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sabato 20 febbraio 2016

COME I SANTI PARLANO DELL'ESSENZIALE



La carità fraterna deve conformarsi all'esempio di Cristo

"Non c'è niente che ci spinga ad amare i nemici, cosa in cui consiste la perfezione dell'amore fraterno, quanto la dolce considerazione di quella ammirabile pazienza per cui egli, « il più bello tra i figli dell'uomo » (Sal 44, 3) offrì il suo bel viso agli sputi dei malvagi. Lasciò velare dai malfattori quegli occhi, al cui cenno ogni cosa ubbidisce. Espose i suoi fianchi ai flagelli. Sottopose il capo, che fa tremare i Principati e le Potestà, alle punte acuminate delle spine. Abbandonò se stesso all'obbrobrio e agli insulti. Infine sopportò pazientemente la croce, i chiodi, la lancia, il fiele e l'aceto, lui in tutto dolce, mite e clemente.

Alla fine fu condotto via come una pecora al macello, e come un agnello se ne stette silenzioso davanti al tosatore e non aprì bocca (cfr. Is 53, 7).

Chi al sentire quella voce meravigliosa piena di dolcezza, piena di carità, piena di inalterabile pacatezza: « Padre, perdonali » non abbraccerebbe subito i suoi nemici con tutto l'affetto? « Padre », dice, « perdonali » (Lc 23, 34). Che cosa si poteva aggiungere di dolcezza, di carità ad una siffatta preghiera? Tuttavia egli aggiunse qualcosa. Gli sembrò poco pregare, volle anche scusare. « Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno ». E invero sono grandi peccatori, ma poveri conoscitori. Perciò: « Padre, perdonali ». Lo crocifiggono, ma non sanno chi crocifiggono, perché se l'avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (cfr. 1 Cor 2, 8); perciò « Padre, perdonali ». Lo ritengono un trasgressore della legge, un presuntuoso che si fa Dio, lo stimano un seduttore del popolo.

Ma io ho nascosto da loro il mio volto, non riconobbero la mia maestà ». Perciò: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23, 34).

Se l'uomo vuole amare se stesso di amore autentico non si lasci corrompere da nessun piacere della carne. Per non soccombere alla concupiscenza della carne, rivolga ogni suo affetto alla dolcezza del pane eucaristico. Inoltre per riposare più perfettamente e soavemente nella gioia della carità fraterna, abbracci di vero amore anche i nemici.

Perché questo fuoco divino non intiepidisca di fronte alle ingiustizie, guardi sempre con gli occhi della mente la pazienza e la pacatezza del suo amato Signore e Salvatore."

Dallo « Specchio della carità » di sant'Aelredo, abate (Lib. 3, 5; PL 195, 582)



Orazione 
Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore.
A cura dell'Istituto di Spiritualità:
Pontificia Università S. Tommaso d'Aquino

AVE MARIA!

venerdì 13 febbraio 2015

La verità non è data da un uomo o da un gruppo di uomini, ma è rivelata da Dio nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, definita dalla Chiesa nel corso della storia.

Una utile bussola nelle tenebre odierne



Un giorno un mio amico, piuttosto rozzo ma cattolico sincero, sentenziò, in riferimento a un prete che era stato sorpreso a rubare e all’attuale crisi della Chiesa: “meglio ladro che eretico”.

Aveva ragione: il ladro ruba al corpo e al portafoglio, l’eretico ruba l’anima e la salvezza eterna.
Meglio ladro che eretico. Perché dico questo? Per difendere i ladri? No, ovviamente, ma per ristabilire la gerarchia del male.

Un noto teologo odierno (uno dei rari casi di teologi buoni) a sua volta diceva (sempre in riferimento a preti peccatori): “meglio erotico che eretico”. E a ragione. Non perché si voglia giustificare i preti che cadono nel peccato grave al VI comandamento, ma per la stessa ragione suddetta. Per ristabilire l’ordine gerarchico del male.
Non so se per un prete sia peggio essere ladro o cadere nel peccato di impurità (a meno che non sia di omosessualismo: in questo caso non vi possono essere dubbi): ma so per certo, per certissimo, che il peccato più grave in assoluto che si possa commettere, specie per uomo di Dio, è l’eresia, che uccide l’anima e la Verità e prepara l’inferno. È anche vero che spesso le due cose sono legate, perché è indubbio che il disordine nel corpo si traduce inevitabilmente in un disordine anche mentale. È la temperanza che salvaguardia la dottrina.
Occorre ricordare e sottolineare senza stancarsi che in questi giorni si sta combattendo una guerra decisiva, anche all’interno della Chiesa, fra la Verità e l’eresia. E ognuno deve pensare bene da che parte schierarsi.

La verità non è data da un uomo o da un gruppo di uomini, ma è rivelata da Dio nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, definita dalla Chiesa nel corso della storia. Le verità certe, oltre a quelle rivelate nei testi biblici, sono quelle dichiarate dogmatiche dalla Chiesa e quelle insegnate da tutti i Papi, i santi, i Padri, i Dottori e i fedeli teologi in tutti i tempi. Il loro insieme si chiama appunto Magistero Universale della Chiesa (MUC). Al MUC tuttavia si antepone la Tradizione stessa della Chiesa, ossia l’insieme delle credenze e degli insegnamenti non ufficialmente definiti ma universalmente creduti, accettati e insegnati da sempre.

Chiunque tenti di modificare o “aggiornare” la Sacra Scrittura, i dogmi, il MUC e  la Tradizione, si mette in cammino verso l’eresia.

Ogni ecclesiastico, compresi i cardinali, compreso il Papa stesso, non sono la verità né la istituiscono. E neanche la gestiscono. Essi ne sono solo i servi, i custodi di essa, e non possono né modificarla secondo i gusti e le esigenze, né ignorarla o tradirla. La Verità, infatti, è rivelata ed è un’altra Persona: è la Persona stessa del Logos incarnato, che ha detto di Sé: “Io sono la Via, la Verità, la Vita”.

Pietro è il suo servo e ha come dovere specifico quello di conservare il Depositum Fidei e pascere le pecore del Buon Pastore. Pascere, come? Semplice: nella Verità immutabile, che è il campo del Buon Pastore.

Così come anche gli apostoli sono i suoi servi, che devono obbedire a Pietro, e noi tutti dobbiamo seguire Pietro e gli apostoli in tutto e per tutto. Fino a quando e nella misura in cui essi servono la Verità: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (Atti 5,29).

Certamente siamo consapevoli che con queste affermazioni si scherza col fuoco, nel senso che spesso sono state utilizzate proprio dagli eretici e dai nemici della Verità per seminare l’errore nella Chiesa e allontanarsi dall’obbedienza a Pietro. È una lama sottile, indubbiamente: da un lato la necessità dell’obbedienza alle gerarchie ecclesiastiche, dall’altro la ancor più fondamentale necessità della fedeltà a Chi tali gerarchie ha voluto e istituito.

Oggi tale lama ha raggiunto una sottigliezza spaventosa, ed è facilissimo “tagliarsi” e farsi male. Un principio sano di comportamento esiste, tuttavia: ciò che è scritto nella Bibbia, ciò che è stato definito dogmaticamente, ciò che è parte integrante del MUC e ciò che da sempre è stato insegnato dalla Tradizione, non può essere non seguito e non può essere né adattato né modificato da chicchessia. Quando ci si trovi dinanzi a ecclesiastici che contraddicono anche una sola virgola di tutto questo, allora non vi può essere dubbio: l’obbedienza la si deve alla Verità e alla Chiesa di sempre, non a questi ecclesiastici. Chiunque essi siano.

Per fare due esempi concreti. Oggi la gerarchia ecclesiastica favorisce il trapiantismo. È un tema delicatissimo, che naviga fra la necessaria carità verso il prossimo sofferente e il pericolo di devastanti derive scientiste e materialiste, pericolo forse poco riflettuto e avvistato dalla gerarchia odierna. Eppure, su tale campo è lecito discutere, perché effettivamente non esiste un MUC e una tradizione sul tema, per l’ovvia ragione che solo da qualche decennio si pone il problema e quindi la dottrina a riguardo è in via di definizione. Su un argomento come questo, è lecito sia divergere che acconsentire agli insegnamento del clero attuale.

Altro esempio: il valore sacramentale del matrimonio, che impone l’indissolubilità pena il peccato mortale per chi ne viene meno – eccetto i casi di nullità definita dalla Sacra Rota – e quindi l’esclusione dai sacramenti.
Su questo tema non v’è nulla da togliere né da aggiungere. È sentenziato nel Vangelo, è insegnato chiaramente sempre dal MUC e dalla Tradizione.

Pertanto, chiunque lo mette in dubbio o tenta di modificarne i confini per adattarsi alle esigenze odierne, si pone in marcia verso l’eresia e non può essere più seguito pena la complicità nel peccato orrendo dell’eresia, appunto.
Ecco perché questi sono i giorni della scelta, per ognuno di noi, per ogni fedele. Una scelta drammatica ma inevitabile e di vitale importanza. Per la Chiesa stessa e per la salvezza delle anime.

Preghiamo e lottiamo insieme perché Pietro, gli apostoli e tutti i battezzati vivano e predichino sempre la Verità. Fedeli alla Tradizione e al Magistero Universale della Chiesa.

Questi sono i giorni della scelta. Chi scrive è con la Tradizione di venti secoli di Storia, Dottrina e prassi della Chiesa Cattolica, è con quanto insegnato da sempre da tutti i Papi, tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Santi, tutti i teologi fedeli alla Tradizione. E invita tutti a seguire la via della Verità incarnata, immutabile perché perfetta, e fonte unica della salvezza eterna.

Così si va contro corrente? Ebbene, questa è un’altra delle croci dei cattolici odierni, forse la meno celebrata eppure la più dolorosa: quello di andare contro gli uomini di Chiesa per amore della Chiesa. È, come dire, per usare proprio il loro linguaggio, “un segno dei tempi”: i laici che devono ricordare agli ecclesiastici quella Verità a cui essi in gioventù hanno offerto la loro esistenza. E lo devono fare contro tutti e contro tutto, soggetti allo scherno come alle minacce, alle denunce come alle calunnie, al costo di sentirsi guardare come dei soggetti pericolosi o strambi, a costo della propria serenità personale, delle amicizie e anche dei posti di lavoro.

Ma questa è la nostra croce oggi: e dobbiamo portarla con coraggio e onore. Un amico morto da qualche giorno ce lo ha insegnato a tutti come si fa. Egli ora è nella pace eterna ed è ricordato come maestro. Tutti coloro che lo hanno deriso, inviso e calunniato, e continuano a farlo in maniera più educata e sottile anche dopo la sua morte, un giorno dovranno rispondere di aver scelto di seguire la corrente dei vincitori odierni.

Scegliamo la Croce come unica via che porta a Cristo. E vivere nella Verità, in nome della Carità reale, è sicuramente oggi il prezzo della Croce per la conquista del Paradiso.

Nella Sua destra la legge infuocata,
Attorno a Lei la milizia dei Santi.
Gli ordini di Dio nei suoi occhi
E i princìpi di giustizia nel suo cuore.

MassimoViglione

lunedì 4 novembre 2013

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI









MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALL’ARCIVESCOVO DI MILANO IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN CARLO BORROMEO, 04.11.2010



Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di Milano, Em.mo Card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della celebrazione del IV Centenario della Canonizzazione di San Carlo Borromeo:


MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Al venerato Fratello
Cardinale DIONIGI TETTAMANZI
Arcivescovo di Milano

Lumen caritatis. La luce della carità di san Carlo Borromeo ha illuminato tutta la Chiesa e, rinnovando i prodigi dell’amore di Cristo, nostro Sommo ed Eterno Pastore, ha portato nuova vita e nuova giovinezza al gregge di Dio, che attraversava tempi dolorosi e difficili. Per questo mi unisco con tutto il cuore alla gioia dell’Arcidiocesi ambrosiana nel commemorare il quarto centenario della canonizzazione di questo grande Pastore, avvenuta il 1° novembre 1610.

1. L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento. La sua carriera era avviata in modo promettente secondo i canoni di allora: per il figlio cadetto della nobile famiglia Borromeo si prospettava un futuro di agi e di successi, una vita ecclesiastica ricca di onori, ma priva di incombenze ministeriali; a ciò si aggiungeva anche la possibilità di assumere la guida della famiglia dopo la morte improvvisa del fratello Federico.

Eppure, Carlo Borromeo, illuminato dalla Grazia, fu attento alla chiamata con cui il Signore lo attirava a sé e lo voleva consacrare al servizio del suo popolo. Così fu capace di operare un distacco netto ed eroico dagli stili di vita che erano caratteristici della sua dignità mondana, e di dedicare tutto se stesso al servizio di Dio e della Chiesa. In tempi oscurati da numerose prove per la Comunità cristiana, con divisioni e confusioni dottrinali, con l’annebbiamento della purezza della fede e dei costumi e con il cattivo esempio di vari sacri ministri, Carlo Borromeo non si limitò a deplorare o a condannare, né semplicemente ad auspicare l’altrui cambiamento, ma iniziò a riformare la sua propria vita, che, abbandonate le ricchezze e le comodità, divenne ricolma di preghiera, di penitenza e di amorevole dedizione al suo popolo. San Carlo visse in maniera eroica le virtù evangeliche della povertà, dell’umiltà e della castità, in un continuo cammino di purificazione ascetica e di perfezione cristiana.

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

Dalla sua vita santa e conformata sempre più a Cristo nasce anche la straordinaria opera di riforma che san Carlo attuò nelle strutture della Chiesa, in totale fedeltà al mandato del Concilio di Trento. Mirabile fu la sua opera di guida del Popolo di Dio, di meticoloso legislatore, di geniale organizzatore. Tutto questo, però, traeva forza e fecondità dall’impegno personale di penitenza e di santità. In ogni tempo, infatti, è questa l’esigenza primaria e più urgente nella Chiesa: che ogni suo membro si converta a Dio. 

Anche ai nostri giorni non mancano alla Comunità ecclesiale prove e sofferenze, ed essa si mostra bisognosa di purificazione e di riforma. L’esempio di san Carlo ci sproni a partire sempre da un serio impegno di conversione personale e comunitaria, a trasformare i cuori, credendo con ferma certezza nella potenza della preghiera e della penitenza. 

Incoraggio in modo particolare i sacri ministri, presbiteri e diaconi, a fare della loro vita un coraggioso cammino di santità, a non temere l’ebbrezza di quell’amore fiducioso a Cristo per cui il Vescovo Carlo fu disposto a dimenticare se stesso e a lasciare ogni cosa. Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Pastori!

2. Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano? È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. "Deus caritas est", e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero ad ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri.

San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore.

La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù.

Sempre la carità fu la motivazione profonda delle asprezze con cui san Carlo viveva il digiuno, la penitenza e la mortificazione. Per il santo Vescovo non si trattava solo di pratiche ascetiche rivolte alla propria perfezione spirituale, ma di un vero strumento di ministero per espiare le colpe, invocare la conversione dei peccatori e intercedere per i bisogni dei suoi figli.

In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13,7). Rendo grazie a Dio perché la Chiesa di Milano è sempre stata ricca di vocazioni particolarmente consacrate alla carità; lodo il Signore per gli splendidi frutti di amore ai poveri, di servizio ai sofferenti e di attenzione ai giovani di cui può andare fiera. L’esempio e la preghiera di san Carlo vi ottengano di essere fedeli a questa eredità, così che ogni battezzato sappia vivere nella società odierna quella profezia affascinante che è, in ogni epoca, la carità di Cristo vivente in noi.

3. Non si potrebbe comprendere, però, la carità di san Carlo Borromeo se non si conoscesse il suo rapporto di amore appassionato con il Signore Gesù. Questo amore egli lo ha contemplato nei santi misteri dell’Eucaristia e della Croce, venerati in strettissima unione con il mistero della Chiesa. L’Eucaristia e il Crocifisso hanno immerso san Carlo nella carità di Cristo, e questa ha trasfigurato e acceso di ardore tutta la sua vita, ha riempito le notti passate in preghiera, ha animato ogni sua azione, ha ispirato le solenni liturgie celebrate con il popolo, ha commosso il suo animo fino a indurlo sovente alle lacrime.

Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal "rimanere" nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!

4. La splendida figura di san Carlo mi suggerisce un’ultima riflessione rivolta, in particolare, ai giovani. La storia di questo grande Vescovo, infatti, è tutta decisa da alcuni coraggiosi "sì" pronunciati quando era ancora molto giovane. A soli 24 anni egli prese la decisione di rinunciare a guidare la famiglia per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; l’anno successivo accolse come una vera missione divina l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale. A 27 anni prese possesso della Diocesi ambrosiana e dedicò tutto se stesso al ministero pastorale. Negli anni della sua giovinezza, san Carlo comprese che la santità era possibile e che la conversione della sua vita poteva vincere ogni abitudine avversa. Così egli fece della sua giovinezza un dono d’amore a Cristo e alla Chiesa, diventando un gigante della santità di tutti i tempi.

Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di "scommettere" su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi.

Con gioia Le affido, venerato Fratello, queste riflessioni, e, mentre invoco la celeste intercessione di san Carlo Borromeo e la costante protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a Lei e all’intera Arcidiocesi una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2010, IV Centenario della Canonizzazione di san Carlo Borromeo.

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


mercoledì 2 ottobre 2013

Beato Antonio Chevrier

B.Antonio Chevrier 
Beato Antonio Chevrier - Sacerdote (2 ottobre)
Lione, 16 aprile 1826 - 2 ottobre 1879
Fu davanti al presepe, in un momento di intensa preghiera, che ebbe l'intuizione di vivere in pieno la povertà.
Guidato da Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars, Antonio Chevrier accettò di diventare il direttore spirituale della «Città di Gesù Bambino», che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri. Era nato il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia.
A 17 anni entrò in seminario e nel 1850 fu ordinato sacerdote. Precursore dell'impegno sociale del clero, iniziò la missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia. Poi, l'incontro con il curato d'Ars.
Pensò allora di fondare una propria opera. Nel 1860 acquistò il «Prado», un'antica sala da ballo, ormai in rovina: nacque «La Provvidenza del Prado». Aprì anche una scuola di chierici, i quali, dopo l'ordinazione, formarono la «Società dei Preti del Prado», impegnati sempre in opere di carità.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga malattia. Il 4 ottobre 1986 è stato beatificato da Giovanni Paolo II. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Lione in Francia, Beato Antonio Chevrier, sacerdote, che fondò l’Opera della Provvidenza del Prado per preparare i sacerdoti ad insegnare ai giovani poveri la fede cristiana.

 

Tutto aveva per restare un uomo ordinario; di tutto, invece, si servì per diventare straordinario, fino alla santità. È certamente meno famoso del suo contemporaneo e confidente Curato d’Ars, ma ingiustamente, perché in Padre Antonio Chevrier si concretizza, forse per la prima volta in modo così visibile, l’opzione fondamentale per i poveri, ed è lui ad aprire il cammino che porterà all’esperienza dei “preti-operai” (non a caso, è proprio un suoseguace e successore, Mons. Alfred Lancel, il primo vescovo-operaio e uno dei pochi presuli autorizzati dal Cardinal Ottaviani a tentare questa profetica avventura in seno alla Chiesa).

Nasce in una modesta famiglia lionese nel 1826; sacerdote a 24 anni e subito inserito come vicario in una parrocchia operaia, si “converte” a 30 anni nella notte di Natale 1856. E’ lui stesso a definire “conversione” la particolarissima esperienza di Dio che ha in quella notte, davanti al presepe: “è meditando sulla povertà di Nostro Signore e sul suo abbassamento tra gli uomini che ho deciso di lasciare tutto e di vivere il più poveramente possibile: è il mistero dell’Incarnazione che mi ha convertito”.

Poiché però tra il dire e il fare, anche per i santi, c’è di mezzo il mare, va prima a consultare Giovanni Maria Vianney, che abita ad Ars, a meno di 40 chilometri da casa sua. Sono due anime in perfetta sintonia, che sulla povertà radicale se la intendono; torna a Lione rafforzato nella sua idea e confortato dai consigli del Curato d’Ars, ma da questi continuerà a differenziarsi per l’impronta marcatamente missionaria del suo ministero, a dimostrazione che i santi di Dio non sono fatti in serie e che vicendevolmente ci si può sorreggere, condizionare mai.

La sua attenzione si concentra subito sui “poveri più poveri”, quanti, cioè, oltre che poveri di mezzi economici, sono anche poveri di cultura e anche di fede.
Chiede di lasciare la parrocchia, scegliendo il modesto incarico di assistente spirituale della “Città del Bambino Gesù”, e anche questa è una scelta di “povertà” perché nel nuovo ministero altro non deve fare che assicurare la messa quotidiana e insegnare catechismo. Intanto s’innamora di Francesco d’Assisi, a sua volta grande innamorato di “Madonna Povertà”, e veste l’abito del terz’ordine francescano, vivendo lo spirito di povertà condensato nel suo motto: “avere il necessario e sapersene accontentare”.

Nel 1860 acquista la malfamata sala da ballo del Prado, per trasformarla in centro di accoglienza e di formazione cristiana di bambini e ragazzi poveri, che proprio per la loro condizione di indigenza finiscono per restare ai margini o non inserirsi affatto nei percorsi ordinari della pastorale parrocchiale.
Non è una scuola e non è un oratorio, o forse è parte dell’una e dell’altro perché al “Prado” si insegna gioiosamente il catechismo ai poveri, nella convinzione che anche loro hanno diritto di prepararsi bene alla Prima Comunione. Con una dozzina di questi ragazzi che pensano seriamente al sacerdozio mette così le basi della “Società dei Preti del Prado”, che nella testa e nel cuore del fondatore devono essere “preti poveri a servizio dei poveri”.
A questi ripete, fino alla noia, che “è nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà” e insegna loro che, a imitazione di Gesù “che si lascia mangiare nella Santa Eucaristia”, anche il prete deve essere un “uomo mangiato” da tutti. Convinto che “è meglio vivere dieci anni in meno lavorando per Dio, che dieci anni di più senza far niente”, si sottopone ad un ritmo di lavoro davvero spossante, che rende la sua salute fragile fragile.

*Così fragile da non sopportare l’ultima spogliazione, l’ultimo esercizio di povertà che gli si chiede, quando si vede abbandonato da alcuni dei suoi preti della prima ora e si sente come uno “che pensava di aver fatto qualcosa e vede invece che non ha fatto niente”.*

Muore il 2 ottobre 1878, ad appena 52 anni, povero davvero, materialmente e spiritualmente. Ma non muore il Prado e la “spiritualità pradosiana”, diffusa oggi come stile di vita anche tra i preti diocesani. È stato beatificato il 4 ottobre 1986. (Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

 

Nacque il 16 aprile 1826 a Lione, da una modesta famiglia, a 17 anni entrò in Seminario e fu ordinato sacerdote a 24 anni nel 1850. Iniziò la sua missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia come vicario. Nel 1856, mentre era in intensa preghiera, davanti al presepe, ebbe l’intuizione della divina povertà. Sotto la giuda del santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, accettò di diventare il direttore spirituale della “Città di Gesù Bambino”, che si proponeva di incentivare la Prima Comunione nei bambini poveri e procurare l’alloggio ai miserabili.
Conscio dell’immenso campo di lavoro, pensò di fondare una propria opera e nel 1860 acquistò il “Prado” che era un’antica sala da ballo, ormai in rovina, chiamando l’istituzione “ La Provvidenza del Prado”.
Andò avanti per una ventina d’anni con il solo aiuto di qualche sacerdote, affiancò all’opera una scuola di chierici, i quali diventati preti formarono la “Società dei Preti del Prado”, con lo scopo di gestire l’opera iniziale e le sue attività caritatevoli.
Morì il 2 ottobre 1879, dopo una lunga e sofferta malattia, il suo corpo riposa nella cappella del Prado, fu un precursore dell’impegno sociale del sacerdozio. É stato beatificato a Lione da Papa Giovanni Paolo II, il 4 ottobre 1986. (Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Beato Antonio Chevrier, pregate per noi.

lunedì 8 aprile 2013

... ... gli eserciti di Satana



..... gli eserciti di Satana, stanno progettando le atrocità più malvagie, mai viste dall’umanità fin dalla creazione di Adamo ed Eva.
Le guerre di cui ho parlato stanno per cominciare e il piano sarà quello di annientare intere popolazioni. Potreste pensare che queste guerre avvengano tra una nazione e l’altra, ma vi sbagliereste. Le armi proverranno da un’unica fonte.
Miei poveri figli di Dio, quanto poco sapete degli atti terribili che vengono progettati dalle sette massoniche ai massimi livelli contro i figli di Dio. Sarebbe impossibile per voi immaginare la loro malvagità, ma riconoscete questi segnali: quando le vostre banche vi toglieranno la libertà, le vostre case e la vostra capacità di nutrire le vostre famiglie, questo sarà solo una parte del loro piano contro l’umanità. Diventerete schiavi, ma quelli che dichiarano la loro fedeltà a Me e ai Miei Insegnamenti e che Mi rimangono fedeli, non devono mai dimenticare la Mia Misericordia.
Sebbene queste rivelazioni possano essere spaventose, sono la Verità. Preparandovi contro questi atti contro la creazione di Dio, voi aiuterete, attraverso le vostre preghiere, ad attenuare gran parte della sofferenza che queste sette malvagie vi infliggeranno. Mentre le vostre preghiere attenueranno l’impatto di tali atrocità, esse, se offerte a Me con l’amore nei vostri cuori, saranno utilizzate per salvare i colpevoli di tali atti terribili. E mentre queste anime fuorviate e gelide continuano a sfidarMi, cercando di sradicare le popolazioni del mondo, cercherò di illuminare i loro cuori in modo che si distacchino da questo terribile legame con Satana. Molti sono completamente posseduti dal maligno e per altri c’è poca speranza. Solo un miracolo concesso dalla Mia Misericordia, in unione con coloro che Mi offrono il dono della sofferenza, può salvarli.

GESU', 
quando resisto al Tuo Amore, 
aiutami ad arrendermi 

venerdì 24 febbraio 2012

Papa Benedetto XVI: La carità è il frutto della verità


Lectio Divina di Benedetto XVI con i Parroci di Roma per l'inizio della Quaresima.
Il Papa ha parlato " a braccio" alle 11 di ieri mattina 23 febbraio, nell’Aula Paolo VI incontrando il Clero della diocesi di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima.
Dopo il saluto del Cardinale Vicario Agostino Vallini, il Santo Padre ha proposto una Lectio divina incentrata su un passo della Lettera agli Efesini (4, 1-16).
Il testo completo della Lectio Divina si trova sul sito vaticano.
Per il video cliccare qui.

Postiamo solo la parte finale della Lectio Divina del Papa. (A.C.)

" Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme.



Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada. Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della verità in Cristo, nel suo Corpo. 


E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità. Grazie".




© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana




LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!