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sabato 30 maggio 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Solennità della Santissima Trinità



OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Parco di Bresso 
Domenica, 3 giugno 2012 
Solennità della Santissima Trinità

Venerati Fratelli,
Illustri Autorità,
Cari fratelli e sorelle!


E’ un grande momento di gioia e di comunione quello che viviamo questa mattina, celebrando il Sacrificio eucaristico. Una grande assemblea, riunita con il Successore di Pietro, formata da fedeli provenienti da molte nazioni. Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione, che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi Apostoli: andare e fare discepoli tutti i popoli, «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19). Saluto con affetto e riconoscenza il Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, principali artefici di questo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure i loro Collaboratori, i Vescovi Ausiliari di Milano e tutti gli altri Presuli. Sono lieto di salutare tutte le Autorità presenti. E il mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!

Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha ricordato che nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, il quale ci unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al Padre come figli, così che possiamo gridare: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15.17). In quel momento ci è stato donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere fino al compimento definitivo nella gloria celeste; siamo diventati membri della Chiesa, la famiglia di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, «popolo che – come insegna il Concilio Vaticano II – deriva la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Cost. Lumen gentium, 4). La solennità liturgica della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, ci invita a contemplare questo mistero, ma ci spinge anche all’impegno di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati ad accogliere e trasmettere concordi le verità della fede; a vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza della Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma direi per «irradiazione», con la forza dell’amore vissuto.

Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28). Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita. L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità, immagine di Dio. Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. E’ fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. 

E’ fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Cari sposi, abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nella fragilità. Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i vostri genitori, e anche le relazioni tra fratelli e sorelle siano opportunità per crescere nell’amore.



Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il vostro «sì», con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo. 

Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il dialogo, rispettare il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere perdono, superare con intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordare gli orientamenti educativi, essere aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili nella società civile. Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia. Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica (cfr Esort. ap. Familiaris consortio, 49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza.

Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo progetto (cfr 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della Sacra Scrittura, possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.

Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine di Dio, è chiamato anche al riposo e alla festa. Il racconto della creazione si conclude con queste parole: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. 
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gen 2,2-3). Per noi cristiani, il giorno di festa è la Domenica, giorno del Signore, Pasqua settimanale. E’ il giorno della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno alla mensa della Parola e del Sacrificio Eucaristico, come stiamo facendo noi oggi, per nutrirci di Lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore. E’ il giorno dell’uomo e dei suoi valori: convivialità, amicizia, solidarietà, cultura, contatto con la natura, gioco, sport. E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio.


Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal volto umano. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere. Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in un Noi, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)» (Enc. Deus caritas est, 18). Amen.


CELEBRAZIONE EUCARISTICA

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana
   

martedì 28 febbraio 2012

(9) Don GUIDO BORTOLUZZI: L'ultimo pasto di Abele -

Bartolome Esteban Murillo XVI-XVII A.jpg
L’ULTIMO PASTO DI ABELE
SESTA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago nel 1974
sotto forma di sogno, il quarto, due anni dopo la visione


(Nota della curatrice) 
Dal 1972 al 1974, ossia fra la 5ª rivelazione (la 
grande visione) e la 6ª, ci sono due anni di intervallo. 
Il Signore aspetta che don Guido comprenda ed interiorizzi 
i due concetti essenziali del messaggio precedente.

1) il primo concetto è che la prima Donna è assolutamente estranea al 
peccato originale, quando invece dalla Genesi mosaica sembrerebbe che 
fosse stata proprio lei la responsabile della caduta del Capostipite. 
Don Guido ritiene che questo equivoco della Genesi non sia da attribuire 
a Mosè, ma agli Agiografi del tempo di Re Salomone i quali, sensibili alla 
cultura del proprio tempo, avrebbero ritoccato il testo originale facendo 
ricadere sulla Donna le responsabilità del peccato originale, responsabilità che invece erano state unicamente del primo Uomo.

Questi Agiografi avrebbero colto una similitudine tra la tentazione provocata dalla ‘femmina’ del peccato originale e l’influenza nefasta per il popolo ebraico che la regina di Saba stava esercitando su Re Salomone poiché per causa sua egli aveva introdotto in Israele il culto di dei pagani. 


2) Il secondo concetto, altrettanto difficile da assimilare per don Guido, 
era che la figura femminile chiamata Eva nella Bibbia, non era la Donna ma quella ‘femmina ancestre’ che egli aveva visto 
partorire la Bambina ed era “la madre di tutti e due” (§ 125) i primi 
soggetti umani, il “capo di ponte”(§ 96) fra la specie degli ancestri e la specie umana. Di lei, Eva, fu anche detto dal Signore che “avrebbe dovuto rimanere ‘capo di ponte’, ma (che) l’uomo presuntuoso e disubbidiente la rese ‘ponte’” (§ 97), quando essa divenne “lenza” 
(§178) per l’Uomo perché lo prese all’amo. Eva, infatti, 
era divenuta per Adamo oggetto di tentazione perché attraverso di lei egli 
avrebbe potuto realizzare il suo progetto di autonomia rispetto a Dio. 


Tutte espressioni che dovevano ancora essere interpretate. Infatti, il Signore mai chiamò quella femmina ‘Eva’, ma la chiamò “quella del peccato originale” (§ 112), “ponte” (§ 204), né mai chiamò il primo Uomo ‘Adamo’, ma in sette modi diversi: “il campione” (§ 24), “il tuo primo parente”, “proto”, “protoparente” (§ 26), “protoparente di tutti gli uomini” (§ 27), “il progenitore” (§ 28), “rosso” (§ 152) e infine, con senso negativo, “uomo”, (§237).


Allo stesso modo mai chiamò per nome Caino e Abele. 
È quindi comprensibile che per don Guido non sia stato facile ricostruire 
i fatti. Anzi, furono per lui anni travagliati in cui dovette impegnare tutte le sue energie per collegare coerentemente gli eventi narrati dalle rivelazioni. 
L’unico suo conforto era la promessa del Signore che l’avrebbe aiutato 
“a ricordare e a capire” (§ 182). Quindi c’era anche la fiducia che prima o poi ci sarebbe arrivato.

A noi che leggiamo il racconto già ordinato, tutto sembra logico e chiaro
Ma proviamo per un istante ad immedesimarci nello stato d’animo di don 
Guido, fermamente convinto che la Bibbia intera, quindi anche la Genesi, 
essendo Parola di Dio non poteva essere stata alterata. 
Se il Signore non l’avesse più volte rassicurato e non gli avesse detto che gli stava rivelando “cose che non aveva rivelato ad altri” (§ 51), che gli stava “insegnando a leggere fra le righe le cose che non capiva nel suo libro” (§ 44) e che questa “era una rivelazione come a Mosè” (§ 48) , e se non l’avesse incoraggiato, sostenuto e guidato, facendogli rivedere i tratti delle scene non comprese, senza dubbio don Guido avrebbe rinunciato a proseguire nel suo sforzo. 


Era proprio questo che il Signore voleva: insegnargli a ragionare, a dedurre, a collegare, ad usare la mente insieme al cuore. Avrebbe potuto dirgli semplicemente: “Guarda, questa è Eva..., questo è Adamo... e le cose sono andate così e così....”. Invece no! Il Signore non lo voleva passivo. 
Egli vuole che ciascuno di noi entri nella Sua logica dopo aver capito i 
‘perché’. Vuole che la Verità sia una conquista desiderata, motivata, magari anche sofferta, ma raggiunta per mezzo della libertà e della volontà. 


Questo periodo fu per don Guido un alternarsi di sofferenze e di gioie 
infinite ogni qualvolta che raggiungeva una nuova comprensione. 
Solo quando i punti fondamentali furono chiariti ed assimilati, il Signore 
riprese i suoi insegnamenti che, essendo più facili, si conclusero tutti nel 
giro di un anno.
 


Solo Abele e Set, e non Caino,
furono generati ‘a immagine e somiglianza di Dio’

§ 211   Sempre in ossequio alle ripetute esortazioni di Papa Paolo 
VI, continuavo a leggere la Bibbia e i vari libri di commento 
scritti da bravi esegeti. Molti problemi mi si affacciavano 
alla mente. 
   In Genesi (4,3-6) trovavo che i due fratelli “offrivano sacrifici al Signore” e anche la liturgia della Messa si riferisce al Sacrificio di Abele come “Sacrificio a Dio gradito”. 
   Ma nell’ultimo versetto dello stesso capitolo trovo che 
solo alla nascita di Enos, figlio di Set, solo allora, “si iniziò 
ad ‘invocare’ il Nome del Signore”. La contraddizione mi 
pareva evidente: come avrebbero potuto Caino e Abele offrire sacrifici al Signore-Iddio se solo con la nascita di Enos 
si cominciò ad invocare il Nome del Signore? Infatti: non 
si offre a Dio un sacrificio senza invocare il Suo Nome.
perché solo allora? C’era un segreto da scoprire. 


§ 212    Un altro pensiero mi assillava: cos’era accaduto di tanto grave perché Caino uccidesse Abele? L’aver scoperto il 
‘segno di Caino’ mi invogliava a conoscere un po’ meglio 
questo personaggio. 


   Una notte mi coricai meditando il ‘Canto della spada’, seguendo la versione ebraica: “Io uccisi un fanciullo per una 
lieve ammaccatura (per un colpo leggero) che mi ha dato...”. 


“L’omicidio di Caino sarà punito 7 volte...” (Genesi 4,24). 
   Mi chiedevo se Lamek, quel Lamek discendente di Caino, 
andasse ripetendo a ragion veduta un ritornello che ricordava il suo antenato fratricida che aveva ucciso Abele ‘per 
un colpo leggero’ ricevuto da lui. C’era stata una provocazione? Una lite? 
   Ma un colpo leggero può essere stato uno scherzo! Tra i 
fratelli che convivono in famiglia succede spesso che il più 
forte non sopporti gli scherzi del più debole e reagisca in 
modo violento. Ma, per arrivare ad uccidere, bisogna supporre 
che Caino non fosse una persona normale.

   Caino era invidioso del fratello per la preferenza che il 
Signore dimostrava verso quest’ultimo? Ma il Signore Iddio 
non pretende da un minorato ciò che un individuo normale 
può offrire con modi convenienti. Dio non umilia alcuno. 
   Dice il Siracide e lo ripete S. Paolo che “Apud Deum 
non  est acceptio personarum”, Dio non fa preferenze
   Soltanto di Set è detto, al capitolo quinto versetto 3, che 
fu generato da Adamo a “sua immagine e somiglianza” e 
che doveva sostituire, non il primogenito Caino, ma Abele
Perché? 
   A questi quesiti ecco puntuale la visione che ebbi ‘in sogno’. 


 La prima famiglia riunita
durante l’ultimo pasto di Abele 


Ecco il ‘sogno’. 
§ 213   Ero in un ambiente buio e mi trovavo a guardare, attraverso un finestrino aperto alla luce del giorno, su un breve 
tratto di terreno di cui potevo vedere solo l’estremità opposta 
delimitata fino a due, tre metri di altezza dalla base di 
alcuni tronchi d’albero, posti in fila lungo il sentiero che 
girava all’esterno del cortile, quello stesso cortile già visto 
nel ‘sogno’ del ‘peccato originale’. 
   Distavo circa un metro da quel finestrino e questo misurava circa 30 cm di larghezza e 10 di altezza. Da qui l’impossibilità di vedere un panorama più vasto, ma sufficiente per capire che mi trovavo 
nell’angolo interno fra il casolare rustico e il terrapieno. 


   Arrivò dalla mia destra, da oltre l’angolo del terrapieno, 
alla distanza di 7 o 8 metri, l’Uomo. Era di grande statura. 
Era rosso e sudato; una tunica di pelle pelosa di animale 
gli pendeva davanti, come falda appesa alla spalla sinistra, 
legata sotto il braccio destro, e lo copriva fino ai ginocchi. 
   Fece pochi passi, si girò su se stesso e si sedette sulla panca, 
che stava alla mia sinistra, appoggiando la schiena alla parete del 
rustico, sotto il ballatoio. Lo vedevo dalle anche in su. 
   Portava capelli lunghi fino alle spalle ed erano neri. Aveva 
poca barba che gli incorniciava le guance e baffi non molto 
lunghi ma accurati, segno che erano naturalmente acconciati e 
che non gli crescevano più di tanto lasciando libere 
gran parte delle guance e completamente il collo. Guardava 
davanti a sé donde egli stesso era venuto. 


§ 214    Comparve nel cortile alla mia destra, sopra il livello del 
lato inferiore del riquadro che delimitava il mio campo visivo, a 3 o 4 metri di distanza, un paio di orecchi ritti e  neri 
che credetti di un cane. Scomparve sotto il limite della mia 
visuale per alcuni secondi, poi lo rividi al centro. 
   Notai due occhi irrequieti: appartenevano ad una testa 
scimmiesca. Il mento era appena accennato. Allora vidi che 
era un antropoide, un ancestre. 


   Si accostò un poco all’Uomo, scomparve di nuovo sotto 
quella specie di davanzale e si rialzò davanti a lui, muovendo le braccia pelose in atto di offrire qualche cosa che 
non vedevo. Si curvò come per deporre a terra quel qualche 
cosa e, rialzatosi, si pose a sedere alla destra dell’Uomo. 


   Dopo qualche istante vidi comparire, sempre dallo stesso 
lato, la sommità di una testa capelluta. Scomparve anch’essa sotto quel limite e, come nel caso del protagonista precedente, si rialzò, fece qualche passo verso l’Uomo, scomparve per la seconda volta, si rialzò e si accostò all’Uomo.
Gli vidi la faccia. Scomparve sotto per la terza volta, si rialzò, e 
allora lo vidi interamente.

   Era un Bambino di due o tre anni, vivace nei movimenti, 
tutto nudo, roseo, grassoccio, dalla faccia bellissima e dalle forme somatiche perfette. Fece un gesto con le braccia 
come per sollevare da terra un peso e offrirlo all’Uomo. 
   Non vidi cosa fosse. Lo calò a terra, poi con molta agilità 
saltò sul sedile e stette in piedi alla sinistra dell’Uomo. 
Capii che il primo era Caino e il secondo Abele. 
Mi venne il pensiero che il triplice abbassamento fosse dovuto alla fatica di portare il peso e alla necessità di deporlo 
per riprendere fiato, ma non era così: capii poi che avevano 
offerto i loro doni al padre dopo una triplice genuflessione. 
   Vedevo i protagonisti d’infilata e di profilo e fissavo quel 
mostriciattolo irsuto che era appena a due metri da me. 




§ 215   – Quello è Caino e l’altro è Abele,  – dissi  – ma la sua 
mamma, dov’è? Sarei contento di vederla. Non l’ho mai vista.  – 
   – L’HAI VISTA  – mi disse la Voce. Risposi: 
 – Non mi pare; l’ho solo intravista alla sua nascita fra le 
mani del Padre.  – 
   – ANCHE DOPO.  – 


   In quel momento mi si presentò alla mente la Bambina che entrava nella grotta, seguita dalla madre e udii nuovamente le due parole: “NELLA 
RIVELAZIONE DEL  PECCATO ORIGINALE”. (§ 205) 
E poi la finale: “GUARDALA È MOLTO BELLA.  RICORDATI CHE È INNOCENTE!  RICORDALO!” (§ 203). 
L’Invisibile Interlocutore si riferiva al primo ‘sogno’ che avevo dimenticato credendolo frutto di fantasia. 


   Ripensandoci poi lo ricostruii: l’avevo vista Bambina nel 
cortile circondata dai cuccioletti ancestri, custodita dalla 
madre che allora non sapevo fosse Eva. 
   Poi la ricordai camminare a passetti incerti dentro l’alcova dell’Uomo dove passò a fianco del suo giaciglio e scomparve dietro a me, a destra. 

La Donna

§ 216   Improvvisamente il finestrino si fece più vicino e quindi 
più grande anche la visuale, pressappoco della misura di 50 
per 70 cm. 
   Da sinistra, per tutta l’altezza del quadro, comparve il 
lembo inferiore di una tunica di pelle di animale che mi nascose la vista dei tre protagonisti. 
   Da sotto quella pelle, venne avanti la caviglia di una gamba umana, ben modellata, nuda, rosea e lucida, la destra. La 
vedevo dalla caviglia a poco più su di metà del polpaccio bentornito; era scoperta; più su era nascosta dalla tunica di pelle. 
   Il suo ginocchio, nascosto dalla pelle, era all’altezza della 
linea superiore della finestra del mio quadro visivo. 
   Adagio, come al rallentatore, venne avanti l’altra gamba 
e la prima rimase scoperta nello spacco posteriore della tunica fin sopra la giuntura posteriore del ginocchio. Era in 
primissimo piano e copriva tutta la visuale. 
   – È la gamba diritta e ben modellata di una donna grassoccia – dissi. – Deve essere di statura alta e di corporatura 
massiccia.  – 
   Mi curvai per vedere più in su quella persona che procedeva così adagio. Il quadro visivo si alzò e si allargò in due 
secondi e potei vederla in faccia. 
   Era una donna molto giovane e molto bella, sui diciotto 
anni, dal viso paffuto e roseo, alta quasi due metri. 
Compresi dopo la settima rivelazione che, per analogia 
con la statura dell’Uomo, non aveva ancora finito di crescere. 
   Portava, a mo’ di falda, una pelle di animale un po’ spelacchiata davanti e appesa al collo. Quando si girò per sedersi 
vidi che la pelle era chiusa sulla schiena con due legacci, 
uno all’altezza delle costole e l’altro del bacino.

   Ritardava i suoi passi perché intenta ad avvoltolare in un 
liquido gialliccio e filamentoso, contenuto in un teschio che 
fungeva da piatto, un pezzo di carne fumante vapore che 
dalla forma mi è sembrato una grossa coscia di pollo o di 
piccolo canguro. 
   Quella falda era molto gonfia davanti e, immaginando che 
fosse la pelle di una femmina di canguro, pensai che contenesse nel marsupio i cibi per tutti e quattro i componenti 
della famiglia. 
Ma ben presto mi accorsi che era in avanzato stato di gravidanza. 
   Mentre la giovane Donna passava oltre la finestra del solito campo visivo, vidi che con la mano sinistra cercava di 
stringere i legacci che sulla schiena tenevano uniti i due 
lembi opposti della falda. 
   Aveva capelli neri e lucidi, discriminati nel mezzo e raccolti dietro la nuca, che le scendevano lungo la schiena. 
Passò davanti a Caino e le vidi le gambe ben fatte, diritte, un po’ distanziate alla loro origine, caratteristica che le 
donne d’oggi cercano di nascondere e che invece dovrebbe 
essere un requisito di bellezza se la giovane Madre era modello di perfezione. 
   Giunta presso l’Uomo, si curvò. Al primo istante parve 
che cadesse in ginocchio. Ma non vidi interamente la sua 
mossa perché la vedevo solo da mezzo busto in su. 
Speravo che l’Uomo le desse una mano, ma egli non si 
mosse e quella si alzò da sola, a stento. 
Capii allora che la giovane Sposa si era genuflessa davanti 
all’Uomo con genuflessione doppia, come avevo visto 
fare dai cuccioli ancestri e dalla madre di lei quand’ella era 
ancora Piccina.

   Gli porse quel cosciotto che ho nominato, poi trasse dal 
marsupio un disco gialliccio con delle piccole macchie nere, 
largo quanto i due palmi delle mani accostate di quell’Uomo. Quando vidi l’Uomo strappare un pezzetto e mangiarlo, 
capii che quello era pane cotto fra due lastre roventi sotto la 
cenere e raffermo. Aveva lo spessore di due o tre centimetri. 


   La Donna diede al Bimbo e a Caino del cibo. Il Piccolo 
restò a mangiare in piedi sulla panca, a sinistra del Papà. 
Caino prese la sua porzione di pane e di carne e restò seduto alla destra del Padre. 
   La Donna gli fece segno di scostarsi per lasciare a lei quel 
posto, ma egli non voleva muoversi. Ella allora lo prese con 
gentilezza per un braccio, lo alzò di peso, lo depose un po’ 
più verso di me, e si sedette a destra dell’Uomo. 




§ 217   Intanto sentivo una Voce sommessa: 
   – LA PRIMA FAMIGLIA.  – 


   Caino aveva proprio un brutto modo di mangiare, tanto 
che ne sentivo schifo. Masticava con la bocca aperta. 
Credo avesse il palato poco incavato perché, ad ogni movimento delle mascelle e della lingua, sfuggivano, dalle sue 
labbra aperte fino agli orecchi, delle briciole e dei fili di 
saliva. Come avrebbe potuto parlare correttamente?


   Il pasto fu consumato presto. L’Uomo si curvò in avanti 
un po’ verso sinistra, allungò un braccio in basso e, quando 
lo ritrasse, vidi che teneva in mano due uova. Ne sorbì uno 
e gettò il guscio lontano, in direzione donde i piccoli erano 
venuti, che suppongo essere l’altra entrata del cortile. 
   Ne raccolse ancora, ma non vidi quanti, perché anche il 
Bimbo scendeva in quel momento a prenderne uno. Anche 
Caino si mosse e la Donna, che si era a sua volta curvata, 
gliene porse uno e uno lo sorbì lei. 




 La provocazione che fu causa dell’uccisione di Abele 




§ 218   Abele saltò giù di nuovo, passò davanti al padre, un po’ 
più a destra di lui, si curvò; poi si alzò con una mela in 
mano. Risalito sulla panca, addentò la mela, la guardò e la 
gettò lontano. Scese un’altra volta, prese un’altra mela. 
   Alla Donna, questa volta, fu Caino a porgere una mela. 
Egli stava come nascosto alla vista del padre, seduto alla 
destra di lei, e si sporgeva ogni tanto per osservare la scena. 
Al vedere il disappunto di Abele la prima volta si ritrasse 
sogghignando. 
   Alla seconda mela che Abele era andato a mordere al suo 
posto, la reazione del Bimbo fu vivace. 
Appena addentata la mela, che era bella, questa si divise 
in due ed egli, tenendo sulla sinistra una metà e lasciando pendere l’altra metà che era tenuta dalla buccia, stese 
il braccio per mostrare ai genitori come il frutto era tutto 
marcio sotto la buccia bella. 
   Caino vide e si ritrasse ghignando. Il suo sorriso, con 
quelle labbra in quella bocca senza mento, con quegli occhi 
furbi e sporgenti fin sotto le sopracciglia, aveva qualcosa 
di maligno. Capii che si godeva del brutto scherzo e capii 
perché l’Uomo non si fosse curvato a prendere una mela. 
Forse aveva osservato Caino quando, invece di cogliere le 
mele dall’albero, le aveva raccolte da terra. O forse vedeva 
che le mele erano bacate o marce, a colpo d’occhio. 
   Vista la reazione del Bimbo, la giovane Donna aveva cessato di mordere la sua mela e si era curvata per prendergliene un’altra. 




§ 219   Per due volte, mentre la Donna si curvava a raccogliere le 
mele, Caino si spostava verso di lei per sbirciare tra le sue 
gambe. La falda di pelle era scivolata all’interno del ginocchio destro. L’Uomo la avvertì ed ella si accomodò la falda 
di pelle che ora aderiva. 
   Con questo suo spostamento lasciò allo scoperto Caino che 
le sedeva a destra e non le arrivava all’altezza dell’ascella. 
Il Bimbo, intanto, aveva ritratto il braccio e aveva riunito 
le due metà della mela, era salito coi piedi sulla coscia sinistra del Padre e, tenendosi con la mano sinistra alla spalla 
di lui, con la destra, che teneva la mela, gli fece piegare la 
testa in avanti ed anche lo costrinse a curvarsi il più possibile, finché, in punta di piedi, potè guardare, al di sopra e al 
di là della spalla paterna, il fratello ad un metro di distanza 
circa e gli scagliò la mela sulla testa. La mela all’impatto 
andò in 4 o 5 pezzi che, rimbalzando, caddero intorno.

   Caino forse si aspettava qualche altro colpo, perché si curvò coprendosi il capo con ambo le mani. Quando le distolse 
guardò verso il Fratellino che era sceso a terra e correva 
svelto verso l’uscita del cortile donde era venuto. 


§ 220   Credo che il Bimbo abbia detto che forse voleva andare 
a giocare con i cuginetti ancestri o che sarebbe andato a
prendere mele buone per sé e per Papà. Ma a Caino quella 
fuga parve quasi dettata dalla paura di una ritorsione e 
la considerò come la buona occasione per porla in opera, 
lungi dagli sguardi del Padre, custode del Giardino, dove 
erano preziosi i rampolli dell’“Albero della Vita”. Si levò 
in piedi, pose la sinistra a terra e fece una capriola, poi 
un’altra e un’altra ancora ed in breve uscì dal cortile dietro ad Abele.

   Vedendolo passare correndo davanti a me e notando che il 
Padre restava immobile, non potei trattenermi dal dirgli: 
– Fermalo! Tu sai che è male intenzionato. Tocca a te custodire il Frutto del tuo Giardino. –
   Dopo qualche secondo la Donna si era alzata in piedi e 
guardava con apprensione verso l’uscita. Presentimento? O 
aveva sentito le grida del Bimbo? Rivolta all’Uomo gli fece 
cenno di andare a vedere.

   Egli sembrava si dicesse stanco del lavoro e mostrava con 
una certa compiacenza i fabbricati edificati. Ella, toccandosi il ventre sembrava dirgli che, se la sua opera quotidiana 
delle faccende domestiche non si vedeva, aveva in nove mesi 
prodotto un edificio più prezioso e che stava per darne un 
secondo alla luce e non poteva andare a vedere. 


   L’Uomo con un cenno, seguito certo da alcune parole, le 
ordinò di andare a vedere. Ella cominciò a correre ma, dopo 
tre o quattro passi, rallentò l’andatura, si strinse le mani al 
petto e, quando giunse al limite del cortile, alzò le mani alla 
testa, poi le protese verso il cielo, segno che era rimasta 
sempre in stretto rapporto d’amore con il Signore, quindi le 
abbassò per sostenere il ventre. Si curvò e stava per cadere, 
ma l’Uomo con due salti corse a sostenerla. 
   Qui il ‘sogno’ finì e mi destai molto impressionato. 


Il ‘Signor-padrone’, il ‘Dominus-terrae’,
‘il Signore della terra’: ‘Adham’ 




§ 221   Queste ultime scene preannunciano la nascita di Set, venuto alla luce, forse prematuramente, mentre Abele moriva. 
   La visione che ebbi in questo ‘sogno’ mi aveva dato tutte 
le risposte che cercavo. 


   a) Ora sapevo qual era stata la futile provocazione che 
aveva portato Caino a compiere quel terribile delitto.

   b) Avevo anche compreso a quale ‘Signore’ Abele e 
Caino offrissero i loro doni.

   Se la Bibbia dice che “Caino e Abele offrivano sacrifici al 
Signore”, ma poi dice che “solo dopo la nascita di Enos si 
cominciò ad invocare il Nome del Signore” (e qui si intende 
senza ombra di dubbio che si tratta del ‘Signore-Iddio’), è 
segno che quel ‘Signore’ a cui Caino e Abele offrivano i 
doni era il loro ‘Signor-padre-padrone’, e non il SignoreIddio, esattamente come vidi in ‘sogno’. 
   Avevo capito che il termine Ad-ham non significa ‘Signore 
dalla-terra’ cioè ‘proveniente dalla terra o fatto con la terra’, ma ‘Dominus-Terrae’, il ‘Signore della Terra’, cioè ‘il 
Padrone della Terra’


   ‘Adham’ non è un nome proprio ma un attributo. È un 
titolo nobiliare come ad esempio Camillo Benso ‘conte di 
Cavour’, dove Cavour è anzitutto il nome del luogo o della 
tenuta della quale la sua famiglia portava il nome. 
   L’equivoco nell’interpretazione di questo attributo, frequente nei primi capitoli, aveva reso oscura la comprensione di quel ‘Signore’.

   Ora mi ero rafforzato nella convinzione che nella Genesi 
il termine ‘Signore’ è un termine polisemico che ora sostituisce 
‘il Signore-Iddio’, ora ‘il Signor-padrone’. 
Solo il contesto e la differente scrittura (‘il Signore’ usato come 
termine singolo, ma non sempre, e ‘il Signore-Iddio’ usato 
come termine composto) ci fa capire di quale ‘Signore’ si 
tratti. 
   Questo ‘Signore’ fa pensare a quel Signore che “scese a 
confondere le lingue” nel racconto della Torre di Babele, 
che non può essere Dio. “Nolite fieri sicut equus et mulus 
quibus non est intellectus”, non fate come il cavallo e l’asino che non hanno l’uso della ragione! È assurdo pensare 
che Dio possa nuocere all’uomo! Quel ‘Signore’ che mise 
confusione nelle lingue non è Dio: è il primo Uomo e con 
lui quei suoi discendenti puri, i “Figli di Dio”, i “Giganti” 
(Genesi 6,4), che sposarono (sarebbe il caso di dire ‘si accoppiarono con’) le ‘figlie più belle dei figli degli uomini’ 
(Genesi 6,2) e si facevano adorare come ‘dei’ dagli schiavi, 
uomini ibridi. 


   Di lì cominciò la ‘confusione delle lingue’, con la progressiva deformazione della parola. Ciò avvenne dalle origini in 
poi, cioè ancor prima di Noè, quando “omnis caro corruperat viam suam”, quando ogni uomo rimase formato solo di 
‘carne’ (poiché Dio aveva ritirato il Suo Spirito dall’uomo 
ibrido), e si trovò ad avere la propria natura corrotta. Ancor 
prima, dunque, che tutti gli abitanti della Terra fossero diventati ibridi. 
  
     Quando poi ogni uomo sulla Terra ebbe una carne corrotta 
perché i ‘Figli di Dio’ si erano estinti assimilati dagli ibridi 
ed erano rimasti solo gli ibridi, la confusione del linguaggio 
fra i popoli fu totale. 


   c) Compresi anche perché Set doveva sostituire Abele
non il primogenito Caino. Vedendo Caino inserito nella famiglia, 
lo avevo finalmente identificato. 




    Per la verità avevo già visto Caino in un ‘sogno’ orribile 
quattro anni prima quando Abele fu ucciso e che dirò più 
avanti. Ma a quel tempo non avevo capito che la vittima era 
Abele e l’altro Caino. Solo dopo questo ‘sogno’ potei identificare i due fratelli. 


   Poiché Caino non fu generato ‘ad immagine e somiglianza di Adamo’, ‘il campione’ (§ 25) previsto e preordinato ‘ab 
eterno’ dal Creatore, il diritto di primogenitura spettava ad 
Abele! 
   Ciò dimostra che per Dio la primogenitura non dipende 
da una precedenza cronologica della nascita, ma da una 
maggior somiglianza con la perfezione originaria che, per 
noi ibridi, si manifesta attraverso una maggiore o minore 
capacità di accogliere i Doni soprannaturali e un più profondo 
desiderio di conoscere ed amare Dio. 


   Questo principio è stato valido anche tra Isacco e Ismaele, 
tra Giacobbe ed Esaù, tra Giuseppe e i suoi fratelli.



d) Da questa visione avevo capito anche un’ultima cosa.


Vedendo la Donna stringersi il ventre per le doglie e afflosciarsi dal dolore, meditai anche il versetto 16 del terzo capitolo: “E il Signore-Dio disse alla donna: “Partorirai con dolore”...”. 
   


     Pensai: Non è vero che il dolore del parto sia una conseguenza del ‘peccato originale’ e che le Donne non contaminate dalle tare di questo peccato fossero preservate da tale dolore. 
Anche le Donne della specie pura e perfetta dei 
‘Figli di Dio’ partorivano secondo natura e con dolore, proprio come 
ogni creatura della Terra che genera secondo le leggi normali 
prestabilite da Dio che prevedono il dolore nel dare alla luce la prole.


   La frase della Genesi mosaica ci dice piuttosto un’altra 
verità: con l’ibridazione, tra le altre cose, si ebbe anche
come conseguenza diretta, il parto più doloroso perché le 
donne cainite, per conformazione ereditata dagli ancestri, 
avevano in proporzione spalle più larghe e spioventi e fianchi più stretti rispetto alle Donne pure e ciò rendeva meno 
agevole il passaggio della testa del nascituro. 


   Per questa ragione il parto per le donne ibride diventò più 
difficoltoso e più doloroso. 
A questo dolore fisico si aggiunga il dolore morale di una 
madre che si rende conto d’aver messo al mondo una creatura tarata che cresce irresponsabile. 
   “Partorirai con dolore…”! E quale dolore! 


Questa predizione della Genesi in realtà è solo una ‘sententia post factum’, perché Dio non può maledire alcuno, 
come dice giustamente S.Giacomo, e tanto meno può maledire coloro 
che ereditano le conseguenze di un peccato che non hanno commesso. 
Perciò Gesù ha tanto amato i malati e i peccatori!

   Un altro esempio di ‘sententia post factum’ è l’altro versetto 
che recita: “.... e maledetto sia il suolo... con dolore ne trarrai 
cibo... e con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Genesi 3,17).

   Anche questa è una constatazione a posteriori perché 
l’uomo ibrido, avendo perso i contatti diretti con Dio come 
Padre e Maestro, ha perduto anche le cognizioni per coltivare la terra, accendere il fuoco, ecc. e non ha più i docili 
ancestri come lavoratori dei campi. 
 Da qui altra sofferenza, altra fatica, altro sudore.





TERZA RIVELAZIONE:

ricevuta a Chies d’Alpago nel 1970 sotto forma di ‘sogno profetico’,
il secondo, scritta nel 1974 e riscritta nel 1982
*


(Nota della curatrice) Ricordiamo al lettore che fino a questo 
momento don Guido aveva ricevuto soltanto due rivelazioni:

la 1ª, quella intitolata ‘Il segno di Caino’ (1968), nella quale era venuto 
a conoscenza che Caino era un ibrido dall’aspetto antropoide; 


la 2ª, quella riguardante ‘Il peccato originale’ (1970), nella quale aveva 
visto che a commettere il ‘peccato originale’ era stato l’Uomo soltanto, con una femmina ancestre. 


Ma per comprendere l’identità di Caino e Abele gli mancava la rivelazione de ‘L’ultimo pasto di Abele’. Questo è il motivo per cui non si preoccupò di trascrivere subito l’episodio che stiamo per leggere. 
Solo dopo il 1974, vale a dire solo dopo aver ricevuto la rivelazione 
che abbiamo appena letto, ne prese nota e solo dopo il 1982, quando 
il Signore gli fece rivedere alcune sequenze di questa rivelazione 
che al tempo di questo ‘sogno’ non aveva capito, don Guido scrisse quanto segue.

Premessa

§ 222   Quand’ebbi la rivelazione de ‘La morte di Abele’ non 
compresi che il Bimbo assassinato era il Figlio legittimo del 
Capostipite. Lo avevo creduto un discendente di Set e Caino 
un ancestre come tutti gli altri. Per questo avevo ritenuto 
che gli ancestri fossero pericolosi e perversi.


   Le scene di violenza di questo ‘sogno’ erano state molto 
forti per cui avevo cercato di dimenticarlo. Solo nel 1974, 
grazie alla rivelazione de ‘L’ultimo pasto di Abele’, potei 
identificare i protagonisti.

   Nel 1970, all’epoca di questo ‘sogno’, non potevo ancora 
sapere che si trattava di quel vispo Bambino di circa 3 anni 
che avrei visto nel 1974 scherzare durante la cena in famiglia 
e poi correre fuori dal cortile a cercare frutta e che fu 
inseguito da Caino.

   Solo dopo la rivelazione de ‘La sera del dì fatale’, nella 
quale vidi che oltre l’angolo del terrapieno il sentiero scendeva al prato sottostante dove l’Uomo aveva costruito il suo 
pollaio, compresi che quello era il luogo dove il Piccino fu 
portato dagli ancestri quand’era già morto. 


   Ma solo nel 1982, dopo che il Signore mi fece rivedere e 
comprendere le tragiche scene di questo ‘sogno’ che non 
avevo capite, compresi che gli ancestri erano di indole mite 
e affezionati all’Uomo e alla sua famiglia, e scrissi quel tanto che mi ricordavo.

 La morte di Abele 
Ecco il ‘sogno’.

§ 223   La visuale non mi permetteva di conoscere l’ambiente in 
cui si svolgeva la scena. Potevo vedere soltanto un gruppo di 
giovani ancestri, forse sei, forse dieci, perché alcuni in margine del gruppo comparivano e scomparivano fuori del  video. Credo fossero, oltre a quei due che vidi schierati davanti al giovane Uomo per festeggiare la nascita della Donna, 
quei tre che stavano per nascere dalle sorelle nere e pelose, 
e quelli che dalle stesse sicuramente nacquero nel periodo in 
cui la Donna crebbe per diventare madre di Abele. 295
   Avevano una statura varia tra metri 0,50 e 0,80, ma quello 
più alto di tutti, e sopraggiunto per ultimo, misurava metri 
1,10 circa. 
Erano in lotta tra loro e si battevano con pugni, calci e 
morsi. Fra loro c’era un Bimbo di carnagione bianca. 
In quel gruppo avevo intravisto scene di omosessualità, di 
sadismo e di furia bestiale. 
Alle grida del Bimbo e a quelle della giovane Donna che 
stava per partorire e che lo chiamava, unite a quelle del 
Padrone occupato a soccorrerla perché era iniziato il travaglio, erano accorsi per primi i compagni di gioco ancestri. Essi, cercando di togliere Abele dalle mani di Caino, 
slogarono con i loro strattoni gli arti del suo tenero corpicino. 
   Girai la testa per non vedere quello strazio. Ma quando 
tornai a guardare, Abele giaceva a terra morto. Poco distante giace a terra, esanime, anche un esserino nero e peloso che era arrivato tra i primi in soccorso di Abele e che 
avevo visto aggredito, malmenato e strozzato da Caino. 
   I cuccioletti ancestri si accalcano attorno ad Abele e con 
le loro esili braccine si sforzano di farlo stare in piedi, ma il 
corpicino esanime ricade. 
In quel modo pensavano di farlo rivivere! I piccoli ancestri lo conoscevano compagno di giochi e probabilmente 
non avevano capito che era morto: forse credevano che il 
Bambino fosse addormentato e lo volevano vedere desto: 
perciò si sforzavano inutilmente di farlo stare in piedi. 
§ 224   Un giovane maschio, ma già adulto per la sua statura, 
alto circa m 1,10, forse il figlio secondogenito di Eva, nato 
dal maschio ancestre dopo la nascita dell’Uomo e prima 
della Donna (probabilmente quello che avevo visto alla nascita della Donna venir cambiato di posto e fatto passare 
dalla destra alla sinistra del maschio adulto, e quindi più 
vecchio di Caino) arriva per ultimo. 
   Questo con poche mosse, con morsi e pugni, riesce ad allontanare i più furiosi ancora in lotta con Caino ed i piccoli si ritirano a qualche metro di distanza. Poi allunga una 
mano sui testicoli di Caino che si arresta e si ritira. 
   L’intervento del più grande degli ancestri ha fatto quietare il gruppo. Egli prende il Bambino dalla pelle bianca sulle 
braccia e lo depone supino, con delicatezza, sul prato. Tutti 
sono fermi e guardano la scena. 
   Poi il crocchio si forma di nuovo e la lotta contro Caino 
riprende furiosa, ma intanto sopraggiunge il Gigante che 
con la sua presenza li costringe a dominarsi. 
Vidi il Gigante fermo a guardare il corpo immobile e pallido del suo Bambino. 
Capivo che il Piccino morto era la Creatura del Signorpadrone. (Nel 1970 non potevo immaginare che quel Bimbo 
fosse il Figlio del Capostipite Adamo, perché pensavo che 
Abele fosse morto quand’era adulto). 
   Vedevo il Bimbo morto alla distanza di due metri circa 
stando dietro al giovane ancestre che era accorso per ultimo in suo aiuto. Lo vedevo da sopra la sua testa. 
   Il Piccino era disteso supino, rivolto verso di me. Non gli 
vedevo i genitali nascosti dalla testa del giovane maschio 
che mi stava davanti. 
Il cadavere del Bimbo, che vedevo dal tronco in su, non 
era insanguinato. Non volevo insistere a guardare il povero 
corpicino di Abele laggiù presso il pollaio. 
Mi destai inorridito pensando: “Animalis homo non percepit ea quae sunt spiritus”, l’uomo-animale, come Caino, 
non percepisce le ispirazioni e i sentimenti di origine spirituale. 


Gli ancestri erano miti, obbedienti e fedeli
all’uomo e alla Donna 
§ 225   Questo ‘sogno’ fu molto triste, motivo per cui nel 1970 mi 
preoccupai di cancellarlo dalla mia mente invece di prenderne nota. 
   Per dodici anni, da quando nel 1970 ebbi questo ‘sogno’ 
fino a quando il Signore mi fece rivedere alcune scene facendomi osservare ciò che non avevo capito, avevo ritenuto che gli ancestri fossero pericolosi perché credevo che il 
Bambino fosse stato loro vittima per come lo dimenavano e 
poi lo lasciavano cadere esanime. 
   Ma dopo aver rivisto alcune scene nel 1982, compresi che 
il più aggressivo di quegli esseri pelosi era Caino. 
   Grazie a questo nuovo intervento del Signore, ho capito 
anche che Caino stava abusando di Abele, mentre i cuccioli 
ancestri cercavano di strapparglielo con forza slogandogli 
così tutte le articolazioni. 
   Ecco perché si sforzavano inutilmente con le loro esili 
braccia di far rivivere quel Bimbo che amavano e che era 
stato loro compagno di giochi. 
Solo quand’era già morto l’avevano portato laggiù nel 
prato vicino al pollaio. Avevano lottato per difenderlo, rischiando la loro stessa vita. 
   Gli ancestri, a differenza di Caino, erano miti, obbedienti 
e rispettosi verso l’Uomo, la Donna e il loro Bambino, intelligenti e fedeli più del cane attuale. 
   Soltanto Caino, dalla mente contorta, frustrato e invidioso 
del fratello, covava sentimenti di odio e di rivalsa e aveva 
deviazioni del comportamento sessuale. 


 le deviazioni sessuali trovano la loro origine
e causa nella corruzione genetica

§ 226   L’anomalo Caino voleva proprio uccidere Abele oppure 
soltanto punirlo “per una lieve scalfittura ricevuta” come 
dice la versione ebraica? Probabilmente ci fu, insieme al 
desiderio di vendetta, il desiderio di abusare di lui.
   L’istinto sessuale di Caino dovette essersi manifestato più 
volte in famiglia se l’Uomo e la Donna dovettero coprirsi 
con pelli di canguro. Quello sbirciare insistente fra le gambe della Donna durante ‘L’ultimo pasto di Abele’, ogni volta che ella si curvava a raccogliere un frutto e che il lembo 
della falda le lasciava scoperto un ginocchio, era un segnale della sua passione latente. 
   Caino non sapeva dominare il “furor mali desiderii”, la 
furia degli istinti. Era sensuale e, visto Abele allontanarsi, 
lo rincorse per sfogarsi. 
Il peccato di Caino fu un triplice peccato: di pederastia, di 
pedofilia e di infanticidio. Sua unica giustificazione: Caino 
era minorato nel corpo e nella psiche. 
Riflettevo: se il ‘peccato originale’ fu commesso quando la 
Donna aveva un anno e mezzo o due, Caino era più giovane 
della Donna di 2 o 3 anni. E se la Donna concepì Abele all’età di 14 anni, ella, quando Abele fu ucciso (pressappoco 
a 3 anni), ne aveva circa 18 e Caino 15. 
   Si legge che le scimmie raggiungono mediamente l’età feconda intorno agli otto anni. Si può presumere che gli ancestri non si differenziassero molto da quelle. Egli dunque era 
adolescente come uomo, ma maturo come ancestre. Sebbene 
la statura dei due fratellastri fosse quasi simile perché somaticamente appartenenti a specie diverse, la differenza 
d’età fra i due era di 12 o 13 anni.
§ 227   Fu il terrore dell’insidia e della morte che fece comprendere al Capostipite che ormai non poteva più dominare la 
situazione? È da questo momento che ha inizio lo sterminio 
(degli ancestri) di cui parla la Genesi (4,15), nel folle desiderio di vendetta o nel tentativo di arginare il pericolo di un 
delitto che avrebbe potuto ripetersi? 
   Il Capostipite invece non uccise Caino perché il Signore lo 
aveva diffidato dal farlo. Per questo “il Signore aveva dato 
a Caino un segno, ‘la parola’, (§ 193) affinché chi lo incontrasse (e non poteva essere che l’Uomo) non lo uccidesse”. 
Dunque l’Uomo in questa circostanza obbedì all’ordine di 
Dio di non sopprimere Caino perché Caino era ‘figlio dell’Uomo’ e perché questa discrezionalità spettava solo a Dio. 
Sappiamo con certezza che rispettò la vita di Caino altrimenti non saremmo nati noi, ibridi. 
   Caino fu invece cacciato verso Oriente. La Bibbia dice che 
ad Oriente prima di lui fu cacciata Eva, sua madre, forse 
dopo che lo ebbe svezzato o, al più tardi, quando Caino potrebbe aver mostrato un particolare interesse anche verso di 
lei. Si deduce per logica che Caino si accoppiò con Eva perché se Caino è “uomo” (così lo ha definito il Signore nella 
rivelazione che segue) (§ 233) è segno che, oltre alla parola,  
aveva il numero dei cromosomi della specie umana. Quindi 
poteva unirsi a tutte le femmine, ma generare solo da Eva. 
   Da questo sventurato connubio nacquero figli e figlie, i 
cosiddetti ‘figli naturali dell’Uomo’ o ‘figli degli uomini’. 
Quindi Caino non fu cacciato dal Signore-Iddio, bensì dal 
Signor-padrone Adamo, il Signore della Terra! 
Così la triste coppia si compose, o si ricompose: ‘Lei, Eva, bestia simile a donna, e l’altro, Caino, uomo simile a bestia’. 
   Abele va annoverato fra i ‘Santi Innocenti’ e fu il primo 
martire a salire al cospetto di Dio. 


lA SErA DEl Giorno FAtAlE
DEllA MortE Di ABElE
SETTIMA RIVELAZIONE:
ricevuta a Chies d’Alpago nel 1974 


(Nota della curatrice) La 7ª rivelazione, ossia il quinto ‘sogno’, è di una 
portata immensa. Avviene dopo e a breve distanza dal quarto ‘sogno’, quello relativo a ‘L’ultimo pasto di Abele’. 
Mentre nelle rivelazioni che precedono la grande visione del 1972 il 
Signore intende mettere a fuoco il ‘peccato originale’ e le sue conseguenze 
immediate e successive, nelle rivelazioni che seguono la grande visione il 
Signore entra nell’analisi psicologica e nel campo delle responsabilità, sia 
di quelle di Caino, tarato, frustrato, complessato e malizioso, che di quelle 
di suo Padre. 




Premessa 
§ 228   Nelle circostanze più impensate mi ritornava alla mente 
ora una scena, ora l’altra di quanto avevo visto e udito nei 
‘sogni’ che avevano preceduto e seguito la grande visione. 
Capivo sempre meglio la connessione delle cose e, appena 
potevo mettermi a tavolino, scrivevo su un foglio qualunque 
l’ultima ispirazione con il riferimento ad altre precedenti. 
   Dopo l’ultimo ‘sogno’ riguardante la morte di Abele, mi 
chiedevo se la Donna avesse partorito prematuramente; se 
il Neonato fosse una femminuccia o un maschietto e se l’una 
o l’altro avesse riportato conseguenze fisiche. 302 Genesi Biblica
   Mi chiedevo anche se l’Uomo, umiliato e stressato per 
l’assassinio di Abele, si fosse ravveduto della sua superbia 
e autosufficienza. 
   A dare una risposta a questo mio interrogativo venne puntuale quest’altra rivelazione. 
 il Signore-iddio sta alla mia destra 
Ecco il ‘sogno’. 




§ 229   Era nel tardo pomeriggio dello stesso giorno della morte 
di Abele e mi trovavo sul prato, ai piedi di quel colle che si 
protendeva verso di esso come un promontorio, proprio nel 
luogo dove avevo visto il giovane Uomo con la Neonata sulle 
mani e “la madre di tutti e due”(§125), Eva, ancora semisdraiata dopo il parto, che reclamava la sua figlioletta. 
   L’Invisibile Accompagnatore che stava alla mia destra mi 
condusse su per il sentiero, ora in ombra, già percorso dall’Uomo che 18 anni prima portava la Bimba. 
   Il sentiero che saliva verso Nord per il versante orientale 
di quel promontorio che si protendeva verso Sud, era piuttosto stretto ed aveva a destra nel primo tratto la pianura 
coperta di messi e più avanti alberi sparsi ad alto fusto. 
§ 230   Durante il percorso sentivo vicinissima, alla mia destra, 
la Voce che mi istruiva con molta competenza e bontà, raddrizzando parecchie delle mie idee preconcette, ed era tanto 
il rispetto e la venerazione che mi ispirava, che mi sentivo 
tutto avvolto e come affascinato dalla Sua Presenza. Non La 
sentivo come una Persona estranea che mi incutesse timore, 
ma come una Persona familiare con cui fossi vissuto a lungo
con molta dimestichezza e che, perciò, mi conosceva bene 
nella mente, nel cuore e nelle mie vicende. 
   Purtroppo non ho scritto subito dopo ciò che mi ha detto, 
ma era tutto relativo all’interpretazione della Bibbia. 
Ad un certo punto vi era una svolta a 180 gradi e la direzione del sentiero che salivamo ora era verso Sud e lo 
scoscendimento scendeva alla mia sinistra. 
   Sopra e sotto il sentiero vi era erba a ciuffi che sembrava 
loppa, quell’erba secca dei prati non falciati, e qualche cespuglio basso di nocciolo o di carpine. 
   Mi tenevo sul bordo sinistro di esso per lasciar spazio al 
mio invisibile Accompagnatore che continuava a parlarmi 
familiarmente all’orecchio destro: 
– TIENITI AL CENTRO. NON HO BISOGNO DI SPAZIO.  – 
Arrivammo ad un punto dove il sentiero era interrotto per 
una lunghezza di 2 o 3 metri da una piccola frana che terminava in basso a sinistra presso la prima parte del sentiero 
che avevamo percorso. Non si poteva passare che uno alla 
volta, saltando su due o tre sporgenze rocciose e distanziate, sempre allo stesso livello del sentiero. Stranamente ero 
scalzo e temevo di scivolare. 
   Mi arrestai sul ciglio sinistro di esso per dare la precedenza al mio Venerando Maestro. Guardando il precipizio 
pensai: 
   “Perché non si mette alla mia sinistra per sostenermi?”. 
Ma Egli mi disse: 
 – PASSA. NON TEMERE. RIMANGO SEMPRE 
ALLA TUA DESTRA. IMPEGNATI QUANTO PUOI. TI 
ACCOMPAGNO SEMPRE. TI SOSTERRÒ.  – 


§ 231   In quel momento mi si affacciò alla mente il dramma che 
avevo visto in quello stesso posto tempo prima, come attrala sera del giorno fatale della morte di aBele304 Genesi Biblica
verso un corpo opaco e un cespuglio: rividi Eva che, raggiunto il giovane Uomo, voleva la Bimba ma, alla resistenza di lui, lo graffiò e lo morse, tanto che egli, per togliersela 
d’attorno, le fece uno sgambetto che la fece cadere, ma non 
vidi dove fosse caduta. Allora capii perché Eva, quando saliva la scala e nel camminare verso l’ingresso della grotta, 
zoppicava, e perché il Giovane, ancor prima di ammetterla 
nella sua abitazione, avesse guardato a lungo la sua piccozza. 
   Pensai anche come avranno fatto le madri dei cuccioli a 
salire lassù per far compagnia alla Bambina il dì del ‘peccato originale’. 
   A sinistra vi erano altri alberi lungo l’orlo del ripido pendio. Erano sempre piante d’alto fusto che non potei identificare perché ne vedevo solo il tronco fino all’altezza dei 
rami. Dopo una trentina di metri circa dalla frana il sentiero 
si faceva pianeggiante e girava dolcemente a destra.


§ 232   A quel punto il sentiero si apriva a ventaglio su uno spiazzo o pianoro erboso che a sinistra verso valle era delimitato 
dai soliti tronchi d’albero. Questi alberi, non fitti, lasciavano 
intravedere un ripido pendio che scendeva per 30 o 40 metri 
sulla vasta pianura biondeggiante di messi. Lo spiazzo terminava 20 metri più avanti con la facciata posteriore di un 
casolare rustico sulla quale si apriva un’unica finestrella. 
   Il sentiero, che passava a Sud del casolare lasciandolo a 
circa 2 metri di distanza sulla destra, proseguiva all’esterno del cortiletto dal fondo roccioso girando ulteriormente a 
destra. 
   Arrivati a tre metri dal casolare fui invitato ad uscire dal 
sentiero e ad affacciarmi alla finestrella. Non volevo, ma mi 
trovai a guardarci dentro.
 l’autore del primo omicidio 
§ 233   Frattanto il Maestro continuava a parlarmi e mi avvertiva 
pressappoco con queste parole: 
   – VEDRAI L’AUTORE DEL PRIMO OMICIDIO. È UN 
‘UOMO’ DISPERATO.  – Dopo qualche istante: 
– NON È DEL TUTTO RESPONSABILE. EGLI È 
L’AUTORE DEL CRIMINE, MA IL VERO RESPONSABILE 
È SUO PADRE CHE PER LA SUA DISOBBEDIENZA E 
PRESUNZIONE È LA CAUSA PRIMA DI TANTI MALI E 
DEL DISORDINE NEL MONDO.  – 
   Disse altre parole che non ricordo, ma che capivo benissimo. 
   Mi era entrata in cuore una grande angoscia mista a timore. 
La stanza era un ambiente povero e affumicato ed era illuminata dal sole attraverso la porta aperta dalla parte opposta. Doveva essere di tardo pomeriggio perché quella luce 
entrava da Ovest di sbieco così da illuminare il pavimento 
di terra battuta, tutto diritto e pulito, fino in prossimità della 
finestra. 
   Ad un metro da quest’ultima vidi un essere peloso raggomitolato sul pavimento. Lo vedevo di schiena. Il pelo, lungo 
4 o 5 cm, non era proprio nero, ma castano scuro e discriminato lungo la spina dorsale. Capii che era Caino perché 
l’avevo già visto in altra occasione. Teneva i gomiti sulle 
ginocchia e le mani sul capo, in modo che i polsi appaiati 
ne coprivano la sommità e le mani nascondevano gli orecchi e l’una e l’altra parte della testa schiacciata. Non mi fu 
possibile vederlo in faccia perché teneva la testa bassa sulle 
ginocchia. Il suo bacino era stretto. 
   “Quello teme un colpo di piccozza, oppure il Padre gli ha 
tirato gli orecchi che adesso gli dolgono” pensai. 
la sera del giorno fatale della morte di aBele306 Genesi Biblica
   – IL PADRE NON L’HA UCCISO E NON LO UCCIDERÀ 
PERCHÉ È ‘FIGLIO DI UOMO’ E ‘UOMO LUI STESSO’ 
– mi venne detto. E dopo qualche secondo disse altre parole 
che non ricordo testualmente, ma potrei esprimere il concetto così: 
   – I DIFETTI, ANCHE IL COMPORTAMENTO 
ABERRANTE DELLA SESSUALITÀ UMANA, SONO 
DOVUTI ALLA DISUBBIDIENZA PRESUNTUOSA DEL 
PRIMO UOMO.  – 
   Compresi perciò che non solo certe malattie ereditarie, 
come la sindrome di Down o la sindrome di Turner o la pazzia, o certe deformazioni fisiche, come il nanismo o il labbro 
leporino, ma anche le deviazioni sessuali, come l’omosessualità o la sodomia o la pedofilia, ecc... sono deformazioni 
psicofisiche dovute allo squilibrio entrato nel genere umano 
attraverso il ‘peccato originale’. 
§ 234   Ritornato sul sentiero e oltrepassato il fianco Sud del rustico, il sentiero voltava ulteriormente a destra girando attorno ad un cortiletto lastricato e delimitato da un muretto. 
   Venendo dal sentiero che avevo percorso si accedeva al 
cortile dal punto in cui mi trovavo. 
Superato il secondo angolo del casolare, mi accorsi di 
trovarmi nello stesso posto nel quale, nel ‘sogno’ del peccato originale, avevo visto la Bambina giocare nel cortile in 
mezzo ai cuccioletti ancestri e dove avevo visto riunirsi la 
famiglia per consumare il suo pasto frugale. 
   Mi girai sul fianco destro e, voltando le spalle a Sud, vidi 
che questo cortiletto era delimitato a destra dalla facciata 
di quello stesso rustico che prima avevo visto di spalle. Ad 
un metro dall’angolo si apriva l’unico ingresso della costruzione dentro la quale avevo appena visto Caino. Di fronte 
avevo la parete del terrapieno, alto circa 6 metri e largo 5 
o poco più, sopra il quale avevo visto l’Uomo, quand’era 
ancora giovane, sottoporsi alla doccia. Gli altri due lati del 
cortile erano delimitati dal muretto semicircolare, all’esterno del quale correva il sentiero che stavo percorrendo e che 
proseguiva, al termine del muretto, scendendo lungo il lato 
Ovest del terrapieno. 
   Da quel lato, ai piedi del terrapieno dove terminava il muretto, era uscito per l’ultima volta Abele rincorso da Caino. 
Il piano del cortile era roccioso e pulito. Era la superficie 
di uno strato o filone di arenaria, inclinato e pendente verso la facciata di quel rustico, tanto che vi erano due o tre 
gradini davanti alla porta d’ingresso. Non li avevo notati la 
prima volta quando vidi il Giovane seduto sulla panca addossata alla parete del casolare, poco prima di commettere 
il ‘peccato originale’, né in quell’altra occasione quando 
vidi la prima famiglia riunita per pranzo nell’ultimo giorno 
di vita di Abele. 
   La porta era aperta. 
Indugiai a guardare dentro, sempre con il timore di essere 
scoperto e rimproverato. Caino era ancora là immobile, con 
la faccia sulle ginocchia, in una posizione impossibile per 
una persona normale. Ginocchi bassi, gambe corte, avambracci lunghi sproporzionati alla lunghezza della schiena e 
questa era molto flessibile nella curva. 
Mi ritirai e tornai sul sentiero. 
 la prima famiglia è in lutto 
§ 235   – CI AVVICINIAMO ALL’ABITAZIONE DELLA PRIMA 
FAMIGLIA CHE È IN LUTTO E IN GRANDE ANGOSCIA 
E SOFFRE MOLTO PER LE COSE ACCADUTE 
QUEST’OGGI.  – 


   L’abitazione a cui alludeva la Voce stava sulla cengia superiore, in alto, sopra il terrapieno. Reagii volgendomi verso sinistra, protestando: 
   – Signore,  – dissi  – non sono preparato ad affrontare una 
situazione del genere. Non so quali parole di conforto io 
possa dire. E poi, cosa dirà l’Uomo che vengo a curiosare 
in casa sua in questa solitudine? Ho paura.  – 
   Desideravo andarmene prima che arrivasse l’Uomo, e lo 
dissi. Ero trepidante. Non volevo farmi vedere. 
Il Signore mi accontentò ed evitammo l’abitazione. 
Riprendemmo il sentiero e costeggiammo il muretto che finiva all’angolo con il terrapieno e di qui cominciammo a 
scendere verso Ovest per un viottolo ripido e lastricato di 
larghe pietre a mo’ di lunghi gradoni che percorsi veloce 
fino al suo termine dove c’era un praticello a mezza costa. 
   Giunti al praticello l’Accompagnatore mi avvertì con la 
solita Voce: 
– QUI VEDRAI LA VITTIMA.  – 
– No, Signore; non voglio vederlo. Un Bambino straziato 
e morto mi farebbe troppa impressione.  – 
Intanto, guardando alla mia sinistra, vidi una rete fatta di 
anelli di vimini larghi da cinque a otto centimetri, addossata 
ad un cespuglio e sostenuta dalle sue fronde verdi fino all’altezza di tre metri. Ne vedevo solo un tratto, dall’altezza 
di un metro in su, perché il campo visivo era molto limitato. 
Mi fu suggerito che lì c’era il pollaio affidato alle cure del 
Bambino che, poco prima di venir ucciso, aveva raccolto le 
uova per portarle al suo Papà. Abele faceva l’allevatore, 
limitatamente alla sua età, non di pecore, bensì di polli. 
   Risalimmo il viottolo e mi pareva di volare. Ero meravigliato nel constatare come potevo correre senza fatica posando i piedi scalzi su quelle lastre informi e grezze, giallastre e di varia grandezza che erano posate sopra la terra 
bagnata come a segnare le pedate onde evitare di sporcarsi 
i piedi. 
   A circa metà della salita vidi vicinissimo, all’altezza della mia spalla, un grappolo di uva rossiccia. Sembrava uva 
fragola non ancora matura e il grappolo non era più grosso 
del pugno di un fanciullo. Volevo vedere in che modo fosse 
sostenuto il tralcio, ma non mi fu possibile. Era sopra la 
linea del quadro visivo. 
   La salita terminava ai piedi del terrapieno e qui fui avvertito che avrei visto uscire dal cortile l’Uomo che temevo. 
Ero in apprensione e mi arrestai a mezzo metro dall’angolo dal quale cominciava il muretto del cortile. 
Adamo era un gigante 
§ 236   Dallo spigolo del terrapieno, al di sopra del muretto, vidi 
spuntare l’estremità di un piede umano, ben fatto, il destro. 
Avanzava molto lentamente come al rallentatore. L’alluce 
era fasciato, dall’ultima falange in dentro, da una striscia 
bianca, liscia che non era stoffa, ma sembrava ‘semolina’ 
larga da due a tre centimetri. Altre due dita erano fasciate 
da una striscia più sottile. Le dita erano diritte e regolari, 
segno che non erano mai state costrette in una scarpa. Erano 
arrossate come se fossero state lavate nell’acqua calda. 
   Venne avanti il piede e, quando lo vidi interamente, calcolai che era 10 o 11 cm più lungo del mio che porto il numero 
43 di scarpa. 
   A ridosso del tallone vidi il risvolto di una pelle pelosa 
che passava sotto il piede, una suoletta che era legata in 
qualche modo alla caviglia. 
Dietro il piede venne fuori lo stinco, un po’ alla volta, su, 
su, e sembrava non finisse più. Era d’uomo, senza peli. 


   Quando stava per comparire il ginocchio vidi il lembo peloso di una falda scivolare al di dentro del ginocchio così 
che quando il piede si posò sul sentiero fuori del muretto la 
gamba intera era allo scoperto fino alla coscia. 
   “Un gigante!  – pensai  – Chissà cosa mi dirà nel trovarmi 
qui a curiosare fra le sue cose”. Da sopra il muretto venne avanti la gamba sinistra e, insieme, tutto l’Uomo, che, 
scostandosi dalla parete del terrapieno alla quale era appoggiato con l’avambraccio destro, pose a terra il secondo 
piede e si rizzò giusto davanti a me, a circa un metro di 
distanza. 
   Figura imponente dalla pelle lucida e arrossata. Aveva i 
capelli quasi tutti bianchi con qualche piccola ciocca di neri 
frammezzo. L’avevo visto in altra rivelazione consumare il 
pasto con la sua famiglia poco prima dell’infanticidio del 
suo Bambino ed era tutto nero di capelli e di barba. E adesso, 
a poche ore di distanza, perché questa rivelazione riguarda 
ancora quel giorno funesto, è incanutito come un vecchio! 
   Facevo intanto fra me qualche calcolo: “Supponiamo che 
sia diventato padre a 15 o a 16 anni e sua Figlia, la Donna, 
abbia partorito a 14, e che il loro Bambino oggi, quand’è 
morto, abbia avuto circa 3 anni: l’Uomo non può avere più 
di 33 anni”. 
   I suoi occhi iniettati di sangue non mi guardavano e ne fui 
lieto. Guardava lontano, al di sopra della mia spalla destra, 
forse verso il sole che stava per tramontare alle mie spalle. 
La falda gli si era spostata a sinistra lasciandogli scoperta 
la metà del petto fino a quattro o cinque centimetri sotto lo 
sterno. Un petto poderoso, senza peli, largo certamente 15 
cm più della media. Braccia enormi, anch’esse senza pelo. 
   Si assestò la falda che, appesa sulla spalla sinistra, copriva l’addome fino a qualche centimetro sotto la giuntura 
delle costole.
   Mi fu suggerito sommessamente di confrontarmi con la 
sua statura. Venne avvicinato fino a 30 o 40 cm dai miei 
occhi.
 Fissai quel punto perché corrispondeva al mio sguardo 
orizzontale. Mi ripromisi di fare in seguito il calcolo. 
Eccolo: 
– Il mio piede misura 25 cm; il suo 35 o 36. 
– L’altezza del mio sterno è di 1 m e 15. L’altezza del suo 
è uguale a quella dei miei occhi: 1 m e 63. 
– La mia statura è di 1 m e 76 cm e mezzo. La sua, in proporzione, è di 2 m e 50 cm. Pensavo anche: 
– Gesù, per non umiliare l’uomo attuale, assunse la statura media fra quella del Campione (2 m e 50) e quella degli 
ancestri maschi (m 1,10). Per cui m 2,50 + 1,10 = m 3,60 
che, divisi per 2, fa m 1,80. 
   Per guardarlo in faccia, così vicino, dovetti retrocedere di 
un passo e guardare in su. Al considerare quel petto e quelle 
braccia enormi, ma ben proporzionate, mi assalì ancora il 
timore: 
   “Se vedendomi si irrita e mi dà uno schiaffo  – pensai,  
– mi fa rotolare giù per il pendio”. Ebbi paura, ma mi venne 
detto sommessamente: 
 – NON TI VEDE. SONO PASSATI TANTI ANNI. NON 
TEMERE.  – 
Anche la barba era quasi tutta bianca. Non era lunga che 
pochi cm e non era abbondante: gli incorniciava il viso lasciando quasi libere le gote. 
   I baffi, essi pure grigi, erano ben tagliati appena sopra il 
labbro. 
Penso che forse erano acconciati così naturalmente perché 
le guance erano prive di peluria. 




 l’uomo contro Dio 


§ 237   A tratti le sue labbra si muovevano, come se parlasse, 
ed intanto guardava al di sopra della mia testa e poi al di 
sopra e oltre la mia spalla destra. Guardava il sole che 
tramontava. 
   Una sola volta i suoi occhi si incontrarono di sfuggita 
con i miei ed in quel momento mi parve che il movimento 
delle sue labbra corrispondesse alle parole che sentii pronunciare: 
   – ORA HAI VISTO.  – Credendo che fossero parole sue e 
che si riferisse al Bambino morto, gli risposi tosto: 
   – No, non ho voluto guardare il Piccino. Un Bambino assassinato mi farebbe troppa impressione! Ho visto l’altro, là 
dentro, seduto per terra.  – 
   Credetti, sul momento, che l’Uomo riconoscesse le sue disgrazie come effetto del suo peccato e si lamentasse. Invece, 
erano parole del mio Interlocutore. 
   E, in contrapposizione alle mie allusioni ai due figli, il mio 
Illustre Maestro ha precisato a voce normale: 
– ...HAI VISTO COSA È ACCADUTO ALL’UOMO!  – Egli 
stava ora a capo chino. Mah... Che cosa vedevo!? Che cosa 
faceva!? 
– QUESTO!  – precisò la Voce. 
Egli aveva sbandato la falda a sinistra e con la destra... 
credevo guidasse una funzione fisiologica per non bagnarsi 
e, per non guardare, alzai lo sguardo ai suoi occhi. Ma si 
intratteneva un po’ troppo a lavorare con quella mano... 
   – ADESSO HAI VISTO CHE COSA HA FATTO... LUI, 
L’UOMO (nel senso di: ‘come si è comportato l’Uomo’, o 
‘come ha reagito alla disgrazia...’)  – ribadì la Voce che 
proveniva dalla mia spalla destra. 


   Il suo sguardo verso il sole morente ed il suo gesto mi 
sembrò simile a quello di Giuliano l’Apostata
52
che stese il 
pugno pieno di sangue raggrumato verso il Cielo dicendo:
   – Hai vinto, o Galileo!
53
  – 
   O simile al gesto di... Malthus
54
col significato di: 
   – Perché non lo hai custodito? Eppure era Figlio legittimo. Non vuoi che sopravvivano? Ebbene, non ne avrò 
più! – 
   Mi rimase impressa la sua immagine di Uomo disperato 
che sembrava prendersela con Dio perché non aveva impedito il delitto. 



la Donna “È innoCEntE”

§ 238   Io stavo in pensiero per la Donna, l’unica che non si lasciava vedere e che vidi accasciarsi nel presagire, impotente, l’uccisione di Abele. Pensavo: 
   “Ora soffrono in conseguenza del loro peccato”.
Ma la solita Voce disse forte:
– MA LEI È ‘INNOCENTE’. RICORDALO! – (§207)
E mi presentò allo sguardo la scena di lei ancor Piccina 
nel cortile e poi nella grotta. Alludeva alla Donna che anch’io avevo ritenuta colpevole, dimenticando di averla vista, 
52
 Giuliano Flavio Claudio (331-363) imperatore romano dal 361, fu detto l’Apostata per 
aver rinnegato (nel 351 circa) il cristianesimo e restaurato il culto pagano.
53
 Il ‘Galileo’ è Gesù perché viene dalla Galilea. Giuliano l’Apostata stese la mano piena di 
sangue verso il Cielo, mentre Adamo la stese piena di sperma. 
54
 Thomas Robert Malthus (1766-1834) economista inglese. Nel suo libro ‘Saggio sul principio della popolazione’ (1798) sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a 
coltivare terre sempre meno fertili con conseguente penuria di generi di sussistenza e arresto 
dello sviluppo economico. Propose come soluzione la limitazione delle nascite.315
ancora Bambina, in occasione della rivelazione del ‘peccato originale’.

   Il ‘sogno’ svanì e mi destai.

§ 239   Ha voluto precisare: “ma lei è innocente”.
   Ecco dunque la novità portata dalle due inclite Celesti 
Messaggere, “le due madri dei figli di dio”, nella festa dell’Assunta: la donna, la madre naturale dei ‘figli di dio’(§ 8)
è innocente’ (§ 207 e 238), poiché non fu lei a commettere 
il peccato originale visto che al momento di quel ‘peccato’ 
aveva un anno e mezzo o due. 
   Lei, l’ultimo capolavoro del Creatore, fu anche immacolata perché nata, come Maria, senza tare del ‘peccato originale’ perché concepita per opera dello Spirito Santo e 
del giovane Uomo creato perfetto, e fu martire nello spirito 
come Maria per aver visto uccidere il suo primogenito. È 
giunta l’ora di riabilitarne la figura e la memoria.
   Questa dunque la novità qui ribadita dalle Eccelse Donne, 
associate nella gloria, che ora si fanno conoscere all’umanità, ma specialmente a tutte le donne, per far loro comprendere la loro dignità di persone umane e in particolare di 
madri, col ruolo sublime di mettere al mondo sempre nuove 
creature destinate a popolare la Terra e conseguire la Vita 
eterna. 
   È mia convinzione che la Madre naturale dei ‘Figli di Dio’ 
ci segua dal Cielo e sia divenuta la protettrice di tutte le 
donne che soffrono per la presunzione e la prepotenza dei 
loro mariti e per le morti premature dei loro figli.


AMDG ET BVM
LAUDETUR JESUS CHRISTUS!