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mercoledì 1 maggio 2019

FEDE E SPIRITUALITA'




LE SETTE VERITA’ FONDAMENTALI DI PINOCCHIO (GIACOMO BIFFI)


Che cosa in realta’ ha espresso il Collodi nel suo più celebre libro, di la’ dalle sue intenzioni consapevoli e dichiarate?


Non ha espresso nessuna delle ideologie correnti, che erano tutte ignote ai suoi destinatari e che d’altronde non erano più pacificamente accettate nella profondità della sua coscienza. 
     E sarà sempre una prevaricazione dare di Pinocchio delle spiegazioni ideologiche di qualunque tendenza e di qualunque colore, come di fatto sono state date: conservatorismo moralistico, liberalismo illuministico, pauperismo, marxismo, psicanalismo ecc.

Non le ideologie ma la verità, di sua natura universale ed eterna, è contenuta in questo magico racconto e, servita com’era da un’alta fantasia e da una fresca ispirazione poetica, spiega la sua rapida affermazione e il suo duraturo trionfo.

Ma, per non lasciare nel vago le nostre affermazioni, quali sono specificamente le verità che senza possibilità di discussione, traspaiono nella storia del burattino?
Sono sette quelle che reggono e illuminano tutta la vicenda:

Pinocchio, creatura legnosa, origina dalle mani di chi è diverso da lui; è costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. C’è qui l’arcano di un’alterità di natura, superata da uno strano, gratuito, imprevedibile amore.

Il burattino, chiamato sorprendentemente a essere figlio, fugge dal padre. E proprio la fuga dal padre è vista come la fonte di tutte le sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai, costituendo infine l’approdo del tormentato viaggio e la ragione della raggiunta felicità.



2) Il mistero del male interioreIn questo libro è acutissimo il senso del male. E il male è in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore. Non è un puro difetto di conoscenza, come nell’illuminismo socratico; non è risolto tutto nella iniquità o nella insipienza delle strutture, come nell’ideologia liberalborghese in polemica con l’Ancien Régime o nell’ideologia marxista in polemica con la società liberalborghese. «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21).

Pinocchio sa che cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore (Vedi, c. 9: a scuola o al teatro dei burattini?; cc. 12 e 18: a casa o al campo dei miracoli col gatto e la volpe; cc. 27: a scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane?; c. 30: dalla Fata o al Paese dei balocchi? ). Soggiace chiaramente alla narrazione di queste sconfitte la persuasione della «natura decaduta», della «libertà ferita», della incapacità dell’uomo a operare secondo giustizia, espresso nelle famose parole: «Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7, 19).


3) l mistero del male esteriore all’uomo La nostra tragedia è aggravata dal fatto che sono all’opera, esteriormente a noi, le potenze del male. Esse non sono viste come forze impersonali, quasi oggettivazioni delle nostre inclinazioni malvagie o dei nostri squilibri, ma come esseri astuti e intelligenti che si accaniscono inspiegabilmente ed efficacemente contro la nostra salvezza.

Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe e raggiungono il vertice della intensità artistica e della lucidità speculativa nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico:
«Tutti la notte dormono, e io non dormo mai» (c. 31).

4) Il mistero della mediazione redentiva  L’ideologia illuministica aveva diffuso nel mondo l’orgogliosa affermazione dell’autoredenzione dell’uomo: l’uomo può e deve salvare se stesso, senza alcun aiuto dall’alto.
Tutta la seconda parte del libro (dal c. 16 in avanti, che si potrebbe considerare quasi il Nuovo Testamento di questa specie di Bibbia) è costruita per smentire questa che è l’illusione dominante della nostra cultura. Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insidiato da intelligenze maligne più astute di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo col padre, di riportarlo a casa, di dargli un essere nuovo.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è posto appunto a indicare l’esistenza di questa salvezza che è donata dall’alto e può guidare al lieto fine la tragedia della creatura ribelle.

5) Il mistero del padre, unica sorgente di libertà  La scelta di un burattino legnoso come protagonista della narrazione è anch’essa una cifra: è il simbolo dell’uomo, che è da ogni parte condizionato, che è schiavo degli oppressori prepotenti e dei persuasori occulti, che è legato a fili invisibili che determinano le sue decisioni e rendono illusoria la sua libertà.
Il burattinaio di turno può anche essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma fino a che la creatura umana resta solitaria marionetta, ogni burattinaio estinto avrà fatalmente un successore.
Pinocchio non può restare prigioniero del teatrino di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici, cangianti e sostanzialmente identiche tirannie che affliggono l’uomo.

6) Il mistero della trasnaturazione
Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. È la realizzazione sul piano dell’essere della vocazione filiale con la quale era cominciata tutta la storia.
Noi possiamo essere noi stessi soltanto se siamo più di noi stessi, per una arcana partecipazione a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.

7) Il mistero del duplice destino  La storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due:

se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. 

La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.
Verità cristiane
Queste sette convinzioni, si è visto, sono affermate e concIamate dal libro, e non so come sia possibile con qualche ragionevolezza dubitarne.
Orbene, è anche fuori dubbio che esse siano sette fondamentali verità della visione cristiana, e cioè:
  1. La nostra origine da un Creatore e la nostra vocazione a diventare suoi figli
  2. Il peccato originale e la decadenza della nostra volontà che da sola non sa resistere al male
  3. Il demonio, creatura intelligente e malvagia, che lavora alla nostra rovina
  4. La mediazione salvifica di Cristo, come unica possibilità di salvezza
  5. Il senso di Dio, fondamento della dignità umana e della nostra libertà di fronte a qualsivoglia oppressione
  6. Il dono della vita di grazia, che ci fa partecipi della natura di Dio
  7. I due diversi destini eterni tra i quali siamo chiamati a decidere.
Il Collodi che sazio delle ideologie si rivolge ai ragazzi d’Italia, con felice intuito di artista riscopre nell’anima dei destinatari l’unica concezione della realtà che accomunava tutti gli abitanti della penisola, prima che l’unificazione politica li dividesse nel profondo ed erigesse tra loro le barriere avverse delle ideologie.

I ragazzi italiani del 1881 potevano certo avere padri e zii clericali o anticlericali, cattolici intransigenti o conciliatoristi, filo-sabaudi o repubblicani, liberali o socialisti; ma nessuna di queste contrapposizioni li toccava minimamente.

I ragazzi italiani del 1881 avevano come sola chiave interpretativa della realtà la concezione che potevano desumere dalle preghiere delle loro mamme e delle loro nonne, dagli affreschi e dalle vetrate delle loro chiese, dalle spiegazioni del vangelo del loro parroco, dal catechismo studiato per la prima comunione, dalle espressioni popolari della sapienza cristiana. I ragazzi italiani del 1881 non conoscevano ideologie, conoscevano la verità.

E il Collodi, entrando in comunione di spirito con loro in virtù della capacità penetrativa della sua arte, riconquista senza volerlo e probabilmente senza saperlo la verità della sua primissima giovinezza, la verità che aveva dato a sua madre la forza di vivere, la verità che ogni cuore umano non prevenuto percepisce d’istinto come la loro luce che salva. Si è in modo singolare avverata per lui la parola profetica del Signore Gesù: «Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3). «Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18, 4).
Conclusione
E’ dunque una lezione di vita che possiamo imparare: le ideologie. possono servire per far politica, per arricchire, per far carriera, per organizzare meglio l’esteriorità della vita terrena, per assicurarsi onori e vantaggi, per avviare rivoluzioni che lasciano la sostanza delle cose come prima, per intraprendere liberazioni che di solito si risolvono in un cambio di schiavitù; ma per la salvezza dell’uomo come uomo non servono. Per la salvezza occorre la verità: la verità sulla vita e sulla morte, sul senso dell’esistenza e sulla sua insignificanza, sulla felicità e sul dolore, sulla possibilità di speranza e sulla disperazione, sulla nostra origine e sul nostro ultimo destino.

La salvezza comincia quando l’uomo si rende conto che la sua vera alienazione sta nel rifugiarsi nell’una o nell’altra ideologia per la paura di misurarsi con la verità, e comincia a capovolgere questo mortificante processo. E’ l’insegnamento più elevato e più utile che si possa trarre dalla vicenda umana di Carlo Lorenzini detto Collodi e dal «caso» letterario de «Le avventure di Pinocchio».
Giacomo Biffi – “Contro maestro Ciliegia. Commento teologico a Le avventure di Pinocchio” Jaca Book, Milano, 1977


AMDG et DVM

domenica 18 novembre 2018

O Sacerdos quis es tu?... Nihil et omnia. O Sacerdos! UN MISTERO D'AMORE

Risultati immagini per giacomo biffi

Omelia per Ordinazione sacerdotale 

E' circostanza provvidenziale e spiritualmente preziosa che questo rito di ordinazione si collochi stavolta nel giorno della Esaltazione della Croce. La connessione ci aiuta crescere nell'intelligenza del disegno e dell'iniziativa di Dio a favore della famiglia umana.

In apertura di questa celebrazione abbiamo ricordato che il Padre ha "voluto salvare gli uomini con la Croce di Cristo"; ma per la stessa volontà di salvezza è stato istituito il sacerdozio ministeriale, il quale perciò può essere adeguatamente compreso nella sua verità solo se lo si legge come prolungamento nella vicenda dei secoli della donazione del Figlio di Dio, che una volta per sempre si è immolato sul Golgota.



Nella medesima orazione di inizio abbiamo detto di aver conosciuto il Crocifisso come un "mistero d'amore"; ma appunto come un "mistero d'amore" va intesa anche l'istituzione del sacerdozio gerarchico, che nasce dalla misericordia del Signore: egli difatti non vuol lasciare i figli di Adamo sbandati e persi "come pecore senza pastore" (cfr. Mt 9,36).



E voi, carissimi che state per offrirvi all'imposizione delle mie mani, siete una concreta, generosa, irrevocabile risposta d'amore all'amore del Padre che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (cfr. Gv 3,16.17).


* * *
Tra qualche istante una forza misteriosa, ma più reale di qualunque energia terrestre, discenderà su ciascuno di voi e lo costituirà segno e strumento della misericordia di Dio: una misericordia di verità, per l'uomo che troppo spesso spende la sua unica vita senza consapevolezza e addirittura nello sviamento dell'errore; una misericordia di vigore soprannaturale e di speranza, per l'uomo debole e sfiduciato di fronte agli impulsi del male; una misericordia di consolazione e di letizia, per l'uomo alle prese con mille motivi di tristezza e di angoscia.

Nell'Eucaristia - sole di ogni vostra giornata, centro e ispirazione di ogni vostra operosità - voi renderete presente ed efficace nell'oggi il sacrificio di redenzione da cui viene a noi ogni bene. E, fosse anche soltanto per questo, sarete i membri più benemeriti e proficui della comunità civile in cui sarete inseriti.



Attraverso il vostro cuore e le vostre labbra arriverà ai fratelli il perdono del Signore Gesù, che lenisce il rimorso, che ridona la pace interiore, che prodigiosamente ripristina l'innocenza. 



E sarete voi a tentare e ritentare instancabilmente di assicurare un po' di spazio, in mezzo al chiasso frastornante e vacuo della mondanità, alla parola di Dio che è spirito e vita; quella parola di Dio che è più tagliente della spada a due tagli (cfr. Eb 4,12); quella parola di Dio che - per chi l'accoglie - è fresca e rianimatrice come l'acqua per la terra riarsa, è guida come il faro nella notte, è vivificante come la linfa negli steli a primavera. 


Quella parola di Dio alla quale dovrete quotidianamente abbeverarvi voi per primi, sempre inquadrandola e assaporandola entro l'intera ricchezza dell'evento ecclesiale, se non volete ridurvi a essere "un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna" (cfr. 1 Cor 13,1).
* * *
Come si vede, prerogative e compiti altissimi vi vengono oggi affidati, perché il sacerdozio è un mistero meraviglioso d'amore. Ma è anche una consegna ardua e difficile.

In ogni persona che incontrerete, anche in coloro che vi sembreranno ostili o, peggio, ostenteranno indifferenza di fronte alla vostra missione, voi dovrete saper ravvisare una icona, magari un po' deteriorata ma sempre autentica, del Signore Gesù; in ogni persona dunque dovrete vedere un fratello da rispettare sempre e da amare. 



Di ogni "lontano" voi dovete saper fare un "vicino", un "prossimo" che merita la vostra attenzione benevola e il vostro aiuto.



Voi dovrete attrarre a voi e alla comunità cristiana quanti più potete, mettendo a profitto anche i doni di simpatia, di cui siete stati gratificati dal vostro Creatore. Ma nessuno dovete legare a voi, perché tutti sono del Signore Gesù e tutti a lui vanno indirizzati e fattivamente avviati. 


E' lui lo sposo di ogni creatura, lo sposo dell'umanità riscattata e rinnovata, lo sposo della santa Chiesa Cattolica. Il sacerdote custodirà perciò tra le sue convinzioni quella di Giovanni il Battezzatore: di essere cioè "l'amico dello sposo" (cfr. Gv 3,29). E si ripeterà spesso dentro di sé: "Egli deve crescere, io invece diminuire" (Gc 3,30).

Non dovete temere, però. Se voi sarete con lui, nella vostra retta intenzione, nella limpidità della vostra coscienza, nella decisione di fare della "carità pastorale" la regola onnicomprensiva del vostro comportamento, il Signore sarà sempre con voi. 


E non vi mancherà il soccorso della preghiera dei santi, vostri protettori, che tra qualche istante invocheremo. Insomma, è una bella avventura quella che stasera comincia per voi.
* * *
Abbiamo detto all'inizio che oggi si celebra la "Croce". Ma attenzione: è la festa della esaltazione della Croce.

Il che vuol dire che la croce non è l'ultima parola né delle promesse di Dio né di ciò che dal suo ministero può attendersi un prete. 


La croce è la premessa e la ragione della fecondità soprannaturale, della gioia, della gloria.

Così è stato per Gesù che (ce lo ha spiegato l'inno della lettera ai Filippesi) il Padre "ha esaltato e gli ha dato il nome che sta sopra ogni altro nome" (Fil 2,9). Così sarà di chi vive con serietà e coerenza la sua speciale partecipazione al sacerdozio del Signore crocifisso e risorto.




Appunto la croce, che pur non vi mancherà nel vostro ministero, sarà la fonte segreta e inesausta della vostra letizia. Colui che vi garantisce la pena, vi garantisce anche una vita intimamente gioiosa qui in terra e una grande felicità nel Regno eterno di Dio.
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Card. G. Biffi
La curiosità. Si racconta di un episodio molto divertente che avvenne durante il conclave del 2005 che ha come protagonisti proprio il cardinale Biffi e il futuro Benedetto XVI, seppur in modo indiretto. A raccontare l'accaduto è il giornalista cattolico Francesco Grana, noto commentatore di fatti religiosi e notoriamente vicino all'allora arcivescovo di Napoli, il cardinale Michele Giordano. È il 19 aprile 2005, secondo e ultimo giorno di votazioni. Dopo il terzo scrutinio del conclave, il secondo di quella mattina, i cardinali elettori tornano in pullman nella Casa Santa Marta dove risiedono in quei giorni. Li attende il pranzo e un breve riposo nelle loro stanze prima di far ritorno nella Cappella Sistina per la votazione che sarà definitiva e alla quale seguirà l'annuncio al mondo dell’avvenuta elezione del nuovo Papa. Ed è proprio durante quel pasto frugale che Biffi, molto innervosito, si sfoga con un confratello: «A ogni votazione ricevo sempre un solo voto. Se scopro chi è che si ostina a votarmi giuro che lo prendo a schiaffi». «Cosa Eminenza?», gli domanda perplesso il confratello. «Sì, ha capito bene, Eminenza», replica Biffi. «Giuro che lo prendo a schiaffi». Al che il porporato lo guarda perplesso e gli spiega: «Eminenza, ormai è chiaro chi stiamo eleggendo come nuovo Papa ed è anche abbastanza evidente che questo candidato abbia scelto di votare per lei. Quindi se vorrà ancora mantenere il suo proposito sarà costretto a prendere a schiaffi il Papa». Biffi rimase senza parole.Ratzinger aveva deciso di votare per lui.
https://difenderelafede.freeforumzone.com/discussione.aspx?idd=11061957
AMDG et DVM

sabato 22 luglio 2017

Card. Giacomo Biffi

Omelia per Ordinazione sacerdotale 

E' circostanza provvidenziale e spiritualmente preziosa che questo rito di ordinazione si collochi stavolta nel giorno della Esaltazione della Croce. La connessione ci aiuta crescere nell'intelligenza del disegno e dell'iniziativa di Dio a favore della famiglia umana.

In apertura di questa celebrazione abbiamo ricordato che il Padre ha "voluto salvare gli uomini con la Croce di Cristo"; ma per la stessa volontà di salvezza è stato istituito il sacerdozio ministeriale, il quale perciò può essere adeguatamente compreso nella sua verità solo se lo si legge come prolungamento nella vicenda dei secoli della donazione del Figlio di Dio, che una volta per sempre si è immolato sul Golgota.


Nella medesima orazione di inizio abbiamo detto di aver conosciuto il Crocifisso come un "mistero d'amore"; ma appunto come un "mistero d'amore" va intesa anche l'istituzione del sacerdozio gerarchico, che nasce dalla misericordia del Signore: egli difatti non vuol lasciare i figli di Adamo sbandati e persi "come pecore senza pastore" (cfr. Mt 9,36).


E voi, carissimi che state per offrirvi all'imposizione delle mie mani, siete una concreta, generosa, irrevocabile risposta d'amore all'amore del Padre che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (cfr. Gv 3,16.17).

* * *
Tra qualche istante una forza misteriosa, ma più reale di qualunque energia terrestre, discenderà su ciascuno di voi e lo costituirà segno e strumento della misericordia di Dio: una misericordia di verità, per l'uomo che troppo spesso spende la sua unica vita senza consapevolezza e addirittura nello sviamento dell'errore; una misericordia di vigore soprannaturale e di speranza, per l'uomo debole e sfiduciato di fronte agli impulsi del male; una misericordia di consolazione e di letizia, per l'uomo alle prese con mille motivi di tristezza e di angoscia.

Nell'Eucaristia - sole di ogni vostra giornata, centro e ispirazione di ogni vostra operosità - voi renderete presente ed efficace nell'oggi il sacrificio di redenzione da cui viene a noi ogni bene. E, fosse anche soltanto per questo, sarete i membri più benemeriti e proficui della comunità civile in cui sarete inseriti.


Attraverso il vostro cuore e le vostre labbra arriverà ai fratelli il perdono del Signore Gesù, che lenisce il rimorso, che ridona la pace interiore, che prodigiosamente ripristina l'innocenza. 


E sarete voi a tentare e ritentare instancabilmente di assicurare un po' di spazio, in mezzo al chiasso frastornante e vacuo della mondanità, alla parola di Dio che è spirito e vita; quella parola di Dio che è più tagliente della spada a due tagli (cfr. Eb 4,12); quella parola di Dio che - per chi l'accoglie - è fresca e rianimatrice come l'acqua per la terra riarsa, è guida come il faro nella notte, è vivificante come la linfa negli steli a primavera. 

Quella parola di Dio alla quale dovrete quotidianamente abbeverarvi voi per primi, sempre inquadrandola e assaporandola entro l'intera ricchezza dell'evento ecclesiale, se non volete ridurvi a essere "un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna" (cfr. 1 Cor 13,1).
* * *
Come si vede, prerogative e compiti altissimi vi vengono oggi affidati, perché il sacerdozio è un mistero meraviglioso d'amore. Ma è anche una consegna ardua e difficile.

In ogni persona che incontrerete, anche in coloro che vi sembreranno ostili o, peggio, ostenteranno indifferenza di fronte alla vostra missione, voi dovrete saper ravvisare una icona, magari un po' deteriorata ma sempre autentica, del Signore Gesù; in ogni persona dunque dovrete vedere un fratello da rispettare sempre e da amare. 


Di ogni "lontano" voi dovete saper fare un "vicino", un "prossimo" che merita la vostra attenzione benevola e il vostro aiuto.


Voi dovrete attrarre a voi e alla comunità cristiana quanti più potete, mettendo a profitto anche i doni di simpatia, di cui siete stati gratificati dal vostro Creatore. Ma nessuno dovete legare a voi, perché tutti sono del Signore Gesù e tutti a lui vanno indirizzati e fattivamente avviati. 

E' lui lo sposo di ogni creatura, lo sposo dell'umanità riscattata e rinnovata, lo sposo della santa Chiesa Cattolica. Il sacerdote custodirà perciò tra le sue convinzioni quella di Giovanni il Battezzatore: di essere cioè "l'amico dello sposo" (cfr. Gv 3,29). E si ripeterà spesso dentro di sé: "Egli deve crescere, io invece diminuire" (Gc 3,30).

Non dovete temere, però. Se voi sarete con lui, nella vostra retta intenzione, nella limpidità della vostra coscienza, nella decisione di fare della "carità pastorale" la regola onnicomprensiva del vostro comportamento, il Signore sarà sempre con voi. 

E non vi mancherà il soccorso della preghiera dei santi, vostri protettori, che tra qualche istante invocheremo. Insomma, è una bella avventura quella che stasera comincia per voi.
* * *
Abbiamo detto all'inizio che oggi si celebra la "Croce". Ma attenzione: è la festa della esaltazione della Croce.

Il che vuol dire che la croce non è l'ultima parola né delle promesse di Dio né di ciò che dal suo ministero può attendersi un prete. 

La croce è la premessa e la ragione della fecondità soprannaturale, della gioia, della gloria.

Così è stato per Gesù che (ce lo ha spiegato l'inno della lettera ai Filippesi) il Padre "ha esaltato e gli ha dato il nome che sta sopra ogni altro nome" (Fil 2,9). Così sarà di chi vive con serietà e coerenza la sua speciale partecipazione al sacerdozio del Signore crocifisso e risorto.


Appunto la croce, che pur non vi mancherà nel vostro ministero, sarà la fonte segreta e inesausta della vostra letizia. Colui che vi garantisce la pena, vi garantisce anche una vita intimamente gioiosa qui in terra e una grande felicità nel Regno eterno di Dio.


AMDG et BVM

sabato 11 luglio 2015

“La Bella, la Bestia e il Cavaliere. ...

sabato 11 luglio 2015


Ricordiamo il card. Giacomo Biffi con uno dei suoi scritti

È morto nella notte a Bologna il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna dal 1984 al 2003. Ne dà notizia la diocesi bolognese. Aveva 87 anni e da tempo era ricoverato in una clinica bolognese dove, attorno alle tre, è morto. Requiem aeternam...
Vidi salire dal mare una bestia” (Ap 13,1)

L’ottimismo è di rigore.

Una delle mode culturali più curiose invalse nella cristianità in questi decenni interdice a chi si accinge a stilare un documento o proporre una riflessione sulla odierna condizione umana e sui tempi presenti di iniziare dai rilievi “negativi”: è d’obbligo partire da una rassegna dei dati improntata a un robusto ottimismo; bisogna sempre collocare in capo a tutto un esame della realtà che non tralasci di mettere in giusta luce i valori, la sostanziale santità, la “positività prevalente”.

Qualche volta mi sorprendo a immaginare, per mio personale divertimento, come sarebbe stata la lettera ai Romani se, invece che da quell’uomo difficile e sdegnoso che era l’apostolo Paolo, fosse stata stesa da qualche commissione ecclesiale o da qualche gruppo di lavoro dei nostri giorni.

L’epistola avrebbe cominciato a notare nel primo capitolo col dovuto risalto tutte le ricchezze spirituali e culturali espresse dal mondo pagano: le altezze sublimi raggiunte dalla filosofia greca; la sete del trascendente e il naturale senso religioso rivelati dalla molteplicità dei culti mediterranei; gli esempi di onestà morale, di correttezza civica, di abnegazione disinteressata, offerte dalle vicende edificanti della storia romana che una volta si insegnavano al ginnasio. Senza dubbio se la litanìa immisericorde dei vizi e delle aberrazioni mondane contenuta nell’attuale pagina ispirata, fosse suggerita oggi come contributo al testo da qualche incauto collaboratore, susciterebbe una concorde indignazione. E in realtà il giudizio di Paolo suona alle nostre orecchie insopportabilmente sgradevole: per lui gli uomini senza Cristo sono “colmi di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,29-31).
Messi in bella evidenza i pregi del paganesimo, la nuova lettera ai Romani passerebbe poi a esaltare le prerogative dell’ebraismo e la funzione già incoattivamente salvifica della Legge mosaica, della circoncisione, delle prescrizioni rituali.

Infine, arrivata al capitolo quinto, chiarirebbe che l’opera di Adamo non è stata poi così nefasta come una volta si diceva, dal momento che la creazione resta in se stessa buona; anzi in quanto è uscita dalle mani di Dio non può non essere già santa e sacra, senza che siano necessarie altre sopravvenienti consacrazioni.

Certo, a questo punto il discorso su Gesù Cristo, la sua redenzione, il suo intervento indispensabile per il riscatto dell’umanità dall’ingiustizia, dal peccato, dalla morte, dalla catastrofe, diventerebbe meno incisivo e convincente di quanto non sia nella prosa scabra e drammatica di Paolo; ma non si può avere tutto.

Non è che i ragionamenti qui giocosamente ipotizzati siano del tutto erronei in se stessi. Al contrario, contengono molta verità e vanno doverosamente compiuti, ma non come primo approccio alla realtà delle cose. Da essi non si può partire; ad essi si può solo approdare al termine di un lungo pellegrinaggio ideale: soltanto dopo che la visione della spaventosa miseria dell’uomo ci avrà aperto la mente e il cuore a desiderare e a capire la sospirata salvezza di Cristo, ci sarà consentito di apprezzare tutto quanto di bello, di giusto, di vero, riluce già nella notte del mondo, come riverbero del Redentore, che è la verità, la giustizia, la bellezza rese persona e divenute percepibili in un volto d’uomo.

Ogni autore cristiano ha sempre avviato il suo canto da un’ode tragica sull’umano destino per arrivare all’inno di vittoria e di gratitudine al Figlio di Dio crocifisso e risorto, unica nostra speranza, che solo ci ha ottenuto la salvezza.

L’uomo, che voglia celebrare veramente la propria grandezza, non può che principiare da un “epicèdio”, cioè da una lamentazione sullo stato di morte che enigmaticamente dall’inizio ha colpito l’universo e lo serra ancora in una morsa ineludibile.

Il fondamento dell’ottimismo cristiano non può essere la volontà di tener chiusi gli occhi. Bisogna per prima cosa guardare in faccia alla “Bestia” e renderci conto di quanto siano aguzzi i suoi denti e terrificanti i suoi artigli, se si vuole onorare e amare il “Cavaliere”, e si desidera capire davvero quale dono sia la nostra liberazione e la felicità che ci è stata assegnata in sorte.

(Giacomo Biffi “La Bella, la Bestia e il Cavaliere. Saggio di teologia inattuale.” JACA BOOK 1984)

martedì 10 settembre 2013

Il cardinale Biffi e Vladimir Sergeevic Soloviev


Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi


Il Cristianesimo non va ridotto ad una serie di valori condivisi da tutti: è l’ammonimento del cardinale Biffi, nella meditazione dedicata al filosofo russo, Vladimir Solovev

Ieri pomeriggio [febbraio 2007], il cardinale Giacomo Biffi ha offerto al Papa e alla Curia una testimonianza sul tema “L’ammonimento profetico di Vladimir S. Solovev”. Per il porporato, l’insegnamento lasciatoci dal grande filosofo russo è che il Cristianesimo non può essere ridotto ad un insieme di valori. Al centro dell’essere cristiani c’è infatti l’incontro personale con Gesù Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Verranno giorni in cui nella cristianità si tenterà di risolvere il fatto salvifico in una mera serie di valori. E’ un passaggio chiave dell’ultima opera di Vladimir Solovev, I tre dialoghi e il racconto dell'anticristo, al centro delle riflessioni del cardinale Giacomo Biffi. 

Il filosofo russo, morto nell’anno 1900, con grande acume aveva profetizzato le tragedie del XX secolo. Nei Dialoghi, ha ricordato il porporato, l’anticristo si presenta come pacifista, ecologista ed ecumenista. Convocherà un Concilio ecumenico e cercherà il consenso di tutte le confessioni cristiane concedendo qualcosa ad ognuno. Le masse lo seguiranno, tranne dei piccoli gruppetti di cattolici, ortodossi e protestanti. Incalzati dall’anticristo, risponderanno: “Tu ci dai tutto, tranne ciò che ci interessa, Gesù Cristo”. Questo racconto, ha detto il cardinale Biffi, ci è di ammonimento. Oggi, infatti, corriamo il rischio di avere un Cristianesimo che mette tra parentesi Gesù con la sua Croce e Risurrezione. 

Certo, ha aggiunto il porporato, se ci limitassero a parlare di valori condivisibili saremmo ben più accettabili nelle trasmissioni televisive come nei salotti. Ma così avremmo rinunciato a Gesù, alla realtà sconvolgente della Risurrezione. Questo, è stato il suo richiamo, è un pericolo che i cristiani corrono nei nostri tempi. Il Figlio di Dio, ha proseguito, non è traducibile in una serie di buoni progetti omologabili con la mentalità mondana dominante. Tuttavia, ha precisato, ciò non significa una condanna dei valori, che tuttavia vanno sottoposti ad un attento discernimento. 
Ci sono, infatti, valori assoluti come il bene, il vero, il bello. Chi li percepisce e li ama, ama anche Cristo, anche se non lo sa, perché Lui è la verità, la bellezza, la giustizia. 
Ci sono poi valori relativi come la solidarietà, l’amore per la pace e il rispetto per la natura. Se questi si assolutizzano, sradicandosi o perfino contrapponendosi all’annuncio del fatto salvifico, allora questi valori diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della Salvezza. 
Dunque, ha concluso, se il cristiano per aprirsi al mondo e dialogare con tutti, stempera il fatto salvifico, preclude la sua connessione personale con Gesù e si ritrova dalla parte dell’anticristo.

Radio Vaticana


Quanto e' vera e attuale la riflessione del Cardinale Biffi!!!
Come sarebbe facile per la Chiesa rinunciare a gridare la Verità, come sarebbe agevole conformarsi alla mentalita' di questo secolo, come sarebbe amato e osannato il Papa se rinunciasse a ribadire i principi non negoziabili!
Ma se la Chiesa rinunciasse al suo, attuale, "anticonformismo", seguirebbe davvero gli insegnamenti di Cristo? La risposta, a mio avviso, e' un sonoro NO!
Certo! Ci sono ecclesiastici, anche di alto rango, che dichiarano ai giornali cio' che essi vogliono sentirsi dire, ma e' troppo facile fare i dialoganti quando non si ha la responsabilita' di guidare il gregge di Gesu'.
Leggendo il Cardinale Biffi non posso fare a meno di richiamare alla mia mente il Vangelo delle Beatitudini:


Dal Vangelo di Luca (6,20-26)

Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
"Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti."


Quanto è attuale il Vangelo!

Ecco un'interpretazione in chiave politica:

I fulmini di Biffi: 
«L'Anticristo è pacifista» 

di MARTINO CERVO

L'Anticristo? Più o meno un noglobal. Nelle parole pronunciate dal cardinale in occasione delle meditazioni quaresimali predicate alla curia di Roma (Papa compreso) su invito dello stesso Ratzinger c'è tutto Giacomo Biffi: straordinaria preparazione filosofica, rigore teologico sopraffino, e una buona dose di quell'ironia che don Luigi Giussani aveva definito «affascinante come il sorriso di Dio». Un sorriso certamente a qualcuno deve essere scappato sentendo Biffi, anche se non si può stiracchiarne il pensiero riducendolo a un predicozzo politico. Perché l'ex arcivescovo di Bologna cita uno dei più grandi filosofi di tutta la storia russa, Vladimir Sergeevic Solov'ev (1853-1900, Libero gli ha di recente dedicato un articolo), vecchia frequentazione del cardinale. Il pensatore, nella sua sterminata produzione, annovera "I tre racconti dell'Anticristo" (in Italia l'ha pubblicato Marietti), dove elenca le caratteristiche del capo dei demoni. Caratteristiche che Biffi ha ripreso citando direttamente Solov'ev: «L'Anticristo sarà pacifista, ecologista ed ecumenista (anche «vegetariano», secondo il russo, ndr). Convocherà un concilio ecumenico e cercherà il consenso di tutte le confessioni cristiane concedendo qualcosa ad ognuno». Neanche fosse un premier in crisi. E ancora: «Le masse lo seguiranno, tranne dei piccoli gruppetti di cattolici, ortodossi e protestanti. Incalzati dall'Anticristo, risponderanno: "Tu ci hai dato tutto, tranne ciò che ci interessa: Gesù Cristo"». È qui il centro della lezione quaresimale di Biffi, in straordinaria sintonia con i richiami del Santo Padre: il rischio che il cristianesimo sia ridotto a un'ideologia di buone intenzioni, staccato dalla radicale pretesa che invece lo origina: la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Per questo il cardinale ha citato Solov'ev: «Oggi corriamo il rischio», ha detto ai sacerdoti romani, «di avere un cristianesimo che mette tra parentesi la Croce e la resurrezione». Poi la frecciata micidiale: «Certo, se ci limitassimo a parlare di valori condivisibili saremmo ben più accettabili nelle trasmissioni tv e nei salotti...». Ma il prezzo sarebbe «rinunciare a Gesù». Di qui la considerazione secondo cui i valori della solidarietà, della pace e dell'ecologia, «se vengono sradicati o contrapposti all'annuncio del fatto salvifico, diventano istigazioni all'idolatria e ostacoli sulla strada della Salvezza»: «Il Figlio di Dio», ha proseguito, «non è traducibile in una serie di buoni progetti omologabili con la mentalità mondana dominante». E la filosofia di Biffi si affila ulteriormente per calare l'ultima bordata: «Se il cristiano, per aprirsi al mondo e dialogare con tutti, stempera il fatto salvifico, preclude la sua connessione personale con Gesù e si ritrova dalla parte dell'Anticristo». Con la bandiera della pace, a berciare contro le multinazionali. Così ha parlato l'uomo che dà lezioni al Papa: e il successore di Ruini dovrà tenerne conto.(Libero, 1° marzo 2007)

Memento nostri, Domina,
et ora pro nobis