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venerdì 6 marzo 2015

LETTERA ENCICLICA PROVIDENTISSIMUS DEUS DEL SOMMO PONTEFICE LEONE XIII


LETTERA ENCICLICA
PROVIDENTISSIMUS DEUS

DEL SOMMO PONTEFICE
LEONE XIII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE SONO IN PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA,
SULLO STUDIO DELLE SACRE SCRITTURE

INTRODUZIONE
Il Dio provvidentissimo che, nell'ammirabile disegno del suo amore, innalzò sin dal principio il genere umano a essere partecipe della divina natura e che poi, tràttolo dalla colpa e dalla rovina comune, ristabilì nella primitiva dignità, gli conferì per questo un singolare aiuto, per manifestargli in modo soprannaturale i misteri della sua divinità, della sua sapienza e della sua misericordia. Sebbene infatti nella divina rivelazione siano comprese anche cose non inaccessibili all'umana ragione, e tuttavia rivelate agli uomini "perché si potessero da tutti conoscere con più prontezza, con ferma certezza e senza mescolanza di errori, non per questo però si può affermare che la rivelazione sia assolutamente necessaria, ma perché Dio, nella sua infinita bontà, ordinò l'uomo ad un fine soprannaturale". Questa "rivelazione soprannaturale, secondo la fede universale della chiesa", è contenuta sia "nelle tradizioni non scritte", sia anche "nei libri scritti" che vengono chiamati sacri e canonici, perché, "essendo stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati affidati alla chiesa". Questo certamente, riguardo ai libri dell'uno e dell'altro Testamento sempre ha ritenuto e apertamente professato la chiesa: ben noti sono gli importantissimi documenti antichi, nei quali si afferma che Dio, il quale parlò prima per mezzo dei profeti, poi egli stesso e quindi per bocca degli apostoli, è anche autore delle Scritture che sono chiamate canoniche, e che sono oracoli e locuzioni divine, una lettera inviata dal Padre celeste trasmessa per mezzo degli autori sacri al genere umano, peregrinante lontano dalla patria. Essendo quindi così grande l'eccellenza e la dignità delle Scritture da rivendicare quale autore lo stesso Dio, e contenendo i suoi altissimi misteri, disegni e opere sue, ne consegue che anche quella parte della sacra teologia, che riguarda la difesa e l'interpretazione dei Libri divini, è di un'eccellenza e utilità grandissima.
PARTE I
UTILITA' MULTIFORME DELLA S. SCRITTURA
E STIMA CHE SEMPRE NE EBBE LA CHIESA
Noi quindi, come curammo, non senza frutto, con l'aiuto di Dio, di far progredire, con frequenti lettere ed esortazioni, alcuni altri generi di discipline che sembravano poter molto giovare all'incremento della gloria divina e alla salvezza del genere umano, così già da lungo tempo pensavamo di spronare e raccomandare questo studio altissimo delle sacre Lettere e dirigerlo anche più conformemente alle necessità dei tempi presenti. Ci sentiamo mossi e spinti dalla sollecitudine del nostro ufficio apostolico non solo a desiderare che in modo sempre più sicuro e abbondante si renda manifesta, per l'utilità dei gregge del Signore, questa fonte della rivelazione cattolica, ma ci sentiamo anche spinti a non tollerare che venga violata in alcuna parte da coloro che con empia audacia inveiscono apertamente contro la sacra Scrittura, o tramano a suo danno ingannevoli o imprudenti innovazioni.
La Scrittura è divinamente ispirata
Non ignoriamo, venerabili fratelli, come fra i cattolici non pochi siano gli uomini d'ingegno e di dottrina che si adoperano alacremente sia per la difesa dei Libri divini, sia per contribuire ad una più ampia cognizione e intelligenza dì essi. Mentre elogiamo grandemente la loro opera e i loro frutti, non possiamo fare a meno, tuttavia, di esortare vivamente a meritare l'elogio di così santo scopo anche tutti coloro la cui solerzia, dottrina e pietà ottimamente promettono in questo campo. Vivamente desideriamo e bramiamo che molti rettamente intraprendano e costantemente si occupino della difesa delle divine Lettere e che quelli, soprattutto, che la divina grazia chiamò al sacri ordini, si applichino ogni giorno con diligenza e solerzia sempre maggiori nel leggerle, meditarle e spiegarle, come è loro preciso dovere.
La ragione per cui tanto sembra da raccomandarsi questo studio, a parte la sua eccellenza e l'ossequio dovuto alla parola divina, sta nella molteplicità dei vantaggi che sappiamo dovranno derivarne, secondo l'infallibile promessa dello Spirito Santo: "Ogni Scrittura divinamente ispirata è utile a insegnare. a redarguire, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfetto e pronto ad ogni opera buona" [1]. Che le Scritture siano state date certamente da Dio agli uomini a tal fine, lo dimostrano gli esempi del Cristo Signore e degli apostoli. Gesù, infatti, che "con i miracoli si conciliò l'autorità e con l'autorità si acquistò la fede e con la fede attrasse la moltitudine", soleva, nell'ufficio dei suo divino mandato, appellarsi alle sacre Scritture. Infatti quando gli si offre l'occasione, prova con le sacre Scritture di essere stato mandato da Dio, e si proclama Dio; da esse prende gli argomenti per ammaestrare ì suoi discepoli e per confermare la sua dottrina; da esse rivendica testimonianze contro le calunnie dei suoi denigratori e le oppone, per redarguirli, ai sadducei e ai farisei, e le ritorce anzi contro lo stesso satana che impudentemente osa tentarlo. Di esse si servi anche alla fine della sua vita, e, risuscitato, le spiegò ai discepoli, sino a che ascese alla gloria del Padre.
Ammaestrati dalla sua parola e dal suoi precetti, gli apostoli, sebbene Gesù concedesse che "segni e prodigi si operassero per mano loro" [2], grande efficacia traevano tuttavia dai Libri divini, per diffondere largamente tra le genti la sapienza cristiana, per infrangere la pertinacia dei giudei e per soffocare le eresie nascenti. Ciò appare apertamente dai loro stessi discorsi, primo fra tutti quello del beato Pietro, che composero quasi interamente con detti dell'Antico Testamento, come fermissima prova della nuova legge. E ciò è pure dimostrato dai vangeli di Matteo e Giovanni, e dalle lettere cosiddette cattoliche; molto chiaramente, poi, appare dalla testimonianza di colui che "si gloria di aver appreso la legge di Mosè e profeti ai piedi di Gamaliele, da poter poi, come armato di armi spirituali, fiduciosamente affermare: Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma ogni nostra potenza ci viene da Dio".
La Scrittura e la predicazione
Per mezzo dunque degli esempi del Cristo Signore e degli apostoli, comprendiamo tutti, e specialmente i novizi della sacra milizia, quanto siano da tenersi in conto le Lettere divine, e con quale diligenza e con quale pietà debbano accedere allo studio di esse come ad un arsenale. Per coloro, infatti, che abbiano da trattare la dottrina della verità cattolica, sia presso i dotti come gli indotti, nessun altro luogo, più delle Scritture, offre numerose e più ampie testimonianze su Dio, sommo e perfettissimo bene, e sulle sue opere, che manifestano la gloria e l'amore di lui. Riguardo poi al Salvatore del genere umano, nulla vi è di più eloquente e più evidente delle testimonianze contenute in tutto il contesto della Bibbia, onde Girolamo giustamente poteva affermare che "l'ignoranza delle Scritture è ignoranza del Cristo". Dalla Scrittura, infatti, balza viva e palpitante l'immagine di lui, dal quale sì diffonde. in un modo del tutto meraviglioso, la liberazione dal male, l'incitamento alle virtù, l'invito all'amore divino. Per ciò che riguarda la chiesa, e cioè la sua istituzione, la sua natura, le sue funzioni, i suoi carismi, tanto spesso se ne fa menzione nelle Scritture, e tanto numerosi si trovano in essa gli argomenti fermi ed evidenti a suo favore, da far esclamare giustamente san Girolamo: "Colui che è corroborato da testimonianze delle sacre Scritture, questi è certamente un potente baluardo per la chiesa". Che se poi si cercassero norme di disciplina di vita e di costumi, abbondanti e ottimi sussidi troveranno in essa gli uomini apostolici: prescrizioni piene di santità, esortazioni condite di soavità e di forza, insigni esempi per ogni genere di virtù. A tutto ciò si aggiunge un'autorevolissima promessa e una minaccia, fatte nel nome e con le Parole dello stesso Dio, di premi o di pene per l'eternità.
E questa virtù propria e singolare delle Scritture, che viene dalla divina ispirazione dello Spirito Santo, è quella che conferisce autorità all'oratore sacro, offre l'apostolica libertà di parole, dona vigorosa e vittoriosa eloquenza. Chi, infatti, nel predicare comunica lo spirito e la forza del Verbo divino, "non predica soltanto a parole, ma anche nella virtù e nello Spirito Santo e in molta pienezza" [3]. Si può dunque affermare che agiscono senza ordine e improvvidamente coloro che tengono prediche sulla religione ed enunciano precetti divini servendosi quasi esclusivamente di parole di scienza e di prudenza umana, appoggiandosi più su argomenti propri che non su quelli divini. Di conseguenza tali prediche, per quanto appoggiate sullo splendore dello stile, riescono fiacche e fredde, perché mancanti del fuoco della parola di Dio [4]: ben lontane quindi da quella forza di cui essa è ricca: "La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a doppio taglio e penetra fino alla divisione dell'anima e dello spirito" [5]. Quantunque anche i più saggi debbano ammettere che si trova nelle sacre Scritture una mirabile, varia e copiosa eloquenza degna di cose grandi - cosa che sant'Agostino vide chiaramente e dimostrò eloquentemente -, tuttavia ciò è confermato anche dall'esperienza stessa dei più eccellenti oratori sacri, i quali, grati a Dio, ebbero ad affermare di dover la loro fama soprattutto all'assiduo uso e pia meditazione della Bibbia.
I santi padri, avendo sperimentato molto bene tali cose, sia speculativamente che praticamente, mai cessarono dal lodare e le divine Lettere e i loro frutti. Le chiamano, in vari loro scritti, tesoro ricchissimo delle celesti dottrine, fonti perenni di salvezza, o le presentano quali campi fertili e ameni orti, nei quali il gregge del Signore viene mirabilmente ristorato e ricreato. Viene qui opportuno ricordare le raccomandazioni di san Girolamo al chierico Nepoziano: "Leggi spesso le divine Scritture, mai, anzi, la lettura sacra venga deposta dalle tue mani; apprendi ciò che insegni... ; il parlare del prete sia condito dalla lettura delle Scritture". E qui viene opportuna la sentenza di san Gregorio Magno, il quale descrisse più sapientemente di ogni altro i compiti dei pastori della chiesa: "E necessario", egli dice, "che coloro che hanno l'ufficio della predicazione non tralascino mai lo studio della sacra lettura".
Ci piace ancora ricordare sant'Agostino che ammonisce: "E' vuoto quel predicatore che non sia intimo discepolo della parola di Dio", e lo stesso Gregorio che mette in guardia gli oratori sacri "affinché nelle sacre predicazioni, prima di predicare agli altri, pensino a se stessi, perché non succeda che badando agli altri si dimentichino di sé". Tale norma però, sull'esempio e sull'insegnamento del Cristo, che "Incominciò prima a fare e poi a insegnare" [6]. già era stata ampiamente inculcata dall'apostolo, che rivolse non a Timoteo soltanto, ma a tutto l'ordine dei chierici questo precetto: "Attendi a te e all'insegnamento e persevera in queste cose, perché così facendo tu salvi te stesso e quelli che ti ascoltano" [7]. Nelle sacre Lettere sono veramente offerti aiuti preziosi per la salvezza e perfezione propria e altrui, illustrati più abbondantemente nel Salmi; tuttavia, per coloro che prestano alla parola divina non soltanto una mente docile e attenta, ma anche una volontà abitualmente integra e pia. Non si deve infatti stimare il valore di tali libri alla stregua degli altri: poiché essi, essendo ispirati dallo Spirito Santo, e contenendo cose importantissime, e in molti punti recondite e assai difficili, per comprenderle e spiegarle sempre "abbiamo bisogno dell'intervento" dello stesso Spirito e cioè del suo lume e della sua grazia. Tali mezzi, come con frequente insistenza ammonisce l'autorità del divino Salmista, dobbiamo implorare con umile preghiera e custodire in noi con la santità della vita.
Da tutte queste cose appare quindi egregiamente la provvidenza della chiesa, la quale, "affinché non giacesse trascurato il tesoro dei sacri Libri, che lo Spirito Santo con somma liberalità donò agli uomini", in ogni tempo vi provvide con ottime istituzioni e leggi. Essa infatti stabilì non solo che tutti i suoi ministri avessero l'obbligo di leggerne e meditarne pia mente gran parte nell'ufficio quotidiano, ma anche che venisse spiegata e commentata, per mezzo di uomini idonei, nelle chiese cattedrali, nei monasteri, nei vari conventi degli altri regolari, nei quali possano convenientemente fiorire gli studi; e ordinò che almeno nel giorni di domenica e nelle feste solenni i fedeli venissero nutriti, in modo a loro conveniente, con le salutari parole dell'evangelo. E così si deve pure alla saggezza e sollecitudine della chiesa il culto della sacra Scrittura, vivo in ogni tempo e fecondo di grandi vantaggi.
Le antiche scuole di sacra Scrittura
Giova qui far notare, anche per confermare sempre più le nostre testimonianze e le nostre esortazioni, come sin dagli inizi della religione cristiana, tutti coloro che eccelsero per santità di vita e di opere e per scienza delle cose divine furono sempre assidui nella lettura delle sacre Lettere. Vediamo gli immediati discepoli degli apostoli, tra i quali Clemente Romano, Ignazio d'Antiochia, Policarpo; gli apologisti e nominatamente Giustino ed Ireneo, che nelle loro epistole e libri, sia che difendano sia che celebrino i dogmi cattolici, attingono specialmente dalla sacra Scrittura tutta la loro sicurezza, la forza e ogni grazia. Sorte poi le scuole catechetiche e teologiche in molte sedi episcopali, tra cui celebri l'Alessandrina e l'Antiochena, non si aveva in esse quasi altra istituzione di studi se non quelle che riguardavano la lettura, l'esposizione, la difesa della parola divina scritta. Da tali scuole vennero poi fuori molti Padri e scrittori, dei cui laboriosi studi ed egregi libri abbondarono a tal punto i tre secoli segnati, da essere a buon diritto chiamati l'età aurea dell'esegesi biblica.
a) Orientali e Occidentali
Tra gli Orientali tiene il primo posto Origene, mirabile per la prontezza d'ingegno e per la costanza nella fatica: dai suoi numerosi scritti e dall'immensa opera degli Esapla attinsero quasi tutti i posteri. Sono pure da annoverare coloro che ampliarono i confini di tale disciplina: tra i più eccellenti della scuola alessandrina abbiamo Clemente e Cirillo; dalla Palestina Eusebio e l'altro Cirillo; dalla Cappadocia Basilio Magno e l'uno e l'altro Gregorio, il Nazianzeno e il Nisseno; da Antiochia il famoso Giovanni Crisostomo, in cui gareggiavano grande perizia di dottrina e somma eloquenza. Non meno illustri sono gli Occidentali. Tra i molti che grandemente si segnalarono, nomi celebri sono quelli di Tertulliano e Cipriano, di Ilario e Ambrogio, di Leone Magno e Gregorio Magno; celeberrimi quelli di Agostino e Girolamo, dei quali l'uno fu sommamente acuto nel penetrare il senso della parola divina ed espertissimo nel farla servire alla verità cattolica, l'altro fu onorato dal singolare riconoscimento della chiesa col titolo di dottore massimo per la scienza dei Libri sacri e per le grandi fatiche sostenute per la conoscenza di essi.
Da questo tempo fino al secolo XI, tale genere di studi, benché non fiorisse con pari ardore e non desse i frutti di prima, tuttavia fu in auge per opera soprattutto di uomini ecclesiastici. Essi curarono infatti o di scegliere quegli insegnamenti più utili, come gli antichi li lasciarono, e, una volta convenientemente ordinati, di divulgarli con l'aggiunta di propri commenti, come fu fatto in primo luogo da Isidoro di Siviglia, da Beda, da Alcuino; o di illustrare i sacri codici con glosse, come fece Valafrido Strabone e Anselmo di Laon; o infine di salvaguardarne con rinnovata sollecitudine l'integrità, come fecero Pier Damiani e Lanfranco.
Nel secolo XII poi molti si occuparono lodevolmente dell'esposizione allegorica della Scrittura: in questo genere eccelle tra gli altri san Bernardo, i cui sermoni ridondano quasi esclusivamente delle divine Lettere.
b) Periodo scolastico
Ma nuovi e consolanti incrementi vennero ad aggiungersi col metodo degli Scolastici. Questi, sebbene abbiano cercato di investigare la lezione genuina della versione latina, come lo attestano chiaramente i loro Correttori biblici, tuttavia indirizzarono maggiormente i loro studi e le loro cure all'interpretazione e spiegazione delle Scritture. Furono distinti infatti, con un'arte e con una chiarezza, come non mai per l'innanzi, i vari sensi delle sacre parole, e soppesata di ognuno l'importanza nella scienza teologica; furono definite le parti dei libri, gli argomenti delle parti; furono investigati i fini degli scrittori, spiegati il nesso e i rapporti tra le varie proposizioni: considerate tali cose, è chiaro che nessuno potrebbe negare che molta luce si è fatta in tal modo sui passi oscuri. E quanto abbondante e scelta fosse la loro dottrina sulle Scritture, ce lo manifestano pure ampiamente sia i libri di teologia, sia i commenti alle medesime Scritture; e anche sotto questo riguardo ebbe tra essi il primo posto san Tommaso d'Aquino.
c) Le università degli studi
Dopo che Clemente V, nostro predecessore, ebbe dotato l'ateneo dell'Urbe e le più celebri università degli studi di cattedre di lettere orientali, i nostri studiosi incominciarono a lavorare molto più accuratamente sui codici originali della Bibbia e sull'esemplare latino. Con il ritorno, in seguito, tra noi dell'erudizione greca e molto più con la felice invenzione della nuova arte della stampa, grandemente si accrebbe il culto della sacra Scrittura. E' cosa mirabile, infatti, come in sì breve tempo si siano tanto moltiplicati con la stampa i sacri testi, specialmente la Volgata, da riempire quasi l'orbe cattolico, così che, proprio nel tempo in cui i nemici della chiesa la calunniano, i divini volumi sono però onorati ed amati.
E neppure si deve passare sotto silenzio quali vantaggi nella scienza biblica abbia apportato il grande numero degli uomini dotti, appartenenti specialmente a famiglie religiose, dal concilio di Vienne al Tridentino. Essi, infatti, servendosi dei nuovi mezzi, e portando essi stessi il contributo della loro molteplice erudizione e del loro ingegno, non solo accrebbero il patrimonio accumulato dagli antichi, ma prepararono quasi la via alla preminenza del secolo seguente. che scaturì dallo stesso concilio Tridentino, allorché sembrò quasi ritornare la grande età dei Padri. Nessuno infatti ignora, e ci è gradito ricordarlo, come i nostri predecessori, da Pio IV a Clemente VIII, fossero i promotori di quelle insigni edizioni delle antiche versioni, della Volgata e dell'Alessandrina, che poi, pubblicate per ordine e con l'autorità di Sisto V e dello stesso Clemente, si trovano ancor oggi nell'uso comune. E' noto come nello stesso tempo siano state edite con la massima diligenza sia le altre antiche versioni della Bibbia, sia la poliglotta di Anversa e quella di Parigi, adattissime per un'accurata investigazione del senso; né vi era alcun libro dell'uno e dell'altro Testamento che non vantasse ben più di un valente interprete, o qualche grave questione, attorno cui non si fossero affaticati assai proficuamente molti uomini d'ingegno, tra i quali, non pochi. soprattutto tra i più esperti studiosi dei santi Padri, acquistarono un nome illustre. Né a partire da questo tempo lasciò a desiderare la solerzia dei nostri, poiché valenti uomini, di quando in quando, ben meritarono in tali studi, difendendo le sacre Lettere contro le avverse dottrine del razionalismo, tratte dalla filologia e da altre discipline affini, con simile genere di argomenti.
Tutte queste cose provano, a chi ben le considera, come la chiesa non sia mai venuta meno al suo compito di tramandare in modo salutare le fonti della divina Scrittura ai propri figli, e come abbia conservato perennemente la sua posizione di presidio nella quale venne divinamente posta per la tutela e il decoro delle stesse e come l'abbia consolidata provvedendola di ogni genere di studi, di modo che non ebbe mai bisogno e non abbisogna di incitamenti di estranei nell'adempimento del suo compito.
PARTE II
ORDINAMENTO ATTUALE DEGLI STUDI BIBLICI 
Avversari ed errori
Ormai l'argomento che ci siamo proposti di trattare richiede che Noi, venerabili fratelli, vi comunichiamo tutte quelle norme che sembrano più opportune per rettamente ordinare tali studi. Ma tornerà certamente utile conoscere qui, fin dall'inizio, quale genere di avversari si accaniscano in questa lotta e in quali artifici o armi confidino.
E manifesto come la lotta dovette prima essere sostenuta con coloro che, basandosi sul proprio giudizio privato e ripudiando le tradizioni divine e il magistero della chiesa, asserivano essere la Scrittura l'unica fonte della rivelazione e il supremo arbitro della fede. Ora la lotta è con i razionalisti, i quali, quasi figli ed eredi dei primi, basandosi parimenti sul proprio giudizio, ripudiano nel modo più assoluto persino questi stessi elementi della fede cristiana ricevuti dal padri. Essi infatti negano del tutto sia la divina rivelazione, come l'ispirazione e la sacra Scrittura, e vanno dicendo che altro non sono se non artifici e invenzioni degli uomini, che non contengono vere narrazioni di cose realmente accadute, ma inutili favole o storie menzognere; così non abbiamo in esse vaticini od oracoli, ma soltanto predizioni fatte dopo gli eventi o presagi di intuito naturale; non presentano veri e propri miracoli e manifestazioni della potenza divina, ma si tratta o di fatti meravigliosi, mai però superiori alle forze della natura, o di magie e miti. I vangeli poi e gli scritti apostolici sono certamente, dicono. da attribuirsi ad altri autori.
Siffatti gravi errori, con i quali credono di distruggere la sacrosanta verità dei Libri divini, li presentano come sentenze decisive di una certa nuova scienza libera, sentenze che riescono però così incerte a loro stessi, tanto da dover mutare e sostituire ben spesso le loro opinioni su identiche questioni. Non mancano tra questi taluni che, pur essendo e parlando tanto empiamente di Dio, del Cristo, dell'evangelo, e del resto della sacra Scrittura, vorrebbero tuttavia passare per teologi, cristiani ed evangelici, cercando così di coprire sotto un nome specioso la temerarietà di un insolente ingegno. A costoro si aggiungono non pochi studiosi di altre discipline, che condividono le idee dei primi e li aiutano, e che la stessa intolleranza per le verità rivelate induce similmente ad avversare i Libri sacri. Non potremo mai deplorare abbastanza come questa lotta vada ogni giorno più estendendosi e facendosi sempre più accanita. Viene mossa a danno di uomini valenti ed eruditi, sebbene non trovino questi grande difficoltà a difendersene; ma soprattutto i nemici si volgono accanitamente, con ogni studio e mezzo, verso il popolo indotto. Spargono il loro veleno esiziale con libri, opuscoli e quotidiani; lo insinuano nelle adunanze, nei discorsi: hanno ormai pervaso ogni campo, e tengono nelle loro mani molte scuole di giovani, sottratte alla tutela della chiesa, in cui si corrompono miseramente le ancor credule e docili menti e si spingono al disprezzo delle Scritture, anche ricorrendo al ludibrio e agli scherzi osceni.
Questi sono i fatti, venerabili fratelli. che debbono scuotere, infiammare il nostro zelo pastorale. così che a questa che è "falsamente chiamata scienza" [8] nuova, si opponga l'antica e la vera, quella che la chiesa ricevette da Cristo per mezzo degli apostoli, e sorgano in questa immane lotta idonei difensori della sacra Scrittura.
Scelta dei docenti
Sia dunque questa la prima cura, che nei seminari o accademie si impartisca l'insegnamento delle divine Lettere così come lo richiedono e l'importanza della materia stessa e la necessità dei tempi. A questo fine, nessun'altra cosa deve stare più a cuore della prudente scelta dei docenti: a questo ufficio, infatti, non si tratta di assumere qualcuno tra i molti, ma uomini tali, che un grande amore e una diuturna consuetudine con la Bibbia e un'adeguata dottrina raccomandino, all'altezza cioè di tale ufficio. Né meno tempestivamente bisogna considerare chi debba in seguito loro succedere. Gioverà perciò, ove lo si possa, che, tra gli alunni di ottime speranze, ve ne siano alcuni i quali, espletato lodevolmente il corso di teologia, si consacrino totalmente al Libri divini, e venga loro data la possibilità di dedicarsi per un certo tempo ad uno studio più profondo di essi. E così una volta scelti e formati, in qualità di dottori assumano con sicurezza l'ufficio loro affidato; e affinché in esso si trovino ottimamente e ne traggano convenienti frutti, vogliamo impartir loro più ampi ammaestramenti.
Curino pertanto di preparare le menti dei discepoli, fin dal principio degli studi, in modo da formare e coltivare in essi con grande diligenza una mentalità atta, in pari tempo, e a difendere i Libri divini e a cogliere il senso di essi. A questo mira il cosiddetto trattato di introduzione biblica, nel quale il discepolo trova un opportuno sussidio per dimostrare l'integrità e l'autorità della Bibbia, per investigare e trovarne il senso genuino, per impossessarsi delle obiezioni cavillose e stroncarle alla radice. Di quanta importanza sia l'aver fin dall'inizio trattato di queste cose ordinatamente e appositamente, col sussidio e l'aiuto della teologia, è appena necessario dirlo, dal momento che tutta la restante trattazione della Scrittura si appoggia di continuo su questi fondamenti e viene illuminata da questi principi chiarificatori.
L'opera quindi del precettore deve volgersi con molto zelo alla parte più fruttuosa di questa scienza e cioè a quella dell'interpretazione, affinché i discepoli siano ammaestrati nel modo di volgere le ricchezze della parola divina al progresso della religione e della pietà. Comprendiamo certamente l'impossibilità di esporre tutta la Scrittura nelle scuole, sia per la vastità della materia che per mancanza di tempo. Tuttavia, poiché è necessario seguire una via sicura per ottenere una fruttuosa interpretazione, sappia il saggio maestro evitare l'uno e l'altro inconveniente: sia quello di coloro che appena possono gustare di passaggio qualcosa dei singoli libri, sia quello di coloro che si fermano oltre il conveniente su una determinata parte di un libro solo. Se infatti in molte scuole non si potrà ottenere ciò che si ottiene nelle accademie maggiori, e cioè che venga esposto l'uno o l'altro libro con una certa continuità e abbondanza, bisogna però curare in ogni modo che le parti dei libri scelte per l'interpretazione abbiano una trattazione convenientemente completa, di modo che i discepoli incitati e ben ammaestrati da questo saggio, studino poi da se stessi le altre parti e vi provino gusto in ogni momento della loro vita. Il docente, inoltre, attenendosi alla costante tradizione del passato, adotterà come esemplare la versione Volgata, che il concilio Tridentino decretò doversi ritenere "autentica sia nelle pubbliche lezioni, come nelle dispute, predicazioni ed esposizioni", e che anche la costante consuetudine della chiesa raccomanda. Dovrà tuttavia tenere anche nel debito conto le altre versioni, che la cristianità antica elogiò e di cui si servì, e specialmente i codici primitivi. Quantunque, infatti, per ciò che riguarda l'essenziale, le parole della Volgata rendano bene il senso dell'ebraico e del greco, tuttavia se un qualche punto riuscisse un po' oscuro o fosse stato tradotto meno accuratamente, gioverà, come avverte sant'Agostino, "l'esame accurato della lingua originale". E' evidente, del resto, quanta perizia e accuratezza occorra in questo, essendo infatti "compito del commentatore non esporre idee personali, ma quelle dell'autore che sta interpretando".
Dopo aver soppesato, ove sia necessario, con ogni industria la lezione, si passerà ad esaminare e a esporre i sensi. Primo consiglio è che si osservino le prescrizioni comunemente approvate per l'interpretazione e con cura tanto più sollecita quanto più gli avversari si mostrano tenaci nel tener desta la contesa. E perciò allo studio per soppesare quale sia il valore delle parole in se stesse, cosa significhi la concatenazione delle varie realtà, la somiglianza dei luoghi e le altre considerazioni simili, si aggiunga ancora la delucidazione di elementi esterni risultante da una conveniente erudizione. Si badi però a non dedicare a siffatte questioni più tempo e fatica, che non per conoscere più a fondo i Libri divini, e non avvenga che le molte e affastellate cognizioni siano alle menti dei giovani più di ostacolo anziché di aiuto.
Scrittura e teologia
Da questo punto, sicuro sarà il passaggio all'uso della divina Scrittura in teologia. Occorre a questo proposito tenere presente che, oltre alle altre cause di difficoltà che per lo più s'incontrano nell'interpretazione di qualsiasi libro antico, qui se ne aggiungono alcune proprie dei Libri sacri. Trattandosi infatti di libri il cui autore è lo Spirito Santo, molte cose vi sono in essi che superano di gran lunga la forza e l'acume della ragione umana, i divini misteri cioè, e molte altre cose contenute insieme con questi, e per di più talvolta con un senso ben più ampio e recondito di quanto non sembri esprimere la parola o indicare le leggi dell'ermeneutica, e certamente lo stesso senso letterale richiama poi altri sensi, sia per illustrare i dogmi, sia per raccomandare precetti di vita pratica. Non bisogna perciò negare che i sacri Libri non siano avvolti da una certa religiosa oscurità, per cui nessuno può accedere ad essi senza una qualche guida: avendo così provvidamente disposto Dio, secondo l'opinione comune dei santi padri, affinché gli uomini si sentissero spronati a studiarli con maggior desiderio e diligenza e perché si imprimessero poi più profondamente nelle loro menti e nei loro animi quelle verità tanto laboriosamente acquistate, e perché comprendessero soprattutto che Dio affidò le Scritture alla chiesa, della quale debbono servirsi come di sicurissima guida e maestra nel leggere e trattare le sue parole. Infatti già s. Ireneo insegnava che si deve apprendere la verità là, ove sono posti i carismi del Signore, e che senza alcun pericolo vengono esposte le Scritture da coloro presso cui si trova la successione apostolica. Il concilio Vaticano abbracciò certamente la dottrina di questo e degli altri Padri quando, rinnovando il decreto tridentino riguardo l'interpretazione della parola divina scritta, "dichiarò essere tale il suo giudizio che nelle cose riguardanti la fede e i costumi appartenenti all'edificazione della dottrina cristiana, sia da ritenersi quale autentico senso della sacra Scrittura quello che tenne e tiene la santa madre chiesa, cui spetta giudicare del vero senso e dell'interpretazione delle sante Scritture; e che perciò non è permesso ad alcuno interpretare la stessa sacra Scrittura contro questo senso o anche contro l'unanime consenso dei Padri".
Investigazione e interpretazione biblica
Con questa legge piena di sapienza la chiesa non intende in alcun modo ritardare o proibire l'investigazione della scienza biblica, anzi la preserva immune da errore e contribuisce grandemente al suo vero progresso. Un grande campo si apre infatti ad ogni maestro privato, in cui con passo sicuro potrà con la sua arte di interprete cimentarsi egregiamente e con utilità per la chiesa. Nei passi della divina Scrittura, ove si desidera ancora una interpretazione certa e definitiva, può in tal modo avvenire che, per un soave disegno del provvidente Dio, data la piena preparazione nel diligente studio, maturi il giudizio della chiesa. Nei passi poi già definiti il maestro privato può egualmente dare un contributo esponendoli più dettagliatamente al popolo fedele e più altamente ai dotti, o confutando brillantemente gli avversari. Per la qual cosa, sia principale e sacrosanto dovere dell'interprete cattolico. trattandosi di passi scritturali il cui senso è autenticamente dichiarato o per mezzo dei sacri autori, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, come in molti luoghi del Nuovo Testamento, o per mezzo della chiesa, assistita dal medesimo Spirito Santo, "sia con solenne giudizio, o per il magistero ordinario e universale", di interpretarli allo stesso modo e di cercare di convincere, mediante gli aiuti della propria dottrina, che secondo le leggi di una sana ermeneutica si può rettamente approvare soltanto quella interpretazione. Negli altri casi si deve seguire l'analogia della fede e attenersi, come a norma suprema, alla dottrina cattolica, quale la si riceve dall'autorità della chiesa. Essendo infatti lo stesso Dio autore dei sacri Libri come della dottrina, la cui depositaria è la chiesa, non è certamente possibile che provenga da legittima interpretazione il senso di un qualche passo scritturale che sia in qualche modo discordante dalla chiesa. Ne segue che è da rigettarsi come inetta e falsa quella interpretazione che faccia apparire gli autori ispirati in qualche modo in opposizione tra loro, o sia contraria alla dottrina della chiesa.
Scrittura e santi padri
Bisogna quindi che il maestro di questa scienza eccella pure in questo aspetto e cioè che possegga egregiamente la teologia e sia versato nei commentari dei santi padri, dei dottori e degli interpreti insigni. Questo inculca del resto san Girolamo e pure vivamente sant'Agostino che, giustamente rammaricandosi, diceva: "Se qualsiasi disciplina, per quanto da poco e facile, richiede, per essere compresa, un dottore o un maestro, che vi è di più temerario e di orgoglioso quanto il ricusare l'aiuto degli interpreti nello studio dei libri dei divini misteri!". Questo ritennero e confermarono con l'esempio gli altri padri i quali "ricercavano l'intelligenza delle sacre Scritture non basandosi sulla propria presunzione, ma sugli scritti e sull'autorità di quei grandi, dei quali constasse che avevano ricevuto e accettato le norme di interpretazione indicate dalla successione apostolica".
Somma è invero l'autorità dei santi padri, per mezzo dei quali "la chiesa, dopo gli apostoli, ebbe incremento, come da piantatori, irrigatori, edificatori, pastori ed educatori", ogni volta che all'umanità interpretano con uguale senso una qualche testimonianza biblica, riguardante la dottrina della fede o dei costumi. Dal loro unanime consenso, infatti, appare chiaramente che così sia stato tramandato dagli apostoli secondo la fede cattolica. Il pensiero dei padri è pure da tenersi in gran conto quando essi esercitino il loro ufficio di dottore quasi in forma privata, poiché non è solo la scienza delle cose rivelate e la cognizione di molte notizie utili alla conoscenza dei libri apostolici che li rende fidati, ma certamente Dio stesso aiutò con più valido soccorso della sua luce questi uomini insigni per santità di vita e per la diligente ricerca della verità. Sappia quindi l'interprete che è suo dovere il seguire riverentemente i loro passi e l'usufruire delle loro fatiche con intelligente scelta.
Non pensi però che gli venga per questo preclusa la via per cui, intervenendo una giusta causa, egli potrà anche procedere oltre nella ricerca e nel l'interpretazione, purché si mantenga religiosamente ossequioso al precetto sapientemente dato da sant'Agostino, e cioè di non allontanarsi per nulla dal senso letterale e ovvio, se non vi sia una qualche ragione che non permetta di tenerlo, o una necessità che imponga di lasciarlo: prescrizione questa a cui fa d'uopo attenersi con tanta più fermezza quanto maggiore, in così grande smania di novità e libertà di opinioni, sovrasta il pericolo di sviarsi. Si guardi parimenti lo studioso dal trascurare quei passi che furono volti dagli stessi Padri a un senso allegorico o simile, soprattutto quando partono dal senso letterale e sono sostenuti dall'autorità di molti. Tale modo di interpretare, infatti, la chiesa lo ricevette dagli apostoli, e lo approvò essa stessa, come appare dalla liturgia, col proprio esempio; non che i padri si studiassero per mezzo di esso di dimostrare per sé ì dogmi dì fede, ma perché conoscevano per esperienza quanto valesse ad alimentare la virtù e la pietà.
Minore è certamente l'autorità degli altri interpreti cattolici; tuttavia, poiché gli studi biblici hanno sempre goduto nella chiesa di un continuo progresso, è doveroso rendere il debito onore parimenti ai loro commenti, dai quali assai opportunamente si possono prendere molti argomenti per confutare sentenze contrarie e per risolvere punti difficili. Ma è davvero cosa troppo sconveniente che taluni, quasi ignorando o disprezzando opere lasciateci in buon numero dai nostri, preferiscano libri eterodossi e vadano a cercare da essi, con presente pericolo per la sana dottrina e non di rado con detrimento della fede, spiegazioni di passi nel quali i cattolici, già da tempo, vi spesero con buoni frutti ingegno e fatiche. Sebbene, infatti, l'interprete cattolico possa talvolta giovarsi degli studi degli eterodossi, usandoli, con la debita prudenza, ricordi, tuttavia, che anche secondo numerosi documenti degli antichi non si può affatto trovare, fuori della chiesa, il senso incorrotto delle sacre Lettere, e che neppure può essere tramandato da coloro che, privi come sono della vera fede, non possono della Scrittura raggiungere il midollo, ma soltanto è dato loro di roderne la corteccia.
La Scrittura anima della teologia
E' poi grandemente desiderabile e necessario che l'uso della divina Scrittura domini in tutta la scienza teologica e ne sia quasi l'anima. Questo affermarono in ogni età i padri e i più insigni teologi e questo procurarono di fare. Essi infatti cercarono di stabilire e assodare le verità che sono oggetto di fede, come pure le altre che ne derivano, soprattutto per mezzo delle divine Lettere, e per mezzo di esse, come parimenti per mezzo della divina tradizione, cercarono di confutare i commenti innovatori degli eretici, di investigare la ragione, l'essenza, la correlazione dei dogmi cattolici. Nessuno dovrebbe meravigliarsi di ciò, se si pensa che, tra le fonti della rivelazione, è così insigne il luogo dovuto ai Libri divini che, senza uno studio e un uso assiduo di essi, non si può trattare di teologia in modo retto e secondo la sua dignità. Sebbene sia cosa giusta che nelle accademie e nelle scuole i giovani vengano esercitati specialmente nell'acquisto della conoscenza e scienza dei dogmi così che, posta l'argomentazione degli articoli di fede, si arrivi da questi alla conclusione di altri, seguendo le norme di una provata e solida filosofia, tuttavia un grave e dotto teologo non dovrà mai trascurare la stessa dimostrazione dei dogmi dedotta dall'autorità della Bibbia: "Infatti (la teologia) non riceve i suoi principi da altre scienze, ma immediatamente da Dio per mezzo della rivelazione. E perciò non riceve dalle altre scienze come fossero superiori, ma si serve di esse come inferiori e ancelle". Questo modo di insegnare la dottrina sacra ha quale maestro e auspice il principe dei teologi, l'Aquinate, il quale, partendo da questa chiara comprensione dell'indole della teologia cristiana, insegnò in che modo il teologo possa difendere i suoi stessi principi, caso mai qualcuno li impugnasse: "Per mezzo dell'argomentazione rigorosa se l'avversario ammette qualcosa di ciò che si ha per divina rivelazione; come quando per mezzo dei testi autorevoli della sacra Scrittura disputiamo contro gli eretici, e per mezzo di un articolo ammesso disputiamo contro coloro che ne negano un altro. Se poi l'avversario non crede ad alcuna delle cose divinamente rivelate, non rimane la possibilità di provare gli articoli di fede per mezzo di argomentazioni, ma solo si possono in tal caso sciogliere le obiezioni, se l'avversario ne adduce, contro la fede".
Bisogna dunque provvedere affinché i giovani intraprendano gli studi biblici convenientemente preparati e agguerriti, perché non venga frustrata la giusta speranza che riponiamo in essi e perché, ciò che sarebbe maggior male, presi dagli inganni dei razionalisti e dall'apparenza di erudizione, non corrano incautamente il pericolo di sviarsi. Saranno ottimamente preparati, se avranno religiosamente coltivato e profondamente compreso la disciplina della filosofia e della teologia, secondo la guida dello stesso san Tommaso, seguendo quella via che additammo e prescrivemmo. Così cammineranno rettamente, sia nella scienza biblica come in quella parte di teologia cosiddetta positiva, e faranno in ambedue felicissimi progressi.
PARTE III
DIFESA DELLA S. SCRITTURA
CONTRO GLI ERRORI MODERNI
Integrità dei libri sacri
E' certamente già gran cosa che la dottrina cattolica sia stata provata, esposta, illustrata con la legittima e solerte interpretazione dei Libri sacri; rimane tuttavia un'altra parte da farsi e di ben grande importanza, come pure di grande lavoro e cioè che si sostenga il più validamente possibile l'integra autorità degli stessi Libri sacri. Intento che in nessun altro modo potrà universalmente e pienamente conseguirsi se non per mezzo del vivo e legittimo magistero della chiesa, la quale, "per se stessa e cioè per la sua ammirabile propagazione, per l'esimia sua santità e inesauribile fecondità in ogni opera buona, per la sua cattolica unità e invitta stabilità è un grande e perpetuo motivo di credibilità e testimonio irrefragabile del suo divino mandato". Poiché il divino e infallibile magistero della chiesa poggia anche sull'autorità della sacra Scrittura, bisogna perciò in primo luogo sostenere e rivendicare a questa una fede almeno umana: e da questi libri, come da testimoni veraci a tutta prova dell'antichità, si mettano in evidenza e al sicuro la divinità e la missione del Cristo Signore, l'istituzione della chiesa gerarchica, il primato conferito a Pietro e ai suoi successori. Gioverà assai a questo scopo se vi saranno molti ben preparati tra gli insigniti del sacro ordine, i quali anche in questo campo combattono per la fede e respingono gli assalti ostili, rivestiti soprattutto dell'"armatura di Dio" [9], come ci avverte l'apostolo, e quindi non impreparati alle nuove armi e battaglie dei nemici. Ecco come egregiamente esprime ciò il Crisostomo parlando dei doveri sacerdotali: "Occorre molto studio, affinché "il verbo del Cristo abiti abbondantemente in noi" [10]: non dobbiamo infatti essere preparati ad un solo genere di lotta, essendo molteplice la battaglia e vari i nemici, i quali per di più non si servono tutti delle stesse armi, né usano un'unica tattica per scendere in lotta contro di noi. Per questo è necessario che colui che dovrà combattere con ogni sorta di nemici abbia profonda conoscenza di tutti gli strumenti e arti degli avversari, da essere così nello stesso tempo e arciere e fromboliere, tribuno e condottiero, duce e soldato, fante e cavaliere, perito di guerre navali e di città assediate: se infatti egli non conoscerà tutte le arti del combattere, ben saprà il diavolo, qualora anche una sola parte venisse lasciata indifesa, far penetrare per quella i suoi predoni e dilaniare il gregge". Abbiamo sopra accennato agli inganni, alle arti di cui i nemici si servono per combattere in questo campo: ora vi indicheremo quali siano i mezzi di cui dovrete valervi per la difesa.
Lo studio delle lingue orientali
Il primo mezzo è lo studio delle antiche lingue orientali e della cosiddetta arte critica. Essendo oggi tenuta in grande conto e onore la conoscenza di entrambe le discipline, ne consegue che il clero che ne sia fornito. con una scienza più o meno profonda secondo i luoghi e gli uomini con cui abbia a che fare, meglio potrà sostenere il suo prestigio e il suo ufficio, dovendo egli "farsi tutto a tutti" [11], sempre pronto a "dar soddisfazione a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui" [12]. E' dunque necessario per i docenti di sacra Scrittura e conviene ai teologi la conoscenza profonda delle lingue nelle quali i libri canonici furono originariamente composti dagli agiografi. Sarà pure ottima cosa se i discepoli della chiesa coltiveranno tali lingue, specialmente coloro che aspirano ai gradi accademici in teologia. Occorre anche curare che nelle accademie, cosa che lodevolmente si fa già in molte di esse, si impartiscano lezioni anche di altre lingue antiche, specialmente semitiche, e di quelle materie che con esse hanno relazione, soprattutto per coloro che vengono designati per l'insegnamento delle sacre Lettere.
Questi poi, per lo stesso motivo, dovranno essere più dotti e più esercitati nella vera scienza dell'arte critica. Ingiustamente infatti, e con danno della religione, si introdusse l'artificio coonestato dal nome di alta critica, secondo la quale, in base a sole ragioni interne, come essi dicono, dovrebbero scaturire l'origine, l'integrità, l'autorità di ogni libro. E' chiaro, invece, che nelle questioni storiche, come sono l'origine e la conservazione dei libri, valgono sopra tutte le testimonianze storiche, e che queste soprattutto debbono essere raccolte e investigate con la maggior diligenza possibile; mentre le ragioni interne, il più delle volte, non sono poi di così grande importanza da poter essere chiamate in causa, se non per una certa conferma delle altre. Agendo diversamente ne conseguiranno di certo grandi inconvenienti. I nemici della religione, infatti, prenderanno sempre più ardire nell'assalire e combattere l'autenticità dei Libri sacri: quello stesso genere di critica più sublime ch'essi praticano, si ridurrà infine a tal punto da lasciare che ognuno segua, nell'interpretazione, la propria propensione, la propria opinione pregiudicata. Di qui ne viene che non si otterrà né il lume richiesto per l'intelligenza delle sacre Scritture, né alcun vantaggio per la dottrina, ma al contrario apparirà quel sicuro contrassegno di errore, che è la varietà e la dissomiglianza dei modi di pensare, come già ne fanno fede gli stessi principali assertori di questa nuova scienza. Di qui pure ne verrà che, essendo i più impregnati di una vana filosofia e delle dottrine del razionalismo, non esiteranno a rimuovere dai sacri Libri profezie, miracoli, e tutto ciò che supera l'ordine naturale.
Scrittura e scienze naturali
Bisogna combattere in secondo luogo coloro che, abusando della propria scienza di fisici, indagano in ogni modo i Libri sacri, per rimproverare agli autori la loro imperizia in tali cose, e trovano da ridire sugli stessi scritti. Queste accuse, riguardando le cose oggetto dei sensi, diventano perciò stesso più pericolose, diffuse tra il popolo, e soprattutto tra i giovani studenti, i quali, una volta perso il rispetto riguardo a qualche punto della divina rivelazione, perderanno facilmente ogni fede in ogni punto di essa. E' ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell'Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi. La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dottore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini.
Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nel propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino di "non asserire nulla temerariamente, né di presentare una cosa certa come incerta". Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: "Tutto ciò che i fisici, riguardo alla natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre Lettere; ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alle nostre Lettere e cioè contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che asseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione". Per comprendere quanto sia giusta questa regola, notiamo in primo luogo che gli scrittori sacri, o più giustamente "lo Spirito di Dio che parlava per mezzo di essi, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose (cioè sull'intima costituzione degli oggetti visibili), che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna", per cui essi più che attendere direttamente all'investigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti. Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro (e come ci avverte anche il dottore angelico) "si attenne a ciò che appare ai sensi", ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi.
Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta strenuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell'interpretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudicarono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili. Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi tramandarono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti "nelle cose che non sono di necessità di fede fu lecito ai santi, come anche a noi, pensare in modo diverso", secondo la sentenza di san Tommaso. Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: "Mi sembra cosa più sicura riguardo alle opinioni comunemente ammesse dai filosofi e che non ripugnano alla nostra fede, non asserirle come dogma di fede, anche se introdotte talvolta sotto il nome dei filosofi, ma neppure negarle come contrarie alla fede, per dar occasione ai sapienti di questo mondo di disprezzare la dottrina della fede". Quantunque sia certamente compito dell'interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all'interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate. Che, se poi gli scrittori di scienze naturali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l'interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle.
Scrittura e inerranza
Queste stesse cose gioverà applicarle anche alle altre scienze affini, specialmente alla storia. E' da deplorarsi, infatti, come vi siano molti che investigano e portano a conoscenza, anche con grandi fatiche, monumenti dell'antichità, costumi e istituzioni di gente antica e altre testimonianze del genere. ma il più delle volte con l'intento di scoprire errori nel Libri sacri, per riuscire ad infirmarne e a scuoterne l'autorità. E ciò taluni fanno con animo accanitamente ostile e con giudizio non abbastanza equo, poiché, trattandosi di libri profani e di antichi monumenti, tale è la fiducia che vi prestano, da escludersi persino ogni sospetto di errore. mentre negano una almeno pari fiducia alle sacre Scritture, anche per una sola parvenza di errore, neppure debitamente provata. E certamente possibile che nella trascrizione dei codici qualcosa abbia potuto essere riportata meno rettamente, il che è da giudicarsi con ponderatezza e non da ammettersi tanto facilmente, se non in quei passi ove ciò sia
stato debitamente dimostrato. E' anche possibile che rimanga ancora incerto il senso preciso di qualche passo, e per delucidarlo saranno di grande aiuto le migliori regole dell'interpretazione. Ma non è assolutamente permesso o restringere l'ispirazione soltanto ad alcune parti della sacra Scrittura, o ammettere che lo stesso autore sacro abbia errato. Infatti non è ammissibile il metodo di coloro che risolvono queste difficoltà non esitando a concedere che l'ispirazione divina si estenda alle cose riguardanti la fede e i costumi, e nulla più, stimando erratamente che, trattandosi del vero senso dei passi scritturali, non tanto sia da ricercarsi quali cose abbia detto Dio, quanto piuttosto il soppesare il motivo per cui le abbia dette. Infatti tutti i libri e nella loro integrità, che la chiesa riceve come sacri e canonici, con tutte le loro parti, furono scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, ed è perciò tanto impossibile che la divina ispirazione possa contenere alcun errore, che essa, per sua natura, non solo esclude anche il minimo errore, ma lo esclude e rigetta così necessariamente, come necessariamente Dio, somma verità, non può essere nel modo più assoluto autore di alcun errore.
Tale è l'antica e costante fede della chiesa, definita anche con solenne sentenza dai concili Fiorentino e Tridentino, e confermata infine e dichiarata più espressamente nel concilio Vaticano che in modo assoluto così decretò: "Bisogna ritenere come sacri e canonici i libri interi dell'Antico e del Nuovo Testamento con tutte le loro parti, come vengono recensiti dal decreto dello stesso concilio [Tridentino] e quali si hanno nell'antica edizione volgata latina. E la chiesa li ritiene come sacri e canonici, non per il motivo che, composti dal solo ingegno umano, siano poi stati approvati dalla sua autorità, e neppure per il semplice fatto che contengono la rivelazione senza errore, ma perché, essendo stati scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno Dio per autore". Perciò non ha qui valore il dire che lo Spirito Santo abbia preso degli uomini come strumenti per scrivere, come se qualche errore sia potuto sfuggire non certamente all'autore principale, ma agli scrittori ispirati. Infatti egli stesso così li stimolò e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che tutte quelle cose e quelle sole che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente non sarebbe egli stesso l'autore di tutta la sacra Scrittura. Questo sempre ritennero i santi padri: "Dunque - dice sant'Agostino -, dal momento che essi scrissero ciò che egli mostrava e diceva, in nessun modo può dirsi che non sia stato lui a scrivere, quando le sue membra operano ciò che conobbero sotto la parola del capo". E san Gregorio Magno dice: "E' davvero vano il voler cercare chi abbia scritto tali cose, quando fedelmente si creda che autore del libro è lo Spirito Santo. Scrisse dunque tali cose chi le dettò perché si scrivessero; scrisse colui che anche nell'opera di quello, fu l'ispiratore". Ne viene di conseguenza che coloro che ammettessero che nei luoghi autentici dei sacri Libri possa trovarsi alcun errore, costoro certamente o pervertono la nozione cattolica della divina ispirazione o fanno Dio stesso autore dell'errore. Tutti i padri e dottori erano talmente persuasi che le divine Lettere, quali furono composte dagli agiografi, sono assolutamente immuni da ogni errore, che non pochi di quei passi che sembrano presentare qualcosa di contrario e di dissimile (e cioè quasi i medesimi che ora vengono proposti come obiezioni sotto il nome della nuova scienza) cercarono non meno sottilmente che religiosamente di comporli e conciliarli tra loro, professando all'umanità che quei libri, sia interi sia nelle loro singole parti, erano in pari grado divinamente ispirati e che Dio stesso, che parlò per mezzo dei sacri autori, non poté affatto ispirare alcunché di alieno dalla verità. Valga per tutti ciò che lo stesso Agostino scriveva a Girolamo: "Io, infatti, confesso alla tua benevolenza che soltanto al libri delle Scritture, che già vengono chiamati canonici, ho imparato a prestare una tale venerazione e onore, da credere fermissimamente che nessuno dei loro autori abbia commesso errore alcuno nello scrivere. Qualora poi, mi imbattessi in essi in qualche cosa che sembrasse contrario alla verità, non avrò il minimo dubbio che ciò dipenda o dal codice difettoso, o dal traduttore che non ha interpretato rettamente ciò che fu scritto, o che la mia mente non è arrivata a capire".
CONCLUSIONE
Impegno nel leggere e diffondere la Scrittura
E invero lottare pienamente e perfettamente, con ogni mezzo offerto dalle più serie discipline, per la santità della Bibbia, è cosa ben più grande i quanto non sia lecito aspettarsi dalla sola diligenza degli interpreti e dei teologi. Per questo è da desiderarsi che si uniscano e lavorino a questo fine anche quelli, tra gli studiosi cattolici, che si siano acquistata una certa autorità e fama nelle varie scienze profane. Se mai, per il passato, mancò alla chiesa il sostegno di questi ingegni, neppure ora, per grazia di Dio, è venuto a mancare, e voglia il cielo che aumenti sempre più a sussidio della fede. Nulla, infatti, stimiamo più necessario di questo e cioè che la verità acquisti più validi propugnatori, fidi quanto non lo siano gli avversari. Né vi è alcun mezzo che maggiormente possa indurre il popolo all'ossequio della verità, quanto il vederla liberamente professata da coloro che godono di autorità in qualche stimata disciplina. Che, anzi, sarà facile in questo caso che desistano dal loro odio anche gli stessi detrattori, o almeno non osino più asserire così impudentemente che la fede è contraria alla scienza, allorché vedranno illustri scienziati rendere sommo onore e riverenza alla fede.
Dal momento dunque che così grande vantaggio possono recare alla religione coloro cui benignamente Dio elargì, con la grazia della professione cattolica, anche il dono di un felice ingegno, si scelga perciò ciascuno, in questo effervescente movimento di studi che toccano in qualche modo le Scritture, un genere di disciplina più adatto per sé, nel quale, una volta divenuto esperto, possa, non senza gloria, respingere le accuse lanciate in nome della falsa scienza contro le sacre Scritture.
Elogio ad alcuni cattolici
Qui ci torna grato elogiare, secondo il merito, l'operato di alcuni cattolici, i quali, per poter somministrare ai dotti ciò che è loro necessario per trattare a fondo e far progredire con abbondanza di ogni mezzo siffatti studi, dopo aver fondato delle associazioni, elargiscono abbondanti offerte in denaro. Ottimo certamente e molto opportuno per i nostri tempi tale uso dei mezzi pecuniari. Quanto meno hanno i cattolici da sperare nei loro studi dall'aiuto pubblico, tanto più è conveniente che si offra loro una più pronta e abbondante liberalità dei privati, di modo che coloro ai quali Dio elargì ricchezze vogliano convertirle in mezzi di difesa del tesoro della stessa dottrina rivelata.
Norme da seguire
Affinché poi tali pratiche giovino davvero alla scienza biblica, occorre che i dotti stiano ben ancorati a quelle norme da noi sopra stabilite come principi, e che fedelmente ritengano che Dio, creatore e rettore di tutte le cose, è lo stesso autore delle Scritture, e che perciò nulla può ricavarsi dalla natura delle cose, nulla dai documenti della storia che realmente sia in contraddizione con le Scritture. Che, se qualche cosa sembrasse inaccettabile, bisogna diligentemente chiarirla, sia servendosi del sapiente giudizio dei teologi e degli interpreti sul significato più preciso o verosimile del passo della Scrittura in discussione, sia vagliando con più diligenza la forza degli argomenti addotti contro tale passo. Né bisogna desistere dalla ricerca fino a che rimanga ancora una qualche apparenza di opposizione. Infatti, non potendo in alcun modo la verità contraddire la verità, siamo certi che ciò avviene perché si è incorsi in errore o nell'interpretazione delle sacre parole o in qualche parte della disputa. Se nessuna delle due cose appare ancor chiaramente, bisognerà frattanto tener sospeso il giudizio. Molte cose infatti di ogni ramo delle scienze che per lungo tempo furono oggetto di grande opposizione contro la Scrittura, ora sono cadute come vuote; parimenti non poche cose di certi passi scritturali, non riguardanti precisamente la fede e i costumi, furono un tempo proposte nell'interpretazione, di cui poi più rettamente poté giudicare una più acuta investigazione. Il tempo infatti cancella sì i commenti delle varie opinioni, ma "la verità rimane e conserva il suo valore in eterno" (3Esd 4,38). E perciò, come non vi è alcuno che possa vantare di conoscere nel preciso senso tutte le Scritture, nelle quali lo stesso sant'Agostino confessava essere più le cose che non conosceva di quelle che conosceva, così se qualcuno si imbatterà in qualche passo troppo difficile per essere chiaramente spiegato, prenda come norma quella circospetta moderazione dello stesso dottore: "E' meglio lasciarsi avvicinare da incognite ma salutari parole che, volendo inutilmente interpretarle, liberare la testa dal giogo di servitù per incatenarla tra i lacci dell'errore".
Tutti coloro quindi che si dedicheranno a tali studi sussidiari. se seguiranno rettamente e rispettosamente i nostri consigli e ordini, e nello scrivere e nell'insegnare indirizzeranno il profitto dei loro studi a redarguire i nemici della verità e ad impedire i danni della fede nella gioventù, allora finalmente potranno rallegrarsi di rendere servizio con degne opere alle sacre Lettere e di apportare alla causa cattolica quell'aiuto che la chiesa, con diritto, si ripromette dalla pietà e dalla dottrina dei suoi figli.
Ultimo motivo e benedizione
Queste sono le direttive, venerabili fratelli, che abbiamo stimato, sotto l'ispirazione di Dio, doversi, secondo l'opportunità, consigliare e comandare riguardo allo studio delle sacre Scritture. Sia ormai vostra sollecitudine il curare che tali direttive vengano custodite e osservate, come si conviene, con grande diligenza, così che più chiara risalti la riconoscenza dovuta a Dio, per aver comunicato al genere umano le parole della sua sapienza, e perché ne provengano i tanto desiderati vantaggi, specialmente per la formazione della gioventù ecclesiastica oggetto della nostra assillante cura e speranza della chiesa. Adoperatevi quindi alacremente con la vostra autorità ed esortazione, affinché nei seminari e nelle accademie che si trovano sotto la vostra giurisdizione tali studi siano tenuti nel dovuto onore e rinvigoriscano. Integralmente e felicemente rinvigoriscano sotto la guida della chiesa, secondo le salutari norme dei documenti e degli esempi dei santi padri e la lodata consuetudine degli antichi, e ricevano tali impulsi, col passar del tempo, che davvero siano di presidio e gloria della verità cattolica, divinamente sorta per la perenne salvezza dei popoli.
Esortiamo infine con paterna carità tutti i discepoli e i ministri della chiesa ad accedere alle sacre Scritture sempre con sommo affetto, fatto di rispetto e di devozione, poiché l'intelligenza salutare delle stesse non potrà mai essere elargita com'è necessario, se non sarà rimossa l'arroganza della scienza terrena, e se non si dedicheranno santamente allo studio fervente di quella sapienza che è al di sopra della terrena [13]. Una volta che la mente si sia introdotta in tale studio e venga quindi illuminata e fortificata, avrà poi la mirabile capacità di discernere quali siano gli inganni della scienza umana ed evitarli, di raccogliere i veri frutti della scienza e riferirli ai beni eterni, e quindi con animo sempre più ardente, tenderà con maggiore e più gagliardo spirito alla virtù e al divino amore: "Beati coloro che scrutano le sue testimonianze, lo cercano con tutto il cuore" [14].
Fondati sulla speranza dell'aiuto divino e confidando nella vostra pastorale sollecitudine, auspice dei celesti favori e testimone della Nostra singolare benevolenza, a voi tutti e a tutto il clero e al popolo affidato a ciascuno, con effusione di cuore impartiamo l'apostolica benedizione nel Signore.
Roma, presso S. Pietro, 18 novembre 1893, anno XVI del Nostro pontificato.

LEONE PP. XIII

[12 Tm 3, 16-17.
[2At 14,3.
[31 Ts 1,5.
[4] Ger 23,29.
[5Eb 4,12.
[6At 1,1.
[71 Tm 4,16.
[81 Tm 6,20.
[9Ef 6,13 ss.
[10cf. Col 3,16
[111 Cor 9,22.
[121 Pt 3,15.
[13cf. Gc 3,15-17.

[14Sal 118,2.
AMDG et BVM

domenica 3 marzo 2013

LA RIVELAZIONE: Dio viene incontro all'uomo. Attenti alle strade sbagliate!



Scuola della fede [3]: 
Dio viene incontro all'uomo

ECCO un parlar chiaro e concreto alla gioventù. E non solo. Facciamo tesoro di questa magistrale lezione.

<<Inizio dalla lettura di un testo biblico che sono sicuro molti di voi conoscono.

«Il Signore disse ad Abramo: vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti mostrerò» [Gen 12,1]

Viene narrato con queste parole un fatto che costituisce LA svolta nella storia dell’umanità. All’uomo che cercava Dio come a tentoni - e dal quale Dio non era lontano – il Signore rivolge la parola. Dio comincia a parlare all’uomo. 


            Se avete seguito e riflettuto con attenzione quanto vi ho detto nei due incontri precedenti, potrete rendervi conto della portata, del significato di questo fatto. Dio, per così dire, aveva impresso nella persona umana dei segni della sua presenza. Tuttavia Egli restava avvolto in un’oscurità impenetrabile, in un silenzio infrangibile. E l’uomo non sapeva esattamente chi era quel Dio di cui sente il bisogno più che dell’aria che respira; che cosa pensava dell’uomo; quali erano i suoi progetti al riguardo. L’uomo rimaneva uno che cercava Dio a tentoni; oppure che cercava con la magia di catturarne il favore; oppure di farne delle rappresentazioni che lo rendessero in un qualche modo presente [=idolatria].


            S. Paolo, pur avendo scritto ai fedeli cristiani di Roma che i pagani hanno in se stessi un’istruzione divina testimoniata dalla loro coscienza [cfr. Rom 2, 14-15] quando vuole descrivere la loro condizione esistenziale scrive: «senza speranza e senza Dio nel mondo» [Ef 2,12]. Eppure le città del tempo di S. Paolo erano piene di templi, ma gli uomini brancolavano nel buio, davanti ad un destino incerto. Dio non rivolgeva loro la parola.


            Dio ad un certo momento esce dal suo silenzio e comincia a rivolgere la sua parola all’uomo. Notate bene. E’ una parola che propone un progetto di vita nuovo: un inizio. Un progetto di vita di cui Dio stesso si assume la responsabilità ultima. La vicenda di Abramo lo documenta ampiamente: fa nascere un figlio da una donna sterile.
            Non solo, ma questa parola è certamente rivolta ad uno, ma in ordine ad un popolo: «farò di te una grande nazione». La parola, il discorso che Dio rivolge all’uomo, quindi, non dona all’uomo solo delle informazioni di cui pure l’uomo aveva bisogno, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. Oggi diremmo: il linguaggio di Dio non è mai solo informativo, ma performativo.


            In altre parole. Dentro alle vicende umane, dentro alla storia umana, accade una storia che potremmo chiamare sacra che ha come attori Dio che parla all’uomo e agisce, e la persona umana cui viene chiesto di coinvolgersi. Potremmo anche dire: è una vera rappresentazione teo-drammatica che avviene sul palco dell’universo, i cui attori sono Dio e l’uomo.


            Per lo scopo che si propone la Scuola della fede non è necessario narrare ora tutta l’azione teo-drammatica. Basta che voi abbiate chiaro che cosa significa che Dio parla all’uomo, e che cosa questo comporta per l’uomo nella ricerca di Dio. Non lo cerca più a tentoni, perché gli è data la possibilità di ascoltarlo.      Un’ultima annotazione importante. Da un certo momento in poi, coloro che vivevano questa storia sacra hanno avvertito il bisogno di mettere per iscritto questa vicenda, parole e fatti. Sono nati così un insieme di libri [biblia in greco] che nel loro insieme sono giustamente chiamati sacra scrittura o Bibbia.

 2.        Ma con tutto questo il discorso di Dio all’uomo che lo cerca non è concluso. Anzi, avviene qualcosa di assolutamente imprevedibile. 

            L’apostolo Giovanni, nel Prologo al suo Vangelo scrive: «Dio nessuno l’ha mai visto» [Gv 1,18]. Dio certamente aveva parlato all’uomo, ma l’uomo non aveva visto il volto di Dio. Un grande amico di Dio, a cui Dio rivolgeva da amico ad amico molto spesso la sua parola, Mosè, gli disse alla fine: «mostrami la tua gloria». E non fu esaudito: «tu non potrai vedere il mio volto [cfr. Es 33, 11.18-33]. E’ come se Dio parlasse all’uomo, ma colle spalle voltate. 


            Che cosa è accaduto, alla fine? Che Dio stesso si è svelato [ha tolto il velo], divenendo uomo senza cessare di essere Dio. Si è rivelato: «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» [Cost. past. Gaudium et spes; EV 1, 1386].

            L’uomo ha visto Dio stesso nella nostra umanità; Dio ci ha parlato vivendo la nostra stessa vicenda umana, fino a morire per noi per vincere la nostra paura. La ricerca dell’uomo, in fondo, ha finalmente raggiunto il suo termine; il pellegrinaggio umano ha raggiunto la sua meta; il suo andare a tentoni per trovare la luce vera, è finito. Dio che è venuto ad abitare fra noi, nell’unico modo che avrebbe dato all’uomo di incontrarlo, di ascoltarlo e di vivere con Lui: facendosi uno di noi, come uno di noi; incarnandosi, in-umanizzandosi.

   Pur consapevoli che «il mondo non basterebbe a contenere libri che si dovrebbero scrivere» [Gv 21,25] per narrare e spiegare questo evento da parte di coloro che ne furono testimoni, tuttavia sentirono il bisogno di narrare la loro esperienza anche per iscritto. Sono un insieme di 27 libri di cui i quattro evangeli sono “la perla”. 

            Questi 27 libri si aggiunsero agli altri già scritti di cui ho già parlato, e il tutto forma la Sacra Scrittura, o Bibbia, o Parola di Dio scritta. 
            Il Dio-uomo è Gesù di Nazareth, il figlio di Maria. Dopo di Lui, Dio rientra nel silenzio. Per quale ragione? Perché ci ha già detto tutto in Gesù; non ha più nulla da dirci. Ora non ci resta, se siamo veramente cercatori di Dio, ascoltare la Parola che Dio ci ha detto, incontrarlo realmente da persona a persona incontrando Gesù.
            
3.        Ma ora il cercatore di Dio non può non porre una domanda decisiva: concretamente, allora, per ascoltare ciò che Dio mi dice; per incontrare Gesù, non mi resta che leggere la Bibbia? Dio in Gesù viene incontro alla mia ricerca mediante un libro? La cosa è molto importante, e vi prego di prestare molta attenzione.


            Questa domanda ha percorso questi duemila anni che ci separano da Cristo. E siccome sono state date risposte false che non hanno affatto portato ad incontrare Cristo, credo sia bene prima di tutto indicarvele così che non le seguiate. Su queste strade non incontrerete mai Gesù Cristo. Tempo e fatica persi.


            La prima strada sbagliata è la seguente. Immaginiamo che un ragazzo abbia incontrato una ragazza e comincia a nascere fra loro l’amore. Uno dei due comincia a pensare: “come faccio a sapere se mi ama o no?” E decide: “siccome mi ha scritto alcune lettere, vado ad analizzare quelle lettere e così saprò se mi ama o no”. 
            Che stoltezza! Si può sapere, rendersi conto di chi è una persona per te prescindendo dalla persona stessa, e studiando ciò che la persona ha detto o scritto?
            Molti hanno cercato una risposta a quella domanda facendo uno studio molto accurato di ciò che Gesù aveva detto o fatto, distinguendo le sue parole proprie dalla testimonianza di chi aveva vissuto con Lui. Lo hanno fatto attraverso una analisi molto accurata dei testi evangelici. Che cosa hanno trovato alla fine? Niente.
            All’origine di questo atteggiamento sta un errore di metodo molto grave. Perché? perché c’è un solo modo di renderti conto se la tua/il tuo ragazza/o ti ama: la sua compagnia, stare assieme. Così c’è un modo per vedere se Gesù dice il vero, se le sue promesse sono affidabili: la sua compagnia. Bisogna dunque verificare se la sua compagnia è oggi possibile. 


            La seconda strada sbagliata è oggi molto battuta, anche (e soprattutto) da voi giovani. E’ più ingannevole, perché è più seducente. 
            La domanda, vi ricordate, è: “come faccio oggi ad incontrarmi con 
Cristo ...?” La risposta è: “facendo quello che ti dice di fare (lavora per i poveri, impegnati per la pace ...); esegui con generosità ciò che ti dice di fare”. Poiché, ripeto, questa risposta è molto seducente ed ha ingannato già tanti giovani, impedendo loro di incontrare Cristo, dobbiamo analizzare bene questa risposta.


            Comincio col richiamare la vostra attenzione su un episodio evangelico: l’incontro con Zaccheo. Quando avvennel’incontro? Quando Zaccheo dice: “restituisco ...do la metà ai poveri”? No: questa decisione di Zaccheo è una conseguenza dell’incontro con Cristo. E’ Cristo che dice: “scendi, oggi mangio con te”. Ecco l’incontro! E solo allora Zaccheo capisce che non si può stare in compagnia con Cristo e continuare a rubare, ad essere prepotenti coi più deboli, a prevaricare sugli innocenti.
            Vedete: questa seconda strada commette lo stesso errore della prima. Pensa: non c’è che un modo di essere con Cristo, quello di imitare ciò che ha fatto. Parte già dal presupposto che Egli, in persona, non possa ora affiancarsi al cammino dell’uomo. Egli – si pensa – continua ad essere presente in mezzo a noi nel senso che noi possiamo, dobbiamo “portare avanti la sua causa”.
            Ma è proprio vero che questa è la sua compagnia, la modalità della sua presenza? Oppure posso vivere la stessa esperienza di Zaccheo: Cristo in persona mi invita a “stare con Lui”?
            Questa è la domanda e la risposta ha un nome: si chiama CHIESA. C’è un solo modo, un solo metodo, una sola strada per incontrare Cristo: vivere l’esperienza della Chiesa;  essere nella Chiesa, perché  la Chiesa è vivere con Cristo.
            Abbiamo trovato la risposta che cercavamo. Come faccio oggi ad incontrare Cristo? Esiste una comunità di uomini e donne entrando nella quale tu vivi in “compagnia con Cristo”, perché questa comunità è semplicemente la compagnia di Cristo. E questa compagnia è la Chiesa; essa è la presenza di Cristo in mezzo a noi. Di Cristo, ho detto. Non solo il luogo dove rimane il suo insegnamento; dove si cerca di mantenere viva la sua memoria, e la sua “causa”. No: lì c’è Lui stesso.
            E quando diciamo Chiesa, diciamo qualcosa di molto concreto e di visibile: sono uomini e donne che vivono in un certo territorio. È incontrando questa comunità che incontro Cristo; è entrando a farne parte, che mi imbatto letteralmente in Cristo . Da questo punto di vista, io oggi ho la stessa possibilità di incontrare Cristo  che ebbero Zaccheo, gli Apostoli, e tanti altri di cui parlano i Vangeli.

 

 

4.        Sono sicuro che se mi avete seguito attentamente, provate in voi un qualche sconcerto, e vi siete fatti una domanda [la stessa in fondo che si fecero nei confronti di Gesù i suoi conterranei: cfr. Lc 4,22-30]: ma come è possibile che la Chiesa, cioè questa precisa comunità in questo nostro territorio, sia la presenza di Cristo, della sua persona in mezzo a noi? ma di che Chiesa stiamo parlando? Entriamo dentro a questa stupenda casa dove abita Cristo.
           

4,1       Il primo aspetto di questa realtà è il seguente: la Chiesa è una comunità visibile di uomini/donne.
            E’ un gruppo di persone ben identificabile, ben individuabile: non si tratta di una società segreta o invisibile. L’incontro con Gesù, Signore risorto, non è un fatto esclusivamente interiore, che accade solo nell’intimo della coscienza di ciascuno. Non è un fatto individuale, anche se personale [c’è una differenza essenziale fra individuo e persona: si pensi all’esperienza umana dell’amore]. È una comunità di persone che vi si trovano con tutta la realtà della loro persona. Sentite come S. Cipriano, un vescovo martire del terzo secolo, descrive questo fatto: “Siccome Colui che abita in noi è unico, ovunque egli allaccia e lega insieme coloro che sono suoi col legame dell’unità”.
            Vedete la bellezza di questa casa che è la Chiesa: la nostra individualità, la nostra “solitudine” diventa “comunione” fra persone. Anzi ciò che suscita lo stupore è immediatamente proprio questo.
           

Ma ora dobbiamo fare un piccolo sforzo per penetrare più in profondità in questa prima dimensione della Chiesa. E per farlo possiamo partire, come sempre, da una esperienza umana. Che cosa è che crea una comunione profonda fra due sposi che si amano veramente? E’ l’appartenenza reciproca: l’uno è dell’altro. Se proviamo a riflettere, vediamo che questo significa due cose:

io sono stato amato/a (sono stato scelto fra i molti possibili);

io provo in questa scelta-amore un senso di sicurezza, di forza che mi sostiene.

           

Ora, avete mai fatto attenzione al fatto che nella preghiera, noi, la Chiesa, chiamiamo Dio: “Padre nostro”. Cioè: “Tu ci appartieni”; ed il Signore ci dice: “voi, mio popolo”. Esiste una reciproca appartenenza che significa due cose: siamo stati scelti-amati (apparteniamo a Lui); e in Lui troviamo la nostra forza. Dunque: la Chiesa è la comunità visibile del Signore.
           

 

4,2       Il secondo aspetto è quello più importante di tutti: dovete prestare molta attenzione. Non perché le cose che ora dirò sono difficili, ma perché non sono usuali.
            In che modo Cristo è presente in questa comunità di uomini e donne? In che modo noi diventiamo la comunità di Cristo, che vive con Cristo?
            A questo punto vi dovete ricordare come è nata la Chiesa. Vi ricordate che cosa è accaduto il giorno di Pentecoste? È narrato in At 2,1-13. Fino a quel momento Cristo si era presentato con la sua persona “di fronte” ai suoi amici; tra essi e Lui c’era come un fossato, una barriera. Essi non lo avevano compreso. La Pentecoste fa si che Cristo, la sua Persona, la sua vita e la sua azione redentiva, le sue parole diventino una realtà «loro».


            Vi faccio due esempi. Quante volte se uno è scosso da un dolore molto forte, a chi cerca di consolarlo dice: “tu fai presto a parlare, bisogna provare!” Sicuramente avete letto qualche poesia o opera letteraria sull’amore e magari vi siete commossi. E poi vi siete innamorati veramente: è allora che avete capito veramente che cosa è l’amore. Una cosa è capire, una cosa è sentire. Una cosa è sapere, e una cosa è sperimentare. Questo vi aiuta a capire un po’ che cosa è la Chiesa. Essa si costituisce perché lo Spirito Santo è donato dal Signore Risorto all’uomo, e l’uomo così vive l’esperienza di essere con Cristo, anzi in Cristo.
            Ma in che modo lo Spirito Santo fa accadere questo avvenimento che è la Chiesa? Fa nascere quella comunità visibile che siamo noi, che è la Chiesa? In tre modi, o meglio mediante tre vie.


a/        La prima via è la successione apostolica. Che cosa vuol dire? Egli nella Chiesa costituisce alcuni uomini che hanno il compito di predicare la parola di Cristo, di celebrare i sacramenti, di guidare i discepoli del Signore: sono il Papa ed i vescovi. Essi fanno in un qualche modo le veci di Cristo nella sua comunità. E Cristo è talmente presente in essi che chi ascolta loro ascolta Cristo, chi disprezza loro disprezza Cristo.


b/        La seconda via sono i Sacramenti. Cosa sono i Sacramenti? Sono azioni che Cristo stesso compie. È Lui che quando vai a confessarti, ti perdona; è Lui che unisce l’uomo e la donna in matrimonio. Ma è Lui soprattutto l’Eucarestia: quando tu celebri col sacerdote l’Eucarestia tu sei presente all’avvenimento della Croce. Veramente i venti secoli che ci separano da esso sono superati.
            Ascoltate ora quanto dice il papa S. Leone M.: «tutte le cose dunque che il Figlio di Dio fece ed insegnò per la riconciliazione del mondo, noi non lo conosciamo solamente dalla narrazione accurata di eventi passati, ma lo sperimentiamo anche nella potenza di opere presenti» [Sermone 50 (63), 6,1].


c/        La terza via è l’azione dello Spirito Santo dentro di noi: ti fa sentire la presenza di Cristo, ti unisce a Lui; Cristo cessa di essere solo un ricordo: lo incontri realmente.
            Ma vorrei che voi non cadeste in un errore oggi non infrequente. Sentendo parlare di queste cose, non dovete pensare a chissà quale esperienza “straordinaria”. No: sapete che cosa succede? Succede che la vostra vita comincia ad essere vissuta in modo nuovo: è la vostra realtà quotidiana a trasformarsi. Sei sposato? Cominci ad amare tua moglie/tuo marito con una profondità, una intensità che prima non avevi: hai ricevuto un amore “cento volte” più grande. Sei fidanzato? Cominci a vedere la tua ragazza/ragazzo con una tenerezza, con una venerazione, un rispetto che prima non sentivi. Il tuo lavoro? Non è solo “produzione” di beni; è realizzazione della tua persona. È la vita stessa di Cristo che ti pervade sempre più intimamente.

 


4,3       Il terzo aspetto è il vincolo della carità. Il fatto che la Chiesa sia una compagine visibile (prima dimensione) come tale non distingue ancora la Chiesa. Il vero fatto che costituisce la Chiesa è - come abbiamo detto - che questa compagine visibile è posta in essere dallo Spirito Santo come vita con e in Cristo, e Cristo è presente in essa mediante l’apostolo, i sacramenti e l’azione dello Spirito nel cuore dei credenti. Ma questo “miracolo” prende corpo in una struttura di rapporti che qualifica quella compagine in un modo di vivere ed agire che è proprio di questa comunità: ne è come la sua “carta costituzionale”. Questa struttura si chiama CARITÀ.


            Abbiamo scoperto la verità decisiva per la nostra vita: se vuoi incontrare Cristo, devi appartenere alla Chiesa. L’appartenenza alla Chiesa è necessaria perché è necessario appartenere a Cristo, se non vogliamo perdere la nostra vita.
            Avete compreso che cosa significa “appartenere alla Chiesa”. Far parte mediante la fede e il battesimo di quella comunità di uomini e donne nella quale guidati dai successori degli Apostoli, partecipando ai sacramenti, siamo uniti in una comunione di persone dove “non c’è giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, più uomo né donna, poiché voi siete uno in Cristo” [Gal 3,26]. Veramente la Chiesa è il luogo in cui l’umanità ritrova se stessa.
          
            Concludo. Dio ci viene incontro mediante la Chiesa. Essa, fate bene attenzione, è non un ostacolo. In essa Dio in Gesù mi rivolge la sua Parola, e mi dona la sua vita! Se scomparisse la Chiesa – ma non può accadere – l’uomo sarebbe condannato a cercare Dio a tentoni.>>

 Card. Carlo Caffarra

 Omni die dic Mariae mea, laudes, anima