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mercoledì 20 luglio 2016

VENIAMO AL DUNQUE



DOGMATICA, MA NON SUL DOGMA.

 Dogmatica su ciò che non è dogma, sembra proprio questa la situazione della Chiesa degli ultimi decenni. Mentre si lasciano i teologi e i vari pastoralisti scorrazzare in piena libertà dentro la dottrina cristiana, riformulando pericolosamente le verità di fede fino a trasformarle e sconvolgerle in qualcosa d'altro; mentre si lascia libero corso ad un fiume di predicazione che rischia di non salvaguardare l'interezza del Credo cattolico, si diventa dogmatici, fissisti, autoritari su ciò che invece non è essenziale nella Chiesa, ad esempio sull'organizzazione della pastorale nelle diocesi e nelle parrocchie.

 Un tempo, invece, nella Chiesa ci si preoccupava di salvare i dogmi, la verità e le verità contenute nel Vangelo. Un tempo, invece, si era preoccupati di custodire e trasmettere l'integrità della morale cattolica, ripetendo i comandamenti e declinandoli ai fedeli perché si esercitassero ad applicarli alla concretezza della loro vita.

 Anche nella disciplina, un tempo severa nella Chiesa, si era tali solo per salvaguardare la sana trasmissione della Grazia di Dio nell'impianto sacramentale. Si era severi nel garantire le condizioni per ricevere con frutto i sacramenti, ma, ci sembra proprio così, non si dogmatizzava sul resto. La storia della Chiesa è storia di libertà, di una grande libertà nel rispondere alla volontà di Dio. Se pensiamo ai santi, ci accorgiamo che non ce n'è uno uguale all'altro; nelle loro vite appare la grande fantasia di Dio e la grande libertà dell'uomo nel compiere il bene. Nello stesso tempo vediamo, nelle diversissime vite dei santi, una uniformità impressionante per quanto riguarda i dogmi, cioè ciò che hanno creduto, l'importanza data ai sacramenti, la centralità della Messa, la vita concepita come partecipazione alla sofferenza redentiva del Signore, l'amore alla Chiesa, la scrupolosità nelle opere di misericordia, le fede nella vita eterna, la decisività della preghiera per i vivi e per i morti, etc. Erano insomma un catechismo vivente: potremmo con frutto fare dottrina partendo dalla vita dei santi di tutte le epoche della cristianità, e giungeremmo a riscrivere sempre lo stesso catechismo.

 I santi, la Chiesa, erano uniformi, meglio uniti, nella fede e nella disciplina che ragionevolmente ne discende, e non su tutto il resto.

 Oggi, e veniamo al dunque, non è proprio più così: sei controllato su tutto il resto, devi uniformarti ad uno “stile”, quello naturalmente della “Chiesa moderna”. Se non ti uniformi, non appartieni più a questa Chiesa; e se non ti buttano fuori, vivi come nell'ombra: sanno che ci sei, ma fanno di tutto perché tu sia invisibile. Non interessa che tu sia fervente cattolico, che tu custodisca tutta la dottrina della Chiesa di tutti i tempi. No, ai burocrati del clericalismo moderno preoccupa che tu non sia allineato al nuovo stile, allo stile moderno, alla Chiesa rinnovata!

 Questo è il nuovo dogma, è il super-dogma intoccabile, che avvolgendo tutti i dogmi di sempre, li neutralizza e li avvelena nella nuova ideologia.

 I dogmi, quelli veri, sono le verità rivelate da Dio, che siamo tenuti a credere per l'autorità di Dio che li rivela. La Chiesa ne è la custode, la responsabilità grave dei pastori è trasmetterli perché salvino le anime.

 Il super-dogma della modernità invece non viene da Dio, l'hanno inventato gli uomini. E pretendono di reinterpretare tutto secondo questa lapidaria affermazione: “La Chiesa deve mettersi al passo coi tempi, se non vuole restare fuori della storia”.

 È una falsità che viene da lontano; la Massoneria ne è diventata la più funesta propagatrice negli ultimi secoli; questa menzogna è entrata pian piano nella Chiesa, oggi sembra aver vinto. All'interno di questo bollettino troverete un bello scritto del P. Emmanuel, dove, parlando del mistero d'iniquità, definisce la Massoneria “la cloaca di tutte le corruzioni dell'umanità”. E cuore dell'opera massonica è questa reinterpretazione globale del cattolicesimo in chiave moderna, per trasformarlo in una inutile religione naturale, fatta di vuote parole di solidarietà umana.

 “La Chiesa deve mettersi al passo coi tempi, se non vuole restare fuori della storia”: è una menzogna, per questo non ve la spiegheranno mai, ma ve la imporranno con violenza. Non ve la spiegheranno, perché se lo facessero dimostrerebbero la loro eresia, dimostrerebbero di non venire da Dio.

 Da sempre, dagli inizi, la modernità non fu mai la preoccupazione della Chiesa. La sua preoccupazione fu sempre quella di essere fedele al Signore Gesù, alla divina Rivelazione. Pensate ciò che scrive san Paolo nella lettera ai Galati:

 “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L'abbiamo gia detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!” (Gal 1,8-9).

 Impressionante! “Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso”... San Paolo mette in guardia i fedeli... non solo un angelo dal cielo, ma nemmeno lui, il grande apostolo, può cambiare una virgola alla fede, una virgola a quel vangelo che aveva già loro predicato. E chi sono questi teologi-pastoralisti moderni, chi credono di essere, per chiederci di modificare la fede reinterpretandola secondo il super-dogma della modernità... la Chiesa deve adattarsi al mondo di oggi, non può più fare oggi ciò che faceva un tempo?

 Eh sì, ti dicono così, non potete fare più ciò che la Chiesa faceva un tempo... dovete adattarvi al mondo moderno. Anche qui però non ti dicono il perché, non ti spiegano.

 Perché mai non potremmo vivere la messa come un tempo? Perché mai non potremmo ricevere i sacramenti come un tempo? Perché mai dovremmo stravolgere una prassi consolidata nella Chiesa da secoli per applicare le dubbie ricette ecclesiastiche di oggi? Perché il catechismo chiaro e semplice della tradizione non dovrebbe andare più bene? Perché mai nelle chiese gli uomini di oggi non potrebbero vivere la preghiera come i cristiani di duemila anni? Perché mai dovremmo cambiare le regole per accedere ai sacramenti, se queste nascono dalla verità del Vangelo, se queste custodiscono il dogma?

 Loro, i clericali moderni, dicono che dobbiamo cambiare perché gli uomini di oggi non capirebbero. Ma anche questo non te lo spiegano, ti dicono che è così e che non si discute.

 A noi sembra invece che sono loro, i clericali ammodernati, a non sopportare la Chiesa, la Chiesa e la sua gloriosa storia di grazia e di santità. Non l'hanno più sopportata, la Chiesa di sempre, perché ne avevano smarrito le ragioni, e per non uscirne hanno lavorato per cambiarla con il dogma della modernità. L’hanno cambiata davvero dove hanno potuto, fino a sfigurarla, provocando la più grande crisi della storia cristiana.

 Ma la Chiesa è di Dio, per questo restiamo sereni nella Tradizione, attendendo l'ora della liberazione.

Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VIII n° 2 - Febbraio 2015

domenica 15 marzo 2015

15. INTERVISTA AD ALESSANDRO GNOCCHI



4- Il valore della Tradizione: molti preti, chiamiamoli modernisti, sembra non vogliano riconoscere adeguatamente il valore della Tradizione, ma il loro obiettivo,dicono, è quello di costruire una Chiesa, al passo coi tempi, e quindi di uscire dagli schemi, spesso ideologici, che portano la Chiesa a conservare il passato per difendersi dal presente…Qual è la sua risposta?
Basta vedere il risultato: quando si parla della crisi della chiesa facciamo riferimento a questa ideologia che rappresenta la cultura comune del sacerdote di oggi; cioè ordinariamente il sacerdote cattolico di oggi ha questa concezione della Chiesa.
Ma preti del genere non sono cattolici!
San Tommaso diceva che basta non credere in una delle verità cattoliche per non essere cattolico, cioè in un solo elemento della dottrina cattolica per non esserlo: immaginiamo come è conciata la Chiesa di oggi. Io ho un amico salesiano (costretto a migrare per tutto il nord Italia perché non si adegua ad una serie di “cose”) il quale mi confidava che a Venezia c’era il Superiore della sua casa che gli nascondeva il crocefisso per non farglielo usare durante la Messa, per impedirgli di porlo sull’altare; oppure che il Superiore usava le candele nere sull’altare…questi sono esempi di ciò che sta accadendo nella Chiesa.
Di alcuni accadimenti non abbiamo mai dato forma pubblica perché sono veramente gravi (alcuni addirittura demoniaci) e, se non è possibile intervenire per farli cessare, è bene non denunciarli in quanto si finirebbe soltanto per scandalizzare e inquietare inutilmente le persone… Io ho risposto a quell’amico salesiano: “noi e loro appartiamo a due religioni diverse”. Ormai non formalmente ma nella pratica io, con chi sostiene che “bisogna costruire una Chiesa al passo coi tempi, e quindi uscire dagli schemi, spesso ideologici, che portano la Chiesa a conservare il passato per difendersi dal presente”, non ho niente a che fare: apparteniamo a due religioni diverse, a due chiese diverse, a due dottrine diverse, a due punti di vista diversi.
”Lo sai” mi a detto quel frate “io ho sofferto per anni e anni perché non riuscivo a capire come mai i miei confratelli mi aggredissero…adesso che ho metabolizzato tali comportamenti ho capito e mi sono messo il cuore in pace. Ora capisco il  motivo per cui mi aggrediscono nonostante siamo tutti salesiani, nonostante siamo nella stessa casa, e dovremmo lavorare, pensavo, per la stessa causa: apparteniamo a due chiese diverse!”.
Il suo Superiore gli impediva persino di celebrare tutti i giorni la Messa all’oratorio estivo, salesiano! Cioè i salesiani, che hanno come scopo ultimo la formazione cattolica dei giovani, gli impedivano di celebrare la Messa!
Quando il suo Superiore ha visto nel volantino dell’oratorio estivo il programma delle messe, l’ha chiamato e l’ha redarguito. Irritato e in piena collera gli diceva:  “ma cosa vuoi fare, vuoi farli diventare santi?” …In realtà quello dovrebbe essere l’obiettivo!... Siamo a questi livelli, lo capite?
Vi assicuro di sacerdoti e vescovi che al solo nominare la messa tradizionale si trasformano, persino fisicamente: tutto ciò è veramente inquietante; ragion per cui io non credo di appartenere alla stessa Chiesa a cui appartengono loro.
Mons. Crepaldi, arcivescovo di Trieste, ha parlato espressamente dell’esistenza di due chiese, ed è proprio così. Ma questa cosa sembra non si possa dire perché in realtà comanda quella chiesa che c’è all’interno della Chiesa. I componenti di questa chiesa eretica, ed è un fatto unico, sono riusciti a mettere in pratica ciò a cui hanno mirato di realizzare la maggior parte delle eresie nascenti da quando esiste la Chiesa: fino a ora è successo che in qualche modo queste eresie avevano sempre dovuto creare delle chiese al di fuori della Chiesa (i protestanti, gli ariani, i vari scismi); per la prima volta ora ci troviamo di fronte qualcuno che ha fatto una chiesa all’interno della Chiesa, con l’idea di farne una più bella. Se andiamo a ritroso nel tempo e guardiamo quanto accaduto nel 900 e tutto quello che ha preparato la venuta del Vaticano II, emerge con chiarezza il tentativo di affossare in modo definitivo quella Chiesa ritenuta cattiva che era la Chiesa preconciliare.
Per cui è chiaro che il concetto di Tradizione è quanto di più gli possa essere alieno, perché loro nascono per cancellare il passato, così come è curioso notare che tutte le dittature nascono per cancellare il passato. Non possono vivere se c’è un legame col passato.
La crisi dentro al mondo cristiano nasce nel rinascimento, e tutto poi trova compimento in Lutero che è il paradigma della rivoluzione sebbene non sia riuscito a creare la chiesa dentro la Chiesa come invece è stato fatto adesso.
Ora, va detto che qui ci sono gradi diversi di consapevolezza e quindi gradi diversi di responsabilità: si trovano anche sacerdoti che pensano in siffatto modo perché sono stati formati in siffatto modo. Però quelli che hanno un minimo di vocazione vera, soprattutto quelli più giovani (perché la generazione tra i 50/55 in su è persa, completamente persa perché è quella che ha fatto il cambiamento), cominciano a riflettere e notare alcune cose…
Quando passerà tutto questo? Ci vorrà qualche generazione, se non c’è un intervento provvidenziale. Il problema va indirizzato nella formazione fatta in questo modo eretico nei seminari (per fortuna non in tutti). Ci sono persino seminaristi che vengono allontanati perché ritenuti non in linea con quanto si insegna in seminario. Una volta ho incontrato due ragazzi di Cagliari, usciti dal seminario, perché si era ritenuto segno che non avessero la vocazione il fatto che si inginocchiassero alla consacrazione! A Bergamo ci sono due giovani che sono andati al seminario di Albenga in quanto ritenuti dal seminario bergamasco non idonei (uno frequentava anche la messa tradizionale, immaginatevi!)…da quando è stata liberalizzata la Messa in rito antico, su 100 persone che frequentano la Messa tradizionale, ci sono state già tre vocazioni mentre quest’anno nel seminario di Bergamo sono entrate soltanto tre nuove persone. Quindi il rapporto è 3 a 3. Una diocesi intera contro 100 persone che vanno alla Messa tradizionale! 
Da questo si evince, e ne sono assolutamente convinto, che il calo di queste vocazioni sia un segno della Provvidenza perché quei seminaristi nascono, forse, anche buoni, ma vengono formati per autodistruggersi e per distruggere il sacerdozio. È chiaro che arriveremo anche al punto in cui ci sarà un sacerdote per 20 parrocchie, però sarà un sacerdote cattolico? Ebbene, piuttosto che avere 20 sacerdoti protestanti è meglio averne uno solo, ma cattolico. La situazione può ordinariamente soltanto peggiorare, ancora adesso, anche se, girando l’Italia, da quando è diventato Papa Benedetto XVI, qualche segno, anche timido, di risveglio c’è.


5- Molti fedeli, per semplice ignoranza o perché assuefatti dalla mentalità progressista, contestano il valore della messa col rito antico, poiché il latino, ad esempio,  impedirebbe di comprendere quanto accade in quella celebrazione. Qual è quella specialità che in realtà contraddistingue proprio la messa in latino?
Intanto, punto primo,  basterebbe andare in una Messa qualsiasi col rito nuovo, prendere una persona qualsiasi e chiederle: adesso cosa sta succedendo? Non saprebbe rispondere.
Secondo, la Messa non è una conferenza, bensì un atto di adorazione. Per quanto riguarda la lingua quindi, se non si comprende tutto, non è un problema (ci sono anche i libretti con la traduzione, quindi anche in questo caso il problema non sussiste). 
Terzo, l’utilizzo della lingua latina realizza un senso sacrale e immutabile a quello che viene fatto, cosa che la lingua vernacolare non offre;  prova ne è che le traduzioni in lingua vernacolare continuano ad essere cambiate: se fosse vero che la traduzione in lingua vernacolare è la panacea di tutti i mali, dovremmo avere le chiese piene, in realtà le chiese si sono svuotate.
Quarto, ed è l’altra obiezione che mi manda su tutte le furie, è l’ammonimento di non recitare il rosario durante la celebrazione. Mia nonna andava alla Messa in latino e invece di seguirla recitava il rosario; io personalmente durante la Messa dico una corona del rosario, e purtroppo non ho la fede di mia nonna e di quelle nonnine del suo tempo. Sputare sulla fede di quelle donne che andavano a Messa alle 4 di mattina, in genere tutti i giorni, che recitavano il latino storpiato, che tornavano a casa e forse le prendevano persino dal marito, significa sputare sulla fede, perché tutto ciò che facevano in quella vita dura e di sacrificio era sorretto dalla fede… nella - Mediator Dei- c’è un punto (90) dove PIO XII spiega che non solo è possibile ma è bene dire il rosario durante la Messa: “…chi dunque potrà dire spinto da tale preconcetto -(cioè il fatto che non si deve pregare durante la messa)- che tanti cristiani non possano partecipare al principio eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura”. Io seguo anche le preghiere del sacerdote, le cosiddette segrete, che sono di una bellezza straordinaria e assoluta: la Messa antica è tutto un salmo! E se recito poi il rosario partecipo di più alla Messa.

AMDG et BVM

giovedì 5 marzo 2015

ALLA RADICE

L’ultima puntata della rubrica “Fuori moda” ha suscitato un buon numero di interventi sul tema della Messa, solo accennato nella risposta al signor Astolfi. Questo è un buon segno perché dimostra che i lettori hanno colto il problema dei problemi, la radice alla quale chiunque affronti sinceramente la crisi della Chiesa deve arrivare.
di Alessandro Gnocchi
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zzsmvoA questo proposito vorrei prendere un po’ di spazio, e molta della vostra pazienza, perché ritengo necessario fornire gli elementi fondamentali a una riflessione compiuta, che non possono essere lasciati a una semplice osservazione inserita in uno scritto colloquiale.
L’osservazione, che riporto dalla mia risposta al signor Astolfi, è la seguente: “la  rinascita della fede cattolica passa solo attraverso la restaurazione della liturgia cattolica, che non è quella inventata a tavolino da Annibale Bugnini e promulgata da papa Paolo VI, ma quella che ci è stata consegnata da secoli e secoli di tradizione. Mi rendo conto che non è sempre facile trovare una Messa in rito antico, ma, quando è possibile, conviene sforzarsi di farlo anche a costo di macinare chilometri a fatica: ne va della gloria che dobbiamo tributare a Dio e della salvezza della nostra anima”.
A questo punto, procederei in modo schematico precisando “quello che non ho detto”, “quello che ho detto”, “quello che un semplice laico può dire a chi chiede un parere”. Poi, per dare sostanza a queste precisazioni, riporto una lunga sezione del capitolo sulla riforma liturgica di Paolo VI che avevo scritto per “La Bella addormentata”, il libro sulla crisi generata dal Vaticano II, pubblicato con Mario Palmaro.
Quello che non ho detto. Non ho detto che la Messa Novus Ordo, la Messa nuova, non è valida. Non ho detto che chi partecipa alla Messa Novus Ordo non assolve il precetto festivo. Non ho suggerito se e come surrogare la mancata partecipazione alla Messa Vetus Ordo, la Messa tradizionale. La frase della risposta al signor Astolfi mi pare chiara e non ha bisogno di modifiche, dunque la riporto così com’è: “Mi rendo conto che non è sempre facile trovare una Messa in rito antico, ma, quando è possibile, conviene sforzarsi di farlo anche a costo di macinare chilometri e fatica”.
Quello che ho detto. Parto dalla frase che, nella risposta ad Astolfi, segue quella appena riportata: “ne va della gloria che dobbiamo tributare a Dio e della salvezza della nostra anima”. Perché, salvo la consacrazione, deve essere ben chiaro che la Messa Novus Ordo non è la stessa cosa della Messa in Vetus Ordo. Tutto ciò che viene prima e dopo la consacrazione è radicalmente diverso. Perciò ho anche detto: “la liturgia cattolica, che non è quella inventata a tavolino da Annibale Bugnini e promulgata da papa Paolo VI, ma quella che ci è stata consegnata da secoli e secoli di tradizione”.
 Le ragioni di questa affermazioni le trovate nel capitolo della “Bella addormentata” che trovate di seguito.
Quello che un semplice laico può dire a chi chiede un parere. La Messa è il cuore della fede: la Lex orandi si accompagna alla Lex credendi, perché si prega come si crede. Osservando onestamente i due riti è difficile immaginare che esprimano la stessa fede. E non mi riferisco al confronto tra il rito antico e le degenerazioni di quello nuovo che vanno sempre più diffondendosi, ma mi riferisco al confronto tra i due messali.  È vero che ci sono buoni sacerdoti che tentano di “cattolicizzare” la Messa nuova, ma questo tentativo dimostra un deficit evidente di cattolicità. Non si può affermare che il Novus Ordo celebrato bene valga quanto il Vetus Ordo poiché si tratta di riti diversi: portando alle estreme conseguenze il ragionamento allo scopo di farsi capire, il Vetus Ordo celebrato male è sempre meglio del Novus Ordo celebrato bene. Altro errore da non commettere è quello di valutare una Messa in base all’omelia: una Messa Novus Ordo con una buona omelia è sicuramente edificante per chi vi assiste, ma, a causa della impostazione antropocentrica, perde di vista l’atto essenziale: tributare a Dio il culto che Lui chiede agli uomini. L’eventuale coesistenza dei due riti, laddove quello antico non viene negato, può essere una necessità di fatto, ma è deleterio come scelta di principio: non può esserci travaso da uno all’altro perché il Novus Ordo è stato concepito per cancellare dalla memoria il Vetus Ordo.
Per quanto riguarda i fedeli che non hanno materiale possibilità di partecipare al rito antico, rimane il fatto che, attraverso quello nuovo, possono accedere alla Comunione sacramentale e questo è un fatto importante. Ma bisogna tenere presente che la Messa è, prima di tutto, un atto di culto dovuto dall’uomo a Dio, un diritto di Dio di essere adorato come Lui stesso chiede, e non un diritto dell’uomo.
Infine, per quanto riguarda l’esito ultimo della riforma liturgica, non ho dubbi nell’affermare che sia la distruzione della fede cattolica. Per comprenderlo suggerisco la lettura di un libro di Michael Davies, “La riforma liturgica anglicana”, di cui Cristina Siccardi ha scritto una splendida recensione per “Riscossa Cristiana”. Questo lavoro mostra come, mutando la liturgia, nell’Inghilterra anglicana si sia mutata la fede. Ma ciò che inquieta il lettore di oggi è che la riforma liturgica promulgata d Paolo VI somiglia tragicamente da vicino a quella inglese e, dunque, può portare solo a esiti simili, come dimostrano i fatti e non le teorie.
I fedeli che partecipano alla nuova liturgia e mantengono la fede cattolica ci riescono nonostante quella liturgia e non in virtù di essa, come invece dovrebbero essere. Sono destinatari di una grazia particolare di cui devono essere particolarmente grati al Signore e che sono chiamati a far fruttare nel luogo e nel tempo in cui si trovano.
Qui mi fermo perché non intendo, così come non intende “Riscossa Cristiana”, prendere le parti della guida spirituale che indica pubblicamente al prossimo come comportarsi in una materia tanto grave e in una situazione tanto confusa. In ogni caso mi metto a disposizione per parlarne individualmente in amicizia e spiegare, per esempio, come mi regolo personalmente. Chi voglia contattarmi può farlo scrivendo a “Riscossa Cristiana”, info@riscossacristiana.it, oppure, se lo ha già, al mio indirizzo e-mail personale o, ancora, telefonandomi se ha il mio numero.
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Da “La Bella addormentata. Perché dopo il Vaticano II la 
Chiesa è entrata in crisi. Perché si risveglierà”
(…)
Per uscire da tale cortocircuito teoretico, bisogna compiere un banale ragionamento da storici. Basta considerare i fatti con mente sgombra e porsi una semplice domanda: se si pensa a una Messa qualsiasi di una chiesa qualsiasi degli Anni Cinquanta e poi la si confronta con una Messa qualsiasi di una chiesa qualsiasi dell’anno di Grazia 2011, si può onestamente dire che nulla sia cambiato? (…)
La Croce e il mistero pasquale
(…) Questo fenomeno è dovuto a una teologia che ha assorbito il concetto classico di Redenzione in quello di mistero pasquale. In tal modo, nella nozione di Redenzione passano in secondo piano la necessità di soddisfare la giustizia divina, la Passione di Gesù e la cooperazione dell’uomo, mentre vengono esaltati l’amore, l’iniziativa di Dio e la nuova vita della Resurrezione. Una delle sintesi più efficaci di questa impostazione si trova nel saggio Qu’est-ce le mystère pascal (Cos’è il mistero pasquale) pubblicato nel 1961 da Aimon-Marie Roguet, che poi sarà membro del Consilium per l’attuazione della riforma: “Come un’offesa infinita può essere può essere soddisfatta? Come l’innocente può pagare per il colpevole? È da deplorare che per molti dei nostri contemporanei, la Redenzione si presenti in questi termini. Certi, infatti, ne sono scandalizzati nel loro senso di giustizia e trovano nella Redenzione così presentata un’obiezione insuperabile contro la bontà di Dio. Se fosse veramente Padre, sarebbe un Dio contabile così esigente e trasferirebbe la sua collera sul suo Figlio diletto? Nella presentazione del mistero pasquale, invece, non si incontrano questi scogli. Infatti, in esso la nostra salvezza appare operata da un atto vitale e gratuito, una libera iniziativa di Dio, uscita totalmente dal suo amore misericordioso”.
Una nuova concezione di peccato
In questa luce, non avendo più lo scopo di soddisfare la giustizia divina, la Passione e la Croce di Nostro Signore sbiadiscono fino a perdere di senso. Perché soffrire, se è inutile? Ma se la Redenzione è opera di un amore che ignora la giustizia, se è Dio ad andare in cerca dell’uomo senza che l’uomo vada in cerca di Dio, è evidente che cambia la nozione di peccato.
Il ragionamento che sostiene questa tesi parte da una premessa formalmente giusta, ma non sufficiente: come l’omaggio di una creatura nulla aggiunge a Dio, così l’offesa nulla Gli toglie. A corollario di tale teorema si pone in evidenza che il peccato porta pregiudizio solo all’uomo peccatore. La premessa, vera sul piano formale, veicola una volontaria ambiguità perché omette di spiegare che, se il peccato non lede la natura di Dio, lede il suo diritto a essere adorato e obbedito. La teologia classica ha sempre spiegato che il peccato è un’ingiuria all’onore di Dio misurata in base alle esigenze della maestà divina piuttosto che in base ai danni causati al peccatore stesso. Siccome Dio ha creato tutto per la propria gloria, l’uomo deve ordinare ogni sua azione a tale fine e, ove non lo faccia, si costituisce peccatore e contrae un debito di giustizia.
Secondo la nuova visione teologica, invece, il peccatore porta pregiudizio solo a se stesso e alla società, ma solo indirettamente a Dio. In quest’ottica, come scrisse Emile Mersch in Cristo, l’uomo e l’universo. Prolegomeni alla teologia del Corpo mistico, la redenzione “non ha lo scopo di restituire qualcosa a Dio, ma di restituire Dio all’uomo”.
L’evidente natura antropocentrica di tale prospettiva va contro l’insegnamento di San Paolo, secondo cui il peccato comporta la collera di Dio, che si esprime già su questa terra con delle pene, ma si manifesterà soprattutto nell’ultimo giudizio.
Fenomenologia di un capovolgimento
Dall’affermazione che l’opera redentrice di Cristo ha come scopo la sola rivelazione dell’amore del Padre, conseguono due cambiamenti radicali nella teologia della Redenzione. Il primo consiste nell’attribuire quest’opera più a Dio Padre che a Cristo come uomo. Quest’ultimo diverrebbe solo il “luogo” nel quale Dio salva l’umanità manifestando il proprio amore. Il secondo cambiamento consiste nel trasferimento dell’atto principale della Redenzione dalla morte di Cristo alla sua Resurrezione e Ascensione. “Chi parla di Redenzione” dice Roguet nel suo saggio sul mistero pasquale “pensa anzi tutto alla Passione e poi alla Resurrezione come ad un completamento. Chi parla di Pasqua pensa anzi tutto a Cristo resuscitato. La Resurrezione non appare più come un epilogo, ma come un termine e il fine nel quale si riassume il mistero della salvezza”.
La sintesi mostra il capovolgimento di orizzonte. La teologia classica, secondo l’insegnamento di San Paolo, non eclissava il ruolo della Resurrezione, ma come spiega Roguet, la subordinava alla Passione e alla Croce. Pochi anni prima del Concilio, nel 1956, Papa Pio XII la sintetizzava nell’enciclica Haurietis Aquas: “Il Mistero della Divina Redenzione, infatti, è propriamente e naturalmente un mistero di amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano (…). Pertanto il Divin Redentore — nella sua qualità di legittimo e perfetto Mediatore nostro — avendo, sotto lo stimolo di una accesissima carità per noi, conciliato perfettamente i doveri e gli impegni del genere umano con i diritti di Dio, è stato indubbiamente l’autore di quella meravigliosa conciliazione tra la divina giustizia e la divina misericordia, che costituisce appunto l’assoluta trascendenza del mistero della nostra salvezza, così sapientemente espressa dall’Angelico Dottore in queste parole: ‘Giova osservare che la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna soddisfazione. Perciò sta scritto: Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava pur essendo noi morti per le nostre colpe, ci richiamò a vita in Cristo’”.
Il culto del pubblicano e il culto del fariseo
In opposizione a un magistero limpidissimo, nel periodo preconciliare la nuova teologia del mistero pasquale, che ebbe nel benedettino Odon Casel uno dei più efficaci propagandisti, trovò sostenitori tra teologi e liturgisti come  Henry Pinard de La Boullaye, Emile Mersch, Yves de Montcheuil, Adalbert Hamman, Edouard Schillebeeckx, Annibale Bugnini, Jean Gaillard, Cipriano Vagaggini: quasi tutti nomi che, a vario titolo, portarono il loro decisivo contributo nei lavori per la riforma liturgica.
Il risultato più evidente fu l’oscuramento dell’aspetto sacrificale nel messale promulgato da Papa Paolo VI, vieppiù smarrito nel corso del tempo a causa della creatività dei celebranti. L’attiva partecipazione auspicata dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, in realtà, si è tradotta nel protagonismo dell’uomo che è andato a sostituire la centralità di Dio.
Così, mentre nella Messa preconciliare centrata sulla rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario, l’uomo è chiamato a partecipare alla Passione di Cristo per meritare, anche se indegno, di essere glorificato con Lui, in quella postconciliare diviene commensale di Dio al banchetto in cui celebra la propria gloria fondata sulla libertà. Nel primo caso il cristiano è chiamato a compatire con Cristo, nel secondo è invitato a collaborare con Dio. Se prima adorava, chiedeva perdono e offriva il proprio nulla davanti al Figlio di Dio sacrificato, ora si limita a rendere grazie della libertà che lo rende somigliante a Dio.
Non è un caso se tra le molte parti della Messa antica eliminate nel nuovo messale c’è quella in cui, prima di salire all’altare, il sacerdote si inchina a chiedere perdono come il pubblicano della parabola del Vangelo di San Luca. Alla luce del cambiamento non ve n’è più ragione. Qualsiasi uomo raggiunga la consapevolezza di non dover scontare pena alcuna per i suoi peccati può stare ritto come il fariseo e rendere grazie: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano”.
Ci vuole un seme
L’abbandono dell’atteggiamento del pubblicano davanti a Dio ha prodotto indifferenza alla Croce, all’eucaristia e alla Presenza Reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino. Pochi anni orsono, per citare solo un esempio, la diocesi di Bergamo consegnò ai giovani inviati in missione tra i loro coetanei un Crocifisso alla base del quale era stato aggiunto un seme come segno di speranza: la Croce, evidentemente, non lo è più. Oggi si arriva anche a costruire tabernacoli a due posti per la conservazione dell’eucaristia, scritta in minuscolo, e della Parola, scritta in maiuscolo. Nei ritiri per sacerdoti sta diventando pratica comune l’ora di adorazione della Bibbia invece che del Santissimo Sacramento. Oppure capita pure che, se durante la distribuzione della comunione non bastano le particole, il sacerdote ne mandi a prendere altre in sacrestia e le metta nella pisside continuando tranquillamente il suo lavoro: come se la consacrazione avvenisse per contatto, o come se, c’è da temere, il sacerdote abbia più di qualche dubbio sulla Presenza Reale.
A proposito di queste deragliamenti, nel suo saggio Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, monsignor Brunero Gherardini riporta con comprensibile scandalo un brano della relazione tenuta a Madrid nel 2004 da padre Timothy Radcliffe durante le “Giornate nazionali di pastorale giovanile vocazionale” della Conferenza dei religiosi spagnoli. La relazione di padre Racliffe, che è stato maestro generale dell’ordine domenicano dal 1992 al 2001, ha come titolo “Sessualità ed eucaristia: il dono del corpo” e comincia così: “Voglio parlare di Ultima Cena e sessualità. Può sembrare un po’ strano, ma pensateci un momento. Le parole centrali dell’Ultima Cena sono state: ‘Questo è il mio corpo, offerto per voi’. L’eucaristia, come il sesso, è centrata sul dono del corpo. Vi rendete conto che la prima lettera di san Paolo ai Corinzi si muove fra due temi, la sessualità e l’eucaristia? Ed è così perché Paolo sa che abbiamo bisogno di capire l’una alla luce dell’altra. Comprendiamo l’eucaristia alla luce della sessualità e la sessualità alla luce dell’eucaristia”.
Non sarebbe stato necessario citare questo brano già riportato da monsignor Gherardini se non vi fosse da aggiungere una notazione: un testo capace di scandalizzare un teologo di lungo corso ha incontrato invece l’entusiasmo e l’approvazione dei prenovizi domenicani di Bergamo, che lo hanno riportato con grande enfasi nel loro blog vitaefratrum.blogspot.com.
Evidentemente, aveva ragione Marshall McLuhan quando mostrava le conseguenze della celebrazione con il sacerdote rivolto verso il popolo. Lo faceva nel 1974 con il saggio “La liturgia e il microfono”, tradotto in italiano nel 2003 nella raccolta La luce e il mezzo. Un “(…) nuovo e intenso impulso visivo” scrive lo studioso canadese “favorì il posizionamento dell’officiante di fronte alla congregazione, separata da una tavola/altare. Questa pratica fu accettata dalle chiese della Riforma e respinta da Roma. L’esperienza visiva, naturalmente, esclude la metamorfosi e la transustanziazione, perché lo spazio visivo o euclideo è il solo canale sensoriale statico conosciuto dall’uomo”.
In altri termini, lo sguardo diretto sulla tavola/altare induce i fedeli a dubitare della transustanziazione poiché le specie del pane e del vino non mutano visibilmente sotto i loro occhi nell’atto della consacrazione. Vale la pena di notare che, nel 1974, McLuhan parlava di un tale effetto attribuendolo alla rivoluzione protestante. E’ inquietante notare che, solo qualche decennio dopo l’introduzione della riforma liturgica, lo stesso ragionamento vale per la grande maggioranza delle celebrazioni cattoliche. →
25 Responses to Alla radice del problema. Messa Vetus Ordo e Novus Ordo – di Alessandro Gnocchi

In hoc signo vinces


O Crux, ave, spes unica: 

dunque la Messa della Tradizione.



  Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.

  Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.

  C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.



  Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.

  Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?

  Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.

  Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
  Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.

  Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.


  Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.

  Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile al quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.

  In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.

  O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.

  Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
  Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.

  Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.

  La verità invece è Cristo.

 La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.

AMDG et BVM
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 7 - Luglio 2014