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sabato 14 luglio 2018

"Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale!”

Dice bene don Camillo: “Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale!”

Da riscossacristina.it riprendo una interessante lezione di apologetica del Prof. Corrado Gnerre che evidenzia lo stato di confusione raggiunto causato dal pastoralismo contemporaneo. Ecco un altro frutto avvelenato del Concilio Vaticano II.
p.Elia

Il Cristianesimo è una religione dei semplici o degli intellettuali? Ovviamente la risposta è scontata: “Ti ringrazio, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto” (Matteo 11,25-26)

Il Cristianesimo è tutt’altro che una religione “gnostica”, cioè basata sulla conoscenza e basta, per cui questa (la conoscenza) sarebbe l’unico criterio di salvezza. No, il Cristianesimo è religione della centralità della volontà e dell’esercizio della virtù. Non a caso nel Pater non diciamo “Signore, sia pensato il tuo pensiero”, bensì “Signore, sia fatta la tua volontà”. Ed ecco perché per il Cristianesimo un analfabeta e un teologo stanno sulla stessa griglia di partenza nella “gara” della salvezza: tutti e due possono farcela in egual misura e a tutte due viene richiesto prima di tutto l’amore a Dio (si sarà giudicati sull’amore). Ovviamente questo non significa che la conoscenza non abbia la sua importanza, essa svolge sì una funzione insostituibile, ma ausiliare; insostituibile perché non si può amare ciò che non si conosce, ma tale conoscenza ha bisogno di tradursi e di completarsi nell’amore, cioè non può rimanere da sola.


Il cattolicesimo contemporaneo, che pur si sciacqua la bocca con bei concetti come: partecipazione attiva del popolo, centralità del sentimento e dell’esperienza della fede e altre stramberie varie, è caduto di fatto in un impietoso intellettualismo, molto peggiore di quello che avrebbe voluto combattere. E ci è caduto proprio perché ha voluto far fuori la dottrina a vantaggio di una fumosa pastoralità. Un esempio? Ve lo faccio subito. Prendiamo la dimenticanza del Magistero. Dimenticanza che è su due versanti: da una parte una dimenticanza-dimenticanza, nel senso che il Magistero sembra essere divenuto un optional perché alla fine il criterio definitivo finisce con l’essere il proprio pensiero; dall’altra una dimenticanza che si esprime con un magistero che è sempre meno Magistero, cioè di un insegnamento che è sempre meno insegnamento, di pronunciamenti che hanno abbandonato un linguaggio preciso, chiaro, definitorio a favore di un linguaggio pastorale, fluido, che molto spesso si ferma in mezzo al guado, che dice e non dice. Insomma al posto dello stile papale-papale … lo stile pastorale-pastorale!

Ebbene, questa dimenticanza del Magistero, da intendersi secondo le due prospettive di cui sopra, ha favorito gli intellettuali e non i semplici. Mentre i primi (gli intellettuali) possono “trafficare” sui documenti e sui pronunciamenti, interpretando e contro-interpretando, glossando a proprio piacimento, forti di una presunta preparazione culturale; i secondi (i semplici) non sanno più che pesci prendere, non hanno più la grazia di ascoltare direttive precise e fanno la classica figura degli asini in mezzo ai suoni … anche se sarebbe meglio affermare degli asini in mezzo agli asini, perché poi, smarrita la verità oggettiva, tutti sono destinati … a ragliare. L’allora cardinale Ratzinger, ancora Prefetto della Congregazione della Fede, sottolineò questo concetto in una intervista rilasciata negli anni ’80 del secolo scorso; e parlò del Magistero della Chiesa come elemento capace di assicurare una vera “democrazia” della Chiesa, cioè una democrazia nella salvezza. Dovendo accettare una verità insegnata e non da interpretare soggettivamente tutti partono con le stesse chances: non solo il teologo ma anche la vecchina di campagna … anzi molto spesso quest’ultima parte avvantaggiata perché più umile e più capace di ascolto.

Se volessimo continuare su questa falsa riga avremmo l’imbarazzo della scelta per indicare esempi. Ma un ultimo lo facciamo. Si pensò di togliere il latino dalla liturgia per renderla più “comprensibile” (come se il Mistero andasse compreso piuttosto che vissuto, ma lasciamo perdere…); dicevamo: si pensò di togliere il latino dalla liturgia per renderla più comprensibile e poi che si è fatto? Si è aperto lo show delle prediche che si sono riempite di parole come: kerigma, koinonia, agape, esegesi… parole facilmente scambiabili come lamento di qualche pensionato greco dinanzi alla crisi economica.

In Don Camillo e i giovani d’oggi il pretone della Bassa difende la richiesta di un suo parrocchiano, il Pinetti, che vuole che sua figlia si sposi con il rito con cui anche questi e sua moglie si erano sposati. Ma il pretino don Chichì è irremovibile…

“La Chiesa deve rinnovarsi!” gridò il pretino. “Lei, dunque, non sa niente di ciò che è stato detto al Concilio?”

“Sì, ho letto,” rispose don Camillo “ma roba troppo difficile per me. Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale, non usava parole difficili, ma solo le umili e facili parole che tutti conoscono. Se Cristo avesse partecipato al Concilio, i suoi discorsi avrebbero fatto ridere i dottissimi padri conciliari.”

Proprio così. Per molti teologi oggi il Vangelo e la Dottrina di Cristo sono troppo semplici, occorre complicarli con redazioni e contro-redazioni, con analisi storico-critiche, esegetiche e diavolerie varie … e alla fine che rimane? La prosopopea del biblista e del teologo di turno.

Dice bene don Camillo: “Io non posso andare più in là di Cristo: Cristo parlava in modo semplice, chiaro. Cristo non era un intellettuale!”

venerdì 4 agosto 2017

Lettera di Giovannino Guareschi al suo Don Camillo

Pubblichiamo una lettera scritta da Giovannino Guareschi al suo Don Camillo subito dopo il Concilio Vaticano II. La lettera diffusa su internet da G. B., è stata pubblicata sulla rivista "Il Borghese" del 19 maggio1966. 

Il Papa si chiama Giuseppe
Lettera a Don Camillo
Caro Don Camillo,    so che Lei è nei guai col Suo nuovo Vescovo. Ero a conoscenza che Lei aveva dovuto distruggere l'altare della chiesa parrocchiale e sostituirlo con la famosa « Tavola calda » modello Lercaro, relegando il Suo amato Cristo crocifisso in un angolo, vicino alla porta, in modo che l'Assemblea gli voltasse le spalle. 
Ed ero pure a conoscenza che Lei, la domenica, celebrata la « Messa del Popolo », andava a celebrarne una clandestina, in latino, per i cattolici nella vecchia intatta cappella privata del Suo amico Perletti. 
Ora, i capoccia della DC Le hanno fatto la spia e Lei è stato schedato in Curia tra i preti « sovversivi» dopo aver ricevuto dal Vescovo una dura ammonizione. 
Reverendo, questo significa non aver capito niente. È giusto, infatti, che Cristo non sia più sull'altare. Il Cristo Crocifisso è l'immagine dell'estremismo. Cristo era un fazioso, un fascista e il suo « O con Dio o contro di Dio » non è che una scopiazzatura del famigerato « O con noi o contro di noi » di mussoliniana memoria. 
 E non si comportava da fascista quando cacciava a manganellate i mercanti dal tempio?
Faziosità, intransigenza, estremismo che l'hanno portato sulla croce, mentre Cristo, se avesse scelto la democratica via del compromesso, avrebbe potuto benissimo mettersi d'accordo coi suoi avversari. 
Don Camillo: Lei non si rende conto che siamo nel 1966. Le astronavi scorrazzano nel cosmo alla scoperta dell'Universo e la religione cristiana non è più adeguata alla situazione. Cristo ha voluto nascere in Terra e se, quando l'ignoranza e la superstizione facevano della Terra il centro o, addirittura, l'essenza dell'universo, la tradizionale funzione di Cristo poteva andare, oggi con le esplorazioni spaziali e la scoperta di nuovi mondi, Cristo è diventato un fenomeno provinciale. Un fenomeno che, come ha stabilito solennemente il Concilio [chiuso l'8.XII.1965], va ridimensionato. 
Per Lei i beatnik, i « capelloni », sono dei pidocchiosi da spedire dal tosacani, e le loro partner con le sottane corte coprenti, a malapena, l'inguine, sono per Lei delle sgualdrinelle da sottoporre d'urgenza alla Wasserman. Invece a Roma, per questi pidocchiosi e queste sgualdrinelle, la Superiore Autorità Ecclesiastica ha organizzato una Messa speciale, una Messa beat suonata e urlata da tre complessi di pidocchiosi. 
Lei è rimasto all'altro secolo, reverendo. Oggi la Chiesa si adegua ai tempi, si meccanizza. E, a Ferrara, nella Chiesa di S. Carlo, sulla « Tavola calda » è in funzione la macchinetta distributrice di Ostie. All'Offertorio, il fedele che intende comunicarsi, depone la sua offerta in un piatto vicino alla macchinetta, preme un pulsante e, annunciata da un festoso trillo di campanello, un'Ostia cade nel Calice. 
E, creda, non è improbabile che, nei Laboratori sperimentali Vaticani, si stiano studiando macchinette più complete, le quali, introdotta una moneta e schiacciato un pulsante da parte del comunicando, caccino fuori una piccola pinza che porge l'Ostia consacrata elettronicamente, alle labbra del fedele. Don Camillo: Lei, lo scorso anno, mi ha rimproverato perché in una delle scenette di casa Bianchi, ho raccontato che il giovane prete d'assalto don Giacomo confessava per telefono i fedeli, e, invece di andare a benedire le case, inviava alle famiglie boccettine di « Acqua Santa spray ». Lei mi ha detto che, su queste cose, non si scherza!
Ebbene, ci stiamo arrivando per iniziativa della Superiore Autorità Ecclesiastica. E non è lontano il tempo in cui, dopo la confessione per telefono, il comunicando riceverà in busta raccomandata l'Ostia Consacrata che egli potrà consumare comodamente a casa servendosi, per non toccarla con le dita impure, di una apposita pinza consacrata fornita dal « reparto meccanizzazione » della Parrocchia. Non escludo che, per arrotondare le magre entrate della parrocchia, il parroco possa far stampare sulla Particola qualche vignetta pubblicitaria.
Don Camillo: io lo so che, adesso, Peppone La sta sfottendo tremendamente. Però ha ragione lui.
Certo che, ora, Peppone La sfotte!  
So che Le ha ordinato di togliere dalla canonica il provocatorio ritratto di Pio XII « Papa fascista e nemico del popolo », minacciando di denunciarLa al Vescovo. Peppone ha ragione: le posizioni si sono invertite e non è lontano il giorno in cui la Sezione Comunista Le ordinerà di spostare l'orario delle Funzioni sacre per non disturbare la « Festa dell'Unità » che si svolge nel sagrato.
Don Camillo: se Lei non si aggiorna e non la pianta di chiamare « senza Dio » i comunisti e di descriverli come nemici della Religione e della libertà, la Federazione Comunista Provinciale La sospenderà a divinis.
Io che La seguo attentamente da venti anni e Le sono affezionato, non vorrei vederLa finire in modo così triste. 
So benissimo che molti suoi parrocchiani, e non solo i vecchi, sono con Lei, ma so pure che Lei se ne andrebbe in silenzio, nascostamente, per evitare ogni incidente o discussione che potessero portare tormento al Suo gregge. 
Lei, infatti, ha il sacro terrore d'una divisione fra i cattolici. 
Ma, purtroppo, questa divisione esiste già. 
 

Il card. Jozsef Mindszenty
So che Lei inorridirà, ma lo dico ugualmente. 
Pensi, reverendo, quale cosa meravigliosa sarebbe stata e quale nuova forza ne avrebbe ritratto la Chiesa se, alla morte del " Parroco del Mondo " [Giovanni XIII. N. d. R.] (che per la sua bontà e ingenuità tanti vantaggi ha dato ai senza Dio ) il Conclave avesse avuto il coraggio di eleggere, come nuovo Papa il Cardinale Mindszenty!
Oltre al resto, questo sarebbe stato l'unico modo giusto, coraggioso e virile per liberarlo dalla sua prigionia: infatti, diventato Mindszenty Capo dello Stato indipendente del Vaticano, i comunisti ungheresi avrebbero dovuto lasciargli la possibilità di raggiungere la sua Sede.
Con Mindszenty Papa, il Concilio avrebbe funzionato ben diversamente, la Chiesa del Silenzio avrebbe acquistato una voce tonante. E Gromyko non sarebbe stato ricevuto in Vaticano e non avrebbe potuto alimentare e consolidare l'equivoco che, creato ingenuamente, a confusione delle già confuse menti dei cattolici da Papa Giovanni, fruttò il guadagno di un milione e duecentomila voti ai comunisti e che forse darà ad essi la vittoria nelle prossime elezioni politiche. 
Quando i parroci potranno spiegare alle rimbambite femmine cattoliche che è peccato mortale solo se si vota per i liberali e i missini, sarà una festa per i comunisti! 
 
Don Camillo, non m'importa se Lei urlerà inorridito, ma io debbo dirLe che, non solo per me, ma per molti altri cattolici « sovversivi », il Papa al quale guardiamo come al luminoso faro della Cristianità non si chiama Paolo ma Giuseppe. 

Josef Mindszenty, il Papa dei cattolici che provano disgusto davanti alle macchinette distributrici di Ostie, alla « Tavola calda » che ha distrutto gli altari e cacciato via il Cristo, alle « Messe yé-yé » e ai patteggiamenti con gli scomunicati senza-Dio. 
Un'altra delle profezie di Nostradamus si è avverata. I cavalli cosacchi si sono abbeverati alle acquasantiere di S. Pietro. Anche se si trattava dei Cavalli-vapore (HP) della limousine di Gromyko. E senza escludere che mons. Loris Capovilla, per rendere omaggio al Gradito Ospite, abbia fatto il pieno al radiatore della macchina di Gromyko con Acqua Santa.

Don Camillo, se ho bestemmiato, me ne pento. Per penitenza ascolterò sei volte il Pater Noster cantato da Claudio Villa
Ma non si preoccupi: la diplomazia vaticana lavora e, minacciando di sospenderlo a divinis, riuscirà a spegnere l'ultima fulgente fiamma di cristianità, costringendo Mindszenty a venire a fare il bibliotecario a Roma. 
O, magari, no. Se Dio ci assiste.

Giovannino Guareschi
(L'Ave Maria:  https://www.youtube.com/watch?v=b9iAb_9GONM&list=RDGHlQxuDeGks )

sabato 22 luglio 2017

Quando un tipo

DESTRA E SINISTRA
(da “La voce di Don Camillo”, benemerito sito controcorrente)

Quando un tipo di destra non è cacciatore e non gli piacciono le armi, non va a caccia e non compra armi.
Quando un tipo di sinistra non è cacciatore e non gli piacciono le armi, chiede che sia proibita la caccia e la vendita di armi.

Quando un tipo di destra è vegetariano, non mangia carne.
Quando un tipo di sinistra è vegetariano, fa una campagna contro gli alimenti di carne e gli piacerebbe che si proibisse di mangiare carne.

Quando un tipo di destra è omosessuale, cerca di fare una vita normale.
Quando un tipo di sinistra è omosessuale, fa apologia dell’omosessualità, va alle manifestazioni “gay pride” e accusa di “omofobia” tutti quelli che non la pensano come lui o usino la parola “culattone” o “frocio” al posto di omosessuale.

Quando uno di destra perde il lavoro, pensa a come uscire dalla situazione e fa di tutto per trovare un nuovo lavoro.
Quando uno di sinistra perde il lavoro, va a lamentarsi col sindacato, spende fino all'ultimo giorno e va a tutte le manifestazioni e scioperi contro la destra e contro gli imprenditori.

Quando a un tipo di destra non mi piace un programma televisivo, cambia canale o spegne il televisore.
Quando a un tipo di sinistra non piace un programma televisivo, se ne lamenta coi giornali, lo denuncia sui quotidiani, alle radio, alle televisioni, ai partiti politici di sinistra e promuove un'associazione perché chiudano il canale televisivo che trasmette quel programma.

Quando un tipo di destra è ateo, non va in Chiesa.
Quando uno di sinistra è ateo, perseguita tutti quelli che credono in Dio, denuncia la scuola o l'istituzione che esponga un crocifisso, protesta contro ogni segno di identità religiosa, chiede che si esproprino i beni della Chiesa, che si proibisca la settimana Santa e ogni processione o pellegrinaggio (contro l'Islam non fa niente perché non ne ha il coraggio).

Quando uno di destra ha problemi economici, cerca il modo di lavorare e di guadagnare di più o cerca di trovare un finanziamento per pagare i propri debiti, e, se può, risparmia.
Quando un tipo di sinistra ha problemi economici ne dà la colpa alla destra, agli imprenditori, alla borghesia, al capitalismo, ai neoconservatori ecc. ecc., poi si mette in un sindacato sperando che lo infili poi in un partito politico o in un'altra sinecura fruttuosa di ricche prebende.

Quando un tipo di destra legge questo scritto, ride e lo manda per mail ai suoi amici.
Quando un tipo di sinistra legge questo scritto, si infuria e dà del fascista e del retrogrado a chi l’ha scritto e gliel’ha mandato.
AMDG et BVM

giovedì 17 settembre 2015

DON CAMILLO

Quando i preti erano i preti!



ANNI '50, L'ITALIA DI DON CAMILLO - BLASETTI E DE SICA, IN OSSEQUIO AL PCI, SI RIFIUTARONO DI GIRARE IL FILM - IL CATTOLICISSIMO FERNANDEL PENSO' DI DIRE NO ALLA PARTE DI DON CAMILLO: TEMEVA DI ESSERE TROPPO IRRIVERENTE

UN LIBRO RACCONTA IL CURATO PIÙ FAMOSO DELLA STORIA DEL CINEMA - INVITATO A COLAZIONE DA DE GAULLE, STIMATO DA CHAPLIN E CONTESO DAI MIGLIORI REGISTI, FERNADEL ERA FEDELISSIMO ALLA MOGLIE - ALLE FIGLIE, PUR MAGGIORENNI, VIETAVA IL ROSSETTO, LE GONNE TROPPO CORTE E IL RINCASARE TARDI. PROIBÌ LORO ANCHE OGNI VELLEITÀ CINEMATOGRAFICA: DOVEVANO STUDIARE E BASTA... -

fernandelFERNANDEL
Rino Cammilleri per “il Giornale”

Nel 1953 due distinti personaggi si presentarono al suo albergo romano, dicendogli che Pio XII voleva conoscerlo. Pensò a uno scherzo. Invece era vero: Papa Pacelli aveva visto il film Don Camillo . E saputo che Fernandel era un buon cattolico. Sempre stato.

Malgrado la Legion d' Onore e la frequentazione dello star system internazionale, fedelissimo alla moglie, che voleva con sé nelle innumerevoli trasferte. Alle figlie, pur maggiorenni, vietava il rossetto, le gonne troppo corte e il rincasare tardi. Proibì loro anche ogni velleità cinematografica: dovevano studiare e basta. Se c' era da esibirsi gratis per i bambini negli ospedali non diceva mai no.

cover libro fernandelCOVER LIBRO FERNANDEL
Due giovani e ingenui sposi francesi volevano far battezzare il loro primogenito a Don Camillo: non ebbe cuore di rivelar loro la verità e pagò di tasca sua la cerimonia.
Fernandel era già celebre anche prima di Don Camillo (1952): invitato a colazione da De Gaulle, intimo delle più grandi star, stimato da Chaplin e conteso dai migliori registi. Il prete di Brescello lo proiettò tra gli immortali di sempre, facendone un' icona.

E pensare che quel film, record stratosferico d' incassi (e incassa ancora oggi), fu rifiutato dai cineasti nostrani timorosi di scontentare il Pci: Blasetti, Camerini, De Sica, Castellani, Zampa dissero no. E la regia passò al francese Julien Duvivier. Il bello è che anche Fernandel aveva pensato di rifiutare la parte, pur se per motivi opposti: riteneva irriguardosi i dialoghi col Crocifisso, quasi fosse anche Lui un personaggio della farsa. Ci pensò Guareschi, che era più cattolico di lui, a rassicurarlo.

fernandel rideFERNANDEL RIDE
Don Camillo fu subito un successo planetario, perfino in Thailandia c' era la fila per vederlo. E Fernandel divenne il prete più famoso al mondo dopo il Papa (parole di Pio XII), anche se aveva al suo attivo decine di film in alcuni dei quali aveva recitato in ruoli drammatici (nel 1950, per esempio, fu protagonista di Meurtres insieme a Jeanne Moreau, sul delicato tema dell' eutanasia). Ora un libro di Fulvio Fulvi ce lo racconta: Il vero volto di Don Camillo. Vita e storie di Fernandel (Ares, pagg. 200, euro; prefazione di Tatti Sanguinetti e contributi di Giancarlo Giannini, Pupi Avati, Paolo Cevoli, Alberto Guareschi, più il Sindaco e il Parroco di Brescello).

Si chiamava Fernand-Joseph-Desiré Contandin, nato a Marsiglia nel 1903. Il nome d' arte glielo appiccicò la suocera quando la di lei figlia le presentò il fidanzato: « Et voilà le Fernand d' elle! ». Quantunque quel giovanotto facesse di mestiere il comico di café-chantant, la donna lo accettò volentieri come genero; diversamente da sua madre, che disapprovò quell' unione per tutta la vita.

fernandel don camilloFERNANDEL DON CAMILLO
Di lontane ascendenze piemontesi, suo padre era un impiegato con l'hobby delle canzonette sposato a una casalinga che, di hobby, aveva quello di recitare in teatro. Fernand prese il vizio di famiglia e cominciò presto, ma coi palcoscenici di provincia non si campava. Provò i mille mestieri, facendosi ogni volta licenziare per inettitudine. Non sapendo fare bene altro che il comico, decise che tanto valeva concentrarvisi. La carriera fu veloce e folgorante. Nel 1928 registrava il suo primo disco a Parigi, recitava a Montparnasse e alle Folies Bergères con Mistinguett.

fernandel don camillo pepponeFERNANDEL DON CAMILLO PEPPONE
Nel 1931 era in un film di Jean Renoir e in uno di Augusto Genina insieme a Jean Gabin. Nel 1937 vinceva la coppa Mussolini a Venezia. Con la fama arrivarono i soldi, tanti, e la sontuosa villa fuori Marsiglia. Ma non si montò mai la testa né, come sappiamo, si fece contagiare dallo stile di vita dell' ambiente lavorativo. Vistolo in un film di Claude Autant-Lara, Mario Soldati lo volle in una sua pellicola scritta insieme al gotha degli sceneggiatori italiani: Garinei&Giovannini, Marcello Marchesi, Monicelli, Steno.


fernandel 5FERNANDEL 5
E poi venne Don Camillo, di cui il produttore Angelo Rizzoli era così entusiasta da presentarsi continuamente sul set (mentre in quello felliniano de La dolce vita non si mostrò mai). Il famoso Crocifisso, opera dello scultore Bruno Avesani (che gli fece cinque teste con espressioni diverse), oggi sta nella chiesa di Brescello per la gioia dei turisti. L' anno scorso il parroco lo portò in processione al Po, come nel film, per scongiurare la piena.
Fernandel morì nel 1971 mentre girava l' ultimo film della saga. Il regista Mario Camerini dovette ripiegare su Gastone Moschin, mentre Lionel Stander faceva Peppone. Fu un prevedibile insuccesso.

FERNANDEL DON CAMILLOFERNANDEL DON CAMILLO
Don Camillo era Fernandel e basta. Un giorno, in una pausa, fece due passi fuori dal set e una bambina gli si inginocchio davanti chiedendogli di benedirla. Lui spiegò che era vestito da prete per finta. Lei volle allora che benedicesse la sua piccola e gli tese la sua bambola. Lui ribadì che non era un vero prete. Lei replicò che neanche la bambola era davvero sua figlia.





AMDG et BVM

giovedì 26 settembre 2013

INDIMENTICABILE-INOLVIDABLE! Ecco un'altra pagina magistrale del nostro Giovannino G.



96. Scrive Giovannino Guareschi (1908-1968) in un’immaginaria lettera indirizzata a don Camillo: 

Don Camillo, perché si rifiuta di capire? Perché, quando il giovane prete inviatoLe dall'Autorità Superiore Le ha spiegato che bisognava  ripulire la chiesa e vendere angeli, candelabri, Santi, Cristi, Madonne e tutte le altre paccottiglie fra le quali anche il  Suo famoso Cristo Crocifisso, perché, dico, Lei lo ha agguantato per gli stracci sbatacchiandolo contro il muro? 

Non ha capito che sono in ballo i più sacri princìpi dell'economia? Che sono in ballo miliardi e miliardi e la stessa sacra Integrità della Moneta? Quale famiglia "bene", oggi, vorrebbe privarsi del piacere di adornare la propria casa con qualche oggetto sacro? Chi può rinunciare ad avere in anticamera un San Michele adibito ad attaccapanni, o in  camera da letto una coppia d'angeli dorati come lampadario, o in soggiorno un Tabernacolo come piccolo bar? (…)

La Chiesa non può più estraniarsi dalla vita dei laici e ignorarne i problemi. Don Camillo, non mi faccia perdere il  segno. Lei, dunque, è nei guai, ma la colpa è tutta Sua. Sappiamo ogni cosa: il pretino inviatoLe dai Superiori Le ha 
proposto -demolito il vecchio altare- di sostituirlo non con una comune Tavola, ma col banco da falegname che il  compagno Peppone gli aveva vilmente fatto offrire in dono suggerendogliene l'utilizzazione. (…) 

Don Camillo, si tratta di un prete giovane, ingenuo, pieno di commovente entusiasmo. Perché non ne ha tenuto conto e ha cacciato il  pretino fuori dalla chiesa a pedate nel sedere? (…) Don Camillo, le cose si vengono a sapere. 

Lei - ricordando le parole del pretino - ha spiegato che, adesso, la Messa deve essere celebrata così e il vecchio Antonio Le ha risposto:  «Ho novantacinque anni e, per quel poco o tanto che ho ancora da vivere, mi basta la scorta di Messe in latino che mi son fatto in novant'anni». «Roba da matti» ha aggiunto la vecchia Romilda. «Questi cittadini vorrebbero farci credere che Dio non capisce più il latino!» «Dio capisce tutte le lingue» ha risposto Lei. «La Messa viene celebrata in italiano perché dovete capirla voi. E, invece di assistervi passivamente, voi partecipate al sacro rito assieme al sacerdote.» «Che mondo» ha ridacchiato Antonio. «I preti non ce la fanno più a dire la Messa da soli e vogliono farsi aiutare da noi! Ma noi dobbiamo pregare, durante la Messa!» «Appunto, così pregate tutti assieme, col prete» ha tentato di spiegare Lei. Ma il vecchio Antonio ha scosso il capo: «Reverendo, ognuno prega per conto suo. Non si può pregare in comuniorum. Ognuno ha i suoi fatti personali da confidare a Dio. E si viene in chiesa apposta perché Cristo è presente nell'Ostia consacrata e, quindi, lo si sente più vicino. Lei faccia il suo mestiere, Reverendo, e noi facciamo il nostro. Altrimenti se Lei è uguale a noi a che cosa serve più il prete? Per presiedere un'assemblea sono capaci tutti. Io non sono forse presidente della cooperativa boscaioli? E poi: perché ha portato via dalla chiesa tutte le cose che avevamo offerto a Dio noi, coi nostri sudati quattrini? Per scolpire quel Sant'Antonio di castagno che lei ha portato in solaio, mio padre ci ha messo otto anni. Si capisce che lui non era un artista, ma ci ha impiegato tutta la sua passione e tutta la sua fede. Tanto è vero che, siccome lui e la mia povera madre non potevano avere figli, appena finita e benedetta la statua, Sant'Antonio gli ha fatto la grazia e sono nato io. Se lei vuole fare la rivoluzione, la vada a fare a casa sua, reverendo». Don Camillo, io capisco quello che Lei ha dovuto provare. Ma la colpa è Sua se si è invischiato in questi guai. (…) Balaustra, angeli, candelabri, ex voto, statue di Santi, Madonnine, quadri e quadretti, Tabernacolo e tutti gli altri arredi sacri sono stati venduti e il ricavato è servito per sistemare la chiesa, per l'impianto stereofonico, dei microfoni, degli altoparlanti, del riscaldamento, eccetera. Anche il famoso Cristo è stato venduto perché troppo ingombrante, incombente, spettacolare e profano. Però metta il cuore in pace: tutta la roba non è andata lontano. L'ha comprata il vecchio notaio Piletti che l'ha portata e sistemata nella cappella privata della sua villa del Brusadone. 


Manca soltanto la balaustra dell'altar maggiore: l'ha comprata Peppone e dice che ci farà il balcone della Casa del Popolo. Però mi risulta che colonnine e ogni altro pezzo della balaustra sono stati imballati, incassati uno per uno con gran cura e riposti in luogo sicuro. Lei sa che, per quanto mi conosca come uno stramaledetto reazionario nemico del popolo, Peppone con me si lascia andare e m'ha fatto capire che sarebbe disposto a trattare. Vorrebbe, in cambio della balaustra, il mitra che Lei gli ha fregato nel 1947. Dice che non ha la minima intenzione di usarlo perché oramai anche lui è convinto che i clericali riusciranno a fregare i comunisti mandandoli al potere senza dar loro la soddisfazione di fare la rivoluzione. Lo rivuole perché è un ricordo.


Don Camillo, io sono certo che quando Lei fra poco tornerà (…) troverà tutte le Sue care cianfrusaglie perfettamente  sistemate nella chiesetta del notaio. E potrà celebrare una Messa Clandestina per i pochi Suoi amici fidati. Messa in latino, si capisce, e con tanti oremus e kirieleison. Una Messa all'antica, per consolare tutti i nostri morti che, pure non conoscendo il latino, si sentivano, durante la Messa, vicini a Dio, e non si vergognavano se, udendo levarsi gli 
antichissimi canti, i loro occhi si riempivano di lacrime. Forse perché, allora, il Sentimento e la Poesia non erano peccato e nessuno pensava che il dolce, eternamente giovane «volto della Sposa di Cristo» potesse mostrare macchie 
o rughe. (…) Don Camillo, tenga duro: quando i generali tradiscono, abbiamo più che mai bisogno della fedeltà dei soldati...




97. Il beato Contardo Ferrini (1859-1902) si recava a Messa ogni mattina, già da giovane, con un suo fratellino. 
Un giorno, dopo la Messa celebrata da un sacerdote ottantenne, il fratellino chiese a Contardo: “Come mai un sacerdote ottantenne –celebrando la Messa di san Pio V- dice: ‘ad Deum qui laetificat juventutem meam?”. Il beato Contardo, battendo la mano sul fratellino, rispose: “Devi sapere, caro Giovannino, che chi è in grazia di Dio è sempre giovane!”


martedì 22 gennaio 2013

DON CAMILLO


DON CAMILLO, IL SORRISO DEI SEMPLICI 


Quando Giovannino Guareschi ha messo al mondo don Camillo, certamente non aveva previsto di inventare uno straordinario e irripetibile catechismo tridentino per il popolo. Voleva raccontare delle storie, ambientate nella sua Bassa, storie in cui risultasse chiaro il suo amore per Cristo e per la Chiesa. L’operazione è riuscita benissimo; talmente bene che chi segue i racconti di Peppone e don Camillo si ritrova in mano un vero e proprio catechismo dei semplici.
L’ortodossia di Guareschi è assoluta, totale, incontestabile. Il suo è un cattolicesimo robusto, solido, senza fronzoli ma anche senza cedimenti alle mode. Invece di scrivere un trattato apologetico, Guareschi fa una cosa più semplice e insieme più difficile: plasma un prete da gettare nelle sue storie, e lo lascia libero.
 
Libero di essere fedele alla Chiesa fino alla radice dei capelli. Tutta l’opera di Guareschi è un quotidiano, implicito giuramento antimodernista. Quel giuramento che fu voluto da san Pio X per difendere la Chiesa dalla diffusione sotterranea di una tremenda eresia –il modernismo, appunto- che minaccia tutt’ora la cattolicità. Si tratta di un giuramento che don Camillo incarna perfettamente, opponendosi a ogni tentativo di sovvertire il deposito della fede, ricevuto dalla Tradizione.
 
Don Camillo è un “curato”; cioè si prende cura delle anime affidategli dal Padreterno. Questo è il primo, il supremo compito del prete.
Ma don Camillo incarna anche, portandosi come ogni sacerdote tutto il carico dei suoi difetti umani, il senso più profondo dell’essere “pastore”. Un pastore che non se ne sta sdraiato ai piedi di un albero a suonare il flauto, mentre i lupi sbranano le pecore una ad una. Ma è un pastore che si comporta coerentemente con il significato della parola episcopo, che ha dato origine al nome dei “pastori della Chiesa” per eccellenza: i vescovi. Quella parola va tradotta letteralmente come “sorvegliante”, e indica colui che, collocandosi in un punto di osservazione sopraelevato, ha una visione d’insieme e si preoccupa di quello. Se un pastore non ha queste caratteristiche, non serve a niente.
 
Spiace dirlo così brutalmente. Ma quelli che hanno liquidato don Camillo come una macchietta creata per far ridere, quelli che lo descrivono come un tipo capace solo di menare le mani e di suonare le campane per disturbare il comizio dei comunisti, quelli, insomma che non hanno letto Guareschi ma che si sentono autorizzati a sentenziare e a stroncare, non hanno capito niente.
Don Camillo è un personaggio della letteratura che ha uno spessore paragonabile a un Maigret, a uno Sherlok Holmes, al curato di campagna di Bernanos. Ovviamente si tratta di una dimensione così intima di don Camillo che il lettore in genere nemmeno se ne accorge. L’ortodossia è come una seconda pelle del prete più famoso del mondo. C’è, ma non si vede. Così la gente legge Guareschi o vede i film della serie omonima, e pensa: divertiamoci un po’, rilassiamoci…E in fondo è giusto che sia così: uno ascolta volentieri una storia perché la trova appassionante. Però è bene ogni tanto riflettere più a fondo, e provare a smontare il giocattolo guareschiano: scoprirà che si tratta di una sofisticata struttura narrativa che poggia su fondamenta dottrinali di robusta costituzione tomistica. Qui sta una delle ragioni del successo magnetico delle storie di Peppone e don Camillo: il lettore (o lo spettatore, nel caso dei film) si trova di fronte a un prete prete.
 
Per don Camillo l’ordine naturale è dominato, prima che dalla categoria dei diritti, dalla roccia solida dei doveri. Perché, dice don Camillo, “Dio non ha doveri: Dio ha solo dei diritti. E di fronte a Dio gli uomini hanno solo dei doveri” (Bellissimo, “Candido” n.19, 1953).
Un Dio che regna senza darsi cura del consenso generale e delle mode del secolo perché “la Divina Provvidenza non ha bisogno di voti per rimanere al governo dell’universo” (Caso di coscienza, “Candido” n.12, 1948).
 
È chiaro che un prete così ha nella santa messa il centro della sua vita. È come se Guareschi ci dicesse: la grandezza di don Camillo sta in questo; non ha la testa piena di libri di teologi protestanti, ignora astruse teorie sulla demitizzazione. Sa poche cose. Anzi, ne sa una sola: che la salvezza del mondo passa per il sacrificio di Cristo. Dice il proverbio, alludendo agli aculei che il riccio può sparare come arma difensiva. “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Ecco, il sacerdote autentico è colui che sa, come don Camillo, una cosa grande, e la annuncia al mondo. E questa “cosa grande”, dice Guareschi con la sua eloquente discrezione, è la santa messa.
Gnocchi&Palmaro


Domine Iesu,
Oderim me et amem te.
Omnia agam propter te.