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domenica 27 novembre 2022

ALFONSO RATISBONNE

 

LA CONVERSIONE


Una apparizione mariana troppo dimenticata
LA CONVERSIONE DELL’EBREO RATISBONNE

 

LA MADONNA E LA CHIESA

Secondo la teologia cattolica tradizionale, esiste un intimo e profondo rapporto tra la Madonna e la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo. La mediazione universale di Maria è – per volontà di Dio – ordinariamente necessaria alla salvezza e alla santificazione degli uomini come quella della Chiesa. E, se alla Chiesa è stato affidato da Dio il compito di custodire e diffondere le verità della fede nella loro integrità e purezza, alla Madonna è stata riservata la missione di combattere e vincere il demonio, supremo ispiratore e fautore di tutti gli errori e di tutte le eresie (1).

Il trionfo della Chiesa è la vittoria sugli errori e sulle eresie: e questa vittoria è stata riservata a Maria, di cui la Chiesa canta: «Tu sola sterminasti le eresie di tutto l’universo». Maria ha sempre avuto una parte decisiva «nella diffusione, nelle battaglie, nei trionfi della fede cattolica» (2) e anzi, «la storia dei trionfi della Chiesa è la storia dei trionfi di Maria» (3). «Ogniqualvolta che parve quasi per scendere la notte sul mondo, si vide spuntare nel cielo Maria, stella del mattino» (4).

In questa prospettiva, brillano di luce straordinaria le grandi apparizioni mariane degli ultimi tempi. Rue du Bac, La Salette, Lourdes, Fatima, sono nomi che dovrebbero essere familiari a ogni cattolico fedele. Mentre, con il dilagare della Rivoluzione, si faceva notte sul mondo, la Madonna apriva gli occhi degli uomini sulla gravità della situazione con una luminosa costellazione di messaggi mariani che avevano il loro culmine nell’apparizione di Fatima, giustamente definita l’avvenimento più importante del secolo ventesimo.

Anche l’Italia ha avuto il privilegio di una grande apparizione mariana: meno conosciuta, ma non meno significativa delle altre per il profondo insegnamento che ancora trasmette al tempo presente. Fu la miracolosa conversione, il 20 gennaio 1842, dell’ebreo Alfonso Ratisbonne, al quale la Madonna apparve nella chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte.

Una lapide posta in uno dei pilastri della cappella dell’apparizione, dove ancora oggi si venera l’immagine di quella che il popolo romano chiamò la «Madonna del Miracolo», così ricorda l’avvenimento: «Il 20 gennaio 1842, Alfonso Ratisbonne, venne qui ebreo indurito. La Vergine gli apparve come tu la vedi. Cadde ebreo si rialzò cristiano. Straniero: porta con te questo prezioso ricordo della misericordia di Dio e del potere della SS. Vergine» (5).

ALFONSO RATISBONNE

Alfonso Ratisbonne, nato a Strasburgo nel 1814 da una famiglia di ricchi banchieri ebrei (il padre era presidente del Concistoro ebraico di Strasburgo), era cresciuto in un clima di odio anticristiano, acuito dalla conversione al cattolicesimo del fratello maggiore Teodoro (6). Fidanzato con una cugina, per migliorare il suo malfermo stato di salute aveva deciso di intraprendere un lungo viaggio che dalla Francia, attraverso la Costa Azzurra, l’Italia, Malta, l’Egeo, avrebbe dovuto condurlo a Costantinopoli. Capitò a Roma, per un breve soggiorno fuori programma, il giorno dell’Epifania del 1842. Tra le persone che vi incontrò fu un amico d’infanzia, il barone Gustavo de Buissières, protestante pietista. Il fratello di questi, Teodoro, nel corso di un’animata discussione religiosa, sfidò Ratisbonne a portare una medaglia con l’effigie dell’Immacolata, come era apparsa quattro anni prima a santa Caterina Labouré, e a recitare, o almeno a trascrivere il «Memorare, piissima Virgo Maria… », l’antica preghiera mariana tradizionalmente attribuita a san Bernardo. Ratisbonne, per mostrare la sua superiorità sulle «superstizioni» cattoliche, accettò ridendo la sfida. «Ora eccomi cattolico, apostolico, romano», commentò sarcasticamente, mentre cingeva al collo la medaglietta. 

Nei giorni successivi, mentre l’ebreo alsaziano continuava la sua vita di scettico gaudente, il Buissières si diede a pregare intensamente per la sua conversione, raccomandandolo inoltre alle orazioni di alcuni amici. Tra questi era il conte Augusto de La Ferronays, già ministro di Carlo X, che morì però improvvisamente il 17 gennaio. Un imprevisto aveva intanto costretto il Ratisbonne a rinviare la sua partenza da Roma. Si giunse così al 20 gennaio 1842, una giornata di cui vale la pena seguire la descrizione lasciataci dallo stesso Ratisbonne (7).

IL 20 GENNAIO 1842

«Il giovedì 20 gennaio, dopo aver fatto colazione all’albergo e aver imbucato le mie lettere alla posta, mi recai a casa del mio amico Gustavo, il pietista, che era tornato dalla caccia, escursione che lo aveva tenuto lontano per alcuni giorni.

«Si stupiva molto di ritrovarmi a Roma. Gliene spiegai il motivo: avevo voglia di vedere il papa. “Ma andrò via senza vederlo, – gli dissi, – giacché non ha assistito alle cerimonie della Cattedra di San Pietro, dove mi avevano fatto sperare che ci sarebbe stato”.

«Gustavo mi consolò ironicamente, parlandomi di un’altra cerimonia davvero curiosa che doveva svolgersi, credo, a Santa Maria Maggiore. Si trattava della benedizione degli animali. E su tutto questo, gara di freddure e lazzi del tipo che si può immaginare tra un ebreo e un protestante.

«Parlammo di caccia, di piaceri, dei divertimenti del carnevale, della brillante serata che il duca Torlonia aveva dato il giorno prima. Né ci si poteva dimenticare delle feste del mio matrimonio: invitai de Lotzbeck, che mi promise di partecipare.

«Se in quell’istante (era mezzogiorno) un terzo interlocutore mi si fosse avvicinato, e mi avesse detto: “Alfonso, fra un quarto d’ora adorerai Gesù Cristo, tuo Dio tuo Salvatore, sarai prosternato in una povera chiesa, ti batterai il petto dinanzi a un sacerdote, in un convento di Gesuiti dove trascorrerai il carnevale per prepararti al battesimo, pronto ad immolarti per la fede cattolica; e rinuncerai al mondo, alle sue pompe, ai suoi piaceri, alla tua fortuna, alle tue speranze, al tuo avvenire; e, se sarà necessario, rinuncerai anche alla tua fidanzata, all’affetto della tua famiglia, alla stima dei tuoi amici, all’attaccamento degli ebrei … e non aspirerai più che a seguire Gesù Cristo e a portare la sua croce fino alla morte!…”. Dico che se qualche profeta mi avesse fatto una predizione simile, avrei giudicato solo un uomo più insensato di lui: l’uomo che avesse creduto possibile una simile follia! Eppure, èproprio questa follia che costituisce oggi la mia sapienza e la mia felicità.

«Uscendo dal caffè, mi imbatto nella carrozza di Teodoro de Buissières. Si ferma, e sono invitato a salire per un tratto di passeggiata. Il tempo era splendido, e accettai con piacere. Ma de Buissières mi chiese la cortesia di fermarsi pochi minuti alla chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, che si trovava quasi di fianco a noi, per un affare che doveva sbrigare; mi suggerì di aspettarlo in carrozza; io preferii scendere, per vedere la chiesa. Vi si facevano dei preparativi per un funerale e mi informai del defunto che doveva ricevere le estreme onoranze. De Buissières mi rispose: È un mio amico, il conte de La Ferronays; la sua morte improvvisa – aggiunse – è la causa di quella tristezza che avrete notata in me da due giorni”.

«Non conoscevo de La Ferronays; non lo avevo mai visto, e non provavo altra impressione che quella d’una pena alquanto vaga che sempre si prova alla notizia d’una morte improvvisa. De Buissières mi lasciò per andare a prenotare una tribuna destinata alla famiglia del defunto. “Non vi impazientite, – mi disse entrando nel chiostro, – sarà questione di due minuti …”.

«CADDE EBREO SI RIALZÒ CRISTIANO»

«La chiesa di Sant’Andrea è piccola, povera e deserta; … credo di essere stato quasi solo; … nessuna opera d’arte attirava la mia attenzione. Camminavo, meccanicamente, con lo sguardo in giro, senza soffermarmi su nessun pensiero; mi ricordo soltanto di un cane nero che saltellava e balzava dinanzi a me… Non appena scomparso il cane, la chiesa intera disparve, non vidi più nulla … o piuttosto, Dio mio, vidi una sola cosa!

«Come potrei parlarne? Oh! no, la parola umana non deve tentare d’esprimere l’inesprimibile; ogni descrizione, per quanto sublime possa essere, non sarebbe che una profanazione dell’ineffabile verità. Ero là, prosternato, bagnato nelle mie lacrime, col cuore fuori di me stesso, quando de Buissières mi richiamò alla vita.

«Non potevo rispondere alle sue domande precipitose; ma presi la medaglia che avevo al petto e baciai con effusione l’immagine della Vergine, raggiante di grazia … Oh!, era davvero Lei!

«Non sapevo dove mi trovavo; non sapevo se ero Alfonso o un altro; sentivo un così totale mutamento, che mi credevo un altro me stesso … Tentavo di ritrovarmi e non mi ritrovavo … La gioia più ardente si sprigionava dal fondo della mia anima; non potei parlare; non volli rivelare nulla; sentivo in me qualcosa di solenne e di sacro che mi fece chiamare un sacerdote … Vi fui condotto, e solo dopo avuto l’ordine positivo ne parlai, per quanto mi era possibile, in ginocchio e col cuore tremante.

«Le mie prime parole furono di riconoscenza per de La Ferronays e per l’Arciconfraternita della Madonna delle Vittorie. Sapevo con certezza che de La Ferronays aveva pregato per me; ma non saprei dire come lo seppi, così come non potrei fare un resoconto delle verità di cui avevo acquisito la fede e la conoscenza. Tutto ciò che posso dire è che al momento del fatto la benda mi cadde dagli occhi; non una sola, ma tutta la moltitudine di bende che mi avevano avvolto, scomparvero una dopo l’altra rapidamente, come la neve e il fango e il ghiaccio sotto l’azione di un sole cocente.

«Uscivo da una tomba, da un abisso di tenebre, ed ero vivo, perfettamente vivo … Ma piangevo! Vedevo nel fondo dell’abisso le miserie estreme dalle quali ero stato strappato da una misericordia infinita; rabbrividivo alla vista di tutte le mie iniquità, ed ero stupito, intenerito, sprofondato in ammirazione e riconoscenza … Pensavo a mio fratello con una indicibile gioia; ma alle lacrime d’amore si univano lacrime di compassione. Oh! quanti discendono tranquillamente in questo abisso con gli occhi chiusi dall’orgoglio o dalla spensieratezza! Vi discendono, s’inabissano vivi nelle orribili tenebre! E la mia famiglia, la mia fidanzata, le mie povere sorelle! Oh! straziante ansietà! Penso a voi, voi che io amo! A voi dono le prime preghiere … Non alzerete voi gli occhi verso il Salvatore del mondo, il cui sangue ha cancellato il peccato originale? Oh, che l’impronta di questa macchia è orribile! Rende completamente irriconoscibile la creatura fatta a immagine di Dio.

«Mi si domanda come appresi queste verità, poiché è accertato che non ho mai aperto un libro di religione, non ho mai letto una pagina della Bibbia, e che il dogma del peccato originale, totalmente dimenticato o negato dagli Ebrei dei nostri giorni, non aveva mai occupato un istante il mio pensiero; dubito anche di averne sentito il nome. Come sono arrivato dunque a questa conoscenza? Non saprei dirlo.

«Tutto ciò che so, è che entrando in chiesa ignoravo tutto; uscendone, vedevo chiaro. Non posso spiegare questo cambiamento che con l’immagine di un uomo il quale si risvegliasse da un sonno profondo, o con quella di un cieco nato che vedesse la luce tutto d’un colpo; vede, ma non può definire la luce che lo illumina e nella quale contempla gli oggetti della sua ammirazione».

L’APOSTOLATO TRA GLI EBREI

Avuta notizia del miracolo, Papa Gregorio XVI ordinò al suo cardinale vicario Costantino Patrizi di istruire immediatamente un processo canonico. Questo si svolse in 17 sessioni, dal 17 febbraio al 1º aprile dello stesso anno 1842, con la severa procedura propria dei tribunali ecclesiastici. Al termine deliberò «che constava pienamente la verità dell’insigne miracolo operato da D.O.M. per intercessione della B. Maria Vergine, cioè l’istantanea e perfetta conversione di Alfonso Maria Ratisbonne dall’Ebraismo».

Lo stesso cardinale Patrizi aveva solennemente battezzato Ratisbonne, col nuovo nome di Alfonso Maria, il 31 gennaio 1842 nella chiesa del Gesù. Sacerdote nel 1847, Ratisbonne appartenne per qualche tempo alla Compagnia di Gesù che lasciò, con il permesso di Pio IX, per entrare nella Congregazione delle Figlie e dei Missionari di Nostra Signora di Sion fondata dal fratello. Come il fratello Teodoro, anche Alfonso Maria Ratisbonne volle infatti dedicare la propria vita all’apostolato tra gli ebrei. Nel 1855 partì per Gerusalemme, dove riuscì ad acquistare le rovine del Pretorio di Pilato, su cui fondò il Santuario dell’«Ecce Homo». A Gerusalemme rimase fino alla morte, il 6 maggio del 1884 (8).

La notizia del miracolo si sparse intanto rapidamente in tutta la Cristianità. Essa infiammò la pietà popolare nei confronti della Medaglia miracolosa di Rue du Bac e contribuì ad affrettare la proclamazione del dogma dell’Immacolata.

Tra i santi e i servi di Dio che pregarono nella cappella dell’apparizione, basti ricordare i nomi di san Giovanni Bosco, santa Teresa di Lisieux, il beato Massimiliano Kolbe. Fu il 20 gennaio 1917, 75esimo anniversario dell’apparizione, che quest’ultimo, nell’ascoltare la rievocazione della conversione di Ratisbonne, concepì l’istituzione della sua Milizia dell’Immacolata, col fine di «cercare la conversione dei peccatori, eretici, scismatici, giudei. ecc. e specialmente dei massoni; e la santificazione di tutti sotto il patrocinio ex e mediante la B.V.M. Immacolata» (9).

VERSO IL REGNO DI MARIA

A Rue du Bac, a La Salette, a Lourdes, a Fátima, la Madonna scelse anime innocenti per trasmettere i suoi messaggi al mondo. A Roma la Madonna apparve a un peccatore, a un cuore indurito dall’orgoglio, a un nemico della Chiesa. Ebreo di origine, rivoluzionario di mentalità, Ratisbonne sembra prefigurare il mondo moderno, incredulo, duro di cuore, ostinato nei suoi errori. Eppure basta l’apparizione della Madonna, un suo gesto, perché Ratisbonne cada in ginocchio e comprenda istantaneamente, secondo quanto egli stesso dichiarò, nella sua esposizione al processo canonico, «l’orrore del suo stato, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica». La sua conversione è perfetta e istantanea come quella di san Paolo: le tenebre dell’incredulità e del giudaismo sono improvvisamente squarciate, dal fulgore della verità. La Madonna «viva, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa» manifesta i suoi attributi tradizionali di Regina e di Madre: la potenza e la misericordia. Ma la Madonna esige, per intervenire, la collaborazione degli uomini: la Medaglia miracolosa, il Memorare, le preghiere insistenti del barone de Buissières e del conte de La Ferronays, forse per un impercettibile gesto di buona volontà da parte di Ratisbonne, sono gli elementi da non trascurare nel grande quadro di questa conversione.

Nulla è impossibile alla Madonna, regale dispensatrice di grazie, quando essa è pregata da cuori ardenti e devoti. «Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medio evo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi resurrezioni dell’anima, di cui anche i popoli sono suscettibili» (10).

Di fronte al flagello del comunismo ateo che minaccia oggi l’umanità, preghiamo dunque la Madonna perché voglia manifestare ancora una volta la sua potenza e la sua misericordia: allo stesso modo in cui convertì l’ebreo Ratisbonne e regnò nel suo cuore, conceda ai nostri giorni la conversione del mondo, l’instaurazione del Suo regno, il trionfo della Chiesa sulla Rivoluzione.

ROBERTO DE MATTEI


Note:

(1) Per una recente riproposta di questa prospettiva cfr., tra l’altro, il bel volume dedicato alla mariologia del venerabile Pio Brunone Lanteri di p. PAOLO CALLIARI O.M.V., Maria vincitrice di tutte le eresie, Editrice Lanteriana, Torino 1976.

(2) LEONE XIII, Enciclica Adiutricem populi, del 5-9-1895, in Maria SS., Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2ª ed. aggiornata, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 140.

(3) PIO XII, Discorso Il vostro IV Convegno, alle Giovani delle Congregazioni Mariane d’Italia, del 26-4-1958, in Maria SS., cit., p. 519.

(4) Ibidem.

(5) Si tratta della versione italiana del testo francese della lapide. La migliore monografia sull’apparizione è quella di p. ALFREDO BELLANTONIO, La Meraviglia romana dell’Immacolata, 2ª ed., Roma 1973. Il processo canonico è consultabile, in due volumi manoscritti, presso l’Archivio storico del Vicariato di Roma.

(6) Théodore-Marie Ratisbonne (Strasburgo 1802-Parigi 1884) era stato battezzato nel 1827 e collaborava con mons. Dufriche-Desgenettes presso la chiesa parigina di Nostra Signora delle Vittorie, uno dei più vivi centri spirituali di Parigi.

(7) Si tratta di una lettera che Alfonso Ratisbonne scrisse dal collegio di Juilly, il 20 gennaio 1842, a mons. Dufriche-Desgenettes. Abbiamo parzialmente attinto, integrandole, alla traduzione italiana riportata nell’opuscolo La Madonna del miracolo, a cura della Postulazione Generale dei Minimi, Roma 1971 e al testo riportato in JEAN GUITTON, La Vergine a Rue du Bac, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1977.

Charles-Eléonore Dufriche-Desgenettes (Almson 1778-Parigi 1860), fondatore dell’Arciconfraternita di Nostra Signora delle Vittorie, aveva fatto della sua chiesa il centro propulsore della diffusione della Medaglia miracolosa. Nel 1825 era stato tra coloro che più si erano battuti per la consacrazione a Reims di Carlo X (cfr. MARC BLOCH, I re taumaturghi, tr. it., Einaudi 1973, p. 313).

(8) «Si inginocchiò su quelle rovine e pregò; gli pareva di udire ancora l’eco di quella condanna, e del grido esecrando dei padri suoi: “Crucifige Eum!”. “Non ho mai dimenticato – diceva – ciò che provai davanti alle rovine del tribunale di Ponzio Pilato”. Colà era risuonato il grido: “Il Sangue di Lui cada su di noi e sui nostri figli”. “Cada, sì, – pensava Alfonso – ma cada non in maledizione, bensì in rigenerazione, come era caduto su di lui il 20 gennaio in S. Andrea delle Fratte». Cfr. p. ANTONIO BELLANTONIO, op. cit., p. 153.

(9) Fu all’altare dell’apparizione che il 29 aprile 1918 Massimiliano Kolbe volle celebrare la sua prima messa. Padre Ricciardi ha trascritto, nella traduzione italiana, questo particolare, dal registro personale delle intenzioni: «Altare del miracolo, Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte: per la conversione di p. Petkow [Gran Maestro della Massoneria polacca], degli scismatici, degli acattolici, dei massoni ecc. » Cfr. p. ANTONIO RICCIARDI, Beato Massimiliano Maria Kolbe OFM, Edizioni agiografiche, a cura della Postulazione generale dell’Ordine dei Frati Minori conventuali, Roma 1971, p. 57.

(10) PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it., Cristianità, Piacenza 1977, p. 152

AMDG et DVM

martedì 17 maggio 2022

Alfonso Ratisbonne

 



 Giovinezza di Alfonso Ratisbonne

Alfonso Ratisbonne nasce a Strasburgo il 1 maggio 1814 da una ricca famiglia di banchieri, penultimo di otto figli. Dopo aver perso all’età di quattro anni la madre, trascorre la fanciullezza in due istituti elitari della città. A 16 anni perde anche il padre. A prendere in sua tutela Alfonso è lo zio materno Luigi che, dopo il completamento degli studi universitari alla Sorbona di Parigi dove si laurea in Giurisprudenza, lo impiega nella sua banca e lo fa socio negli affari. In questo periodo Alfonso si fa notare per il suo ateismo e il disprezzo totale della religione cattolica di cui, in modo particolare, critica le forme “paganeggianti” della devozione popolare. Rompe ogni legame con il fratello Teodoro che, convertitosi al cattolicesimo, il 18 dicembre 1830 viene ordinato anche sacerdote. Nel 1840, a 27 anni, Alfonso s’innamora perdutamente di sua cugina Flora molto più giovane di lui. I genitori di lei si oppongono al matrimonio e Alfonso decide di intraprendere un lungo viaggio in Europa e in Medio Oriente. Salpa da Marsiglia il 9 dicembre 1841 per giungere a Napoli qualche settimana dopo. A causa di un’avaria, la nave non può continuare il suo viaggio verso Palermo e Alfonso, nell’attesa, decide di recarsi alcuni giorni a Roma.

Apparizione dell’Immacolata e conversione di Alfonso

Girovagando per le strade della capitale, incontra il barone Gustavo de Bussière, suo vecchio compagno di studi alla Sorbona che lo invita ripetutamente a casa sua. Gustavo era stato convertito al cattolicesimo proprio dal fratello di Alfonso ed era devotissimo della Vergine. Rischiando la violenta reazione di Alfonso, una sera gli offre una “Medaglia miracolosa” raffigurante la Vergine Immacolata così come si era rivelata nel 1830 nella cappella della Rue du bac a Parigi, a Caterina Labourè, professa delle suore della carità di S. Vincenzo. Alfonso prende la medaglia e, per non dispiacere l’amico, la mette al collo. Nella tarda mattinata del 21 gennaio Alfonso, ormai vicino alla partenza per Napoli, fa l’ultimo giro per le vie della capitale e incontra nuovamente il barone nei pressi di Piazza di Spagna. Gustavo ferma la sua carrozza davanti alla Basilica di S. Andrea delle Fratte, perché deve organizzare in quella chiesa il funerale di un diplomatico. Nell’attesa del ritorno dell’amico, Alfonso decide di entrare nella basilica per ammirarne le opere d’arte. Sono esattamente le 12,45. All’improvviso gli sembra che una luce misteriosa si concentri nella cappella di sinistra, dedicata a S. Michele. In mezzo a questa luce vede grande, maestosa e bellissima la Vergine Maria, qual è raffigurata nella Medaglia miracolosa. La Vergine, senza dire parola, gli fa segno di inginocchiarsi e Alfonso comprende, in un istante, l’errore dello stato in cui si trova e la bruttura del peccato e vede risplendergli tutta la bellezza, la ricchezza e la profondità della fede cristiana fino allora combattuta. Il desiderio di cambiare vita, di farsi cattolico lo invade profondamente. Finita l’apparizione Alfonso si fa accompagnare dal barone, stupito nel vederlo profondamente cambiato, nella Chiesa del Gesù, dove racconta l’apparizione e si confessa tra le lacrime. Dopo un intenso catecumenato, il 31 gennaio 1842, riceve il Battesimo e la Cresima, per mano del Cardinale Patrizi, vicario di Roma. 



Dopo l’apparizione
Il Vicariato dell’Urbe istituì il 17 febbraio dello stesso anno 1841 una commissione d’inchiesta e il 3 giugno 1842 papa Gregorio XVI riconobbe come straordinaria e miracolosa la conversione di Alfonso.Ritornato a Parigi, Alfonso si incontra con il fratello Teodoro ripacificandosi con lui e decide di farsi gesuita. Il 20 giugno 1842 entra in noviziato a Tolosa e il 24 settembre 1848 viene ordinato sacerdote. Con il passare del tempo Alfonso capì che la sua missione era quella di servire i suoi fratelli ebrei. Lasciato l’ordine dei gesuiti con l’autorizzazione di Papa Pio IX, si reca in Terra Santa dove fonda il ramo maschile della Congregazione di Nostra Signora di Sion insieme al Fratello che da tempo aveva già fondato quello femminile. Si dedica all’assistenza agli orfani fondando diverse case di accoglienza. Dopo un breve viaggio a Roma nel 1878, ritorna definitivamente in Terra Santa, dove muore il 6 maggio del 1884, pronunciando i nomi di Gesù e Maria, cirocndato dagli orfani a cui aveva dedicato la sua vita. Aveva 70 anni e ne erano trascorsi 42 dall’apparizione che aveva cambiato la sua vita. Le sue spoglie furono deposte in un’umile tomba nel giardino della Casa di Ain-Karim in San Giovanni in Montana, all’ombra di una statua della Vergine Immacolata.


Spiritualità mariana di Alfonso Ratisbonne

L’esperienza dell’apparizione legò in maniera indelebile Alfonso Ratisbonne a Maria. Maria era per lui causa di gioia perenne. Ad una suora che gli chiedeva come facesse ad essere sempre sereno e allegro anche in circostanze dolorose, P. Alfonso rispose: “Vi dirò qual è il segreto di tutto questo: dico tutto alla Santa Vergine, le confido tutto quello che mi può tormentare, addolorare e inquietare e poi la lascio fare. Come posso allora essere triste? Sapendo che così tutto andrà secondo la volontà divina e per il meglio, me ne rallegro in anticipo”. 

Alfonso ha in Maria una confidenza illimitata che, come lui stesso dirà, rasenta quasi la temerità. La sua è una fiducia straordinaria, continua, inesauribile, che non proviene da un’esaltazione del cuore o da uno sforzo della volontà, ma da un’esperienza vissuta e sempre presente, da un’evidenza che si impone da se stessa e che è motivo di gioia. Alfonso vede la sua vita come un costante Magnificat e un perenne Stabat Mater. Esalta e ringrazia Maria con illimitata riconoscenza e con altrettanta disponibilità si pone accanto alla Croce con Lei, fidandosi soltanto del suo materno amore e della sua sicura protezione. Ha la consapevolezza che senza Maria non sarebbe quello che è. Non è stata forse l’Immacolata ad avergli ottenuto il favore di Dio, gratuitamente, ad averlo illuminato nel suo cammino di fede? A chi si recava a Roma o gli scriveva dalla Città eterna diceva: “Ringraziate per me la Vergine Immacolata perché io non riuscirò mai a ringraziarla abbastanza”. Alfonso vive sempre sotto lo sguardo di Maria. Ne ha il cuore così pieno che gli è impossibile esprimere ciò che per lui è incomunicabile: l’intimità con sua Madre. L’aveva vista bella e piena di luce e di quella luce si sentiva sempre inondato. Maria è sempre presente nel suo cuore ed egli è anche impaziente di raggiungerla nel cielo. Diceva ad un amico di non sapere come mai, sebbene peccatore, non avesse paura della morte, anzi di desiderarla e di voler morire recitando il Memorare di S. Bernardo, sicuro di poter ritornare ad ammirare lo splendore della sua Madre dolcissima. Poco prima di morire diceva ai suoi: “ quando starò per morire non ditemi altro che: Maria! La pace scenderà allora nel mio cuore!”. Sentiva di essere chiamato dalla Vergine, di aver bisogno di Lei. “Desidero solo Maria! - diceva – Maria è per me tutto! Maria! Qui c’è tutto!”. Maria! Questo nome esprime tutta la sua vita, l’unico nome che riceve nel battesimo e il solo che sarà anche inciso sulla lapide della sua tomba. Maria fu il suo grande amore ed è il suo nome di ringraziamento a Dio per tutta l’eternità.

Conclusione
La vita di Alfonso Ratisbonne è tutto un canto a Maria che ha le note di una polifonia:
- è un canto di ringraziamento a Colei che, senza suo merito, si era degnata apparirgli;
- è un canto di dedizione a Colei che, mostrandosi amorevole, lo ha incitato ad essere padre di una sterminata schiera di orfani. Nell’amore di Maria egli ha trovato il segreto del suo amore per i fratelli e per i deboli, fatto di opere concrete e di servizio;
- è un canto di appartenenza spirituale a Colei che è la madre dei santi. Richiamandolo alla luce della fede da una vita senza significato, Maria ha delineato e segnato il suo cammino spirituale e Alfonso, seguendolo, è divenuto un autentico testimone di santità;
- è un canto di fiducia illimitata in Colei che non abbandona e che maternamente segue i suoi figli. Con Lei vicina, mano con mano, Alfonso ha trascorso la sua vita, mai staccando il suo sguardo da Lei, mai dimenticando di essere oggetto della sua materna sollecitudine.
Ancora oggi la vita di Alfonso Ratisbonne è un modello di spiritualità mariana, di quella spiritualità che vede nella Vergine la via autentica che conduce a Dio. Alfonso ha riposato sul cuore di Maria e si è ritrovato immerso nell’amore di Dio.

Dal libro di S. M. Carmelle, Alfonso Ratisbonne da Roma a Gerusalemme, Figlie di Sion, Roma 1991.





sabato 27 novembre 2021

Alfonso Maria Ratisbonne - Sua conversione istantanea

La conversione di Alphonse Ratisbonne

L’istantanea conversione dell’ateo

Alphonse Marie Ratisbonne

La storia della Chiesa è piena di conversioni, ma alcune sono più imprevedibili di altre.

Così si può dire della conversione dell’avvocato Alphonse Marie Ratisbonne, di famiglia

ebrea, ateo, scettico, cinico e fortemente anticlericale, trascorse la vita nell’ozio e nei

piaceri ma in pochissimi istanti e attraverso esperienze apparentemente casuali

abbandonò tutta la sua vita passata per dedicarsi a ciò che per tutta la vita aveva odiato:

Dio e la Chiesa.

Partiamo dall’inizio di questa imprevedibile storia: siamo nel 1839, Alphonse ha 27 anni, è

laureato in giurisprudenza e già avviato alla carriera di banchiere. E’ fidanzato con Flore,

sua cugina, e i due vorrebbero sposarsi rapidamente. La fidanzata però, è ancora in età

minore, e gli anziani di famiglia, per guadagnar tempo, decidono di far allontanare

Alphonse da Strasburgo con un lungo viaggio turistico, ovunque gli sia gradito. Egli

decide per l'Oriente, attraverso la Costa Azzurra, l'Italia, Malta e l'Egeo. Costantinopoli

sarà la meta conclusiva.

In questi momenti gli torna alla mente suo fratello, Theodore. Non lo sente da molti anni,

infatti Theodore si è fatto sacerdote cattolico! Che ironia! Alphonse non poteva

sopportare la scelta del fratello, perciò aveva troncato i rapporti con lui. Ma a sua

insaputa, il fratello sacerdote lo affidava tutti i giorni all’Immacolata Concezione, affinché

potesse cambiar vita (e pensare che il dogma dell’Immacolata verrà proclamato solo anni

dopo!).

Come tappa del suo lungo viaggio Alphonse giunse il 5 gennaio a Roma, dove constatò

con dolore le condizioni degli ebrei nel ghetto. Nella Città Eterna incontrò fortuitamente

un suo vecchio compagno di scuola di Strasburgo, Gustavo de Bussières, protestante

pietista. Con gioia rinnovarono la loro amicizia e proseguirono insieme la visita alla città.

Gustavo propose a Ratisbonne anche una visita al fratello, barone Teodoro.

Alphonse non voleva accettare quest'ultimo invito, anzitutto perché il barone si era

convertito al cattolicesimo ed era un neofito oltremodo fervente e poi perché si era fatto

amico di suo fratello sacerdote. Tuttavia non poté esimersi, pur adducendo impegni da

assolvere e protestando che doveva ritornare a Napoli, come aveva promesso agli amici,

per ripartire il giorno 20 gennaio per Malta.

Alla fine decise di recarsi alla casa del barone il 15 gennaio, semplicemente per

presentare un biglietto di scuse e andarsene via ma aprì la porta un domestico, che, non

comprendendo una parola di francese, lo annunciò e lo introdusse subito nel salotto.

Alphonse fu accolto con gentilezza e con gioia dalla famiglia de Bussières. Era presente

anche un altro ospite, il Conte De Caroli.

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La conversione di Alphonse Ratisbonne

Dopo i primi convenevoli, la conversazione fu portata sul piano religioso. Alphonse fu

letteralmente assalito, ma si difese, contrattaccando e formulando giudizi sarcastici contro

il Cattolicesimo ed il governo papale, che lasciava gli ebrei di Roma nella miseria e nel

degrado. Poi vomitò veleno e bestemmie contro la Religione Cattolica, come fosse la

superstizione più grande e deleteria, non badando che erano presenti anche le bambine

del barone. Protestò di essere nato ebreo e di voler morire ebreo, e terminò esclamando

seccamente che era tempo perso volerlo convertire, perché sarebbero stati necessari due

miracoli: uno per persuaderlo del suo errore e un altro per muoverlo.

A questo punto, con un'invadenza oggi difficilmente comprensibile, Teodoro de Bussières

intervenne, cercando di smorzare il tono della conversazione e facendo una proposta:

- Giacché lei detesta la superstizione - disse il barone -, e professa dottrine tanto liberali,

e poiché è uno spirito forte e cosi illuminato, avrebbe il coraggio di sottoporsi ad una

prova molto innocente?

- Quale prova?

- Sarebbe di portare su di sè un oggetto che ora le darò. Eccolo; è una medaglia della

Santa Vergine. Le par cosa proprio ridicola, non è vero? Ma in quanto a me, io dò molto

valore a questa medaglia.

“La proposta” - afferma il Ratisbonne nel suo racconto -, “mi stupì per la sua puerile

singolarità. Non mi aspettavo di cadere in una simile facezia. Il mio primo impulso fu di

ridere stringendomi nelle spalle, ma poi mi venne in mente che quella scena poteva

divenire un delizioso capitolo delle mie impressioni di viaggio e consentii a prendere la

medaglia, come una prova autentica che avrei offerto alla mia fidanzata.

Detto fatto: mi si mette la medaglia al collo non senza sforzo, perché il cordone era

troppo corto e la testa non vi passava. Infine, tira tira, avevo la medaglia sul petto ed

esclamai con uno scoppio di risa: - Ah! eccomi cattolico, apostolico, romano!".

Non era ancor tutto finito. Il de Bussières, si direbbe "santamente importuno", volle

anche che l'amico accettasse, prima di andarsene, copia della preghiera di S. Bernardo

alla Vergine, il Memorare, in versione francese.

Secondo la "Relazione autentica" del barone, il Ratisbonne uscendo mormorò tra se:

“Ecco un individuo originale e molto indiscreto! Vorrei vedere che cosa direbbe, se io lo

tormentassi per fargli recitare una preghiera ebraica!”.

Tuttavia, giunto in albergo, Alphonse lesse più volte la preghiera, non trovandovi nulla di

straordinario, e la imparò quasi a memoria.

Lo stesso Ratisbonne nella deposizione del 18 febbraio 1842, affermò: “Fino a 23 anni

sono vissuto senza alcuna religione, perfino senza credere in Dio... Ho sempre riso delle

apparizioni e ho sempre rifiutato di credere ai miracoli”. Era quindi ben lontano dal

pensare che proprio lui avrebbe dovuto farne esperienza, nei pochi giorni che aveva

deciso di passare ancora a Roma.

Il 20 gennaio andò ad accomiatarsi dal barone Teodoro de Bussieres. Lo trovò per strada

in carrozza. Il barone lo fece salire e lo pregò di accompagnarlo un momento alla vicina

chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, per predisporre i funerali di un amico, il Conte

Augusto La Ferronay, deceduto improvvisamente il giorno 17.

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Erano ormai le 12,45, quando il superiore, P Giuseppe Mantineo, fu avvertito dal

sacrestano che il de Bussières voleva parlargli. L'assenza di Teodoro non durò più di 10-12

minuti ed il Ratisbonne ingannò l'attesa gironzolando per la chiesa ed osservando

distrattamente marmi e dipinti.

L'attuale cappella dell'Apparizione era allora dedicata a S. Michele Arcangelo e all'Angelo

Custode, ma vi era anche un piccolo quadro che rappresentava l'Arcangelo Raffaele,

guida del giovane Tobia. Tobia era uno dei nomi di Alfonso.

Terminata la sua commissione, Teodoro ritornò in chiesa, ma non vide l'amico. Solo in un

secondo momento lo trovò inginocchiato nella cappella di S. Michele come in estasi.

“Dovetti toccarlo tre o quattro volte - affermerà nella lettera a Teodoro Ratisbonne, il

fratello sacerdote di Alfonso, scritta due giorni dopo, il 22 gennaio 1842 -, e poi

finalmente volse verso di me la faccia bagnata di lacrime, con le mani giunte e con un

espressione impossibile a rendersi... Poi estrasse dal petto la medaglia miracolosa, la

coprì di baci e di lacrime, e proferì queste parole: - Ah, come sono felice, quanto è buono

Dio, che pienezza di grazia e di felicità, come sono infelici coloro che non sanno niente!”

Da parte sua Alfonso scrive nella sua lettera autobiografica quanto segue: “Ogni

descrizione, sia pur sublime, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero

là, prosteso, irrorato dalle mie lacrime, ed il cuore mi batteva forte quando il Signor de

Bussières mi richiamò alla vita. Non potevo rispondere alle sue domande incalzanti. Alla

fine afferrai la medaglia che mi pendeva dal collo e baciai con effusione l'immagine della

Vergine raggiante di grazie... Oh! era Lei, sì era Lei!”

Calmata alquanto la prima emozione, Alfonso chiede all'amico di condurlo subito da un

confessore, che lo prepari a ricevere il Battesimo, protestando che avrebbe parlato

soltanto dopo che il sacerdote gliene avesse dato il permesso.

Viene accompagnato prima in albergo e poi al “Gesù”, dal P Filippo Villefort, il quale gli

ordina di raccontare quanto aveva visto e sperimentato.

"Maria non ha parlato, ma io ho compreso tutto!"

Alfonso Ratisbonne stringe in mano la medaglia miracolosa e, quando la commozione gli

spezza la parola, la bacia ed esclama: “L’ho vista, l’ho vista, l’ho vista!”

Dominandosi a stento, riesce a fare il seguente racconto, secondo la "Relazione

autentica" di Teodoro de Bussières:

"Stavo da poco in chiesa, quando all'improvviso l'intero edificio è scomparso dai miei

occhi e non ho visto che una sola cappella sfolgorante di luce. In quello splendore è

apparsa in piedi, sull’ailtare, grande, fulgida, piena di maestà e di dolcezza, la Vergine

Maria, così come è nella Medaglia Miracolosa. Una forza irresistibile mi ha spinto verso di

Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi e sembrava volesse dirmi:

- Così va bene!-. Lei non ha parlato, ma io ho compreso tutto!".

Il barone prosegue il suo scritto dicendo: “Per condurre a termine questo breve racconto,

Ratisbonne aveva dovuto interrompersi di frequente per riprendere fiato, per

padroneggiare la commozione che l'opprimeva. Noi lo ascoltavamo con un santo

spavento misto di gioia... ".

“Nello spazio di tre minuti - commenta sempre Teodoro de Bussières - Alfonso aveva

fatto un'esperienza in cui gli era stato dato tutto. Egli accettò di essere afferrato da Dio,

con un cambiamento radicale, totale e definitivo di tutto il suo essere”. Per tutta la vita

Alfonso Ratisbonne vivrà di questa illuminazione di un istante, pur “conservando - dice un

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suo biografo - le debolezze, la vivacità e le asprezze di un carattere appassionato,

impetuoso, indipendente e perfino originale”.

Alfonso stesso, nella deposizione del Processo canonico del 1819 febbraio 1842, proverà

a spiegare ciò che, in quel momento di illuminazione della grazia, aveva istantaneamente

capito: “Alla presenza della SS. Vergine, quantunque non mi dicesse una parola, compresi

l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione

Cattolica: in una parola capii tutto!”

La notizia della conversione miracolosa dell'ebreo Alfonso Ratisbonne si diffuse subito,

non solo a Roma, ma in tutta Europa. Già la sera del 23 gennaio 1842, domenica, dal

pulpito di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, il fratello, Don Teodoro, narrò

l'apparizione dell'Immacolata a Roma e la conversione dell'ebreo.

Il P Villefort che si prese l'incarico di prepararlo al Battesimo constatò una nuova

meraviglia, che tutti attribuirono alla SS. Vergine. Alfonso apparve inaspettatamente già

ben preparato nella dottrina cattolica. "Si trovò in lui - attestò il P Roothaan -, dopo la sua

conversione, il senso della fede in maniera concreta ed efficace, facendogli comprendere,

penetrare e ritenere con facilità quanto gli veniva proposto, al punto che in pochissimi

giorni fu istruito in modo più che sufficiente”. In particolare si manifestò in Alfonso, una

fede vivissima nella presenza reale di Gesù nell'Eucaristia.

Il 29 gennaio pertanto, egli subì l'esame dal Card. Mezzofanti, a cui era commessa la cura

del Catecumenato, e fu ammesso a ricevere in forma solenne il Battesimo, nella chiesa

del Gesù, il mattino del 31 gennaio.

La chiesa era gremita di gente, tra cui spiccava il fior fiore della nobiltà romana. Il nome di

Battesimo prescelto dall'interessato fu quello di "Maria" e il suo padrino fu il barone

Teodoro de Bussiéres.

Alfonso fu battezzato dal Card. Costantino Patrizi, Vicario Generale di Sua Santità, che gli

amministrò anche il sacramento della Cresima.

Subito dopo, Mons. Felice Dupanloup, oratore di fama e futuro vescovo di Orléans,

intrattenne l'uditorio con una commovente omelia in lingua francese.

Si passò quindi alla celebrazione della S. Messa, durante la quale il Ratisbonne poté

ricevere per la prima volta Gesù Eucaristia.

Il nuovo cristiano si fermò ancora presso i Padri Gesuiti per sei settimane e fu ricevuto in

udienza particolare dal Santo Padre, Gregorio XVI. Secondo una testimonianza della

biografia di Santa Caterina Labouré, il Papa fece vedere al Ratisbonne in quella occasione, la Medaglia Miracolosa, che egli aveva ricevuto in dono e che teneva in capo al

suo letto.

Nel frattempo il Vicariato di Roma istruì un regolare processo canonico sull'apparizione

dell'Immacolata e sulla conversione subitanea dell'ebreo. Le 17 sessioni si svolsero dal 17

febbraio 1842 al 1° aprile. Furono chiamati a deporre nove testimoni, primo dei quali il

veggente.

Dalla severa inchiesta risultò che non vi era stata traccia di allucinazione o di

autosuggestione fanatica. La cappella di S. Michele non aveva alcuna statua o quadro

della SS. Vergine, che avesse potuto colpire la fantasia del veggente.

Il Ratisbonne, secondo la testimonianza del P Villefort, ripeteva, più meravigliato degli

altri: “Quale grazia! Proprio a me che, un ora prima, bestemmiavo ancora!”

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Il 3 giugno 1842, con un decreto apposito il Card. Costantino Patrizi, Vicario dell'Urbe,

“udita la relazione, visto il processo, visti gli esami dei testi e i documenti, dopo matura

considerazione, richiesto il parere anche dei teologi e di altri uomini di pietà, secondo la

formula del Concilio Tridentino... pronunciò e dichiarò definitivamente che constava

pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio Ottimo Massimo, per

intercessione della Beata Maria Vergine, cioé la istantanea e perfetta conversione di

Alfonso Maria Ratisbonne dall’ebraismo.”

Alfonso era stato prevenuto delle sofferenze che avrebbe incontrato, anche con un segno

profetico, che manifestò in un secondo tempo al P Villefort. Nella notte dal 19 al 20

gennaio infatti, aveva sognato una croce scura, priva della figura del Cristo, che lo seguiva ovunque, e questa visione l'aveva accompagnato per gran parte della notte e del

giorno seguente, benché si sforzasse di cacciarne il ricordo.

Quando esaminò più attentamente la parte posteriore della Medaglia Miracolosa, scoprì

con gioia la croce che campeggia nel centro, ma capì anche che significava sofferenza e

sacrificio. "Questa croce che avete visto - gli aveva detto il P Roothaan, Superiore

Generale dei Padri Gesuiti, mostrandogli il Crocifisso del suo scrittoio -, quando sarete

battezzato, bisognerà non solo adorarla, ma anche portarla!”

La prima dura prova fu il martirio del cuore, degli affetti più cari. Egli cercò di spiegare a

Flora, la fidanzata, che cosa gli era accaduto, ma inutilmente. La ragazza gli rinfacciò di

aver trovato a Roma "un'altra donna"!. Lo zio gli negò la mano di sua figlia, temendo a

buon diritto un matrimonio cattolico, e gli altri parenti non ebbero che parole di

maledizione. “Dalla mia famiglia - confessò nella sessione del 1 ° marzo del Processo

canonico -, ho ricevuto soltanto lettere sprezzanti, nelle quali ero denominato assassino

della mia fidanzata, di suo padre, di mio zio e di tutte le persone a me più care. Queste

parole sarebbero state sufficienti per uccidermi di dolore, senza il conforto della Fede... ".

Ratisbonne diventò sacerdote e dopo sei anni di studi entrò prima nell’Ordine dei Gesuiti

ed in seguito andò nella Congregazione delle Religiose di Nostra Signora di Sion ad

aiutare suo fratello Theodore.

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martedì 26 novembre 2019

1830: Inizio delle ultime apparizioni prima della fine dei tempi malvagi

1830

La vita religiosa e le apparizioni

Il 21 aprile 1830 Caterina entrò come postulante tra le Figlie della Carità a Châtillon-sur-Seine. In seguito fu mandata a Parigi per il noviziato, nella Casa Madre situata in rue du Bac. Durante il noviziato avrebbe avuto delle apparizioni, come quelle di Gesù Eucaristico e di Cristo Re (giugno 1830), ma quelle che hanno avuto nel corso del tempo la maggiore risonanza sono state quelle dell'Immacolata della "Medaglia miracolosa".
Nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1830, mentre la Francia era sconvolta dalla possibilità di una nuova rivoluzione (il 27 luglio cadde Carlo X), Caterina sarebbe stata condotta da un angelo nella grande cappella della Casa Madre, dove avrebbe avuto un colloquio durato più di due ore con la Madonna. Nuovi incontri sarebbero avvenuti, a breve distanza l'uno dall'altro, nel settembre, novembre e dicembre dello stesso anno.
La più nota delle apparizioni fu quella che Caterina avrebbe avuto il 27 novembre, nella quale si possono distinguere due fasi. Nel racconto di Caterina, nella prima fase la Madonna le appare — ritta su un globo avvolto dalle spire di un serpente — mentre offre a Dio un altro piccolo globo dorato, tenuto all'altezza del cuore e simbolicamente riferito a ogni singolo credente; dalle mani della Madonna piovono sul globo inferiore due fasci di luce.
Nella seconda fase — prosegue la narrazione di Caterina — scomparso il piccolo globo d'oro, le mani della Vergine si abbassano irraggiando fasci luminosi e, come a formare un'aureola, intorno alla testa della Madonna appaiono le parole: "O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi". Subito dopo sarebbe apparso il retro del quadro, senza la figura della Madonna e con al centro la lettera M, con al di sopra la croce e al di sotto i Sacri Cuori di Gesù e Maria. Una voce interiore avrebbe chiesto a Caterina di far coniare una medaglia che riproducesse la visione.
Solo nel 1832 furono coniati i primi millecinquecento esemplari. La medaglia fu presto detta "miracolosa" e il presunto miracolo che fece più scalpore fu la conversione dell'ebreo agnostico Alfonso Ratisbonne (1842). La Madonna avrebbe espresso, inoltre, a Caterina il desiderio che venisse fondata un'Associazione delle Figlie di Maria Immacolata.

Dopo i voti di comunità ebbe vari uffici nelle sue Case, comportandosi con la massima discrezione—solo le superiori seppero delle presunte apparizioni—e dedicandosi, come specifico dell'ordine di appartenenza, alla cura degli ammalati e degli anziani.
Verso la fine del 1876 Caterina avrebbe predetto la sua prossima morte, che avvenne il 31 dicembre dello stesso anno. Introdotta la Causa per la sua Beatificazione e Canonizzazione nell'anno 1907, fu beatificata il 28 maggio 1933 da Pio XI e canonizzata il 27 luglio 1947 da Pio XII.
Il suo corpo è oggi custodito dentro la Cappella Notre Dame della Medaglia Miracolosa a Parigi.
Nel 1977 una convenzione tra il Comune di Parigi e le Figlie della carità di San Vincenzo de' Paoli ha permesso l'apertura al pubblico del giardino adiacente alla cappella, che ha preso il nome di Giardino Catherine Labouré.
Le apparizioni a Caterina Labouré non poterono avere il riconoscimento ufficiale, nonostante l'atteggiamento favorevole della Chiesa cattolica nei confronti della Medaglia miracolosa - a cominciare da Papa Gregorio XVI - perché non fu possibile ottenere la testimonianza della religiosa[1]. Tuttavia alcuni autori propendono per un riconoscimento di fatto.[2]


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