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mercoledì 21 marzo 2018

Ecco dunque la necessità di riproporre incessantemente, in nome della solidarietà tra le generazioni, una storia dei secoli cristiani libera da preconcetti e opportunismi.


RIFLESSIONI direi OPPORTUNE

Il problema degli Ebrei
Si è già rilevato come l’ebraismo fosse sottratto all’Inquisizione. Gli Ebrei godevano da parte della Chiesa di molteplici garanzie e protezioni; rinomata era la scienza di alcuni di loro e gli stessi Pontefici non disdegnarono di averli spesso come medici personali. Persino l’Inquisizione se ne giovò non di rado come giurati nel corso di processi contro Ebrei convertiti al cristianesimo e caduti in eresia.

In effetti i rapporti tra Ebrei e cristiani furono, a livello di popolo, sempre difficili. Sì consentiva agli Ebrei quel che ai cristiani era vietato, cioè il prestito a interesse o “usura”, praticato a un tasso fisso di circa il trenta per cento. Trascorsero secoli rima che i teologi moralisti ammettessero anche per i cristiani la legittimità dell’interesse sul presto.

Spesso i principi cristiani attiravano gli Ebrei sui territori con la promessa di privilegi, per poter fruire dei loro crediti, di rado in verità rimborsati. In tempo di carestia erano sufficienti due o tre usurai per ridurre in miseria intere comunità rurali, essendo l’agricoltura la principale risorsa dell’economia medioevale. Di qui le sporadiche esplosioni della furia popolare, che le autorità riuscivano ad arginare con fatica. A ciò si aggiunga che i cittadini di religione ebraica non erano tenuti – proprio perché non cristiani – all’osservanza della chiusura festiva delle botteghe, la qual cosa veniva vissuta come concorrenza intollerabile, se si considera che nel Medioevo le festività religiose erano innumerevoli. I ghetti vennero istituiti proprio per motivi di ordine pubblico, così da ridurre al minimo i contatti tra le due comunità. La situazione era estremamente delicata in Spagna, dove gli Ebrei costituivano all’incirca il trenta per cento della popolazione. La propaganda negava sull’Inquisizione spagnola ha inizio con l’invasione napoleonica. Prima, al contrario, gli sforzi dei governi francesi – da Richelieu in poi – erano tesi a dimostrare l’insufficiente severità del Tribunale spagnolo, onde accreditare l’opinione che sola Francia difendesse energicamente la fede.

Per inquadrare correttamente la questione occorre considerare che nella Spagna del tardo Medioevo, appena liberatasi dai Mori dopo una lotta plurisecolare, molti Ebrei si erano convertiti al cristianesimo per mera convenienza, giungendo pressoché a dominare nella cultura, nell’economia e nella finanza. Non di rado importanti uffici erano ricoperti da Ebrei convertiti (conversos). Il già citato storico Jean Dumont riferisce che in Spagna la situazione arrivò al punto che in numerose chiese si celebravano riti giudaizzanti, con cerimonie che in taluni casi non avevano quasi più nulla di cattolico. Così che il popolo insorgeva con tumulti improvvisi accomunando in un solo linciaggio Ebrei, conversos veri e conversos falsi. Il compito precipuo dell’Inquisizione spagnola fu appunto quello di stabilire con esattezza secondo giustizia quali fossero i falsi convertiti. Avocando a sé la questione, si può dire che l’Inquisizione abbia avuto in Spagna il merito storico di aver preservato gli Ebrei dalle invidie di quanti in essi ravvisavano solo il ceto sociale economicamente più forte, e di averne garantito la prosperità.

Per ragione d’assoluta imparzialità l’Inquisizione fu affidata proprio a conversos, uno dei quali fu il famigerato Tommaso di Torquemada. Questi, che i romanzi “gotici” ci hanno tramandato come in personaggio torvo e sanguinano, fu in realtà uno dei più grandi mecenati del suo tempo, instancabile promotore di amnistie proprio a favore di imputati ebrei. In sintesi è doveroso dire che l’Inquisizione spagnola, perseguendo solo chi simulava di essere cristiano per motivi di carriera, assicurò pace sociale e risparmiò al Paese gli orrori delle guerre di religione che di lì a poco, con l’esplosione protestante, avrebbero insanguinato tante regioni d’Europa.
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I Templari e santa Giovanna D’Arco
In queste rapide considerazioni sui più diffusi luoghi comuni intorno all’Inquisizione non va taciuta la dolorosa vicenda dei Templari.

Come è noto, l’Ordine dei Cavalieri del Tempio venne sanguinosamente soppresso agli inizi del 1300. Gli storici sono ormai concordi nel ritenere l’orrendo crimine sia stato ordito dal sempre indebitato Filippo il Bello, re di Francia, al fine di impossessarsi delle ingenti ricchezze dell’Ordine. Clemente V venne praticamente raggirato da uomini al soldo di Filippo, che accusarono i Templari stregoneria e di perversioni sessuali. Siamo al tempo della cattività avignonese, quando la Chiesa era in completa balia dei sovrani francesi.

Fu davvero una vicenda oscura nella storia dell’Inquisizione, così come tale fu in seguito la condanna di Giovanna D’Arco, canonizzata poi da Benedetto XV. Si trattò tuttavia di processi “politici” promossi, nell’un caso, dal re di Francia e, nell’altro, dal sovrano d’Inghilterra, i quali si servirono di figure di comodo nell’assoluto dispregio delle procedure canoniche. I Papi furono tenuti all’oscuro della realtà dei fatti, e in entrambi i processi gli appelli interposti dai condannati non furono nemmeno portati a conoscenza della somma autorità della Chiesa.
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Savonarola, Bruno e Campanella
Controversa rimane a tutt’oggi la figura di Girolamo Savonarola, la cui storia non s’intende qui ripercorrere. C’è solo da precisare – ove fosse necessario – che egli mai ebbe a che fare con l’Inquisizione, non essendo eretico. Come è noto, il Savonarola venne impiccato e arso dalle autorità fiorentine (che prima lo avevano protetto, nella complessa vicenda che vide contrapposte le fazioni cittadine) sotto l’accusa di sobillare il popolo.

Diverso è il caso di Giordano Bruno. Il discusso pensatore ebbe il suo momento di maggior fulgore nel secolo scorso, durante il lungo contrasto che oppose i governi liberal-massonici del neonato Regno d’Italia alla Santa Sede. Al filosofo nolano Crispi fece addirittura erigere a Roma un monumento, in piazza Campo dei Fiori.

Nei manuali di liceo ancor oggi Bruno è presentato come “martire del libero pensiero”, ma il domenicano Tito Centi, uno dei maggiori tomisti contemporanei, confessava qualche anno fa di non capire in che cosa consista tutta la supposta “profondità filosofica” del pensiero del Nolano. Più rilevanti sono le opere di Tommaso Campanella, ad esempio, che pur viene spesso associato a Giordano Bruno. A proposito di Campanella è da dire che, nonostante la sua posizione dottrinale quanto meno eterodossa, pure fu protetto dal Papa Urbano VIII, che ne favorì la fuga dal Regno di Napoli ove era stato implicato in una congiura. 
Dopo una vita ricca di peripezie, a motivo delle ostilità che la sua concezione utopica di palingenesi universale suscitava, il filosofo calabro riparò a Parigi dove pubblicò tranquillamente le sue opere. Contrariamente a quanto i più ritengono, morì in terra francese senza subire alcuna persecuzione. Ma torniamo a Giordano Bruno, la cui vicenda è per molti versi esemplare ai fini del nostro discorso. Questo frate domenicano si segnalò subito per le sue opinioni decisamente eretiche sulla verginità della Madonna, sulla transustanziazione, sul culto dei santi, sull’inferno. Si spinse addirittura a sostenere la liceità della fornicazione e della bigamia, perdendosi in confuse teorie sulla trasmigrazione delle anime. Ovviamente le sue posizioni dottrinali richiamarono l’attenzione dell’Inquisizione (siamo nella seconda metà del ‘500: non si è ancora spenta l’eco della rivoluzione protestante e i massacri conseguenti). Deposto l’abito religioso, Bruno fuggì, peregrinando senza sosta per l’intera Europa.

Fu a Ginevra, dove si fece calvinista. Qui pubblicò un libello giudicato blasfemo e finì in carcere. Dopo esserne uscito, passò prima in Francia e poi in Inghilterra, dove cercò di introdursi alla corte di Elisabetta. Alla regina non piacquero i suoi scritti adulatori, così che Bruno dovette riparare in Germania. In terra luterana indirizzò sermoni celebrativi a Lutero (l’ “Ercole” che aveva sconfitto il “lupo” di Roma), ma il suo carattere ombroso e polemico lo costrinse a cambiare più volte città.

Fuggito anche dalla Germania, riparò a Venezia che proteggeva volentieri gli eretici. Qui fu ospite per un certo tempo di Giovanni Mocenigo, al quale aveva promesso di insegnare l’arte della memoria di cui si proclamava maestro. Ma il patrizio veneziano, giudicando insoddisfacente il profitto che traeva dalle lezioni e preoccupato per i discorsi eretici religiosi del filosofo, lo denunciò all’Inquisizione. Il governo della Serenissima colse l’occasione per liberarsi dell’incomodo ospite ordinandone l’estradizione a Roma. In questa città ebbe come inquisitore Roberto Bellarmino, poi santo e Dottore della Chiesa. Posto di fronte alle sue tesi erronee, Giordano Bruno ritrattò dichiarandosi colpevole e pentito.

Quasi immediatamente però, spinto forse dal suo carattere orgoglioso, rinnegò tutto. Allora, nonostante le suppliche di Bellarmino, fu consegnato governatore di Roma che lo reclamava quale eversore dell’autorità costituita (Bruno aveva sempre disdegnato la disputa coi teologi, preferendo predicare direttamente sulle pubbliche piazze). L’autorità civile si premurò di avviarlo velocemente al patibolo, senza dar tempo agli ecclesiastici di reiterare i tentativi (del resto inutili) per indurre Bruno al pentimento.
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Galileo
Per la vicenda giudiziaria senz’altro più famosa e meno conosciuta, quella cioè relativa a Galileo Galilei, si rimanda al mio scritto “La verità su Galileo” (Fogli, n. 90, settembre 1984). Qui mi limiterò a osservare che la leggenda ha talmente enfatizzato quel processo da trasformarlo arbitrariamente in una requisitoria della religione contro la scienza. Da allora, infatti, nella coscienza molti credenti è radicato un certo complesso colpa e d’inferiorità nei confronti del sapere fisico-matematico.
Purtroppo solo gli epistemologi, cioè i filosofi della scienza, sanno che Galileo fu processato per le sue posizioni teologiche decisamente eretiche, e non perché asseriva che fosse la terra a girare intorno al sole. Questo era noto fin dal secolo VI avanti Cristo, e Copernico l’aveva teorizzato matematicamente prima di lui. Del resto, il moto della terra poté solo essere intuito da Galileo. La dimostrazione scientifica effettiva fu molto più tarda.

Si ravvisa ancor oggi nella Chiesa della riforma tridentina la massima espressione dell’intolleranza, ma pochi sanno che Galileo aveva diversi figli (tra cui una suora) avuti da una donna che non sposò mai e che nelle fonti non v’è alcuna traccia di critica al riguardo da parte ecclesiastica. Anzi, la Curia pontificia lo teneva in gran conto, elargendogli a più riprese onori e somme di denaro. Carattere turbolento, passò la vita in perpetuo contrasto coi colleghi (che disprezzava apertamente), invidiosi della sua fama e del suo genio.
Furono gli astronomi gesuiti a difenderlo e a confermare le sue prime scoperte astronomiche. E furono i colleghi dell’Università a spingerlo a dichiarare pubblicamente che la Sacra Scrittura dovesse essere corretta sulla scorta delle sue scoperte.

Ma la Bibbia non è un libro scientifico: Bellarmino, che gli era amico e per più anni l’aveva protetto, cercò di comporre la controversia suggerendo a Galileo di insegnare le sue teorie per quel che erano, cioè mere ipotesi matematiche, strumenti inadeguati per trattare di teologia.
Dapprima Galileo acconsentì e la Curia lo colmò di onori e privilegi. Tuttavia in seguito, reso forse più sicuro dalla sua fama ormai universale, fece circolare il Dialogo dei massimi sistemi in cui la teoria eliocentrica era riproposta in modo a dir poco offensivo per lo stesso Pontefice Urbano VIII (adombrato nella figura di Simplicio).

Inquisito ancora, inviò certificato medico in cui denunciava malesseri e depressione. Il processo fu rinviato. Quando non fu più possibile differirlo, l’Inquisizione gli permise di alloggiare in casa dei vari cardinali che se ne contendevano la compagnia. La condanna di Galileo consisté nel recitare per tre anni i Salmi penitenziali una volta alla settimana nella sua villa di Arcetri. La pena fu quasi subito commutata, e lo scienziato ricominciò indisturbato a insegnare le sue teorie.
Tuttavia da quel momento si incrinò l’unità di fede e ragione che san Tommaso e altri pensatori della Scolastica avevano perseguito, e la scienza cominciò a rivendicare quell’autonomia assoluta che rischia oggi di produrre la paventate aberrazioni dell’ingegneria genetica.
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Alcune osservazioni di metodo
Si è qui cercato non tanto di denunciare una mentalità profondamente radicata in molte coscienze, quanto di offrire spunti volutamente provocatori in merito all’Inquisizione, tali da stimolare e indurre ad approfondire la verità storica. La verità infatti libera, e la Chiesa non ha nulla da nascondere odi cui vergognarsi nel suo passato. 
Additare per venti secoli agli uomini d’ogni tempo, con mentalità e passioni molteplici e contrastanti, sempre il medesimo messaggio dovrebbe stupire e far riflettere sull’origine dell’istituzione ecclesiale. E tuttavia, sul piano della mera storicità, non è possibile parlare a uomini di secoli diversi e di molteplici nazionalità senza adottare un linguaggio loro conforme. D’altronde, è antico vezzo cercare di dare giudizi di valore avendo come misura la propria mentalità. 
Gli uomini di oggi subiscono il fascino di concetti quali “democrazia”, “libertà”, “uguaglianza”; solo pochi “addetti ai lavori” sono consapevoli che tali idee non avevano alcun significato, ad esempio, per gli uomini del XIII secolo (o ne avevano uno del tutto diverso). Così com’è per noi senza significato il gesto di un cavaliere crociato che passava anni di stenti, di fatiche e di privazioni, solo per avere il diritto di aggiungere al suo blasone gentilizio le insegne del proprio re.

Come argutamente osservava Chesterton, chi non crede più in Dio, lungi dal non credere in niente, finisce col credere a tutto. E, sull’onda della “demitizzazione”, si continua a dare per scontata la “secolare connivenza tra Chiesa e potere”, dimenticando l’ingiuria di Anagni, la cattività avignonese, la lotta per le investiture, il rifiuto del Papa di sciogliere il matrimonio di Enrico VIII (che provocò lo scisma anglicano), e analoghi altri fatti. Così come si continua a ritenere che i “diritti dell’uomo” siano una conquista della Rivoluzione francese e si dimentica il Terrore, o che prima del 1789 non esisteva neppure la leva militare obbligatoria o, ancora, che i concetti di “persona” e di “dignità umana” sono valori affermatisi con il cristianesimo.

Altra grave deformazione della verità è quella di ritenere che sia stato il messaggio evangelico a minare dall’interno le strutture dell’impero romano, laddove fu il cristianesimo a salvarne l’idea, la cultura e lo spirito delle istituzioni; o che le Crociate siano state promosse per motivi commerciali e di espansione… coloniale, dimentichi di quanti sovrani, cavalieri e semplici fedeli persero vita e beni nel tentativo di recuperare alla cristianità i Luoghi Santi. 

Al riguardo canta T. S. Eliot: «Solo la fede poteva aver fatto ciò che fu fatto bene, I l’integra fede di pochi,! la fede parziale di molti./ Non avarizia, lascivia, tradimento,/ invidia, indolenza, golosità, gelosia, orgoglio: / non queste cose fecero le Crociate,/ ma furono queste cose che le disfecero». Ciò che questa digressione ha inteso riaffermare è che non si dà convivenza sociale senza difesa di quelli che si considerano valori comuni. 
Che il regime democratico, fondato sul pluralismo e sulle “regole del gioco”, reprima gli eversori di destra e di sinistra, è cosa che non stupisce nessuno. Orbene, c’è stato un tempo in cui gli uomini si riconoscevano nella Res publica christiana e chiedevano alla Chiesa di essere difesi dai falsi profeti, propagatori di idee non di rado aberranti, tali da minacciare gravemente i fondamenti dottrinali, culturali e istituzionali della società religiosa e civile. Fu a questo compito che sovrintese con mitezza e buonsenso il tribunale dell’Inquisizione.

La “leggenda nera” dell’inquisizione nasce con l’Illuminismo, con quegli ideologi che, portando alle estreme conseguenze l’infatuazione umanistica per un mitico mondo precristiano, si denominarono “illuministi”, cioè coloro che rischiarano l’intelletto liberandolo dall’errore. Essi intesero i secoli fra l’età classica (quale l’immaginavano nei loro slanci letterari: si pensi all’insistenza sulle vantate virtù civiche dei Romani o alla fantasiosa età dell’oro e al mito del buon selvaggio) e quella dei “lumi” come epoca di tenebre, di mera barbarie, favorita dalla “superstizione” cattolica.

L’Inquisizione venne considerata – e additata – come la carceriera dell’umanità, come un “comitato di salute pubblica” incaricato di scovare ed eliminare il “dissenso”, applicando quelle che di volta in volta erano le “direttive” di un presunto Consiglio segreto.

Ma ovviamente né il cristianesimo è una concezione del mondo, né l’Inquisizione fu un tribunale ideologico. Eppure poté tanto la propaganda che i protagonisti della Rivoluzione francese si affrettarono a emanare un decreto che “liberava” le suore dai conventi. Grande dovette essere la loro sorpresa (soprattutto dopo la lettura dei romanzi di Diderot sulla condizione di plagio in cui si sarebbero trovate le monache) quando si avvidero che solamente una decina di suore accettava la “liberazione”, preferendo le altre piuttosto la ghigliottina. La storia attesta che là dove la Chiesa ha perduta la sua incidenza sulla società, il sangue è scorso fiumi. Dove invece fu operante l’Inquisizione, e per tutto il tempo in cui lo fu, ai popoli furono risparmiati gli orrori delle guerre di religione.

Ricordavo all’inizio l’equivoco in cui spesso s’incorre non distinguendo opportunamente fra Inquisizione cattolica e Inquisizione protestante.
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L’Inquisizione protestante
Proprio lo scisma luterano offre agli storici un proficuo termine di paragone. Si pensi a quel che accadde ai cattolici nei Paesi separatisi da Roma: in Inghilterra, i “papisti” erano impiccati e arsi (l’ultimo fu bruciato nel 1696, e la discriminazione civile proseguì fino alla prima metà dell’Ottocento; in Germania, i contadini trucidati venivano allineati lungo le strade a monito contro ogni tentativo di emancipazione sociale; a Münster, gli anabattisti di Giovanni da Leyda arrivarono al cannibalismo sotto l’influsso delle “profezie” del loro capo; in Francia, gli ugonotti (vittime poi a loro volta, ma per ragioni politiche) si resero responsabili di inauditi massacri.

Si consideri altresì il regime teocratico di Ginevra, dove in poco più di un ventennio Calvino mandò a morte una sessantina di persone per bestemmia, idolatria, adulterio. Squadre di “santi” ispezionavano le case, fustigando gli oziosi e arrestando i peccatori. Un fanciullo di dieci anni fu decapitato perché aveva percosso i genitori. Il medico e letterato Michele Servet fu arso vivo avendo modificato – per sbaglio – una parola del simbolo di fede redatto da Calvino. I processi per stregoneria del Massachusetts (i “puritani” del Mayflower portarono in America anche la loro Inquisizione) sono infine troppo famosi perché vi si accenni.

Rotta insomma la comunione con Roma, e di conseguenza l’unità di dottrina che l’Inquisizione cattolica aveva per secoli preservato, le “Chiese cristiane” si moltiplicarono immediatamente scindendosi, separandosi e inquisendosi l’un l’altra, in un processo che si è espanso in progressione geometrica fino ai nostri giorni. Come i sociologi della religione hanno giustamente rilevato, questa moltiplicazione in sètte e gruppi che si proclamavano unici depositari della verità ha dischiuso la via allo scetticismo e all’incredulità, nonché al materialismo e a tutte le filosofie che comunque vi si sono ispirate. Come da tempo non manca di sottolineare un insigne filosofo, Augusto Del Noce, oggi l’idea stessa di una verità da ricercare è stata rimossa: il problema di Dio non è più neanche un fatto privato; è un “non problema”. Il risultato è che la morte di Dio coincide con quella dell’uomo. È questo l’avvertimento che percorre tutto il Magistero dell’attuale Pontefice.
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Verità senza pregiudizi
In anni in cui la Dottrina sociale cattolica conosce un promettente rigoglio e il laicato cattolico viene provvidenzialmente maturando la consapevolezza che una fede che non diviene cultura assomiglia al fico sterile del Vangelo, sembra più che mai necessario che ognuno contribuisca alla edificazione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio. Per questo, secondo l’alta parola di Giovanni Paolo II, “nel suo più nobile significato la cultura è inseparabile dalla politica, intesa come arte del bene comune, di una giusta partecipazione alle risorse economiche, di una ordinata collaborazione nella libertà”. 

Ma in quest’opera di edificazione non va rinnegato né taciuto il proprio passato. Una civiltà cristiana c’è stata, non è da inventare. Pur con i loro limiti gli uomini del Medioevo concepirono e dispiegarono un grandioso sforzo per fondare l’esistenza su valori trascendenti. 
Scrisse Leone XIII nell’Enciclica Immortale Dei (1885): «Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in quell’onorevole grado che le conveniva, fioriva all’ombra del favore dei principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il sacerdozio e l’impero, stretti tra loro per amichevole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare».

Ecco dunque la necessità di riproporre incessantemente, in nome della solidarietà tra le generazioni, una storia dei secoli cristiani libera da preconcetti e opportunismi. 

Una storia – e un fare storia – che non sia più solo trastullo d’alto livello per intellettuali, ma che appaghi quella fame di chiara e semplice verità a ragione pretesa dai più giovani. 

Nell’indirizzarsi a loro, durante una celebre omelia del novembre 1974, il cardinal Stepan Wyszynsky esortava: «È venuto il tempo in cui dovete dire ai vostri educatori e professori: insegnateci la verità e non ci distruggete. Non strappateci la fede. Non annientate il nostro modo di vivere cristiano e morale attraverso uno stolto laicismo del quale nessuno comprende il senso e per il quale viene speso tanto denaro. 
Non ci togliete la fede nel Dio vivente. […] È venuto il tempo in cui voi, giovani, nelle università e nelle case degli studenti, dovete avere l’ardire di esigere: non ci strappate la fede perché non ci potete dare nulla di più prezioso in cambio».

Conformemente a una massima del tempo, gli uomini della cristianità medioevale pensavano sé stessi come nani appollaiati sulle spalle di giganti. Nani sì, ma che potevano veder più lontano proprio perché tenevano nel giusto conto la tradizione. L’Inquisizione fu un istituto storicamente necessario. Se viene studiata correttamente, basandosi cioè sui fatti e non muovendo da pregiudizi o mettendo “le mani avanti” come il Ciampa pirandelliano” la fede del credente avrà un’ulteriore conferma.
(*) Comparso in Fogli n. 131/32 – Agosto/Settembre 1988

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Omnia possum in Eo qui me confortat

lunedì 20 novembre 2017

"Caso" Galilei

(di    Mauro Faverzani) 

Il cosiddetto “caso Galilei” torna a far parlare di sé dopo l’articolo del giornalista Paul Badde pubblicato sul quotidiano tedesco Welt” e ripreso lo scorso 3 novembre dall’agenzia Kreuz.net. Articolo, che capovolge e stravolge la “vulgata” sull’argomento, sostenendo come dar torto alla Chiesa sia oggettivamente impossibile. Per due motivi: «Innanzi tutto – scrive Badde – perché Galilei è divenuto a lungo un mito, senza che ve ne fosse un motivo reale. In secondo luogo, perché in questo processo fu l’Inquisizione ad aver ragione e non il contrario».

Il giornalista fa notare come oggi in questa faccenda siano paradossalmente gli stessi intellettuali atei e “mangiapreti” a dar man forte alla Chiesa, dal filosofo marxista Ernst Bloch fino allo scettico agnostico Paul Feyerabend, che nel 1976 scrisse nel suo saggio Contro il metodo obbligato (traduzione più fedele al titolo originale tedesco rispetto alla resa italiana, più semplicistica, “Contro il metodo”– NdA): «La Chiesa nel caso Galilei si attenne alla ragione molto più di quanto fece Galilei stesso, poiché tenne in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali derivanti dagli insegnamenti dello scienziato. Il verdetto fu razionale e giusto e la sua revisione fu dettata soltanto da logiche di opportunismo politico». È, questo, un passo poco noto e di raro citato testualmente, benché risulti paradigmatico. E che fa il paio con quello scritto da Rino Cammilleri nella sua rubrica “L’antidoto” il 15 gennaio 2008, allorché fece notare come non fosse stata «la Chiesa a metter bocca nella scienza, ma Galileo a voler fare il teologo».
Senza addentrarsi nello specifico, poiché materia già trattata – e con rigore scientifico – in altra sede, val la pena solo ricordare come la “condanna” fosse consistita, in realtà, soltanto nella recita dei sette salmi penitenziali ogni settimana per tre anni, compito oltre tutto che l’imputato – col consenso della Chiesa – delegò volentieri alla figlia monaca, Suor Maria Celeste. Niente carcere, dunque, niente torture, niente isolamento, niente censure, tanto che l’opera ritenuta il suo capolavoro scientifico, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, uscì cinque anni dopo la sentenza.
La verità sta nelle parole del medievista francese, Leo Moulin, che nel suo libro L’Inquisizione sotto l’Inquisizione dichiarò: «Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza. A furia di insistere, dalla Riforma ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci. Invece io, agnostico ma storico che cerca di essere oggettivo, vi dico che dovete reagire, in nome della Verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero vi fosse, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre». Che debbano essere i laicisti ed i non credenti a convincere i Cattolici, è il colmo…


sabato 18 novembre 2017

GALILEO GALILEI...

...AVEVA TORTO O RAGIONE?

e Crombette ci dà una mano

...
pag145 Fortunatamente, ...è facile cercare da dove è venuta la Relatività e analizzare le sue basi scientifiche. Questa inchiesta alla quale le circostanze mi hanno portato in un modo del tutto naturale, mi ha permesso di fare al contempo tutto il processo dell'Astronomia moderna... Alla scuola laica, al liceo e al Politecnico, tutti i miei professori avevano acceso nella mia intelligenza l'amore per la verità scientifica basata sugli esperimenti, e devo dire che ancor'oggi tengo molto alto questo amore per la verità scientifica, giacché lo studio dell'universo è certamente un eccellente mezzo per arrivare alla verità. Ora, nel 1921, mentre mi trovavo a Londra, dopo lunghe assenze dalla Francia, si produsse l'offensiva relativista. Tutti possono ricordarsi con quale rapidità e con l'aiuto di quale chiassosa pubblicità Einstein divenne celebre. Articoli, conferenze, incoraggiamenti dalle società scientifiche, tutto fu messo in opera per volgarizzare in pochi mesi la Relatività. Stupito da tutto ciò che leggevo di assurdità e paradossi, ben sapendo che questo movimento non poteva essere nato dall'oggi al domani, cercai di informarmi il più velocemente possibile sulle cause e le origini di questa audace rivoluzione scientifica. Fu in un libro sulla Relatività, del politecnico Becquerel, che scoprii gli altarini. Tralasciando tutto l'apparato matematico di questo libro, tutte le sedicenti dimostrazioni rigorose delle peggiori assurdità, mi resi presto conto che ci doveva essere in queste teorie un grave errore di principio. Fu allora che lessi per la prima volta che esiste un esperimento che prova che la terra non si sposta. Ma ecco il modo in cui lo presenta Becquerel: «Q uesto studio ci condurrà al celebre esperimento col quale Michelson aveva pensato di mettere in evidenza il movimento della terra; vi troveremo, tra l'effetto previsto e il risultato sperimentale, una discordanza completa e cercheremo le cause profonde di questo disaccordo... Non si è mai ottenuto, nell'esperimento di Michelson, nessuno spostamento delle frange in nessuna epoca dell'anno. Tutto appare come se la terra fosse immobile. Il disaccordo tra l'esperimento e la teoria è brutale! » Documentandomi meglio appresi, non senza stupore, che questo esperimento, di cui i miei professori non avevano mai parlato, era stato fatto dallo scienziato Michelson a 145 - La terre ne bouge pas, Douriez-Bataille, Lilla, riedizione del 1934. 146 Chicago, fin dal 1880, e da lui ripetuto numerose volte fino al 1887. Ed è qui che richiamo con insistenza l'attenzione dei lettori. Dal 1880 al 1887, cioè oltre cinquant'anni fa, Michelson aveva cercato, con l'aiuto di un apparecchio studiato in modo molto logico, di svelare e misurare la velocità della terra attorno al sole. Il suo apparecchio aveva sempre risposto "velocità nulla". Logicamente, bisognava concluderne che la terra non gira; ma i maestri della scienza lasciarono questi esperimenti sotto il moggio. Perché non li hanno resi classici come tutti gli altri? Perché non li hanno divulgati? Perché sono stati nascosti ai professori e agli istruttori di allora? Avevano paura di rallentare lo zelo e di raffreddare l'entusiasmo dei tribuni e dei divulgatori che facevano allora a gara per distruggere le antiche credenze nelle masse popolari in nome dell'affare Galileo? E i miei lettori comprenderanno adesso tutta la gravità della questione..., intuiranno con che paziente risoluzione io ne ho scavato le profondità per dodici anni e come sono felice di annunciare... le irrefutabili dimostrazioni, basate su quattro esperimenti, di questa semplice verità: La terra non gira!» Plaisant dettaglia quindi il primo esperimento di Michelson, l'esperimento di Iena, il secondo esperimento di Michelson, quello della girandola elettrica e quello del gravimetro di cui abbiamo già parlato. In un terzo opuscolo146 egli scrive questa frase che può essere considerata come una conclusione: « Ho verificato, in un modo che non può lasciare alcun dubbio, che la Scienza classica moderna nasconde scientemente ai suoi allievi degli esperimenti la cui interpretazione immediata dimostra l'immobilità della terra, e che questa stessa Scienza autorizza i relativisti, che io comparo volentieri a degli estremisti dell'errore moderno, ad avvalersi di questi stessi esperimenti per affermare le loro assurdità e distruggere il buon senso.» Se ci poniamo dal solo punto di vista scientifico, possiamo riassumere come segue il sistema astronomico di Plaisant: egli riprende integralmente l'ipotesi di Tycho Brahè; fa dunque, da questo punto di vista, una netta marcia indietro in rapporto all'ipotesi di Galileo; ma al contempo raggiunge la teoria di Mach e di Einstein sul campo gravifico universale, ed in questo si trova, certo a sua insaputa, tra le truppe d'avanguardia. L'opinione di Plaisant cade dunque sotto il colpo dei due principali rimproveri che si possono fare all'ipotesi di Tycho Brahe, cioè: «Come l'immensità dell'universo, in cui la Via Lattea è, in ogni caso, estremamente lontana dalla terra, potrebbe fare un giro in 24 ore?» Plaisant può ben dirci che le stelle sono molto meno lontane di quanto non pretendano gli astronomi, sono comunque ben oltre gli ultimi pianeti di cui si conosce bene la distanza, il che le obbligherebbe a percorrere milioni di chilometri al secondo, velocità concepibile solo per dei movimenti ondulatori, ma incompatibile con una natura materiale. Ora, se gli astri sono luminosi, non lo sono perché sono luce pura, come suppone Plaisant, ma perché la materia di cui sono formati è portata all'incandescenza; l'analisi permette di riconoscervi la presenza di corpi terrestri e le meteoriti lo confermano. In secondo luogo, né Plaisant né Tycho-Brahe spiegano come la terra potrebbe restare in equilibrio al centro dell'universo essendo sprovvista di qualsiasi movimento. Plaisant ha ragione di dirci che serve un punto fisso a una geometria razionale; ma la geometria è un'astrazione mentre il mondo è concreto. Comparazione non è ragione, e un'affermazione richiede una dimostrazione. Si capisce benissimo che la luna deve girare attorno alla terra per non cadervi sopra; si vede meno come la terra potrebbe non cadere sul sole se non fosse essa stessa animata di un certo movimento. Plaisant ha un bel fare della terra il polo centrale cavo di un campo gravifico a poli asimmetrici, di cui il secondo è il cielo; la sua supposizione richiederebbe per la terra una massa capace di far equilibrio al resto dell'universo, concezione anormale e d'altronde incompatibile con l'idea di una  terra cava. Per di più, niente nella Bibbia, ispiratrice dei nostri due studiosi, richiede la non rotazione della terra su se stessa; noi al contrario abbiamo mostrato, con una traduzione stretta dei Libri Sacri, che essi menzionavano a più riprese questa rotazione. Quanto al campo gravifico universale di Plaisant, esso è esposto alle stesse obiezioni che noi abbiamo fatto a quello di Einstein. Il fatto che Plaisant sia partito da una concezione diversa da quella di Mach, non vi cambia niente se il risultato è lo stesso. La concezione che tutte le forze esterne a un pezzetto di rame farebbero equilibrio alle sue forze interne, lungi dallo spiegare il movimento, è tale da escluderlo poiché vi è equilibrio. Il grande merito di Plaisant, che non deve essere sottostimato, è di aver preso nettamente posizione contro il Relativismo, di averne denunciato gli effetti nefasti e di avergli opposto un saggio di teoria costruttiva. Citeremo ancora di lui, su quest'ultimo punto, i seguenti passaggi: «É risaputo come Nordmann cercò, nei suoi libri e nel Matin, di precipitare la marcia verso l'assurdità e l'agnosticismo dopo che "Tourne-t-elle?" ha convinto i massoni che una teoria seria era oggetto di un tentativo di ritorno alla verità dell'immobilità della terra che avrebbe rimesso in causa tutta la questione religiosa nelle masse popolari. Questo astronomo era senza dubbio stato avvisato che doveva aver luogo una conferenza pubblica su questo argomento, giacché nei quindici giorni che l'hanno preceduta, due articoli sono apparsi in prima colonna sul Matin con dei titoli sensazionali. Ed ecco la conclusione di uno dei due articoli: "Il processo di Galileo non è dunque stato, senza dubbio, che un gigantesco malinteso, nel quale Galileo e i suoi giudici dicevano la stessa cosa con dei linguaggi diversi. Essi ebbero dunque torto a condannarlo, poiché egli affermava gli stessi fatti, ma con altre parole". Avete capito bene: il processo di Galileo, un uomo davanti a dei giudici, la tortura di cui è implicitamente minacciato, il rogo che può domani consumarlo, tutto ciò è un semplice malinteso. Giudici e accusato dicevano la stessa cosa senza avvedersene! 

Interrompiamo la citazione per porre questa domanda: ma allora, quelli che per più di trecento anni hanno veementemente rimproverato alla Chiesa di aver sostenuto "i propri errori" contro "la verità" di Galileo, hanno dunque avuto torto, anch'essi, per la stessa ragione della Chiesa nel condannare Galileo? - Perché non l'hanno detto allora: "è un semplice malinteso?" Perché dirlo solo adesso che gli esperimenti sono contro Galileo?» Plaisant prosegue: «La scienza sostiene di non occuparsi di morale. Aspettate che l'avvocato di un omicida trasporti davanti ai giurati questa bella teoria e che dica semplicemente: "Siamo in presenza di un semplice malinteso. Questo coltello insanguinato che voi credete di vedere sul tavolo non esiste che nella vostra immaginazione, o piuttosto è la stessa cosa sostenere che esiste o che non esiste; non più del cuore della vittima nel quale si è creduto di trovarlo mesi orsono". E non crediate che io esageri. Jeans, segretario perpetuo della Royal Academy, a Londra, ha pubblicato un lungo articolo, il 24 marzo 1928, su Nature, da cui estraggo i seguenti passaggi; l'inizio: "L'antropologia e la geologia ci dicono che l'uomo esiste sulla terra da circa 300.000 anni ed è a questa antichità che dovremo risalire per incontrare il nostro antenato, la scimmia"; e l'ultima frase: "L'immagine che l'uomo vede è forse una semplice creazione della sua mente nella quale nulla esiste eccetto lui. L'universo, che noi studiamo con tanta cura, è forse un sogno e noi siamo forse delle cellule cerebrali nella mente di un sognatore". Se per caso qualcuno sostenesse davanti a voi (questa tesi), non accontentatevi di trattarlo da folle, ma consigliategli di colpire un muro a colpi di pugno fino a soffrirne; e se egli nega la sofferenza fino a sanguinare, e se nega il sangue fino a rompersi la mano, infine fino a quando sia arrivato ad uno stato tale per cui un'anima 148 compassionevole venuta per curarlo avrà (allora) trovato la via della sua ragione e del suo cuore per dirgli: "Ma sì, mio povero amico, il muro esiste, e l'universo anche, e proprio così come noi li vediamo; quelli che vi hanno detto il contrario sono degli insensati, come voi fino a poco fa; sì, dei veri banditi scientifici che le autorità dovrebbero distruggere senza pietà, giacché essi sono gli agenti diretti di Satana che, non potendo distruggere l'universo prima del tempo segnato da Dio, non hanno trovato niente di meglio che pretendere e far insegnare che l'universo, questo testimone fastidioso e irrecusabile dell'esistenza di Dio, non esiste più". É del resto inutile contare attualmente sui poteri pubblici per mandare all'impiccagione o alla ghigliottina gli uomini potenti che seminano tali dottrine e che sono infinitamente più colpevoli dei ladri e degli assassini ai quali essi danno la scusa di credere alla relatività del portamonete, della cassaforte o della vita umana. In Inghilterra o in Francia non c'è manifestazione scientifica dove i ministri non rincarino la dose su queste assurdità con un pomposo elogio della Scienza. Tutti sanno che i ministri dell'Istruzione pubblica e della Giustizia, in Francia, non sono liberi, forse ancor meno su questo terreno scientifico che nei domìni religiosi o politici. Ho avuto un giorno l'opportunità di sondare a fondo la mentalità che impedisce a certi uomini di conservare la chiara nozione della loro libertà di fronte a certi dogmi della Scienza. Era il 1925..., mi trovavo tra Modane e Chambèry, nel corridoio di un vagone, a fianco di due inglesi di circa trent'anni che discutevano del progresso indefinito della Scienza. Forse erano dei professori o degli assistenti di un'università britannica. Entrambi erano convinti che il progresso, malgrado degli alti e bassi, malgrado le guerre e le catastrofi materiali, era assolutamente certo, e la loro affermazione risvegliò in me tali sentimenti che non potei impedirmi di chieder loro di prendere parte alla conversazione. Li portai a parlare di Michelson, di Einstein, dell'idea di Creazione, della Fede, della Bibbia, per la quale essi non nascosero affatto di avere la più completa indifferenza, ed io finii per chieder loro quale sarebbe il loro atteggiamento se un giorno la stessa Scienza scoprisse che tutta la Bibbia è vera, parola per parola. Non dimenticherò mai la fredda risoluzione che c'era negli occhi blu del più attempato di questi britannici quando mi rispose che, anche in questo caso, egli lascerebbe la Bibbia da parte. Erano dei massoni? Forse dei giuramenti solenni li legavano irrevocabilmente a questa corsa sfrenata verso l'impenitenza finale senza alcun diritto di guardare indietro; lo ignoro, ma ho ben misurato, quel giorno, con quali nemici la Verità aveva a che fare; sono stato confermato nella certezza dell'opera abominevole che le riviste Nature, in Inghilterra, e Revue Générale des Sciences, in Francia, hanno la missione di proseguire costi quel che costi, ed ho rabbrividito nel pensare che tanto di filosofi cattolici sono preda di una tale congiura. Ora, nel 1922, lessi in qualche numero scompagnato di una rivista che si occupa di società segrete, una lista di istruzioni generali ad uso dei membri di società di libero pensiero della periferia sud di Parigi; una di queste era di non lasciar mai rimettere in causa la questione della mobilità della terra. Sapevo troppo bene che era per l'affare Galileo che la fede era stata tolta dall'intelligenza delle masse popolari per stupirmi di un tale consiglio e per non considerarlo come una prova, indiretta senza dubbio, ma molto importante, dell'immobilità della terra. La tattica adottata dalla massoneria, e oggi imposta all'umanità da tutto un sindacato internazionale la cui sede sociale dev'essere a Londra o a Chicago, è d'altronde ben comprensibile. La scienza anticattolica, il cui successo demagogico è basato sull'infame leggenda di Galileo, si è rotta il naso in un vicolo cieco e la logica esigerebbe imperiosamente un ritorno indietro; ma siccome essa è riuscita a trascinare l'umanità e anche la Chiesa Cattolica nel suo vicolo cieco, bisogna ad ogni costo impedir loro di pensare di tornare sui propri passi. In quel grande giornale del mattino, la prima colonna è periodicamente affidata ad un astronomo la cui sola missione è di riversare nei cervelli di un milione di lettori 149 l'assurdità e lo scetticismo e di appannare la chiarezza delle intelligenze proprio come gli altri sporcano la purezza dei cuori. É proprio lui che, avendo letto Tourne-t-elle? del 1922 senza neanche accusare ricevuta, e inseguito dalle verità che questo opuscolo racchiude, non ha avuto paura di intitolare La terre tourne-t-elle? un capitolo di 50 pagine nel suo libro odiosamente intitolato Le Royaume des Cieux (1923), di non farvi allusione alcuna al mio opuscolo, ai miei argomenti e al modo in cui io concepisco l'universo, e infine di terminare questo capitolo con l'enormità seguente: La terra gira? Sì, se vi piace; no, se non vi piace. No, signor Nordmann, se la terra gira o non gira, ciò non dipende né da voi né da me, non più di quanto non dipenda da voi essere uomo o donna. O si è l'uno o si è l'altra, e l'esperimento di Michelson ha provato che la terra non gira. Tanto peggio per voi se non vi piace che ci sia un paradiso e un inferno. Speriamo che scegliate la parte buona prima che sia troppo tardi.» 

pag 149:

La teoria di Ollivier 


Dopo Gustave Plaisant, ecco un secondo politecnico, Maurice Ollivier, che, nel suo libro Fisica moderna e realtà, ci dice anche lui che la terra non gira. Citiamo alcuni passaggi del suo studio: «Quando mi ritirai in campagna e, per semplice curiosità, mi misi a scoprire e poi a guardare più da vicino la Fisica contemporanea, non avevo più gli occhi ammirativi dei vent'anni ma nessuna prevenzione contro di essa. Da Newton a Maxwell, quanti nomi illustri avevo imparato a venerare! Dei lavori dei loro successori non sapevo, per contro, quasi nulla, salvo di alcuni esperimenti. Ma come cercare di prendere la misura del "genio" di Einstein? Qual era, almeno per l'essenziale, l'opera di un Niels Bohr, di un Louis de Broglie, di un Heisenberg? Dunque, con libertà di spirito, lessi dei grandi corsi attualmente professati e dei libri. Ci fu subito qualche stupore, della sorpresa. Poteva la realtà essere tale? Ed io rilessi. Gli sviluppi matematici, a prima vista li ammisi. Ma certi ragionamenti mi sembravano dubbi, per non dire viziosi. Dei sofismi? E rilevai delle contraddizioni bizzarre, delle contraddizioni via via più numerose e nei campi più diversi. Da dove provenivano? Poco a poco, il dubbio fece posto allo stupore... Con tanto di potenza intellettuale e di sapere, quale contrasto! E le critiche, venute una dopo l'altra, a precisarsi, a ordinarsi, con le idee, con argomenti nuovi. É allora che, risalendo ai princìpi, e non senza aver esitato davanti allo straordinario di certe conseguenze, intravidi le prospettive scientifica, filosofica, e anche, cosa inattesa, religiosa di un'opera. Il mio lavoro diveniva una appassionante "azione cattolica". Ecco la storia di questo libro. Spero che i... miscredenti non me ne vorranno di questa franchezza, e che le menti devote cercheranno di vederci chiaro senza spirito di parrocchia. Non mi si voglia dunque fare alcun processo di intenzione, soprattutto malevolo! Non si tratta affatto di una fantasia paradossale. Scrivendo con convinzione, io chiedo al lettore dell'obiettività. Di cosa si tratta? Essenzialmente, del reale. Sul reale, quali sono i veri postulati, i postulati fondamentali della Fisica contemporanea? Innanzitutto quello del Vuoto assoluto, cioè del niente: un vuoto infinito al quale si conferisce, almeno in pectore, l'esistenza. É come sottintendere l'esistenza del niente 147 - Les editions du Cédre, 13, R. Mazarìne, Parigi. 150 (sotto la copertura della parola "mezzo"). E, per chiave di questo Vuoto, un numero: la velocità della luce sarebbe sempre misurata con lo stesso numero, per quanto rapido e vario sia il movimento proprio dell'osservatore! Infine... non più traiettoria: tutto saltellerebbe a caso nel Vuoto e nell'istantaneo. C'è da stupirsi che, trattandosi del reale, un irrealismo tanto crudo sia così pieno di contraddizioni?... Non si spiega il reale a prezzo di contraddizioni inveterate. Esiste un ordine vero nello spirito e nelle cose, il tutto insieme. Non avremmo più la forza di credervi? Quanto ai progressi tecnici, argomento minore che è illusorio, non sono di tutti i tempi? Lo si dimentica nel rumore e nella propaganda, mentre, dalla macchina a vapore alla bomba atomica, le teorie si succedono e con delle idee più o meno false sul calore o sull'energia nucleare, gli ingegneri lavorano... Un'arringa di questo tipo non potrebbe dunque soddisfare tutti i filosofi, almeno presumo, né i cristiani riflessivi. La civiltà occidentale, in effetti, se anche fosse più industrializzata, perderebbe persino la sua ragion d'essere se, essendo le cime oscurate da nuvole, pensassimo di poter restare tranquillamente confusi nelle conche di questa incoerenza. Fatto essenziale e dunque primo, c'è del continuo nel nostro universo sensibile, e non "il Vuoto". Fatta questa riflessione e anche a priori, è una certezza, e il resto, tutto il resto, ne consegue. Lo si potrà dotare di ogni sorta di virtù o di tendenze occulte, il niente non è nemmeno un "mezzo di riferimento", ancor meno di casualità: non esiste. Che importa adesso, almeno per uno spirito religioso, che la terra giri o non giri! É lo stesso... Ma essa è immobile, questo è un fatto. Gli esperimenti di Michelson ne danno la prova; e ve ne sono altre... In particolare, avendo la nostra atmosfera del continuo che supporta le onde, le equazioni dell'elettromagnetismo non vi si verificherebbero affatto - non potremmo neanche scriverle - se la terra con la sua atmosfera fosse trasportata nello spazio in vortice. Anche da solo, l'argomento potrebbe bastare. Questo risultato, molto spettacolare, sembra inaudito. Ma rivoltiamo il problema formulando le ipotesi contrarie a quelle che sono ammesse e tutto si chiarisce, sono delle illusioni che cadono. Per esempio, ci si è talmente ripetuto che le stelle sono enormi soli a distanze favolose che, guardando il cielo, non immaginiamo più che possa essere altrimenti. Ma essendo la terra immobile, non si sà più niente di queste distanze (né dei volumi, né delle masse)... Comparati all'enorme inerzia della terra, gli astri sono, in più o in meno secondo la loro natura, dei fenomeni essenzialmente luminosi. Fatto sta che, per l'autore, l'immobilità del nostro habitat è diventata più di una certezza acquisita per esperienza e ragione: è un'evidenza... Davanti al cielo, siamo così riportati alle soglie dell'ignoto. Sono dei punti interrogativi, molti punti interrogativi che conviene porre... Si tratta dello spirito e dei princìpi della Fisica contemporanea. E senza dubbio vi direte anche: "Che ci sia del continuo nella materia, sia! Ma che la terra sia immobile?" Riconosco volentieri che, per uno spirito aperto ma sorpreso, il dubbio è oggi la prima attitudine che conviene. Non è pertanto avere più assoluto nello spirito il pensare che la terra è immobile piuttosto che il contrario... Ho torto? Ho ragione? Nel nostro universo sensibile tempestato da radiazioni, cos'è che gira? Ammetterete dunque, lo spero, che al termine delle sue riflessioni e su questi due punti, che d'altronde sono legati, l'autore sia diventato molto affermativo. Sono i pastori di Caldèa che, nella loro ignoranza ammirativa, vedevano giusto quando la notte, avvolti nei loro mantelli, guardavano sfilare lentamente le stelle. 1

sabato 10 novembre 2012

“Caso” Galilei... Vi dico che dovete reagire, in nome della Verità.



“Caso” Galilei: il quotidiano tedesco “Die Welt” dà ragione alla Chiesa

galileo Galilei

(di Mauro Faverzani) Il cosiddetto “caso Galilei” torna a far parlare di sé dopo l’articolo del giornalista Paul Badde pubblicato sul quotidiano tedesco Welte ripreso lo scorso 3 novembre dall’agenzia Kreuz.net. Articolo, che capovolge e stravolge la “vulgata” sull’argomento, sostenendo come dar torto alla Chiesa sia oggettivamente impossibile. Per due motivi: «Innanzi tutto - scrive Badde - perché Galilei è divenuto a lungo un mito, senza che ve ne fosse un motivo reale. In secondo luogo, perché in questo processo fu l’Inquisizione ad aver ragione e non il contrario».

Il giornalista fa notare come oggi in questa faccenda siano paradossalmente gli stessi intellettuali atei e “mangiapreti” a dar man forte alla Chiesa, dal filosofo marxista Ernst Bloch fino allo scettico agnostico Paul Feyerabend, che nel 1976 scrisse nel suo saggio Contro il metodo obbligato (traduzione più fedele al titolo originale tedesco rispetto alla resa italiana, più semplicistica, “Contro il metodo”- NdA): «La Chiesa nel caso Galilei si attenne alla ragione molto più di quanto fece Galilei stesso, poiché tenne in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali derivanti dagli insegnamenti dello scienziato. Il verdetto fu razionale e giusto e la sua revisione fu dettata soltanto da logiche di opportunismo politico». È, questo, un passo poco noto e di raro citato testualmente, benché risulti paradigmatico. E che fa il paio con quello scritto da Rino Cammilleri nella sua rubrica “L’antidoto” il 15 gennaio 2008, allorché fece notare come non fosse stata «la Chiesa a metter bocca nella scienza, ma Galileo a voler fare il teologo».

Senza addentrarsi nello specifico, poiché materia già trattata – e con rigore scientifico – in altra sede, val la pena solo ricordare come la “condanna” fosse consistita, in realtà, soltanto nella recita dei sette salmi penitenziali ogni settimana per tre anni, compito oltre tutto che l’imputato – col consenso della Chiesa – delegò volentieri alla figlia monaca, Suor Maria Celeste. Niente carcere, dunque, niente torture, niente isolamento, niente censure, tanto che l’opera ritenuta il suo capolavoro scientifico, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, uscì cinque anni dopo la sentenza.

La verità sta nelle parole del medievista francese, Leo Moulin, che nel suo libro L’Inquisizione sotto l’Inquisizione dichiarò: «Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza. A furia di insistere, dalla Riforma ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci. Invece io, agnostico ma storico che cerca di essere oggettivo, vi dico che dovete reagire, in nome della Verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero vi fosse, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre». Che debbano essere i laicisti ed i non credenti a convincere i Cattolici, è il colmo…
(Mauro Faverzani)


venerdì 28 settembre 2012

Teoria geocentrica ed eliocentrica: INTERESSANTE ARTICOLO DEL DOTT. GIANCARLO INFANTE




Una controversia dalla quale la Chiesa cattolica non ha tratto esplicito beneficio, è quella relativa alla questione galileiana, con il conseguente abbandono della cosmologia geocentrica per l’adozione di quella eliocentrica. 

Ben note sono le polemiche che Galilei, innanzitutto, innescò con la gerarchia ecclesiastica. Famosi i processi che egli subì da parte della Chiesa rinascimentale, accusata, ingiustamente, di arretratezza culturale, oscurantismo, ecc. 

Altrettanto conosciuto è lo sfruttamento, sproporzionato, di tale complessa vicenda da parte dei circoli anticlericali, che fiutarono in questa controversia astronomica la possibilità di sferrare un micidiale attacco non solo alla cosmologia e filosofia scolastica, ma al cuore stesso della dottrina facente capo alla Chiesa romana. Certo, non sono mancate voci autorevoli che hanno abilmente cercato di ridimensionare tale erronea interpretazione. Tra le altre, quella dell’allora cardinale ...

... Ratzinger che citò testualmente Bloch, «con il suo marxismo romantico», il quale scrisse che «il sistema eliocentrico - così come quello geocentrico - si fonda su presupposti indimostrabili». Ratzinger spiega che, secondo Bloch, «il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo». Ratzinger prosegue il suo intervento chiamando in causa il filosofo agnostico P. Feyerabend, secondo il quale: « ‘La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione’.

Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una ‘via direttissima’ che conduce da Galileo alla bomba atomica» (1). 

Per quanto riguarda la precedente osservazione di Bloch, citata da Ratzinger, è necessaria una pun-tualizzazione. Non è vero infatti che la teoria di Copernico apportava una semplificazione di calcolo, dal momento che gli epicicli utilizzati da Tolomeo per spiegare il moto retrogrado dei pianeti non vennero eliminati dall’ipotesi eliocentrica, che postulava un terzo moto di declinazione della Terra, oltre a quelli di rotazione e rivoluzione. 

La teoria copernicana pertanto non produsse «nessun progresso nella precisione dell’osservazione, come pure negli strumenti matematici o nella fisica. La teoria geocentrica e quella eliocentrica rendono conto senza dubbio egualmente dei fenomeni, sono equivalenti dal punto di vista dell’osservazione» (2). Come rendendosi conto di questo stato di fatto, l’illustre Karl Popper giunse alla conclusione che: «La rivoluzione copernicana, dunque, non prende le mosse da delle osservazioni, ma da un’idea di carattere religioso o mitologico» (3), che cercheremo di indicare in questo intervento. «Se i due sistemi erano pressoché equivalenti in quanto a complessità» (4) resta da comprendere il motivo che sta alla base di tale sovvertimento della visione celeste.

Al di là di ogni sterile polemica, è bene allora premettere che, in tale controversia, solo apparentemente scientifica, emergono prospettive finora sottaciute, che esulano dal ristretto ambito astronomico al quale sembrano riferirsi, per confluire nelle forme inquietanti della cultura e della religiosità iniziatica, le cui radici affondano nella più cupa era primordiale, ove ragione e superstizione costituivano un unico «corpus» dottrinale. 
Non per pura coincidenza, peraltro, con l’avvento della rivoluzione astronomica rinascimentale ha ripreso vigore, insieme alla cosiddetta filosofia induttiva propria della scienza moderna, quella pletora di idoli e di credenze irrazionali e naturalistiche che l’imporsi del cristianesimo aveva relegato nei luoghi oscuri della clandestinità, in seguito alle condanne inequivocabili impartite dai Padri della Chiesa (5). 

E’ chiaro che chi non è sensibile a questi temi, potrebbe giudicare fuori luogo porre in relazione la nascita e l’affermazione di un modello astronomico, che si impose dopo una pungente polemica con i difensori della tradizione aristotelico-tomista, con quelle pratiche e credenze proprie della più oscura magia, che ai nostri occhi appaiono prive di qualunque fondamento razionale, se non proprio frutto di fantasia. Che rapporto infatti ci può essere fra le bizzarre formule di invocazione di quei «diavoli che hanno la potenza di scompigliare i cuori degli uomini e delle donne» (6) con le asettiche relazioni geometriche che descrivono il tranquillo transito dei pianeti intorno al sole? Apparentemente, niente.

 Tuttavia, è risaputo che proprio la magia e le pratiche occulte hanno svolto un ruolo centrale nella determinazione dei nuovi indirizzi culturali, in particolare il razionalismo scientifico, che andavano formandosi dopo il disfacimento del Medioevo, epoca: «che rappresentò per l’Europa una straordinaria culminazione spirituale (ogni commento sarebbe davvero superfluo, da questo punto di vista, circa la ridicola storiella dei ‘secoli bui’), prima che gli elementi disgregatori dell’Ecumene medievale finissero per travolgere anche quelle organizzazioni esoteriche che ne rappresentarono in certo modo il simbolo più augusto. E difatti tali Ordini si estinsero e solo la Massoneria poté sopravvivere, anche se profondamente modificata» (7). 

A ben vedere, allora, è possibile rilevare una stretta attinenza fra eliocentrismo e magia, ovvero fra scienza (apparente) e dottrina (mascherata), che proietta la complessa questione della rivoluzione scientifica rinascimentale nell’oscuro ambito del pitagorismo magico. Infatti, il modello eliocentrico possiede una doppia valenza, dal momento che può essere considerato sia secondo la nota prospettiva copernicana ma anche e soprattutto secondo l’accezione mistica di Giordano Bruno, che vedeva in esso come un sigillo spirituale, segreto, da sfruttare, per rimettere in gioco quelle entità spirituali spodestate dalla dottrina evangelica, ma alle quali si rifacevano, e si rifanno, i cultori della religiosità egizia e del linguaggio allusivo e simbolico. 
Mircea Eliade, dopo aver riconosciuto che: «Un risultato estremamente sorprendente degli studi contemporanei è stata la scoperta del ruolo che la magia e l’esoterismo ermetico hanno avuto non solo nel Rinascimento italiano, ma anche nel trionfo della ‘nuova astronomia’ di Copernico, cioè nella teoria eliocentrica del sistema solare», attesta chiaramente che: «Se Giordano Bruno salutò con entusiasmo le scoperte di Copernico, ciò non fu in primo luogo per la loro importanza scientifica e filosofica; fu perché per Giordano Bruno l’eliocentrismo aveva un profondo significato religioso e magico. Durante la sua permanenza in Inghilterra, Bruno profetizzò l’imminente ritorno della religione egizia com’è descritta nell’Asclepio, il famoso testo ermetico. Interpretando il diagramma celeste copernicano come un geroglifico dei misteri divini, Bruno si sentiva superiore a Copernico, che intendeva la propria teoria solo da matematico» (8). Fantasie di un visionario, quelle di Bruno? 

I riferimenti all’aspetto metafisico ed ermetico presente nel modello eliocentrico sono ben noti. Copernico stesso li espose, nel «De revolutionibus orbium coelestium», pubblicato alla fine della sua vita, nel 1543. In tale ambito, l’astronomo polacco rivolge una dedica al Papa Paolo III nella quale riconosce di aver preso spunto dai pitagorici Filolao ed Eraclide Pontico, oltre che dall’enigmatico Ermete Trismegisto, circa l’idea rivoluzionaria del moto terrestre (9). Nel corso della sua opera, in particolare nel «Capitolo X», Copernico si riallaccia chiaramente all’arcaica metafisica solare, esaltando il sole solennemente, al pari di una divinità: «In mezzo a tutti [i pianeti] sta il sole. In effetti, chi in questo tempio bellissimo, potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore da quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme? Per questo, non a torto, alcuni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri guida. Trismegisto [lo chiama] Dio visibile. Così, certamente, il sole, come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli sta intorno» (10). E’ alla luce di tali misticheggianti argomentazioni, in linea con quelle sostenute, tra l’altro, da Marsilio Ficino, primo traduttore del «Corpus Hermeticum», pubblicato nel 1471, che l’astronomo polacco si convinse della validità della tesi dell’immobilità del sole e della rotazione terrestre. Copernico infatti si riannodò all’idea pitagorica che, siccome l’immobilità è da ritenersi più nobile del movimento, allora il sole, aspetto visibile di una presunta divinità invisibile, non può muoversi intorno alla terra, ma stazionare al centro della compagine planetaria.

Questa è la concezione metafisico-pitagorica che costituisce l’idea basilare dell’ambivalente paradigma copernicano. Tutte le tabelle, le prove scientifiche (si fa per dire) prodotte dall’astronomo polacco, che da platonico si dimostrò alquanto disinteressato all’osservazione celeste, sono tese alla conferma di tale presupposto ermetico, successivamente oscurato dagli sviluppi puramente astronomici della teoria. L’idea della rotazione terrestre, divenuta al giorno d’oggi più che una certezza, non possiede dunque un vero e proprio fondamento scientifico, nonostante la raffinatezza formale delle prove ricercate «a posteriori» nel corso di cinquecento anni, durante i quali tutti gli studiosi di tutte le Università ed Osservatori del mondo, accettando senza ombra di dubbio tale ipotesi, si sono impegnati a dimostrarla come vera. Anzi, come reale. Occorre invece riconoscere che l’unica palese certezza alla quale tutti sono soggetti, è la sensazione di immobilità della terra. Alla quale, però, secondo le istruzioni della filosofia galileiana, ben pochi attribuiscono fondamento. 
Un’autorevolissima prova dell’immobilità della terra, potrebbe essere addirittura l’esperienza di Michelson e Morley, effettuata nel 1887 per misurare la velocità della terra nello spazio cosmico, identificato con il misterioso etere, ma che ripetutamente fallì. Infatti, se l’etere fosse immobile e la terra in movimento, allora si dovrebbe rilevare il cosiddetto «vento d’etere». Se invece non si misura nessun vento d’etere, ciò significa o che l’etere è completamente trascinato dalla terra nel suo moto rotatorio e traslatorio, o semplicemente che la terra è immobile. Ovviamente, questa seconda possibilità non viene presa nemmeno lontanamente in considerazione, perché la scienza accademica esclude in modo radicale qualunque riferimento alla quiete terrestre (11). Pertanto, influenzata dalle conclusioni scientifiche ufficiali, l’opinione pubblica al giorno d’oggi è assolutamente convinta che - come sosteneva Galilei - la palese immobilità della terra sia solo apparente ed illusoria, perché i sensi ingannano, e che invece la terra ruoti intorno al sole a più di centomila chilometri all’ora, ed intorno a sé a più di mille chilometri orari, con un moto misterioso, visto che non si rilevano effetti fisici consistenti. E poiché questo è il paradigma scientifico dominante, certamente pochi, sono propensi a credere il contrario. Ovvero, che la realtà è fonte di luce, e che l’occhio non si inganna quando giudica la terra in quiete ed il sole muoversi e tramontare, come invece sosteneva il Bellarmino (12).


Definitivamente archiviate le tesi scolastiche fondate sulla metafisica aristotelica, che allacciavano in modo certo il cosmo reale a Dio, tramontata l’idea di una cosmologia che risalga dalla contemplazione delle creature al creatore, secondo lo spirito ed il monito paolino (13), si è assunto, inconsapevolmente, insieme al modello scientifico eliocentrico, anche il presupposto occulto, di matrice egizia, in esso custodito, al quale si rifacevano gli ermetisti. Ovvero, l’idea dell’esistenza di uno spirito centrale, bramoso di potere e gloria, intorno al quale gravitano tutti gli altri spiriti minori, come indicano alcuni passi del «Corpus Hermeticum». Allora, altro che sognatore! In tale prospettiva, sembra proprio che Bruno avesse ragione, quando individuava nel modello eliocentrico una forma di religiosità vincente, perché fondata su di un potere spirituale misterioso, riattivabile mediante pratiche magiche segrete, e ben disciplinate. Aveva ragione quando, esaltando questo modello per i suoi alti contenuti spirituali, si impegnava a restituire ai demoni vincolati al Sole «il potere sulle vicende e sui disordini della terra, operandovi ogni genere di scompiglio, per le città e le popolazioni in generale e per ciascun individuo in particolare», come recita il «Poimandres», XVI, 14. 

Benché profetizzasse una nefasta concezione, e come il realizzarsi dell’oscuro avvento della «bestia», sotto le forme autorevoli ed insospettabili dei canoni scientifici, comunque Bruno non si sbagliava. Se quanto stiamo scrivendo non costituisce una pura farneticazione, i risvolti iniziatici contenuti nel pentacolo copernicano sembrano essere del tutto ragguardevoli. Infatti, il semplice ed innocuo modellino del sole centrale contornato da una serie di pianeti - raffigurato dappertutto in modo sbagliato, perché non è possibile rispettare le giuste proporzioni che intercorrono fra le masse e le distanze dei corpi che compongono tale modello - riproduce in metafora l’arcaica religiosità naturalistica di indole solare, collegata all’idea dialettica del tempo ciclico che si ripete perennemente, nell’alternanza degli opposti, all’interno del quale l’uomo è come imprigionato ed impossibilitato ad esprimere la propria potenza spirituale.

In tale linea interpretativa, il modello eliocentrico diventa allora il baluardo, il manifesto, il simbolo dell’uomo massonico, celebrato sia dai cosiddetti iniziati, che dai cultori dell’antico, ma sempre attuale, sapere egizio (14). E tacitamente approvato da una grande massa di inconsapevoli «profani», che si fermano alle soglie del suo ben noto significato apparente, senza minimamente immaginare che, invece, in esso sono contenuti, simbolicamente, quegli argomenti naturalistici, riconducibili alla «mistica» eraclitea, che esaltano la confusione del bene e del male, del vero e del falso, e di tutti gli opposti. Argomenti assai graditi al celebrato spirito centrale, di natura ambigua, contraddittoria, menzognera. Idolo al tempo stesso imprevedibile e ovvio, benevolo e maligno, eccelso e bestiale, vero e falso, luce e tenebra. Ovvero, lucifero. 

Il numero che gli iniziati attribuiscono al sole, è infatti il «seicentossessantasei», la cifra della bestia, citata dall’apostolo Giovanni, nel capitolo 13 dell’«Apocalisse». Tale cifra, in relazione al sole, è celebrata anche nell’ambito numerologico. Un esempio è costituito dal quadrato magico del sole, composto da trentasei cifre (6 righe e 6 colonne), tale che sommando i numeri in ogni direzione, si ottiene 111 che moltiplicato per il nume-ro delle cifre di ciascuna linea (6) dà appunto il numero apocalittico e solare 666. 
Numeri a parte, per quanto riguarda il possibile rapporto fra la fatidica cifra apocalittica e la scienza moderna, abbiamo fornito un’importante interpretazione circa un significativo episodio in cui incorsero Galilei ed il padre Riccardi, incaricato di concedere l’«imprimatur» necessario per la pubblicazione dell’opera «Dialogo sui due massimi sistemi del mondo» (15). Il quadrato magico del sole. Immagine tratta dal libro, H. Hoffmann, «La verità sul segreto di Fatima» Edizioni Mediterranee, Roma, 1985 Padre Riccardi si insospettì per via di un curioso simbolo, contenente tre delfini in circolo, presente sul frontespizio di tale opera, che si diceva fosse il marchio della tipografia.
Tale marchio però non compariva su altri libri pubblicati dallo stesso stampatore. Ebbene, a nostro avviso, il cosiddetto «marchio dei delfini» non è altro che una forma simbolizzata della cifra «seicentosessantasei». Ingrandimento del cosiddetto «marchio dei delfini» - 666 Questa piccola, ma indicativa scoperta ci ha molto impressionato. Infatti, ci è sembrato strano che una così importante opera galileiana contenesse un inspiegabile riferimento simbolico alla cultura iniziatica ed anticristiana, che costituiva altresì come una sorta di inquietante premessa ai contenuti ivi espressi.

 Di certo, la possibilità di incorrere in errore è quanto mai presente, specialmente in un campo così ambiguo ed insidioso come quello relativo al sapere iniziatico. Tuttavia, il sospetto che ci sia qualcosa di grosso, dal punto di vista spirituale, finora sottaciuto, dietro il cambio di paradigma astronomico rinascimentale, permane. Anche se questa possibilità aprirebbe il campo ad una prospettiva insolita, alla quale in parte abbiamo alluso, e che pone in relazione la simbolica bestia apocalittica con diversi aspetti della scienza moderna, in un certo senso in grado di «sedurre gli abitanti della terra», impossessandosi delle menti e delle azioni («fronte e mani») degli uomini, e di compiere, con la sua raffinata tecnologia, «grandi prodigi» (16). 

Prospettiva insolita, dicevamo, alla luce della quale gli insigni padri della scienza, Galilei, Newton Einstein, tanto per fare i nomi più rappresentativi, sembrano costituire come un’intoccabile triade della ragione scientifica. Una triade di sei, sulla quale si è fondata in gran parte, quasi al pari di una nuova «eresia» razionalistica, la scienza moderna. D’altronde, proprio in tale chiave interpretativa, ognuno di questi tre grandi personaggi ha in una qualche misura sfidato e contrastato l’autorità della Chiesa di Roma.
A cominciare da Galilei che, sotto la parvenza di cristiano osservante, schernì il Papa nella stessa opera che sembra contenere, semicelata, nel frontespizio, la «cifra della bestia». Proseguendo con Newton, che addirittura riteneva il Papa e la Chiesa romana l’anticristo e la Bestia (17). Proprio lui che, nelle sue abbondanti e poco conosciute ricerche alchemiche, scelse lo pseudonimo «Jeova Sanctus Unus» (18), in sintonia - forse inconsapevole - con l’uso dei satanisti di farsi simili a Dio. Fino al grande Einstein, forse anche «gran maestro», visto che il suo nome compare sugli elenchi pubblici dei massoni celebri, che celebrava il panteismo spinoziano come soluzione agli interrogati-vi religiosi, giungendo ad ironizzare con pungenti affermazioni sulla infinita Sapienza (19) e sulla possibilità, per noi certezza, che Dio sia persona (20). Frontespizio dell’opera galileiana, «Dialogo sui due massimi sistemi» 

Da questo punto di vista, i tre grandi scienziati appaiono non solo come i principali fondatori della cosiddetta scienza moderna. Ma anche, e soprattutto, come i maggiori demolitori di quella precedente. Che proponeva il quadro di un cosmo armonico - niente affatto azzardato, perché rigorosamente fondato su principi logici ben definiti e formalizzati -, ordinato a Dio. Un cosmo sacralizzato. Un tempio cosmologico, oggi irriso, che i servi del Signore avevano eretto nei lunghi secoli di ascesa medievale, per celebrare razionalmente Dio all’interno della sua creazione, partendo dalla realtà visibile, per giungere a quella invisibile ed eterna. La distruzione di questo tempio spirituale non è stata però senza conseguenze. Alcune delle quali svelate dai più recenti, riprovevoli, sviluppi della scienza in campo bellico e genetico. Sviluppi che delineano una società che si evolve di continuo secondo linee tecnologiche e paganizzanti, che la rendono sempre più superba, violenta, imbarbarita. Di fronte a questo Egitto spirituale, sarebbe però troppo ingenuo rimpiangere un Medioevo ormai concluso, insieme alle sue concezioni, alle sue molteplici luci ed ombre. 

Ogni epoca esprime infatti le proprie contraddizioni, al giorno d’oggi però divenute globali. Allora, non resta che «protendersi verso il futuro», ed al pari di Neemia, afflitto per la distruzione di Gerusalemme, sollecitare il «resto d’Israele» all’opera di ricostruzione delle sacre mura spirituali. Opera che corrisponde alla coraggiosa ricerca e difesa della Verità, Via e Vita. Ovvero, Gesù Maestro. Prospettiva insolita, dicevamo. Ripetutamente scartata, nel corso degli ultimi anni. Tuttavia, come se fondata su una specifica iniziazione, quella paolina, essa si ripresenta. Inspiegabilmente, rinforzata.


Note
1) J. Ratzinger, «La crisi della fede nella scienza», tratto da: «Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti», Paoline, Roma, 1992, pagine 76-79.
2) J. P. Verdet, «Storia dell’astronomia», Longanesi, Milano, 1995, pagina 78.
3) K. Popper, «Congetture e confutazioni», Il Mulino, Bologna, 1972, pagina 177.
4) W. Shea, «Copernico: un rivoluzionario prudente», Le Scienze, edizione italiana di Scientific American, collana: «I grandi della scienza», numero 20, 2004, pagina 69.
5) Lattanzio, nel «De origine erroris», attua una critica durissima irridendo le divinità pagane ed il loro culto, denunciando nel contempo la «vetustatis auctoritas», l’autorità dell’antichità classica, intesa come improponibile cultura dell’assurdo. E San Giovanni Crisostomo considera idolatrica qualunque pratica magica, in quanto azione diretta del demonio. Sant’Agostino condanna senza mezzi termini le prospettive teurgiche, il culto delle statue-dei in quanto fonte di pericolosa magia, e come tentativo diabolico, niente affatto divino, di manipolazione del reale. Nel libro VIII della «Civitas Dei» egli definisce la demonologia come frutto di una curiosità nefasta: «sia che la si chiami magia o col nome ancor più odioso di geotia o con quello più nobile di teurgia».
6) Da «Il Vero Libro del 500» - La Clavicola del Re Salomone», Brancato Editore, Catania, 1989, pagina 27.
7) G. Faraci, «Il vero fine della Massoneria», Arktos, Carmagnola (Torino) 1993, pagina 30.
8) M. Eliade, «Occultismo, stregoneria e mode culturali», Sansoni, Firenze, 2004, pagina 57.
9) Copernico (1473 - 1543), dopo aver studiato per quattro anni a Cracovia (Polonia), si trasferì in Italia. Egli trascorse 10 anni tra le Università di Bologna e di Padova. In questo periodo aderì al neoplatonismo, che influenzò la sua opera scientifica. Si dice che egli desse molto risalto ad una lettera pitagorica, nella quale lo stesso Pitagora ammoniva che: «... non dobbiamo divulgare a tutti e in ogni luogo quanto abbiamo appreso con sforzi tanto grandi, allo stesso modo che è vietato agli uomini qualunque penetrare nei segreti degli dei elísei ...». Forse anche in base a tale sentenza, Copernico fu sempre molto restio a pubblicare la sua ipotesi.
10) Queste affermazioni copernicane riecheggiano chiaramente quanto espresso a più riprese nel «Corpus Hermeticum», e nell’ «Asclepius», 29: «Il sole stesso non trae tanto dalla sua luce il potere di illuminare le stelle, quanto dalla sua divinità e santità: questo, o Asclepio, devi considerare come secondo Dio che governa tutte le cose e illumina tutti gli esseri viventi della terra, dotati di anima o no … Il sole allora, poiché il mondo è eterno, governa eternamente le cose capaci di vivere, cioè tutto il complesso della vitalità che esso distribuisce in continuazione». E nel passo successivo, il 30, si dà come un significato mistico ed allegorico al presunto movimento della terra: «Il mondo si muove nella stessa vita dell’eternità e in questa stessa eternità di vita è il luogo del mondo. Perciò il mondo non si arresterà mai né mai perirà, avvolto e protetto come da un vallo da questa eternità di vita … Il movimento del mondo è costituito da una duplice attività; il mondo è vivificato eternamente dall’eternità che lo circonda e contemporaneamente dà vita agli esseri che contiene».
11) «Uno studioso francese ha comunque avanzato l’ipotesi che il vero significato dell’esperimento Michelson - Morley sia la fattuale immobilità della Terra, con conseguente ritorno al punto di vista pre-copernicano. Si veda: Maurice Ollivier, ‘Physique moderne et réalité’, Èditions du Cédre, Paris, 1962», S. Waldner, «Nota introduttiva» a B. Thüring, «Einstein e il Talmud», Edizioni di Ar, Padova, 1977, pagina 12, nota 5.
12) Confronta la lettera di San Roberto Bellarmino al padre Foscari, 12 aprile 1615, in Galilei, «Opere», XII, pagina 171.
13) Confronta la «Lettera ai Romani», 1, 18-32.
14) Il ritorno del sapere egizio è fondato sugli insegnamenti del mitico Ermete Trismegisto, cheincarna la figura del sacerdote e teurgo pagano. Nell’«Asclepio», Ermete rivela tra l’altro la teoria delle statue-dei e del loro potere magico. Il neoplatonico Giamblico distingue in proposito la posizione del «teologos», che detiene la conoscenza degli dei, da quella del «theurgos», che invece agisce direttamente sulla divinità ed il cui prototipo è costituito appunto da Ermete. Il fedelissimo discepolo di Plotino, Porfirio, nel «De regressu animae», indica nella teurgia la più alta pratica di magia, come elemento di primaria importanza nel processo di riunificazione con il divino. Il vero teurgo interagisce ed evoca gli dei, esortandoli ad interagire con la dimensione concreta nella quale si esplicano le vite sia dell’iniziato che del profano. Egli opera in una prospettiva cosmogonica, perseguita dopo una lunga opera di trasformazione interiore, di levigazione della pietra occulta, all’interno della quale riconosce le tracce del divino, che solo il vero teurgo sarebbe in grado di attivare, al fine di ristabilire l’armonia universale, trarre l’ordine dal caos, rifuggendo da tutto quanto possa oscurare la sua presunta comunione con il divino.
15) Confronta il breve saggio, G. Infante, «Le radici esoteriche della scienza moderna», Edizioni Segno, Udine, 2006, II 4.
16) Secondo San Tommaso, «Quaestio» 178 della «Secunda Secundae», «De Gratia miraculorum», solo Dio è in grado di compiere miracoli «per manifestare il soprannaturale», modificando in modo straordinario e per fini spirituali l’ordine da Lui fissato nella natura. Satana invece, tramite i suoi emissari, opera dei prodigi, che sono falsi miracoli, perché non hanno «il sigillo divino». Egli opera per sconvolgere e contrastare l’ordine naturale con mezzi puramente naturali. Pertanto, il prodigio imita il miracolo nel suo svolgersi, ma non nel suo essere.
17) «Si sono spesso sottolineati alcuni aspetti ‘ereticali’ del pensiero di Newton: il suo conclamato arianesimo, nel senso originario del termine, che implica una professione di fede antitrinitaria; l’identificazione dell’Anticristo con il Papa, e della Bestia con la Chiesa cattolica, responsabile della grande apostasia», in M. Mamiani, «Introduzione», I. Newton, «Trattato sull’Apocalisse», Bollati Boringhieri, Torino, 1994, pagina xv.
18) Confronta M. White, «Newton l’ultimo mago», Rizzoli, Milano 2001, pagina 197.
19) «Quando gli chiesero quale sarebbe stata la sua reazione se l’eclissi di sole del 1919 avesse invalidato la sua teoria, Einstein rispose: ‘Mi sarebbe molto dispiaciuto per il povero Signore - la teoria è giusta’ », S. L. Jaki, «Dio e i cosmologi», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1991, pagina 97, nota 32.
20) Scrive Einstein: «Nella loro lotta per il bene etico, i dottori della fede devono trovare il coraggio di rinunciare alla dottrina di un Dio personale, vale a dire, di rinunciare a quella fonte di paura e di speranza che nel passato consegnò tanto potere nelle mani dei preti». Ed a proposito di Gesù, lo scienziato ebreo afferma che: «E’ del tutto possibile che si possano compiere imprese più grandi di quelle di Gesù; infatti, tutto quello che la Bibbia scrive di lui è poeticamente abbellito», A. Einstein, «Pensieri di un uomo curioso», Mondadori, Milano, 1997, pagine 115, 116. Ma, a parte il presunto abbellimento poetico al quale allude Einstein, domandiamo: chi sarebbe in grado di compiere qualcosa di più grande della morte, risurrezione e transustanziazione di Cristo? Ovvero, come più propriamente disse San Michele Arcangelo: «Chi è come Dio?».
Articolo pubblicato su EffediEffe.com. Rilanciato su M.S.M.A. con autorizzazione dell'autore Dott. Giancarlo Infante (Amico della M.S.M.A.)
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