Luca descrive l’atto di inginocchiarsi dei cristiani (theis ta gonata) è sconosciuta al greco classico. Si tratta di una parola specificamente cristiana. Con questa osservazione il cerchio si chiude là dove avevamo cominciato le nostre riflessioni. Può forse essere vero che l’inginocchiarsi è estraneo alla cultura moderna – appunto nella misura in cui si tratta di una cultura che si è allontanata dalla fede e che non conosce più colui di fronte al quale inginocchiarsi è il gesto giusto, anzi quello interiormente necessario.

Chi impara a credere, impara a inginocchiarsi; una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. Dove questo gesto è andato perduto, dobbiamo nuovamente apprenderlo, così da rimanere con la nostra preghiera nella comunione degli apostoli e dei martiri, nella comunione di tutto il cosmo, nell’unità con Gesù Cristo stesso.[190]