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lunedì 11 luglio 2016

DICIAMOCI LA VERITA'


IL  rinchiudersi dei sacerdoti nell’ambiente
cristiano
è una condizione anacronistica
e insensata quanto il credente che
si dichiara
non praticante
mmzs

giovedì 3 ottobre 2013

BEATO MARCO d'AVIANO, un illustrissimo figlio del Serafico di Assisi








Un apostolo dell’Europa cristiana
Marco d'Aviano
di Giovanna Brizi
Predicatore cappuccino, amico e consigliere dell’imperatore Leopoldo I, partecipò alla crociata antiturca come legato pontificio. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003.
(foto MARCATO)
(foto MARCATO)


Padre Marco, al secolo Carlo Domenico Cristofori, nacque ad Aviano (Pn) il 17 novembre 1631, in una stimata e facoltosa famiglia friulana. Dopo aver frequentato la scuola del luogo, proseguì gli studi nel collegio dei Gesuiti a Gorizia, dove ricevette un'ottima formazione spirituale e culturale. A diciassette anni Carlo fuggì per recarsi in Turchia, con l'intento di convertire i musulmani e morire martire, ma il suo viaggio si arrestò a Capodistria dove, senza soldi, stanco e affamato, bussò alla porta del convento dei Cappuccini, che lo accolsero e lo ricondussero in famiglia.

Ritratto dal vero di Marco d'Aviano. In alto: la beatificazione del cappuccino è avvenuta lo stesso giorno del nostro fondatore, il beato don Alberione (foto BEVILACQUA).
Ritratto dal vero di Marco d'Aviano. 
In alto: la beatificazione del cappuccino è avvenuta lo stesso giorno 
del beato don Giacomo Alberione 
(foto BEVILACQUA).


Fatti prodigiosi e guarigioni 



Maturata la sua vocazione, nel 1648 entrò nell'ordine dei frati minori cappuccini, prendendo in religione il nome di Marco. Il 18 settembre 1655 fu ordinato sacerdote e dal 1665, per ordine dei superiori, si dedicò alla predicazione. Di intelligenza vivace e di grande fervore religioso, quando predicava – come scrisse un suo ammiratore di Thiene – «pareva che dalla sua bocca vibrassero raggi divini».

A quarantacinque anni la sua vita cambiò radicalmente: l'8 settembre 1676, a Padova, tenne un discorso nella chiesa di San Prosdocimo, annessa al Monastero delle nobili dimesse; in quell'occasione fu pregato di benedire la giovane suor Vincenza Francesconi, paralizzata da tredici anni. Dopo la benedizione la giovane guarì immediatamente, suscitando clamore in tutta la città. Da quel giorno, ogni volta che padre Marco impartiva la benedizione, accadevano cose umanamente inspiegabili: gli storpi gettavano le stampelle, i ciechi aprivano gli occhi, i paralitici si alzavano dai letti.

La fama dei suoi prodigi si sparse velocemente e molti vescovi iniziarono a richiedere la sua presenza, per ravvivare lo spirito religioso nelle popolazioni. Iniziarono così i suoi faticosi viaggi, per ordine dei superiori o del Papa, che lo dispensò perfino dal precetto francescano di non cavalcare; Innocenzo XI, che lo aveva definito «il taumaturgo del secolo», gli concesse il privilegio, unico per un religioso, di poter impartire la benedizione papale, con annessa indulgenza plenaria in suffragio dei defunti. In pochi anni padre Marco fu in Italia del Nord, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria e Germania. Numerosissime guarigioni e fatti prodigiosi furono documentati dai notai nelle cronache cittadine e riconosciuti dalle curie vescovili.

A Lione assistettero alla sua predica ben centomila persone. A Monaco di Baviera il superiore dei Cappuccini raccolse centosessanta stampelle, lasciate da storpi guariti nelle chiese; a Neuburg più di trenta, tra ciechi, sordomuti ed epilettici furono guariti; a Roermond (oggi in Olanda), durante l'ultima predica con benedizione, si contarono ben 40.000 persone! Alle sue prediche accorrevano anche i protestanti, che venivano invitati da padre Marco alla preghiera comune, ancor prima che al ritorno nella Chiesa cattolica. Scrisse l'Atto di dolore perfetto, che ebbe una diffusione immediata e fu stampato in latino, francese, tedesco, italiano, fiammingo e spagnolo. 




Ma Dio aveva ancora altri piani per lui. Nel 1682 si recò a Vienna, dove incontrò la famiglia imperiale e celebrò la solenne funzione di ringraziamento a Dio per la cessazione della peste. Come ispirato da Dio, chiamò i viennesi alla conversione, pena un castigo ben peggiore della peste. Fu profeta.

Infatti, l'anno seguente, il sultano ottomano Maometto IV inviò da Costantinopoli una missiva all'imperatore Leopoldo I d'Austria e al re di Polonia Giovanni Sobieski, manifestando i suoi propositi: «Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me tredici re con soldati, cavalleria e fanteria per schiacciare il vostro insignificante Paese. Lo distruggerò con il ferro e con il fuoco. Soprattutto ti comando [o imperatore] di attendermi nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa».


L'invasione ottomana in Europa 



Nel gennaio 1683 da Istanbul l'esercito ottomano, composto da non meno di 150-200.000 soldati ben armati, con a capo il gran visir Kara (il Nero) Mustafa, si mosse verso l'Ungheria. Ad Adrianopoli Kara Mustafa aveva ricevuto il vessillo verde del Profeta, considerato sacro dai popoli della Mezzaluna. L'Europa cristiana è prostrata, dilaniata da fazioni religiose e lotte dinastiche, in preda a una grave crisi economica e a un conseguente calo demografico: è diventata la preda più appetibile per la potenza ottomana.
All'inizio di maggio del 1683, Kara Mustafa radunò il suo esercito a Belgrado e mosse verso Vienna, seguito da migliaia di persone di servizio, un harem personale di 1.500 concubine, tende per i generali, fontane con giochi d'acqua e migliaia di animali: una vista impressionante. L'imperatore Leopoldo fuggì precipitosamente a Linz, dopo aver affidato il comando militare al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, che organizzò la strenua difesa di Vienna. Il 12 luglio i turchi giunsero nei dintorni di Vienna, dando inizio a uno degli assedi più memorabili della storia, durato due mesi. Dalle mura di Vienna si potevano contemplare le venticinquemila tende dell'esercito ottomano che si stendevano a perdita d'occhio tra il Wienfluss e l'Alserbach, e alla sera udire il terribile grido di Allah.

Intanto l'imperatore Leopoldo chiamava a raccolta tutti i principi cattolici e protestanti, appellandosi al supremo interesse della salvezza della cristianità. Padre Marco, chiamato in soccorso dall'imperatore, fu nominato Legato pontificio da Innocenzo XI, preoccupatissimo per il destino dell'Europa. Lasciò così il suo convento di Padova e si recò presso l'esercito della coalizione: tutti i capi erano d'accordo sulla necessità d'attaccare i Turchi, ma ciascuno voleva assumere il comando supremo, così la situazione ristagnava.
Padre Marco, giunto al consiglio di guerra del 6 settembre a Tulln, riuscì a mettere d'accordo i principi sul comando delle truppe – appena settantamila soldati – e li convinse a partire immediatamente alla volta di Vienna, guidati dal re Giovanni Sobieski; su tutte le insegne imperiali fu riportata l'immagine della Madre di Dio. Da allora tutte le bandiere militari austriache continueranno a portare l'effigie della Madonna per i successivi due secoli e mezzo, fino all'avvento di Hitler.
Cominciata la marcia verso Vienna, tutto l'esercito si fermò l'8 settembre, festa della Natività di Maria, nella pianura di Tulln, per una giornata di preghiera, cosa mai accaduta prima nella storia; padre Marco passò per ogni schiera, facendo ripetere a tutti i soldati l'atto di dolore perfetto e dando loro l'assoluzione con la benedizione papale.

La vittoria dell'esercito cristiano 




L'11 settembre conquistarono le alture del Kahlemberg, alla periferia della capitale, che il capo dei turchi per grande errore strategico non aveva occupato. All'alba del 12 settembre padre Marco celebrò la messa, che fu servita dal re Sobieski e da suo figlio Giacomo; i comandanti cattolici furono assolti e comunicati, quelli protestanti, benedetti. Benedisse l'esercito schierato, incitandolo a combattere per la difesa dei fratelli e della fede cristiana, dando loro l'assoluzione generale.

Durante la battaglia padre Marco rimase bene in vista sul colle e con il crocifisso in mano benediva il luogo dove la lotta era più tremenda. La battaglia durò tutto il giorno e terminò con una terribile carica all'arma bianca, guidata da Sobieski in persona, che provocò la rotta degli ottomani e la vittoria dell'esercito cristiano, che miracolosamente contò solo 2.000 morti, contro i 20.000 dell'avversario. L'esercito ottomano fuggì abbandonando il bottino, le armi e le sacre insegne della Mezzaluna, dopo aver massacrato centinaia di prigionieri e schiavi cristiani.

Il 13 settembre l'imperatore Leopoldo entrò a Vienna, festante e libera, alla testa dei principi e delle truppe confederate, e assistette al solenne Te Deum di ringraziamento. Il re di Polonia inviò al Papa le insegne del nemico, accompagnandole con la memorabile scritta: «Veni, vidi, Deus vicit»; le insegne rimasero esposte sulle porte di San Pietro per giorni. L'incredibile vittoria fu attribuita all'intercessione di Maria e il Papa stabilì che il 12 settembre fosse dedicato al Ss. Nome di Maria, in ricordo e ringraziamento perenne per la vittoria.

Dopo aver partecipato alla liberazione di Buda (1686) e di Belgrado (1688; in quell'occasione padre Marco salvò dalla morte ottocento soldati turchi, fatti prigionieri dalle truppe cristiane), nel luglio 1699 il Papa lo inviò a Vienna, per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Vi morì il 13 agosto, stringendo la croce tra le mani. Al suo capezzale si trovavano l'imperatore e la moglie Eleonora.

Per disposizione imperiale la salma rimase esposta fino al giorno 17, venerata da una folla immensa. I funerali furono un'apoteosi e la bara fu tumulata presso le tombe imperiali nella cripta dei Cappuccini. Lo stesso imperatore avviò subito le pratiche per il processo di beatificazione che, per complesse vicende storiche, si concluse solo nel 2003, quando fu elevato agli onori degli altari.

In occasione della beatificazione, la VII Commissione del parlamento europeo presentò una risoluzione per far diventare padre Marco d'Aviano, accanto a san Benedetto, patrono d'Europa. Sarebbe il miglior riconoscimento che l'Europa potrebbe offrire a questo umile frate cappuccino che, per un singolare progetto di Dio, fu predicatore, taumaturgo e diplomatico.
Giovanna Brizi


giovedì 27 dicembre 2012

San Giovanni : Apostolo, Evangelista, Vergine, Amico dello Sposo, Aquila divina, Teologo santo, Dottore della Carità, figlio di Maria,



L'anno liturgico
di dom Prosper Guéranger
27 DICEMBRE
SAN GIOVANNI, APOSTOLO ED EVANGELISTA
L'Apostolo-Vergine.
Dopo Stefano il Protomartire, Giovanni, l'Apostolo e l'Evangelista, è il più vicino alla mangiatoia del Signore. Era giusto che il primo posto fosse riservato a colui che ha amato l'Emmanuele fino a versare il proprio sangue per il suo servizio, poiché, come dice il Salvatore stesso non vi è amore più grande del dare la propria vita per coloro che si amano (Gv 15, 13). D'altronde il Martirio è stato sempre considerato dalla Chiesa come il supremo slancio della carità, ed ha perfino la virtù di giustificare il peccatore in un secondo Battesimo. Ma dopo il sacrificio del sangue, il più nobile, il più coraggioso, quello che conquista soprattutto il cuore dello Sposo delle anime è il sacrificio della verginità. Ora, allo stesso modo che santo Stefano è riconosciuto come il tipo dei Martiri, san Giovanni ci appare come il Principe dei Vergini. Il Martirio è valso a Stefano la corona e la palma; la Verginità ha meritato a Giovanni prerogative sublimi che, mentre dimostrano il pregio della castità, pongono questo discepolo fra i più nobili membri dell'umanità.

Nel fiore della giovinezza, Giovanni seguì il Cristo e non si volse più indietro; la tenerezza particolare del cuore di Gesù fu tutta per lui, e mentre gli altri erano Discepoli e Apostoli, egli fu l'amico del Figlio di Dio. La ragione di questa rara predilezione fu, come afferma la Chiesa, il sacrificio della verginità che Giovanni offrì all'Uomo-Dio. Ora, è giusto mettere in risalto, nel giorno della sua festa, le grazie e le prerogative che sono derivate a lui dal sublime favore di questa amicizia celeste.

Il Discepolo prediletto.
Questa sola espressione del santo Vangelo: Il Discepolo che Gesù amava, dice, nella sua mirabile concisione, più di qualsiasi commento. Pietro, senza dubbio, è stato scelto per essere il Capo degli Apostoli e il fondamento della Chiesa; è stato più onorato; ma Giovanni è stato più amato. Pietro ha ricevuto l'ordine di amare più degli altri; ha potuto rispondere a Cristo, per tre volte, che era proprio così; tuttavia, Giovanni è stato più amato da Cristo dello stesso Pietro, perché era giusto che fosse onorata la Verginità.
La castità dei sensi e del cuore ha la virtù di avvicinare a Dio l'uomo che la possiede, e di attirare Dio verso di lui; è per questo che nel momento solenne dell'ultima Cena, di quella Cena feconda che doveva rinnovarsi sull'altare fino alla fine dei tempi, per rianimare la vita nelle anime e guarire le loro ferite, Giovanni fu posto accanto a Gesù stesso, e non soltanto ebbe questo insigne onore, ma nelle ultime effusioni dell'amore del Redentore, questo figlio della sua tenerezza osò posare il capo sul petto dell'Uomo-Dio. Fu allora che attinse, alla divina sorgente, la luce e l'amore; e tale favore, che era già una ricompensa, divenne il principio di due grazie speciali che presentano in modo particolare san Giovanni all'ammirazione di tutta la Chiesa.
Il Dottore.
Infatti, avendo voluto la divina Sapienza manifestare il mistero del Verbo, e affidare alla Scrittura i segreti che fin allora nessuna penna umana era stata chiamata a narrare, fu scelto Giovanni per questa grande opera. Pietro era morto sulla croce, Paolo aveva piegato il capo alla spada, gli altri Apostoli avevano anch'essi sigillato la propria testimonianza con il sangue. Rimaneva in piedi solo Giovanni in mezzo alla Chiesa; e già l'eresia, profanando l'insegnamento apostolico, cercava di annientare il Verbo divino, e non voleva più riconoscerlo come Figlio di Dio, consustanziale al Padre. Giovanni fu invitato dalle Chiese a parlare e lo fece, con un linguaggio celeste. Il suo divino Maestro aveva riservato a lui, mondo da ogni bruttura, il compito di scrivere con la sua mano mortale i misteri che i suoi fratelli erano stati chiamati solo ad insegnare: il VERBO, Dio ETERNO, e questo stesso VERBO FATTO CARNE per la salvezza dell'uomo. Con questo si elevò come l'Aquila fino al Sole divino; lo contemplò senza restarne abbagliato perché la purezza dell'anima e dei sensi l'aveva reso degno di entrare in rapporto con la Luce increata. Se Mosè, dopo aver conversato con il Signore nella nube, si ritirò dai divini colloqui con la fronte risplendente di raggi meravigliosi, come doveva essere radioso il volto venerabile di Giovanni, che si era posato sul Cuore stesso di Gesù, dove - come dice l'Apostolo - sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3)! Come dovevano essere luminosi i suoi scritti, e come divino il suo insegnamento! Cosicché quell'immagine sublime dell'Aquila descritta da Ezechiele e confermata da san Giovanni stesso nella sua Rivelazione, gli è stata applicata dalla Chiesa, insieme con il bel nome di Teologo che gli dà tutta la tradizione.

L'Apostolo dell'amore.
A quella prima ricompensa, che consiste nella penetrazione dei misteri, il Salvatore aggiunse per il suo Discepolo prediletto un'effusione d'amore inusitata, perché la castità, distogliendo l'uomo dagli affetti bassi ed egoistici, lo eleva ad un amore più puro e più generoso. Giovanni aveva accolto nel cuore i discorsi di Gesù: ne fece partecipe la Chiesa, e soprattutto rivelò il divino Sermone della Cena, in cui effonde l'anima del Redentore, che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (Gv 13,1). Scrisse delle Epistole, e lo fece per dire agli uomini che Dio è amore (Gv 4,8), che chi non ama non conosce Dio (Gv 4,8), che la carità esclude il timore (ivi 18). Fino al termine della sua vita, fino ai giorni della sua estrema vecchiaia, insisté sull'amore che gli uomini si devono scambievolmente, sull'esempio di Dio che li ha amati; e come aveva annunciato più chiaramente degli altri la divinità e lo splendore del Verbo, così più degli altri si mostrò l'Apostolo di quella infinita carità che l'Emmanuele è venuto a portare sulla terra.

Il Figlio di Maria.
Ma il Signore gli riservava un dono veramente degno del discepolo vergine e prediletto. Morendo sulla croce, Gesù lasciava Maria sulla terra; ormai, da parecchi anni, Giuseppe aveva reso l'anima al Signore. Chi avrebbe vegliato dunque su un così sacro deposito? Chi sarebbe stato degno di riceverlo? Avrebbe Gesù mandato i suoi Angeli per custodire e consolare la Madre sua? Quale uomo sulla terra avrebbe potuto meritare tale onore? Dall'alto della croce, il Salvatore scorge il discepolo vergine: tutto è fissato. Giovanni sarà un figlio per Maria, Maria sarà una madre per Giovanni; la castità del discepolo l'ha reso degno di ricevere un legato così glorioso. Così - secondo quanto rileva eloquentemente san Pier Damiani - Pietro riceverà in deposito la Chiesa, Madre degli uomini; ma Giovanni riceverà Maria, Madre di Dio. Egli la custodirà come un suo bene, prenderà accanto a lei il posto del suo divino amico, l'amerà come la propria madre, e sarà come un suo figlio.

La gloria di san Giovanni.
Circondato com'è di tanta luce, riscaldato da tanto amore, stupiremo che san Giovanni sia divenuto l'ornamento della terra, la gloria della Chiesa? Enumerate allora, se potete, i suoi titoli, enumerate le sue qualità.  Apostolo, Vergine, Amico dello Sposo, Aquila divina, Teologo santo, Dottore della Carità, figlio di Maria, è anche l'Evangelista per il racconto che ci ha lasciato della vita del suo Maestro e amico, Scrittore sacro per le sue tre Epistole, ispirato dallo Spirito Santo, Profeta per la sua misteriosa Apocalisse, che racchiude i segreti del tempo e dell'eternità. Che cosa gli è dunque mancato? La palma del martirio? Non lo si potrebbe dire, poiché se non ha consumato il suo sacrificio, ha tuttavia bevuto il calice del Maestro, quando, dopo la crudele flagellazione, fu immerso nell'olio bollente davanti a porta Latina, in Roma, nell'anno 95. Giovanni fu dunque Martire di desiderio e di intenzione, se non di fatto; e se il Signore, che lo voleva conservare nella sua Chiesa come un monumento della stima che ha per la castità e degli onori che riserba a tale virtù, arrestò miracolosamente l'effetto d'uno spaventoso supplizio, il cuore di Giovanni non aveva meno accettato il Martirio in tutta la sua estensione [1].

Questo è il compagno di Stefano accanto alla culla nella quale onoriamo il divino Bambino. Se il Protomartire risplende con la porpora del sangue, il candore virgineo del figlio adottivo di Maria non è forse più abbagliante di quello della neve? I gigli di Giovanni non possono sposare il loro innocente splendore allo splendore vermiglio delle rose della corona di Stefano? Cantiamo dunque gloria al neonato Re, la cui corte brilla di colori sì freschi e ridenti.
Questa celeste compagnia si è formata sotto i nostri occhi. Dapprima abbiamo visto Maria e Giuseppe soli nella stalla accanto alla mangiatoia; subito dopo, l'armata degli Angeli è apparsa con le sue melodiose coorti; quindi son venuti i pastori con i loro cuori umili e semplici; poi, ecco Stefano il Coronato, Giovanni il Discepolo prediletto; e nell'attesa dei Magi, altri verranno presto ad accrescere lo splendore delle pompe, e ad allietare sempre più i nostri cuori. Quale nascita è mai quella del nostro Dio! Per quanto umile appaia, quanto è divina! Quale Re della terra, quale Imperatore ha mai avuto attorno alla sua culla onori simili a quelli del Bambino di Betlemme? Uniamo dunque i nostri omaggi a quelli che egli riceve da tutti questi membri beati della sua corte; e se ieri abbiamo rianimato la nostra fede alla vista delle palme sanguinanti di Stefano, ridestiamo oggi in noi l'amore della castità, all'ardore dei celesti profumi che ci mandano i fiori della corona virginea dell'Amico del Cristo.


MESSA [2]
La santa Chiesa apre i canti del divino Sacrificio con le parole dell'Ecclesiastico che applica a san Giovanni. Il Signore ha posto il Discepolo prediletto sulla cattedra della sua Chiesa, per fargli proclamare i suoi misteri. Nei suoi divini colloqui, lo ha riempito d'una sapienza infinita e lo ha rivestito di una veste risplendente di candore, per onorare la sua verginità. "Nel mezzo della Chiesa, ha aperto la bocca; e il Signore lo ha riempito dello Spirito di sapienza e d'intelletto; lo ha rivestito della veste di gloria".

EPISTOLA (Eccli 15,1-6). - Chi teme Dio, farà il bene, e chi abbraccia la giustizia, possederà la sapienza, che gli andrà incontro qual veneranda madre. Lo nutrirà col pane della vita e dell'intelligenza, lo disseterà coll'acqua della salutare sapienza, starà ferma in lui e non piegherà. Lo terrà stretto e non sarà confuso, lo farà grande tra i suoi compagni. Gli farà aprir bocca in mezzo all'adunanza, lo riempirà dello spirito di sapienza e d'intelligenza, e lo coprirà col manto della gloria; ammasserà su di lui tesori di gioia e di allegrezza e gli farà ereditare un nome eterno il Signore Dio.

Questa suprema Sapienza è il Verbo divino, che è venuto incontro a san Giovanni, chiamandolo all'apostolato. Il Pane di vita di cui essa l'ha nutrito è il Pane immortale dell'ultima Cena; l'Acqua d'una dottrina salutare, è quella che il Salvatore prometteva alla Samaritana, e di cui è stato concesso a Giovanni di dissetarsi a lungo nella sua stessa sorgente, quando posò il capo sul Cuore di Gesù. La forza irremovibile è quella che egli ha fatto risplendere nella custodia vigile e coraggiosa della castità, e nella confessione del Figlio di Dio davanti ai ministri di Domiziano. Il tesoro che la divina Sapienza ha accumulato per lui, è quell'insieme di gloriose prerogative che abbiamo enumerate. Infine, il nome eterno è quello di Giovanni, il Discepolo prediletto.

VANGELO (Gv 21,19-24). - In quel tempo, Gesù disse a Pietro: Seguimi. Pietro, voltatesi, si vide vicino il discepolo prediletto da Gesù, quello che nella cena posò sul petto di lui, e disse: Signore, chi è il tuo traditore? Or vedutolo Pietro disse a Gesù: Signore e di lui che ne sarà? Gesù rispose: Se io voglio che resti finché io non torni, che te ne importa? Tu seguimi. Si sparse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non morrebbe. Gesù però non disse non morrà; ma: Se voglio che egli resti finch'io non torni, che te ne importa? È questo il discepolo che attesta tali cose, e le ha scritte: sappiamo che la sua testimonianza è verace.

Il brano del Vangelo di oggi ha impegnato molto i Padri e i commentatori. Si è creduto di vedervi la conferma del sentimento di coloro che hanno preteso che san Giovanni sia stato esentato dalla morte fisica, e che aspetti ancora nella carne, la venuta del Giudice dei vivi e dei morti. Non bisogna vedervi tuttavia, con la maggior parte dei santi Dottori, se non la differenza delle due vocazioni: quella di san Pietro e quella di san Giovanni. Il primo seguirà il Maestro, morendo come lui sulla croce; il secondo sarà preservato, raggiungerà una felice vecchiaia, e vedrà venire a sé il Maestro che lo toglierà a questo mondo con una morte pacifica.

O diletto discepolo del Bambino che ci è nato, come è grande la tua felicità! quanto è meravigliosa la ricompensa del tuo amore e della tua verginità! In te si compiono le parole del Maestro: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. E tu non soltanto l'hai visto, ma sei stato suo amico, hai riposato sul suo cuore. Giovanni Battista ha timore di tendere le mani per immergere nel Giordano il suo capo divino; Maddalena, rassicurata da lui stesso, non osa sollevare il capo, e si ferma ai suoi piedi; Tommaso aspetta l'ordine per osar di mettere il dito nelle cicatrici delle sue piaghe: e tu, alla presenza di tutto il Collegio Apostolico, prendi accanto a lui il posto d'onore, appoggi il tuo capo mortale sul suo seno. E non soltanto godi della visione e del possesso del Figlio di Dio incarnato; ma, poiché il tuo cuore è puro, voli con la rapidità dell'aquila, e fissi con lo sguardo tranquillo il sole di Giustizia, nel seno stesso della luce inaccessibile in cui egli abita eternamente con il Padre e lo Spirito Santo. Questo è dunque il prezzo della fedeltà che tu gli hai mostrata conservando per lui, puro da ogni macchia, il prezioso tesoro della castità. Ricordati di noi, tu che sei il favorito del grande Re! Oggi, noi confessiamo la divinità del Verbo immortale che tu ci hai fatto conoscere; ma vorremmo anche avvicinarci a lui, in questi giorni in cui si mostra così accessibile, così umile, così pieno d'amore, sotto le vesti dell'infanzia e della povertà. Ma purtroppo i nostri peccati ci trattengono; il nostro cuore non è puro come il tuo; abbiamo bisogno d'un protettore che ci introduca alla mangiatoia del nostro Signore (Is 1,3). Per godere di questa felicità, o prediletto dell'Emmanuele, noi speriamo in te. Tu ci hai svelato la divinità del Verbo nel seno del Padre; portaci alla presenza del Verbo incarnato. Che per mezzo tuo possiamo entrare nella stalla, fermarci accanto alla mangiatoia, vedere con i nostri occhi e toccare con le nostre mani il dolce frutto della vita eterna. Ci sia concesso di contemplare i dolci lineamenti di Colui che è nostro Salvatore e nostro Amico, di sentire i battiti di quel cuore che ti ha amato e che ci ama; di quel cuore che, sotto i tuoi occhi, fu squarciato dal ferro della lancia, sulla croce. Ottienici di restare accanto alla culla, di essere partecipi dei favori del celeste Bambino, di imitare come te la sua semplicità.

E infine, tu che sei il figlio e il custode di Maria, presentaci alla madre tua che è anche la nostra. Ch'ella si degni, per la tua preghiera, di comunicarci qualcosa di quella tenerezza con la quale veglia accanto alla culla del suo divin Figlio; ch'ella veda in noi i fratelli di Gesù che ha portato nel seno, che ci associ all'affetto materno nutrito per te, fortunato depositario dei segreti e degli affetti dell'Uomo-Dio.
Ti raccomandiamo anche la Chiesa di Dio, o santo Apostolo! Tu l'hai piantata, l'hai irrorata, l'hai adornata del celeste profumo delle tue virtù, l'hai illuminata con i divini insegnamenti; prega ora affinché tutte le grazie che tu hai arrecate, fruttifichino fino all'ultimo giorno; affinché la fede brilli di un nuovo splendore, l'amore di Cristo si riaccenda nei cuori, i costumi cristiani si purifichino e rifioriscano, e il Salvatore degli uomini, quando ci dice, con le parole del tuo Vangelo: Non siete più miei servi, ma miei amici, senta uscire dalle nostre bocche e dai nostri cuori una risposta d'amore e di coraggio la quale lo assicuri che lo seguiremo dovunque, come tu stesso l'hai seguito.

* * *

Consideriamo il sonno del Bambino Gesù in questo terzo giorno dalla sua nascita. Ammiriamo il Dio di bontà, disceso dal cielo per invitare tutti gli uomini a cercare fra le sue braccia il riposo delle loro anime, che si sottomette a prendere il proprio riposo nella loro dimora terrena, e che santifica con il sonno divino la necessità che ci impone la natura. Poco fa ci confortava vederlo offrire sul suo petto un luogo di riposo a san Giovanni e a tutte le anime che vorranno imitarlo nella purezza e nell'amore; ora vediamo lui stesso dormire dolcemente nel suo umile giaciglio, o sul seno della Madre sua.
Sant'Alfonso de' Liguori, in uno dei suoi deliziosi cantici, celebra così il sonno del divino Bambino e la tenerezza della Vergine Madre:


Fermarono i cieli 

La loro armonia,

Cantando Maria
La nanna a Gesù


Con voce divina

La Vergine bella,

Più vaga che stella
Diceva così:


Mio Figlio, mio Dio,

Mio caro Tesoro

Tu dormi, ed io moro
Per tanta beltà.


Dormendo, mio Bene,

Tua Madre non miri.

Ma l'aura che spiri
È fuoco per me.


O bei occhi serrati,

Voi pur mi ferite:

Or quando v'aprite,
Per me che sarà?


Le guance di rosa

Mi rubano il core;

O Dio, che si more
Quest'alma per Te!


Mi sforz'a baciarti

Un labbro sì raro:

Perdonami, Caro,
Non posso, più, no.


Si tacque ed al petto

Stringendo il Bambino,

Al Volto Divino
Un bacio donò.


Si desta il Diletto

E tutto amoroso

Con occhio vezzoso
La Madre guardò.


Ah Dio ch'alla Madre

Quegli occhi, quel guardo

Fu strale, fu dardo
Che l'Alma ferì.


E tu non languisci,

O dur'alma mia,

Vedendo Maria
Languir per Gesù.


Se tardi v'amai,
Bellezze Divine;

Or mai senza fine
Per voi arderò.


Il Figlio e la Madre, 
La Madre col Figlio,

La rosa col giglio
Quest'alma vorrà.

Onoriamo dunque il sonno di Gesù Bambino; rendiamo i nostri omaggi al Neonato nello stato di volontario riposo, e pensiamo alle fatiche che l'attendono al risveglio. Crescerà questo Bambino; diventerà un uomo, e camminerà, attraverso tanti travagli, alla ricerca delle anime nostre, povere pecorelle smarrite. Che almeno, in queste prime ore della sua vita mortale, il suo sonno non sia turbato; il pensiero dei nostri peccati non agiti il suo cuore; e Maria goda in pace la gioia di contemplare il riposo di quel Bambino che deve più tardi causarle tante lacrime. Verrà presto il giorno in cui egli dirà: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli dell'aria i loro nidi, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo".
Pietro di Celles dice eloquentemente nel suo quarto Sermone sulla Natività del Signore: "Cristo ha avuto tre posti dove posare il capo. Innanzitutto, il seno del suo eterno Padre; Egli dice: Io sono nel Padre, e il Padre è in me. Quale riposo più delizioso di questa compiacenza del Padre nel Figlio, e del Figlio nel Padre? In un mutuo e ineffabile amore, essi sono beati per l'unione. Ma, pur conservando quel luogo di riposo eterno, il Figlio di Dio ne ha cercato un secondo nel seno della Vergine. L'ha coperto dell'ombra dello Spirito Santo, e ha preso ivi un lungo sonno, mentre si formava in essa il suo corpo umano. La purissima Vergine non ha turbato il sonno del suo figliuolo; ha tenuto tutte le forze dell'anima sua in un silenzio degno del cielo, e rapita in se stessa intendeva dei misteri che non è dato all'uomo ripetere. Il terzo luogo di riposo del Cristo è nell'uomo; è nel cuore purificato dalla fede, dilatato dalla carità, elevato dalla contemplazione, rinnovato dallo Spirito Santo. Tale cuore offrirà al Cristo non già una dimora terrena, ma un'abitazione celeste, e il Bambino che ci è nato non rifiuterà di prendervi il suo riposo".


[1] Morì verosimilmente ad Efeso, sotto il regno di Traiano (98-117).
[2] Il Sacramentario leoniano porta due messe nella festa di san Giovanni. Una veniva celebrata senza dubbio in Laterano, dove esisteva un oratorio dedicato all'Apostolo; l'altra a S. Maria Maggiore, forse a motivo dei mosaici di Sisto III che commemoravano il Concilio di Efeso, tenuto vicino al sepolcro di san Giovanni. Oggi, la Stazione ha luogo in quest'ultima basilica, che è il più insigne santuario eretto alla gloria della Madre di Dio.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 145-154

AVE MARIA!
VIRGO DOLOROSISSIMA!