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mercoledì 23 gennaio 2013

Benedetta Bianchi Porro (Dovadola, 8 agosto 1936 – Sirmione, 23 gennaio 1964) è stata una giovane italianadichiarata venerabile per la Chiesa cattolica, per il comportamento e la fede mantenuti in vita nonostante le sofferenze.



Benedetta Bianchi Porro (festa il 23 gennaio, suo dies natalis)

La fede

fa fare prodigi






Benedetta







Si prega di segnalare eventuali "grazie"
ottenute per intercessione di Benedetta a:
"Fondazione Benedetta Bianchi Porro"
Via Pedriali 18, 47100 Forlì
e-mail: benedetta@benedetta.it
sito Internet: www.benedetta.it
Preghiera a Benedetta
Signore, commossi Ti ringraziamo
per il dono bello e luminoso
di Benedetta Bianchi Porro.
Attraverso di lei Tu hai seminato
Speranza nelle nostre strade
Povere di speranza
E ci hai rieducato
Al canto della vita.

Solo Tu potevi trasformare
Una giovane paralizzata
In una guida capace di insegnare a camminare;
solo Tu potevi rendere una cieca
mirabilmente esperta
della strada che conduce
alla Luce, alla Pace
e alla Gioia grata e incontenibile.

Signore, per intercessione di Benedetta
sorella da Te donata
alla nostra povertà di fede,
concedimi la grazia che Ti chiedo
affinchè nel cielo della Chiesa
brilli la santità di Benedetta
e susciti in noi nostalgia viva di santità.
Amen

+ Angelo Comastri
Arcivescovo Delegato Pontificio di Loreto>
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Benedetta Bianchi Porro
Benedetta Bianchi Porro (Dovadola8 agosto 1936 – Sirmione23 gennaio 1964) è stata una giovane italianadichiarata venerabile per la Chiesa cattolica, per il comportamento e la fede mantenuti in vita nonostante le sofferenze.
Fu inizialmente padre David Maria Turoldo a curare l'edizione degli scritti di Benedetta Bianchi Porro, che in genere non vanno oltre a brevi appunti, ma in epoca successiva persino dei cardinali hanno dedicato introduzioni e commenti. L'attenzione dedicata da alcuni ambienti cattolici, ben documentata da una ricca bibliografia di opere a lei dedicate, supera infatti di gran lunga gli attuali riconoscimenti ufficiali. Della Bianchi Porro si sono occupati, tra gli altri, Divo BarsottiGiacomo BiffiRocco ButtiglioneRaniero CantalamessaAngelo Comastri.

Indice

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Biografia [modifica]

Infanzia e adolescenza [modifica]

Il culto popolare sorto intorno alla figura della venerabile ha descritto i fatti salienti della sua vita con le connotazioni tipiche della storiografia.
Appena nata a Dovàdola, Un paese di una bellezza dura e sinuosa. A 19 chilometri da Forlì,[1] fu colpita da una emorragia. Su richiesta della madre le venne conferito il battesimo "di necessità" con acqua di Lourdes.[2]. Cinque giorni dopo, il 13 agosto, riacquistata una certa stabilità fisica, fu solennemente battezzata e chiamata: Benedetta Bianca Maria.[3] A tre mesi Benedetta si ammalò di poliomielite, problema diagnosticatole dal Prof.Vittorio Putti dell'istituto Rizzoli di Bologna.[4] La malattia le lasciò la gamba destra più corta, costringendola in seguito a portare una pesante scarpa ortopedica. Tra marzo e maggio del ’37 fu colpita da ripetute bronchiti, e da otite purulenta bilaterale.
Nel maggio 1944, nella piccola Chiesa dell'Annunziata a Dovadola fece la prima Comunione. Le venne regalato in quella occasione un rosario, da cui non si sarebbe più separata. Conseguì la Cresimaquindici giorni dopo, amministrata dal vescovo di Modigliana, Monsignor Massimiliano Massimiliani.[5].
"È una bella giornata e anche io sono felice perché ho ricevuto Gesù nel cuore, ho promesso a Gesù che farò la comunione tutte le domeniche di Maggio".[6]
In quello stesso mese iniziò a scrivere il suo "Diario segreto" poiché invitata dalla madre a continuare una tradizione di famiglia. Compilare un diario personale diventò un piacere e un modo semplice e naturale per annotare pensieri e quotidianità. Il Dario cammina con lei,rappresenta un frammento di anima, un confidente inviolabile.[7] Fu un'adolescente dall'incredibile compassione, fragilità e delicatezza.Ciò che maggiormente le impedì di vivere una giovinezza spensierata è da ricercare nei numerosi problemi fisici e nei relativi tentativi di cura: le “scarpe alte”, il busto, l’emicrania, la debolezza, e soprattutto quella gamba che le “regalò” il soprannome di “zoppona”.
" Non dovete prendervela, in fondo dicono la verità: sono zoppa."[8]
Furono questi gli elementi che tendevano ad identificarsi come normalità nella vita di una ragazzina di appena 13 anni e già da tutti considerata un’emarginata.
Terminate le elementari dalle suore, frequentò le scuole medie a Brescia, nell’”istituto Santa Maria degli Angeli” tenuto dalle suore Orsoline. La prima esperienza scolastica risultò essere molto più che positiva, Benedetta si dimostrò infatti una ragazzina promettente, intelligente e attenta. Ma la nostalgia di casa non l’abbandonò mai, fu un'esperienza che visse in costante attesa di rivedere tutta la famiglia. La presenza familiare ebbe infatti un ruolo rilevante nel suo percorso di vita. La madre, casalinga e fervente cattolica; il padre, cattolico “non praticante” ma uomo dalla grandissima generosità, e cinque fratelli: Gabriele (nato nel 1938), Manuela (1941), Corrado (1946), Carmen (1953) e il fratellastro Leonida (1930), rimasero un costante punto di riferimento per la giovane.[9]
Durante l’Anno Santo del 1950 insieme alla zia Carmen si recò a RomaAssisi e Loreto.[10]
Ben presto nacque una profonda amicizia, quella tra lei e Anna Laura Conti. Un’amicizia pura, gioiosa quasi necessaria per la crescita fisica e spirituale di Benedetta: "Tu sei la mia prima amica; e amica per me vuol dire qualcosa di più di quello che altri intendono."[11] Citando un passo di S. Agostino le spiegò che ormai metà del suo “essere” le apparteneva e che la paura di poter rimanere sola e di poterla perdere ombreggiava costantemente nella sua anima.
A contribuire al suo stato di emarginazione fu però la progressiva perdita dell’udito, problema che la costrinse a seguire numerosi incontri di riabilitazione, ma con scarsi risultati.
L’animo religioso intanto si fece sempre più evidente nella giovane venerabile, la voglia di vivere e di aiutare gli altri diventarono delle priorità quasi imprescindibili. Alla domanda “cosa è la vita?” rispose: Un sogno, un sogno bello e triste, un godimento e un dolore insieme, una prova: una prova in cui si è soli davanti all’infinito.[12] Benedetta incentrò la sua vita prevalentemente nella figura illuminante e protettiva di Dio: mèta e Amore Puro.
Innamorata dei libri “realistici”, libri in cui non era solo il corpo fisico ad avere ampio spazio, ma anche l’anima con le sue paure e i suoi pensieri. Libri che narrano la vita di uomini semplici e tormentati nei quali lei stessa ebbe la capacità di immedesimarsi. Le sue preferenze letterarie spaziavano da Tolstoj a Dostoevskij, le piaceva l'anima russa, un'anima ardente, profonda, umana[13];Shakespeare, poiché nelle sue tragedie è ritratto in modo ammirabile ogni aspetto dell'anima dell'uomo[14]Platone, che nel Fedone espone la teoria dell'immortalità dell'anima[15]Marco AurelioUgo FoscoloGiacomo Leopardi, di cui si sentì profondamente sostenitrice; e Orazio.

Gli anni universitari [modifica]

Nonostante la precaria situazione di salute, nell'ottobre del 1953, a soli 17 anni, si iscrisse all'Università di Milano. Inizialmente influenzata dal padre, scelse di intraprendere gli studi di Fisica[16]. Dopo successivi ripensamenti, e con una maggiore consapevolezza nelle sue aspirazioni decise di intraprendere quella di Medicina. La nuova facoltà le era congeniale. Le piaceva e si gettò a capofitto nello studio.[17]
Il trasferimento a Milano vide la giovane frolivese nuovamente costretta ad abbandonare la famiglia e ad intraprendere una strada completamente diversa. L’immagine di una città così grande le procurò un maggior senso di solitudine e di nullità. L’addio a Sirmione fu lacrimevole[18].
La sordità continuò intanto a causarle gravi problemi relazionali e scolastici. Il prof. Ettore Brocca, assistente ordinario di Clinica Otorinolaringoiatrica preoccupato per le condizioni di Benedetta, pensò che la sordità di lei fosse di origine psichica. Le consigliò quindi di iniziare una cura psicoterapeutica.[19].
Durante gli esami alcuni professori si dimostrarono poco disponibili nei suoi confronti. Il 26 aprile 1955 chiese di essere ammessa a sostenere, nella sessione estiva, gli esami di Biochimica, diMicrobiologia e di Anatomia Umana.[20]. Ai primi due fu appena sufficiente a quello di Anatomia venne respinta. La richiesta di Benedetta di poter ricevere le domande per iscritto, a causa dei problemi uditivi, fece infuriare il professore che le consigliò di cambiare professione, ritenendo intollerabile che un sordo potesse esercitare la professione medica. Non mancò di certo al secondo appello con l’esame di Anatomia, superato con un dignitoso 23/30.[21]
Il 12 luglio 1955 venne ricoverata presso la Casa di Cura “Villa Igea” a Forlì, causa: ipotrofia all’arto inferiore destro con conseguente resezione del femore.[22] La riabilitazione della gamba le costò giorni di sacrificio.
Per il quarto anno accademico il 26 ottobre chiese l’iscrizione ai Corsi fondamentali di Anatomia patologicaPatologia speciale medicaPatologia speciale chirurgicaClinica otorinolaringoiatrica.[23]
Nel 1956 iniziarono i problemi alla congiuntiva, dopo aver consultato un oculista di Brescia le venne diagnosticata un’ulcera corneale. Il fratello Gabriele decise di portarla a controllo a Milano all’Ambulatorio della Clinica Oculistica, dove il prof. Leo le diagnosticò una papilla da stasi, sintomo diipertensione endocranica, spesso indice di tumore.[24] Fu attraverso le conoscenze mediche appena acquisite che Benedetta riuscì ad autodiagnosticarsi il suo male: neurofibromatosi diffusa o sindrome di Von Recklinghausen. Il 27 giugno venne fissato un nuovo intervento per asportare un neurinoma del nervo acustico in sede pontocerebellare e per procedere alla decompressione cranica.[25] Per errore del chirurgo le venne reciso il nervo facciale VII sinistro, le si paralizzò l’intero lato facciale.
Il 4 agosto 1959 venne ricoverata presso la clinica neurologica del <Beretta>, le diagnosticarono una aracnoidite spinale. L’intervento non ebbe risultati positivi, anzi, a seguito di questo le si paralizzarono gli arti superiori, lo sfintere vescicale e inoltre la sordità divenne totale. Continuò nonostante tutto a mantenere integre le doti intellettive, la femminilità, l’incredibile voglia di vivere e l’insaziabile sete di Dio.
Ai primi di settembre riprese a studiare, si iscrisse al quinto anno di Medicina per i corsi di Anatomia eIstologia patologicaClinica medicaClinica chirurgicaIgieneClinica delle malattie nervoseClinica dermosifilopaticaClinica oculistica e odontoiatrica[26]
L’intervento chirurgico per neurofibromatoma all’acustico era stato inutile ed aveva causato la sordità totale bilaterale, con l’aggiunta di forti disturbi atassici, aggravati dagli esiti alla gamba destra di una poliomielite e dalla paralisi del facciale destro dovuto all’intervento stesso.[27]Benedetta entrò in crisi e iniziò a pensare di dover cambiare facoltà optando in ultima analisi perBiologia. Tutti gli amici medici le sconsigliarono di prendere questa decisone e alla fine scelse di rimanere a Medicina.

Gli anni della malattia [modifica]

Le condizioni fisiche si aggravarono, il 30 novembre 1960 inviò al rettore la domanda di “rinuncia agli studi”, Benedetta pose fine al suo futuro e a tutto ciò che la legava ad esso, intrappolata in un corpo completamente distrutto dalla malattia. Nel gennaio 1961 riprese a scrivere il diario, sospeso durante gli anni di studio universitari.
Nel 1962 fece il primo pellegrinaggio a Lourdes. Dopo aver fatto domanda all’UNITALSI partì dal 24 al 31 maggio. Il clima di santità che respirò la rese ancora più forte e sicura di prima. Con la metà di ottobre del 1962 terminò definitivamente il Diario. I suoi pensieri, interamente riguardanti la religione e il cammino interiore, vennero appuntati sull’Agenda della <Motta>. Scrivere le comportava un grandissima fatica e una quantità inverosimile di tempo.
Il 15 ottobre 1962 venne ricoverata all’Ospedale Civile di Desenzano. La diagnosi: neurofibromatosi multipla e febbre da foci dentari. Presentava inoltre piaghe da decubito al sacro e alla regione glutea di sinistra, le erano impossibili le funzioni fisiologiche. Le furono estratti 14 denti.[28] Al controllo oculistico risultò che la stasi si era accentuata con edema intenso delle papille. Il 28 novembre venne dimessa.
A causa di un peggioramento della vista il 12 dicembre fu sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico: deviazione del liquor cerebrale nella giugulare. Una deviazione ventricolo cava superiore con valvola di Spitz-Holter, essendosi riscontrato il blocco del liquor cefalorachidiano a livello ventricolare da compressione. A seguito dell’intervento perse completamente la vista. L’unico contatto con il mondo esterno passava attraverso il palmo della sua mano. Lì, con incredibile pazienza e amore, la mamma tentava di parlarle attraverso dei segni, tentativi a cui Benedetta rispondeva con un impercettibile bisbiglio.[29]
Sedotta dal Signore, innamorata della vita, speranzosa nella resurrezione non c’era nulla di cui potesse aver bisogno se non Dio. Era completamente e serenamente abbandonata a Lui. Umile fino all’inverosimile, prendeva ispirazione da S. Francesco e S. Agostino, due “abissi di amore”.[30]Il suo fisico viaggiava verso un lento processo di degradazione, ma la sua anima continuava ad essere pura e serena come un tempo.
Sirmione, lapide a ricordo
Il 20 gennaio 1964 si confessò e ricevette la comunione dal parroco di Sirmione.
Prima di morire il suo pensiero ritornò ad una leggenda a lei cara, la leggenda del mendicante e del re:
“Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando, nella lontananza, apparve il tuo aureo cocchio come un segno meraviglioso; io mi domandai: chi sarà questo Re di tutti i re! Crebbero le mie speranze e pensai che i miei giorni tristi sarebbero finiti; stetti ad attendere che l’elemosina mi fosse data senza che la chiedessi, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere. Il cocchio mi si fermò accanto. Il suo sguardo cadde su di me e scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto al fine il momento supremo della mia vita. Ma tu, ad un tratto, mi stendesti la mano dritta dicendomi: -Cosa hai da darmi?- Ah, qual gesto regale fu quello di stendere la tua palma per chiedere ad un povero? Confuso ed esitante tirai fuori lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e te lo diedi. Ma qual non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai per terra la mia bisaccia e trovai nello scarso mucchietto un granello d’oro! Piansi amaramente di non aver avuto il cuore di darti tutto quello che possedevo”.[31]
Morì il 23 gennaio del 1964
Attualmente è grazie al Diario da lei composto e aggiornato con incredibile cura e sincerità, che la venerabile ci regala la possibilità di conoscere e di comprendere le sue scelte e i suoi travagli interiori. È l’anima di una bambina, di un’adolescente e di una donna che cerca conforto o semplicemente che racconta le sue quotidianità.

Il processo di Beatificazione [modifica]

Nel dicembre del 1993 la Chiesa cattolica emise il decreto di Introduzione alla causa di santità e pertanto, secondo l'uso consolidato, le spetta il titolo di Venerabile, titolo che non comporta la possibilità di unculto pubblico ma che gode di molto rispetto perché viene dato dopo il decreto firmato dal Papa.
Pur essendo solo una studentessa morta ventottenne senza aver compiuto grandi imprese, un vasto culto popolare ha esaltato le virtù eroiche di Benedetta Bianchi Porro nell'accettare le sofferenze toccatele in sorte, ed i paesi in cui è nata, Dovadola, ed in cui è morta, Sirmione, sono già mete di turismo devozionale.

Opere [modifica]

  • Quaderni di Benedetta - Il cammino verso la luce, pubblicato nel 2007 a cura di Divo Barsotti.
  • Scritti Completi, Edizioni San Paolo, 2006

Domine Iesu,
Quaecumque eveniant accipiam a te.