Visualizzazione post con etichetta Creazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Creazione. Mostra tutti i post

lunedì 30 ottobre 2017

L’autogenesi di ‘una sola’ cellula è un assurdo impossibile.

Creazione

  • Non ci fu autogenesi, e non ci fu evoluzione; ma ci fu la Creazione voluta dal Creatore. La ragione, di cui siete tanto orgogliosi, dovrebbe farvi persuasi che dal nulla non si forma la cosa iniziale, e dalla cosa unica e iniziale, non può venire il tutto.
    Solo Dio può ordinare il caos e popolarlo d’innumeri creature che formano il Creato.  E questo potentissimo Creatore non ha avuto limitazioni nel suo creare, che fu molteplice, né nel creare creature già perfette, ognuna perfetta secondo il fine per il quale è stata creata.
    E’ stolto pensare che Dio abbia creato, volendo darsi un Creato, cose informi, attendendo di essere da esse glorificato quando le singole creature, e tutte le creature, avessero raggiunto, con successive evoluzioni, la perfezione della loro natura perché fossero atte al fine naturale o soprannaturale per il quale sono state create. (…)
    L’uomo attuale non è il risultato di un’evoluzione ascendentale, ma il doloroso risultato di un’evoluzione discendentale, perché la colpa di Adamo ha per sempre leso la perfezione fisico-morale-spirituale dell’uomo originale. (…)
    L’uomo non è il risultato di un’evoluzione, così come il Creato non è il prodotto di un’autogenesi. Per avere un’evoluzione occorre avere sempre una prima sorgente creativa. E pensare di avere avuto dall’autogenesi di ‘una sola’ cellula le infinite specie, è un assurdo impossibile. Rm 128 - 28.5.48
AMDG et BVM

martedì 9 febbraio 2016

San Paolo ai Romani: cap VIII, 12-19.

Lettera ai Romani


[12Così dunque, fratelli, noi non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne. 13Se quindi vivrete secondo la carne, morrete; se invece collo spirito darete morte alle azioni della carne, vivrete, 14essendo, tutti quelli che son mossi dallo spirito di Dio, figli di Dio. 15Difatti, voi non avete ricevuto lo spirito di servitù per nuovo timore, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figli, pel quale gridiamo: Abba (Padre). 16Questo stesso Spirito attesta allo spirito nostro che noi siamo figli di Dio. [17E se figlioli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se però soffriamo con lui da essere con lui glorificati.

18Io tengo per certo che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi alla futura gloria che sarà manifestata in noi. 19Difatti, la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di Dio.


AMDG et BVM

venerdì 4 ottobre 2013

Santa Ildegarda di Bingen


LETTERA APOSTOLICA


Santa Ildegarda di Bingen, Monaca Professa dell’ordine di San Benedetto, è proclamata Dottore della Chiesa universale

A perpetua memoria.

1. «Luce del suo popolo e del suo tempo»: con queste parole il Beato Giovanni Paolo II, Nostro venerato Predecessore, definì Santa Ildegarda di Bingen nel 1979, in occasione dell’800° anniversario della morte della Mistica tedesca. E veramente, sull’orizzonte della storia, questa grande figura di donna si staglia con limpida chiarezza per santità di vita e originalità di dottrina. Anzi, come per ogni autentica esperienza umana e teologale, la sua autorevolezza supera decisamente i confini di un’epoca e di una società e, nonostante la distanza cronologica e culturale, il suo pensiero si manifesta di perenne attualità.

In Santa Ildegarda di Bingen si rileva una straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana. In lei la ricerca della volontà di Dio nell’imitazione di Cristo si esprime come un costante esercizio delle virtù, che ella esercita con somma generosità e che alimenta alle radici bibliche, liturgiche e patristiche alla luce della Regola di San Benedetto: rifulge in lei in modo particolare la pratica perseverante dell’obbedienza, della semplicità, della carità e dell’ospitalità. In questa volontà di totale appartenenza al Signore, la badessa benedettina sa coinvolgere le sue non comuni doti umane, la sua acuta intelligenza e la sua capacità di penetrazione delle realtà celesti.

2. Ildegarda nacque nel 1089 a Bermersheim, presso Alzey, da genitori di nobile lignaggio e ricchi possidenti terrieri. All’età di otto anni fu accettata come oblata presso la badia benedettina di Disibodenberg, ove nel 1115 emise la professione religiosa. Alla morte di Jutta di Sponheim, intorno al 1136, Ildegarda fu chiamata a succederle in qualità di magistra. Malferma nella salute fisica, ma vigorosa nello spirito, si impegnò a fondo per un adeguato rinnovamento della vita religiosa. Fondamento della sua spiritualità fu la regola benedettina, che pone l’equilibrio spirituale e la moderazione ascetica come vie alla santità. In seguito all’aumento numerico delle monache, dovuto soprattutto alla grande considerazione della sua persona, intorno al 1150 fondò un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di Bingen, dove si trasferì insieme a venti consorelle. Nel 1165, ne istituì un altro a Eibingen, sulla riva opposta del Reno. Fu badessa di entrambi.

All’interno delle mura claustrali curò il bene spirituale e materiale delle Consorelle, favorendo in modo particolare la vita comunitaria, la cultura e la liturgia. All’esterno s’impegnò attivamente a rinvigorire la fede cristiana e a rafforzare la pratica religiosa, contrastando le tendenze ereticali dei catari, promuovendo la riforma della Chiesa con gli scritti e la predicazione, contribuendo a migliorare la disciplina e la vita del clero. Su invito prima di Adriano iv e poi di Alessandro III, Ildegarda esercitò un fecondo apostolato — allora non molto frequente per una donna — effettuando alcuni viaggi non privi di disagi e difficoltà, per predicare perfino nelle pubbliche piazze e in varie chiese cattedrali, come avvenne tra l’altro a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz, Bamberga e Würzburg. La profonda spiritualità presente nei suoi scritti esercita un rilevante influsso sia sui fedeli, sia su grandi personalità del suo tempo, coinvolgendo in un incisivo rinnovamento la teologia, la liturgia, le scienze naturali e la musica.
Colpita da malattia nell’estate del 1179, Ildegarda, circondata dalle Consorelle, si spense in fama di santità nel monastero del Rupertsberg, presso Bingen, il 17 settembre 1179.
3.  Nei suoi numerosi scritti Ildegarda si dedicò esclusivamente a esporre la divina rivelazione e far conoscere Dio nella limpidezza del suo amore. La dottrina ildegardiana è ritenuta eminente sia per la profondità e la correttezza delle sue interpretazioni, sia per l’originalità delle sue visioni. I testi da lei composti appaiono animati da un’autentica «carità intellettuale» ed evidenziano densità e freschezza nella contemplazione del mistero della Santissima Trinità, dell’Incarnazione, della Chiesa, dell’umanità, della natura come creatura di Dio da apprezzare e rispettare.

Queste opere nascono da un’intima esperienza mistica e propongono una incisiva riflessione sul mistero di Dio. Il Signore l’aveva resa partecipe, fin da bambina, di una serie di visioni, il cui contenuto ella dettò al monaco Volmar, suo segretario e consigliere spirituale, e a Richardis di Strade, una consorella monaca. Ma è particolarmente illuminante il giudizio dato da San Bernardo di Chiaravalle, che la incoraggiò, e soprattutto da papa Eugenio III, che nel 1147 la autorizzò a scrivere e a parlare in pubblico. La riflessione teologica consente ad Ildegarda di tematizzare e comprendere, almeno in parte, il contenuto delle sue visioni. Ella, oltre a libri di teologia e di mistica, compose anche opere di medicina e di scienze naturali. Numerose sono anche le lettere — circa quattrocento — che indirizzò a persone semplici, a comunità religiose, a papi, vescovi e autorità civili del suo tempo. Fu anche compositrice di musica sacra. Il corpus dei suoi scritti, per quantità, qualità e varietà di interessi, non ha paragoni con alcun’altra autrice del Medio Evo. 

Le opere principali sono lo Scivias, il Liber vitae meritorum e il Liber divinorum operum. Tutte narrano le sue visioni e l’incarico ricevuto dal Signore di trascriverle. Le Lettere, nella consapevolezza delle stessa autrice, non rivestono una minore importanza e testimoniano l’attenzione di Ildegarda alle vicende del suo tempo, che ella interpreta alla luce del mistero di Dio. A queste vanno aggiunti 58 sermoni, diretti esclusivamente alle sue Consorelle. Si tratta delle Expositiones Evangeliorum, contenenti un commento letterale e morale a brani evangelici legati alle principali celebrazioni dell’anno liturgico. I lavori a carattere artistico e scientifico si concentrano in modo specifico sulla musica con la Symphonia armoniae caelestium revelationum; sulla medicina con il Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum e il Causae et curae; sulle scienze naturali con la Physica. Infine si notano anche scritti di carattere linguistico, come la Lingua ignota e le Litterae ignotae, nei quali compaiono parole in una lingua sconosciuta di sua invenzione, ma composta prevalentemente di fonemi presenti nella lingua tedesca.
Il linguaggio di Ildegarda, caratterizzato da uno stile originale ed efficace, ricorre volentieri ad espressioni poetiche dalla forte carica simbolica, con folgoranti intuizioni, incisive analogie e suggestive metafore.

4.  Con acuta sensibilità sapienziale e profetica, Ildegarda fissa lo guardo sull’evento della rivelazione. La sua indagine si sviluppa a partire dalla pagina biblica, alla quale, nelle successive fasi, resta saldamente ancorata. Lo sguardo della Mistica di Bingen non si limita ad affrontare singole questioni, ma vuole offrire una sintesi di tutta la fede cristiana. Nelle sue visioni e nella successiva riflessione, pertanto, ella compendia la storia della salvezza, dall’inizio dell’universo alla consumazione escatologica. La decisione di Dio di compiere l’opera della creazione è la prima tappa di questo immenso percorso, che, alla luce della Sacra Scrittura, si snoda dalla costituzione della gerarchia celeste fino alla caduta degli angeli ribelli e al peccato dei progenitori. A questo quadro iniziale fa seguito l’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, l’azione della Chiesa che continua nel tempo il mistero dell’incarnazione e la lotta contro satana. L’avvento definitivo del regno di Dio e il giudizio universale saranno il coronamento di questa opera.

Ildegarda pone a se stessa e a noi la questione fondamentale se sia possibile conoscere Dio: è questo il compito fondamentale della teologia. La sua risposta è pienamente positiva: mediante la fede, come attraverso una porta, l’uomo è in grado di avvicinarsi a questa conoscenza. Tuttavia Dio conserva sempre il suo alone di mistero e di incomprensibilità. Egli si rende intelligibile nel creato, ma questo, a sua volta, non viene compreso pienamente se viene distaccato da Dio. Infatti, la natura considerata in sé fornisce solo delle informazioni parziali, che non di rado diventano occasioni di errori e di abusi. Perciò anche nella dinamica conoscitiva naturale occorre la fede, altrimenti la conoscenza resta limitata, insoddisfacente e fuorviante.
La creazione è un atto di amore, grazie al quale il mondo può emergere dal nulla: dunque tutta la scala delle creature è attraversata, come la corrente di un fiume, dalla carità divina. Fra tutte le creature, Dio ama in modo particolare l’uomo e gli conferisce una straordinaria dignità, donandogli quella gloria che gli angeli ribelli hanno perduto. L’umanità, così, può essere considerata come il decimo coro della gerarchia angelica. Ebbene, l’uomo è in grado di conoscere Dio in se stesso, cioè la sua individua natura nella trinità delle persone. Ildegarda si accosta al mistero della Santissima Trinità nella linea già proposta da Sant’Agostino: per analogia con la propria struttura di essere razionale, l’uomo è in grado di avere almeno un’immagine della intima realtà di Dio. Ma è solo nell’economia dell’incarnazione e della vicenda umana del Figlio di Dio che questo mistero diventa accessibile alla fede e alla consapevolezza dell’uomo. La santa ed ineffabile Trinità nella somma unità era nascosta ai servitori della legge antica. Ma nella nuova grazia veniva rivelata ai liberati dalla servitù. La Trinità si è rivelata in modo particolare nella croce del Figlio.
Un secondo «luogo» in cui Dio si rende conoscibile è la sua parola contenuta nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. Proprio perché Dio «parla», l’uomo è chiamato all’ascolto. Questo concetto offre a Ildegarda l’occasione di esporre la sua dottrina sul canto, in modo particolare quello liturgico. Il suono della parola di Dio crea vita e si manifesta nelle creature. Anche gli esseri privi di razionalità, grazie alla parola creatrice vengono coinvolti nel dinamismo creaturale. Ma, naturalmente, è l’uomo quella creatura che, con la sua voce, può rispondere alla voce del Creatore. E può farlo in due modi principali: in voce oris, cioè nella celebrazione della liturgia, e in voce cordis, cioè con una vita virtuosa e santa. L’intera vita umana, pertanto, può essere interpretata come un’armonia e una sinfonia: mentre l’armonia significa la restaurazione della relazione e la piena esperienza della redenzione, l’attuale esistenza umana con i suoi pericoli, contraddizioni e peccati, corrisponde a una sinfonia, a un insieme di suoni e di accordi allo stesso modo armoniosi e dissonanti. In questa sinfonia Dio fa ascoltare soprattutto la sua misericordia.
5. L’antropologia di Ildegarda prende inizio dalla pagina biblica della creazione dell’uomo (Gen 1, 26), fatto a immagine e somiglianza di Dio. L’uomo, secondo la cosmologia ildegardiana fondata sulla Bibbia, racchiude tutti gli elementi del mondo, perché l’universo intero si riassume in lui, che è formato della materia stessa della creazione. Perciò egli può in modo consapevole entrare in rapporto con Dio. Ciò accade non per una visione diretta, ma, seguendo la celebre espressione paolina, «come in uno specchio» (1 Cor 13, 12). L’immagine divina nell’uomo consiste nella sua razionalità, strutturata in intelletto e volontà. Grazie all’intelletto l’uomo è capace di distinguere il bene e il male, grazie alla volontà egli è spinto all’azione.
L’uomo è visto come unità di corpo e di anima. Si nota nella Mistica tedesca un apprezzamento positivo della corporeità e, anche negli aspetti di fragilità che il corpo manifesta, ella è capace di cogliere un valore provvidenziale: il corpo non è un peso di cui liberarsi e, perfino quando è debole e fragile, «educa» l’uomo al senso della creaturalità e dell’umiltà, proteggendolo dalla superbia e dall’arroganza. In una visione Ildegarda contempla le anime dei beati del paradiso, che sono in attesa di ricongiungersi ai loro corpi. Infatti, come per il corpo di Cristo, anche i nostri corpi sono orientati verso la risurrezione gloriosa, per una profonda trasformazione per la vita eterna. La stessa visione di Dio, nella quale consiste la vita eterna, non si può conseguire in modo definitivo senza il corpo.

L’uomo esiste nella forma maschile e femminile. Ildegarda riconosce che in questa struttura ontologica della condizione umana si radica una relazione di reciprocità e una sostanziale uguaglianza tra uomo e donna. Nell’umanità, però, abita anche il mistero del peccato ed esso si manifesta per la prima volta nella storia proprio in questo rapporto tra Adamo ed Eva. A differenza di altri autori medievali, che vedevano la causa della caduta nella debolezza di Eva, Ildegarda la coglie soprattutto nella smodata passione di Adamo verso di lei.
Anche nella sua condizione di peccatore, l’uomo continua ad essere destinatario dell’amore di Dio, perché questo amore è incondizionato e, dopo la caduta, assume il volto della misericordia. Perfino la punizione che Dio infligge all’uomo e alla donna fa emergere l’amore misericordioso del Creatore. In tal senso, la più precisa descrizione della creatura umana è quella di un essere in cammino, homo viator. In questo pellegrinaggio verso la patria, l’uomo è chiamato ad una lotta per poter scegliere costantemente il bene ed evitare il male.
La scelta costante del bene produce un’esistenza virtuosa. Il Figlio di Dio fatto uomo è il soggetto di tutte le virtù, perciò l’imitazione di Cristo consiste proprio in un’esistenza virtuosa nella comunione con Cristo. La forza delle virtù deriva dallo Spirito Santo, infuso nei cuori dei credenti, che rende possibile un comportamento costantemente virtuoso: questo è lo scopo dell’umana esistenza. L’uomo, in tal modo, sperimenta la sua perfezione cristiforme.

6.  Per poter raggiungere questo scopo, il Signore ha donato i sacramenti alla sua Chiesa. La salvezza e la perfezione dell’uomo, infatti, non si compiono solo mediante uno sforzo della volontà, bensì attraverso i doni della grazia che Dio concede nella Chiesa.

La Chiesa stessa è il primo sacramento che Dio pone nel mondo perché comunichi agli uomini la salvezza. Essa, che è la «costruzione delle anime viventi», può essere giustamente considerata come vergine, sposa e madre e, dunque, è strettamente assimilata alla figura storica e mistica della Madre di Dio. La Chiesa comunica la salvezza anzitutto custodendo e annunziando i due grandi misteri della Trinità e dell’Incarnazione, che sono come i due «sacramenti primari», poi mediante l’amministrazione degli altri sacramenti. Il vertice della sacramentalità della Chiesa è l’eucaristia. I sacramenti producono la santificazione dei credenti, la salvezza e la purificazione dei peccati, la redenzione, la carità e tutte le altre virtù. Ma, ancora una volta, la Chiesa vive perché Dio in essa manifesta il suo amore intratrinitario, che si è rivelato in Cristo. Il Signore Gesù è il mediatore per eccellenza. Dal grembo trinitario egli viene incontro all’uomo e dal grembo di Maria egli va incontro a Dio: come Figlio di Dio è l’amore incarnato, come Figlio di Maria è il rappresentante dell’umanità davanti al trono di Dio.

L’uomo può giungere perfino a sperimentare Dio. Il rapporto con lui, infatti, non si consuma nella sola sfera della razionalità, ma coinvolge in modo totale la persona. Tutti i sensi esterni e interni dell’uomo sono interessati nell’esperienza di Dio: «Homo autem ad imaginem et similitudinem Dei factus est, ut quinque sensibus corporis sui operetur; per quos etiam divisus non est, sed per eos est sapiens et sciens et intellegens opera sua adimplere. [...] Sed et per hoc, quod homo sapiens, sciens et intellegens est, creaturas conosci; itaque per creaturas et per magna opera sua, quae etiam quinque sensibus suis vix comprehendit, Deum cognoscit, quem nisi in fide videre non valet» (Explanatio Symboli Sancti Athanasii: pl 197, 1066). Questa via esperienziale, ancora una volta, trova la sua pienezza nella partecipazione ai sacramenti.

Ildegarda vede anche le contraddizioni presenti nella vita dei singoli fedeli e denunzia le situazioni più deplorevoli. In modo particolare, ella sottolinea come l’individualismo nella dottrina e nella prassi da parte tanto dei laici quanto dei ministri ordinati sia un’espressione di superbia e costituisca il principale ostacolo alla missione evangelizzatrice della Chiesa verso i non cristiani.

Una delle vette del magistero di Ildegarda è l’accorata esortazione a una vita virtuosa che ella rivolge a chi si impegna in uno stato di consacrazione. La sua comprensione della vita consacrata è una vera «metafisica teologica», perché fermamente radicata nella virtù teologale della fede, che è la fonte e la costante motivazione per impegnarsi a fondo nell’obbedienza, nella povertà e nella castità. Nel realizzare i consigli evangelici la persona consacrata condivide l’esperienza di Cristo povero, casto e obbediente e ne segue le orme nell’esistenza quotidiana. Questo è l’essenziale della vita consacrata.
7. L’eminente dottrina di Ildegarda riecheggia l’insegnamento degli apostoli, la letteratura patristica e gli autori contemporanei, mentre trova nella Regola di San Benedetto da Norcia un costante punto di riferimento. La liturgia monastica e l’interiorizzazione della Sacra Scrittura costituiscono le linee-guida del suo pensiero, che, concentrandosi nel mistero dell’Incarnazione, si esprime in una profonda unità stilistica e contenutistica che percorre intimamente tutti i suoi scritti.
L’insegnamento della santa monaca benedettina si pone come una guida per l’homo viator. Il suo messaggio appare straordinariamente attuale nel mondo contemporaneo, particolarmente sensibile all’insieme dei valori proposti e vissuti da lei. Pensiamo, ad esempio, alla capacità carismatica e speculativa di Ildegarda, che si presenta come un vivace incentivo alla ricerca teologica; alla sua riflessione sul mistero di Cristo, considerato nella sua bellezza; al dialogo della Chiesa e della teologia con la cultura, la scienza e l’arte contemporanea; all’ideale di vita consacrata, come possibilità di umana realizzazione; alla valorizzazione della liturgia, come celebrazione della vita; all’idea di riforma della Chiesa, non come sterile cambiamento delle strutture, ma come conversione del cuore; alla sua sensibilità per la natura, le cui leggi sono da tutelare non da violare.
Perciò l’attribuzione del titolo di Dottore della Chiesa universale a Ildegarda di Bingen ha un grande significato per il mondo di oggi e una straordinaria importanza per le donne. In Ildegarda risultano espressi i più nobili valori della femminilità: perciò anche la presenza della donna nella Chiesa e nella società viene illuminata dalla sua figura, sia nell’ottica della ricerca scientifica sia in quella dell’azione pastorale. La sua capacità di parlare a coloro che sono lontani dalla fede e dalla Chiesa rendono Ildegarda una testimone credibile della nuova evangelizzazione.
In virtù della fama di santità e della sua eminente dottrina, il 6 marzo 1979 il Signor Cardinale Joseph Höffner, Arcivescovo di Colonia e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, insieme con i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi della medesima Conferenza, tra i quali eravamo anche Noi quale Cardinale Arcivescovo di Monaco e Frisinga, sottopose al Beato Giovanni Paolo II la Supplica, affinché Ildegarda di Bingen fosse dichiarata Dottore della Chiesa universale. Nella Supplica, l’Em.mo Porporato metteva in evidenza l’ortodossia della dottrina di Ildegarda, riconosciuta nel XII secolo da Papa Eugenio III, la sua santità costantemente avvertita e celebrata dal popolo, l’autorevolezza dei suoi trattati. A tale Supplica della Conferenza Episcopale Tedesca, negli anni se ne sono aggiunte altre, prima fra tutte quella delle Monache del monastero di Eibingen, a lei intitolato. Al desiderio comune del Popolo di Dio che Ildegarda fosse ufficialmente proclamata santa, dunque, si è aggiunta la richiesta che sia anche dichiarata «Dottore della Chiesa universale».
Con il nostro consenso, pertanto, la Congregazione delle Cause dei Santi diligentemente preparò una Positio super Canonizatione et Concessione tituli Doctoris Ecclesiae universalis per la Mistica di Bingen. Trattandosi di una rinomata maestra di teologia, che è stata oggetto di molti e autorevoli studi, abbiamo concesso la dispensa da quanto disposto dall’art. 73 della Costituzione Apostolica Pastor Bonus. Il caso fu quindi esaminato con esito unanimemente positivo dai Padri Cardinali e Vescovi radunati nella Sessione Plenaria del 20 marzo 2012, essendo Ponente della Causa l’Em.mo Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nell’Udienza del 10 maggio 2012 lo stesso Cardinale Amato Ci ha dettagliatamente informati sullo status quaestionis e sui voti concordi dei Padri della menzionata Sessione Plenaria della Congregazione delle Cause dei Santi. Il 27 maggio 2012, Domenica di Pentecoste, avemmo la gioia di comunicare in Piazza San Pietro alla moltitudine dei pellegrini convenuti da tutto il mondo la notizia del conferimento del titolo di Dottore della Chiesa universale a Santa Ildegarda di Bingen e san Giovanni d’Ávila all’inizio dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi e alla vigilia dell’Anno della Fede.
Oggi, dunque, con l’aiuto di Dio e il plauso di tutta la Chiesa, ciò è fatto. In Piazza San Pietro, alla presenza di molti Cardinali e Presuli della Curia Romana e della Chiesa cattolica, confermando ciò che è stato fatto e soddisfacendo con grande piacere i desideri dei supplicanti, durante il sacrificio Eucaristico abbiamo pronunziato queste parole: 
«Noi accogliendo il desiderio di molti Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli del mondo intero, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, dopo aver lungamente riflettuto e avendo raggiunto un pieno e sicuro convincimento, con la pienezza dell’autorità apostolica dichiariamo  San Giovanni d’Avila, sacerdote diocesano, e Santa Ildegarda di Bingen, monaca professa dell’Ordine di San Benedetto, Dottori della Chiesa universale, Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Queste cose decretiamo e ordiniamo, stabilendo che questa lettera sia e rimanga sempre certa, valida ed efficace, e che sortisca e ottenga i suoi effetti pieni e integri; e così convenientemente si giudichi e si definisca; e sia vano e senza fondamento quanto diversamente intorno a ciò possa essere tentato da chiunque con qualsivoglia autorità, scientemente o per ignoranza. 

Dato a Roma, presso San Pietro,
col sigillo del Pescatore, 
il 7 ottobre 2012, anno ottavo 
del Nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI

sabato 15 giugno 2013

Esiste un unico Dio e ... il mondo non è l’arena di potenze oscure, ma la creazione della sua parola.



La simbologia presente nel racconto della creazione: qual è il suo significato?

tratto da Joseph Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, Parte II - Il senso dei racconti biblici della creazione, § Il significato permanente degli elementi simbolici del testo, pp. 43-45

Il significato permanente 
degli elementi simbolici del testo

Dopo queste due riflessioni, con cui abbiamo approfondito le nozioni fondamentali della prima meditazione, dobbiamo fare un passo avanti.
Finora abbiamo visto che i racconti biblici della creazione sono un modo di parlare della realtà diverso [43] da quella proprio della fisica e della biologia. Essi non descrivono il processo del divenire e la struttura matematica della materia, ma dicono in molteplici modi che esiste un unico Dio e che il mondo non è l’arena di potenze oscure, ma la creazione della sua parola. Questo però non significa che le singole disposizione del testo biblico perdano ora qualsiasi significato e che rimanga per così dire valido solo questo nucleo.

Anch’esse sono un’espressione di verità, anche se naturalmente in modo diverso dalla fisica e dalla biologia. Esse sono verità nella maniera del simbolo, nella maniera in cui, per esempio, una vetrata gotica ci permette di conoscere qualcosa di molto profondo mediante il gioco delle sue luci e dei suoi segni.

Mi limiterò a illustrare due elementi.
Primo. Il racconto biblico della creazione è contraddistinto da numeri che esprimono non la struttura matematica del mondo bensì, per così dire, il modello intrinseco del suo tessuto, l’idea secondo cui è costruito.

I numeri dominanti sono il 3, il 4, il 7, il 10.
Dieci volte leggiamo nel racconto della creazione: «Dio disse». In tal mondo esso prelude già alle dieci parole, ai dieci comandamenti. Ci fa capire che i [44] dieci comandamenti sono l’eco della creazione, non regole arbitrarie con cui si limita la libertà dell’uomo; sono introduzione allo spirito, al linguaggio e al senso della creazione; sono linguaggio tradotto del mondo, logica tradotta di Dio, che ha costruito il mondo.
Il numero dominante è il 7; con lo schema dei sette giorni dà una caratterizzazione tipica al tutto. Si tratta del numero di una fase lunare; questo racconto ci dice allora che il ritmo dell’astro a noi vicino ci indica anche il ritmo della vita umana. Veniamo così a sapere che noi uomini non siamo prigionieri del nostro piccolo io ma siamo immersi nel ritmo dell’universo; che possiamo apprendere dal cielo anche il ritmo, il movimento della nostra vita e possiamo così inserirci nel movimento razionale dell’universale. Nella Bibbia questo pensiero avrà un ulteriore sviluppo nell’affermazione che il ritmo degli astri è in senso più profondo espressione del ritmo del cuore, del ritmo dell’amore di Dio che ivi si manifesta [nota 1].






[nota 1] Per l’esegesi del racconto della Genesi, oltre al commento fondamentale di Westermann, ricordiamo: G. von Rad, Des erstre Buch Mose (ATD 2-4), Göttingen 19647; J. Scharbert, Genesis 1-11, Würzburg 1983. [60]

lunedì 17 dicembre 2012

Beata Madre Teresa di Calcutta




La beata Madre Teresa di Calcutta ripeté mille volte, in "Occidente": 

"Voi parlate di pace ogni momento, ma sterminate i nascituri ogni giorno: siete in piena guerra".


COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS

lunedì 13 febbraio 2012

Ai Santi obbediscono anche i cani... aggressivi




Ecco un altro tratto, forse ancora più toccante. All'inizio della fondazione, il Carmelo possedeva un cane da guardia. Suor Maria di Gesù Crocifisso che consi­derava ogni cosa in Dio, invitava qualche volta quest'animale alla riconoscenza verso il suo Creatore, enumerandogli tutto ciò che ne aveva ricevuto. 


Gli diceva an­cora, con un sentimento di profonda venerazione, di tenerezza per la nobile Benefattrice e Fonda­trice del Carmelo in Betlemme, che era lei che forniva il nutrimento, che faceva sì che se ne aves­se cura e che doveva essergliene riconoscente. 


Gli fece più volte, con tanta serietà e tanta ingenuità, la seguente raccomandazione: «Quando la mia amata sorellina verrà, tu ti coricherai ai suoi piedi, glieli leccherai e glieli bacerai, hai capito?» 


Ef­fettivamente, alcuni mesi dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, quando la pia signorina venne a Betlemme, questo cane, che era per natura molto aggressi­vo e per il quale lei non era che una estranea, si recò da solo alla porta della clau­sura, e non appena fu entrata, si coricò ai suoi piedi, leccandoglieli e accarezzan­dola in mille modi. Fu allora che ci si ricordò delle raccomandazioni che le erano state fatte dall'umile suora conversa.
AVE MARIA!





AVE MARIA!
Laudetur Iesus Christus!
Laudetur cum Maria! Semper laudentur

venerdì 23 settembre 2011

EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO è LA CHIAVE DEL MISTERO


 

EVOLUZIONE O CREAZIONE ?
CAINO è LA CHIAVE DEL MISTERO





Quarta edizione

La curatrice

Renza Giacobbi
Via I Novembre, 1
32100 Belluno - ITALIA
Cellulare 348.9598086
E-mail: genesibiblica@libero.it - genebi@tiscali.it




DICHIARAZIONE

Il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dogmatica LUMEN
GENTIUM al cap. 4° dice: “…Egli (Lo Spirito) introduce la Chiesa nella
pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero,
la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e ‘carismatici’, la
abbellisce dei suoi frutti”. (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,5,22).

Nella Costituzione Pastorale GAUDIUM ET SPES al cap. 44 dice:
“…L’esperienza dei secoli passati, il progresso delle scienze, i tesori nascosti
nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la
natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di
vantaggio anche per la Chiesa… È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto
dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare
attentamente, discernere e interpretare i vari modi di parlare del nostro
tempo e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità
‘rivelata’sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire
presentata in forma più adatta”.




A Maria Assunta,
la Madre naturale di Gesù
e Madre secondo lo Spirito di tutti i redenti,
Concepita senza alcuna macchia, o tara, del peccato originale,
Colei che è Regina del Cielo e della Terra
e che fu resa da Suo Figlio la Mediatrice di tutte le Grazie,
sempre in lotta contro il ‘demonio’, ma su lui Vittoriosa.




 INTRODUZIONE



di Renza Giacobbi

Quando iniziai il lavoro di riordinare gli scritti di don Guido per adempiere
alla promessa che gli feci di portare a pubblicazione questo testo, mi
sentivo oppressa dalla responsabilità di tale compito. Ma, mano a mano che
procedevo, mi presero una pace, una gioia, un entusiasmo inspiegabili. Mi
rendevo conto che, al di là dei fatti narrati, cambiava il mio modo di pormi
davanti a Dio e al prossimo, perché cambiava la mia prospettiva nel vedere
le cose. La mia fede in Dio diventava fiducia, il mio rapporto con gli altri
diventava comprensione.

Feci leggere questo libro ad alcune persone amiche che, superato lo stupore
per gli argomenti trattati, provavano gli stessi sentimenti e affermavano
che, come ogni Parola di Dio, questa rivelazione guariva le loro ferite
profonde dell’anima: era come se la loro vita fosse giunta ad una svolta
perché il rapporto con se stessi e gli altri non era più lo stesso.

Il Vangelo ci invita ad amare il prossimo. Ma com’è possibile amare
qualcuno che è indisponente o, peggio ancora, una persona senza morale? È
impossibile se non conosciamo cosa c’è dentro la natura dell’uomo e se non
gli diamo delle attenuanti. Freud ha sondato il subconscio e l’inconscio, ma,
come scienziato, è rimasto emotivamente indifferente di fronte alle alterazioni
della psiche.

Con la lettura di questa rivelazione, invece, si arriva alla conoscenza
delle cause profonde del modo di sentire e di comportarsi dell’uomo e il
nostro approccio non rimane più quello dello spettatore, perché nasce in noi
un sentimento di comprensione e di pietà che ci permette di amare anche
ciò che è sgradevole sapendo che di quel comportamento spesso l’uomo
non ha colpa, ma ne è vittima.





Così, cambiando il nostro atteggiamento, vediamo con sorpresa che anche
gli altri di riflesso cambiano il loro nei nostri confronti.

L’amore per il prossimo allora non è più una mèta irraggiungibile, perché
la conoscenza profonda della natura umana ci viene in soccorso ispirandoci
tolleranza e perdono per noi stessi e per gli altri. Questa rivelazione
diventa mezzo di guarigione perché spiega, con la ragione, molti comportamenti
umani inquadrandoli nella loro giusta dimensione e, soprattutto, fa sì
che la guarigione diventi attuabile perché è Dio stesso che se ne fa carico e
a questo scopo ha predisposto i mezzi e gli strumenti, ai quali l’uomo possa
ricorrere.

Non più incomprensioni fra Scienza e Fede

Qual’è il problema di oggi che offusca la verità? Non è solo l’incomprensione
fra Scienza e Fede, ma la crisi stessa della Scienza che, riguardo
all’origine dell’uomo, è divisa in due correnti di pensiero diametralmente
opposte ed inconciliabili: l’evoluzionismo e il creazionismo. Sono inconciliabili
perché, pur dicendo entrambe alcune verità, ciascuna delle due ha dei
limiti negli stessi suoi presupposti, limiti che entrambe non sono in grado di
superare. L’evoluzionismo, credendo di aver trovato la chiave dell’evoluzione
nel ‘caso’, sul quale poi interverrebbero dei fattori successivi come l’ambiente
e la selezione, si è insabbiato da solo quando non può spiegare come
si passi dalla materia al pensiero o come si formino organi complessi come
l’occhio e così via; il creazionismo, d’altro canto, resta incompreso quando
si ostina a prendere alla lettera espressioni della Bibbia che invece vanno
lette con profondo rispetto perché contengono sapienti significati allegorici.

Per cui la scienza, privata di un’etica superiore perché non fa più riferimento
al legittimo Creatore, si sta comportando in modo selvaggio compromettendo
la vita stessa del pianeta e con essa quella dell’umanità.

Tuttavia queste correnti hanno dei meriti: gli evoluzionisti hanno messo
in evidenza la scala biologica delle specie, mentre i creazionisti ridanno a
Dio il Suo ruolo di Creatore e di legittimo Signore della vita.






È chiaro che la verità sta nel superamento di entrambe.

Papa Giovanni Paolo II durante un’intervista fattagli dal prof. Nicola
Cabibbo, fisico e docente all’Università la Sapienza di Roma e presidente
della Pontificia Accademia delle Scienze, dichiarò che non vi è alcun problema
per la Chiesa convenire che esiste ‘un continuo’ fra tutte le specie dalle
cellule primordiali all’uomo, purché Dio mantenga il Suo ruolo di diretto
Creatore. Tuttavia, aggiunge il prof. Cabibbo, nessuno scienziato è stato in
grado finora di dire ‘come’ siano apparse le varie specie e come sia apparso
l’uomo. A ciò ha provveduto il Signore stesso con questa rivelazione.

La terza via: la creazione mediata

Il superamento di queste opposte posizioni può avvenire solo attraverso
nuove conoscenze che aggiungano quel tassello mancante attraverso il
quale tutta la realtà è spiegabile. Questo tassello è contenuto in questa rivelazione.


Questo nuovo elemento, finora mancante, è nell’aver portato a conoscenza
la vera storia dell’uomo, dalla sua origine al pregiudizio che ne seguì
per il cattivo uso della sua libertà che determinò l’involuzione della specie
umana fino a farla scomparire come specie pura per lasciarla sopravvivere
mimetizzata fra le specie inferiori. Solo dopo che l’umanità ebbe toccato il
fondo, iniziò il suo recupero e quella che gli evoluzionisti chiamano evoluzione,
in realtà non è che la sua rievoluzione, che molto meglio andrebbe
definita come “la sua ricostruzione”, sorretta dallo stesso Creatore.

Così gli evoluzionisti, che hanno presente solo quest’ultima fase, possono
dire di aver giustamente compreso lo sviluppo psichico e fisico dell’essere
umano e vengono incoraggiati sul loro studio antropologico, mentre i
creazionisti possono finalmente veder coronata la loro intenzione di dare a
Dio ciò che è di Dio: la creazione dell’uomo e di ogni altra specie.

Questa rivelazione è finalizzata a chiarire con argomenti scientifici, ma
accessibili a tutti, i punti oscuri della Genesi. In sintesi Dio dice che ogni
creazione di una nuova specie è sempre partita da un seme e che mai una
pianta o un animale è stato creato allo stato già sviluppato e adulto come
per magia, sebbene questo Gli sarebbe stato possibile essendo Egli Potenza
Assoluta. Questo principio di iniziare ogni creazione dal seme vale sia per
l’universo che per la vita.

Non spiega come Dio creò la vita biologica ai suoi albori ma, mostrando
come operò per creare il primo Uomo e la prima Donna, suggerisce di
estendere questo principio anche alla creazione di tutte le altre specie.

Quindi, anche il primo Uomo e la prima Donna non furono creati già
adulti, come vorrebbero i creazionisti fondamentalisti, né in via di evoluzione
come vorrebbero gli evoluzionisti, ma vennero creati nella loro prima
cellula e già nella loro perfezione assoluta.

E dove mai avrebbe potuto svilupparsi la vita in embrione se non nel-
l’utero di una femmina di una specie già esistente?

A questo scopo il Signore si servì, come ‘mezzo’ per la creazione del-
l’Uomo e della Donna, di una femmina di una specie ora estinta, quella
degli ancestri (così denominata dal Signore). Perciò questo processo è stato
chiamato ‘creazione mediata’ perché, come dice l’espressione stessa, Dio
ha usato come ‘mezzo’, o supporto, ciò che era già stato creato: regola questa
usata, prima ancora, per la creazione di qualsiasi altra nuova specie. La
sola, ma importantissima, differenza rispetto alla creazione di tutte le altre
specie fu che nella creazione dell’Uomo e della Donna Dio aggiunse, fin
dall’attimo del loro concepimento, un elemento nuovo, il Suo Spirito, così
che essi divennero spiritualmente Suoi Figli.

Quindi l’Uomo deriva, ma ‘non discende’, dalla specie immediatamente
inferiore perché in tutto e per tutto è ‘nuova’creazione non essendo passato
alcun gene dalla specie inferiore a quella superiore. Passò solo il nutrimento.
Ciò non toglie che le due specie, quella umana e quella ancestre, pur
avendo un numero di cromosomi diverso, siano state create con un certo
numero di geni uguali.

Fu l’enorme quantità di specie in progressione di sempre maggior complessità
e perfezione ad indurre in errore gli evoluzionisti che dedussero che
il processo evolutivo fosse spontaneo.

Per quanto concerne i contenuti, il Signore fece vedere a don Guido
come il peccato originale, peccato di disobbedienza, di estrema presunzione
e di autosufficienza commesso dal primo Uomo con la femmina ancestre
dalla quale la specie umana era derivata, inquinò la specie umana perfetta
pregiudicando le generazioni successive. Si determinò quindi una strana situazione:
da un lato si ebbe una discendenza pura e legittima derivata dalla
prima coppia dei Figli di Dio, l’Uomo e la Donna; dall’altro una discendenza
ibrida derivata dallo stesso Uomo e dalla femmina ancestre appartenente
alla specie subumana. Quindi si ebbero due genealogie parallele, una pura
e legittima con tutti i requisiti di perfezione ricevuti da Dio, ed una ibrida e
illegittima che si degradò fino a perdere ogni sembianza umana per mimetizzarsi
fra gli ominidi.

Le novità non sono poi tanto nuove come potrebbero sembrare a prima
vista, perché le due figure femminili, Eva, la femmina ancestre che fu la
partner di Adamo nel peccato originale e che divenne madre di Caino, e
la Donna, la legittima e innocente sposa di Adamo che divenne madre di
Abele e di Set, sono contemplate anche nella antica tradizione ebraica la
quale racconta che furono due le ‘cosiddette mogli’ di Adamo: una, la prima,
Lilith, che generò dèmoni e mostri malvagi, l’altra che generò uomini.

Con il passare del tempo, quando ai Figli di Dio (i discendenti puri di
Adamo) piacquero le più belle delle figlie degli uomini (le femmine dei discendenti
ibridi di Adamo) e le presero in mogli, ossia come schiave concubine
(Gn. 6,2), i due rami genealogici cominciarono a fondersi a spese del
ramo puro che lentamente si assottigliò fino a scomparire definitivamente
come specie pura, assorbito dalla popolazione ibrida. Così i discendenti
ibridi s’inabissarono progressivamente in un’involuzione psicosomatica
che fece perdere loro i requisiti di uomini perfetti per farli sopravvivere allo
stato di ominidi. Pertanto questi uomini ibridi persero non solo il requisito
di Figli di Dio, ma anche lo Spirito di Dio (Gn. 6,3) perché lo Spirito di Dio
non poteva abitare in esseri animaleschi.

Solo dopo che le frange più compromesse furono spazzate via da selezioni
di vario tipo, il Signore iniziò il recupero della specie umana ibrida,
promuovendo un processo di ricostruzione. Alla specie ibrida, cioè discendente
del ramo illegittimo di Adamo, appartiene oggi tutto il genere umano.
I reperti archeologici sono dunque la prova non dell’evoluzione della
specie umana, bensì del suo decadimento e del suo recupero, fenomeni
che spesso si sono intrecciati fra loro. E questo processo di ricostruzione è
ancora in atto.

Quando poi l’umanità rievoluta raggiunse un livello di sufficiente capacità
di intendere e di volere, cioè nella pienezza dei tempi, Dio mandò Suo
Figlio Gesù affinché ridonasse il Suo Spirito a tutti i miti e i giusti della
terra così che, per la Sua obbedienza e mediazione, essi potessero esser
riammessi all’eredità spirituale e potessero esser riaperte loro le porte del-
l’eterna felicità. Perciò, in quanto figli illegittimi, senza la Redenzione ‘non
siamo eredi’ dei beni eterni previsti da Dio per i Suoi Figli legittimi: solo
la Redenzione operata da Cristo può riportare i ‘figli naturali dell’Uomo’
(Adamo) nella condizione di ‘figli adottivi di Dio’.

Questa rivelazione è di una semplicità e di una logica straordinarie,
come lo è del resto ogni cosa che proviene da Dio.

Il Vangelo dice che Gesù, alla fine della Sua missione, disse ai Suoi apostoli:
“Avrei ancora molte cose da dirvi, ma per ora non siete in grado di
portarne il peso” (Gv 16,12). Quindi Gesù sottintendeva che la Rivelazione
rimaneva aperta e che, quando gli uomini fossero stati in grado di ‘portarne
il peso’, cioè di capire correttamente ciò che fosse stato loro rivelato, essa
avrebbe avuto un seguito. Questa rivelazione è un supporto esplicativo di
ciò che è già stato detto nella Genesi mosaica, ampliando dettagli e rispondendo
a quei quesiti che la prima non poteva dare. Se il Signore ha atteso
questi tempi, è perché questa rivelazione, che riguarda principalmente la
genetica, aveva bisogno che la scienza fosse in grado di comprenderne i
passaggi e i contenuti, altrimenti sarebbe stata inutile. Essa è importantissima
perché non solo chiarisce e spiega ciò che nella Genesi è detto ‘in nuce’
sotto forma di metafore o di simboli, ma ci dà quella comprensione che è
indispensabile per capire in profondità il vero significato della Redenzione.

A coloro che obiettano che la rivelazione si è chiusa con l’ultimo
Apostolo perché hanno letto gli ultimi versetti dell’Apocalisse, diremo che,
se fanno bene attenzione, vedranno che questi si riferiscono solo all’Apocalisse.
Nessuno potrà mai limitare la libertà di Dio che, da buon Padre, desidera
avvicinarsi ai Suoi figli attraverso i canali che Egli stesso di volta in
volta sceglie per soddisfare quelle esigenze di conoscenza che proprio Lui
ha stillato nell’uomo. Gesù ha fondato la Sua Chiesa che, pur essendo Una,
si esprime con due funzioni distinte e fondamentali: da un lato la Chiesa gerarchica
è preposta per amministrare la Grazia in tutte le sue forme, dall’altro
la Chiesa carismatica ha la funzione di rendere viva e attuale la Parola
di Dio dandole luce e calore. Queste due funzioni della Chiesa non sono in
concorrenza fra loro, ma sono complementari e si integrano a vicenda.

Il Santo Padre Benedetto XVI, al quale a suo tempo ho fatto pervenire
il libro ‘Genesi biblica’ di don Guido Bortoluzzi, ha successivamente affermato
nelle sue catechesi di fine 2008 che l’evoluzionismo mina in modo
sottile le fondamenta stesse del cristianesimo. Riguardo al ‘peccato originale’,
il 3 dicembre 2008 disse che alla natura originariamente buona dell’uomo
questo peccato “sovrappose una seconda natura” che ha corrotto “biologicamente”
l’umanità e che, ancora “biologicamente”, ossia geneticamente,
si è trasmessa fino ai giorni nostri: esatttamente come si dice in questa rivelazione.
Questo suo intervento sul peccato originale, apre le porte a questa
rivelazione. Nella stessa catachesi il Papa ha ricordato anche la Lettera di

S. Paolo ai Romani nella quale si afferma che “per colpa di ‘un solo’ uomo,
Adamo, il peccato entrò nel mondo (Rm 5,12)...” (ancora in sintonia con la
stessa rivelazione) e che “per i meriti ‘di Uno solo’, Gesù, abbiamo la Vita
(spirituale in Dio) (Rm 6,11)...”. Egli ha ricordato poi che sia il peccato
originale che la Redenzione sono, per i cattolici, dogmi di fede.
Benedetto XVI ha sempre sostenuto che la vera scienza e la fede non
sono in antitesi e auspica che fra esse nasca complementarietà. Ribadisce
che la comparsa di ogni nuova specie è avvenuta per intervento diretto
di Dio Creatore (vedi altre sue catechesi: quella dell’8 e del 10 dicembre
2008). Quindi la dottrina cattolica condivide la scaletta evolutiva fra le specie
proposta dagli evoluzionisti, ma nega l’evoluzione spontanea delle specie
e il sorgere di nuove specie dovuto al caso e alla naturale selezione e dà
a Dio Creatore il giusto ruolo che Gli spetta.

È dunque ragionevole evitare di assumere a priori posizioni negative
di fronte alla rivelazione ricevuta da don Guido, la quale è veramente un
segno della Misericordia di Dio, perché i suoi presupposti sono conformi
al Credo cattolico.

Dice Gesù a Maria Valtorta (vedi i Quaderni del 1944, messaggio dell’8
marzo): “(Prima che finisca quest’epoca) tutto si deve conoscere del simbolismo
biblico che ha inizio sin dalle prime parole della Genesi, e se Io
(Gesù) vi istruisco su un punto finora inspiegato, accogliete il dono e traetene
frutto e non condanna. Non fate come i Giudei del Mio tempo mortale
che vollero chiudere il cuore alle mie istruzioni e, non potendoMi eguagliare
nel comprendere i misteri e le verità soprannaturali, Mi chiamavano
ossesso e bestemmiatore”.

L’esperienza di secoli ci insegna che non basta che una verità non ancora
conosciuta sia verità perché si autoaffermi. La verità ha anche bisogno
di trovare un animo aperto senza preconcetti. E, quando questo avviene, è
necessario, per essere accreditata, che tutti i tasselli razionali s’incastrino
perfettamente e che nessun punto sia in contraddizione con tutti gli altri.

Ho cercato di eseguire questo lavoro con il massimo scrupolo. Dove è
stato possibile ho arricchito il testo con spiegazioni, commenti, descrizioni
più ricche di particolari e di colore, presi da altri scritti di don Guido e da
appunti tratti dalle nostre frequenti lunghe conversazioni con il desiderio di
fare unicamente la Volontà del Signore.

Proporrei un piccolo suggerimento al lettore che, preso dalla curiosità,
potrebbe essere invogliato ad anticipare la lettura di alcuni capitoli. Poiché
questo insegnamento del Signore ha un unico filo conduttore che ha una
logica molto ferrea, se non viene seguito passo-passo, perde molti punti
del suo ragionamento. È come la dimostrazione di un teorema di geometria
che, qualora venga saltato un passaggio, tutto il teorema cade. Ad esempio
la scoperta dell’identità di Eva, fondamentale per la comprensione di tutta
la rivelazione, avviene per gradi ed è giusto seguire il percorso di comprensione
che ha seguito don Guido.

Direi che anche la biografia di don Guido ha molta importanza per capire
come il Signore lo abbia preparato al Suo incontro fin dalla più tenera età.


AMDG et DVM