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mercoledì 5 marzo 2014

Domenica 9 marzo 2014, I Domenica di Quaresima - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 9 marzo 2014, I Domenica di Quaresima - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 4, 1-11.
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo.
E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. 
Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane». 
Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». 
Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo».
Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse:
«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai».
Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto».
Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.
Traduzione liturgica della Bibbia 



Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di 
Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.

Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giordano. Però devo essere molto addentrata in essa perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui, solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da essere ridotta a polvere giallastra, che ogni tanto il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Moto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.
Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma sembra una ‘C’ che fa un embrione di grotta e seduto su un sasso trascinato in quell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo, avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria. 
Gesù è magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto soleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso che gli fa da riparo, come preso da vertigine. 
Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma con cui noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc.ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, degli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nella quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico fascinatore anch’esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza all’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia. 
Si avvicina a Gesù: “Sei solo?” 
Gesù lo guarda e non risponde. 
“Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?” 
Gesù lo guarda da capo e tace. 
“Se avessi dell’acqua nella borraccia te la darei. Ma ne sono senza anch’io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. vieni con me. Ti guiderò.” 
Gesù non alza più neppure gli occhi. 
“Non rispondi? Sai che se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni”. 
Gesù stringe le mani in muta preghiera. 
“Ah! sei proprio Tu, dunque? E’ tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? E’ lontano. Ora sei sulla terra e in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo, e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui attendendo di mordere e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te.” 
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo, e sorride con la sua bocca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente. 
“Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti poso essere maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero. 


Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. E’ sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami, ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo, devi avere la tua Eva. 
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuole regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi, ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi dell’umanità. 
E’ bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani di un uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio, quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori. 
Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fragrante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio. Tu sei il Padrone della terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame. 
Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a paro. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire perché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con le tue preghiere perché io possa...” 
“Taci. ‘Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio’.” 



Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il digrigno in sorriso. 
“Comprendo. Tu sei sopra le necessità della terra e hai ribrezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni , allora, e vedi cosa è nella casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uomini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di' che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è necessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!” 
“ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto”. 

“Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose e il Tempio continuerebbe ad essere mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana. 
E allora vieni. Adorami, Io ti darò la terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi, saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te che avrai tutti i regni della terra sotto il tuo scettro. E coi regni tutte le ricchezze, tutte le bellezze della terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviranno, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore. 
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho di essere adorato! E’ quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. E’ il mio inferno questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo. tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!”. 
E Satana si butta in ginocchio supplicando. 
Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata quando dice: “Va' via, Satana! E’ scritto ‘Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo’!”. 
Satana con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione. 
Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito. 
Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli che fanno una mite luce, sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo digiuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi rapiti in una gioia non di questa terra. 


Dice Gesù: 
“Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto riposare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il Mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero. 
Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem” e te l’ho fatto ripetere molte volte e tante te le ho ripetute. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commenterò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro. 
Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma e le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile. 
Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre di più. 
Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione. 
E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta. 
Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fedele, con la benedizione che accarezza lo spirito. 
Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male. 
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto”.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

Contemplare et mirare eius celsitudinem: 
Dic felicem genitricem, dic beatam virginem. 



venerdì 23 novembre 2012

S. Giovanni della Croce / San Juan de la Cruz: BUSCANDO ...



.......
...
PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE
PER ME SI VA NE L' ETTERNO DOLORE
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE:
FECEMI LA DIVINA POTESTATE,
LA SOMMA SAPIENZA E 'L PRIMO AMORE.

DINNANZI A ME NON FUOR COSE CREATE
SE NON ETTERNE, E IO ETTERNO DURO.
LASCIATE OGNE SPERANZA, O VOI CH' INTRATE!

Suddette parole, nere come pece, vidi incise sullo stipite di una porta, entrata della voragine infernale. 
///  Leyendo el Doctor Mistico es bueno no olvidar el Dante Alighieri. Leggendo san Giovanni della Croce è cosa ottima non dimenticare Dante A. ///

*

STROFA 3

Buscando mis amores,
iré por esos montes y riberas;
ni cogeré las flores,
ni temeré las fieras,
y pasaré los fuertes y fronteras.

In cerca dei miei amori
mi spingerò tra i monti e le riviere,
non coglierò fiori
né temerò le fiere,


1. All’anima non bastano i gemiti e le preghiere né l’aiuto d’intermediari per conversare con l’Amato, come ha fatto nelle precedenti strofe, ma insieme a questo ella stessa deve mettersi a cercarlo. Questo è il pensiero che esprime nella presente strofa: cercare l’Amato, esercitandosi nelle virtù e nelle mortificazioni della vita contemplativa e attiva. A tale scopo, non ammetterà alcun piacere o comodità, né basteranno a fermarla o ad ostacolarle il cammino tutte le forze e le insidie dei tre nemici dell’anima: il mondo, il demonio e la carne. Perciò dice: In cerca dei miei amori,

2. cioè del mio Amato, mi spingerò tra i monti e le riviere.

3. Essa chiama le virtù monti, anzitutto per la loro altezza e poi per le difficoltà e la fatica che si affrontano nel salirvi, quando si esercita nella vita contemplativa. Chiama, inoltre, riviere le mortificazioni, gli atti di umiltà e il disprezzo di sé, quando esercita queste cose nella vita attiva; infatti, per acquisire le virtù, sono necessarie l’una e l’altra vita. Il che, dunque, equivale a dire: per cercare il mio Amato metterò in opera le alte virtù e mi umilierò nelle mortificazioni e negli esercizi più modesti. Dice questo perché la ricerca di Dio consiste nel fare il bene in lui e mortificare il male in sé, come si dice dopo: non coglierò fiori.

4. Poiché per cercare Dio si richiede un cuore spoglio e forte, libero da tutti i mali e da tutti i beni che non siano esclusivamente Dio, nel verso presente e nei seguenti l’anima parla della libertà e della forza necessarie per cercarlo. Sostiene, quindi, che non si fermerà a cogliere i fiori che troverà lungo il cammino e che rappresentano tutte le voglie, le soddisfazioni e i piaceri che le si possono offrire in questa vita: tutto questo potrebbe ostacolare il cammino, se volesse coglierli e goderli. Gli ostacoli sono di tre tipi: terreni, sensibili e spirituali. Sia gli uni che gli altri occupano il cuore e impediscono lo spogliamento spirituale richiesto per camminare direttamente nella via di Cristo, se l’anima dovesse soffermarvisi od occuparsene. Per cercare Cristo, afferma che non si attarderà a cogliere cose del genere. È come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei beni offerti dal mondo, né accoglierò le consolazioni e i piaceri della mia carne, né indugerò nei gusti e nei conforti del mio spirito, per non essere trattenuta nella ricerca dei miei amori per i monti delle virtù e delle fatiche. Dicendo così, segue il consiglio che dà il profeta Davide a coloro che percorrono questo cammino: Divitiae si affluant, nolite cor apponete: Anche se abbondano le ricchezze, non attaccatevi il cuore (Sal 61,11). Questo vale sia per le soddisfazioni sensibili che per gli altri beni terreni e le consolazioni spirituali. Ne segue che non solo i beni terreni e i piaceri corporali impediscono e ostacolano il cammino verso Dio, ma anche le consolazioni e i conforti spirituali, se posseduti o cercati con attaccamento, impediscono di seguire la via della croce dello Sposo Cristo. Chi vuole progredire, quindi, non deve attardarsi a cogliere questi fiori. Non solo, ma deve avere anche il coraggio e la forza per dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.


5. In questi versi l’anima cita i suoi tre nemici – il mondo, il demonio e la carne – che le fanno guerra e rendono difficile il cammino spirituale. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio e per frontiere la carne.


6. Chiama fiere il mondo perché, all’anima che inizia il cammino di Dio, il mondo si presenta nell’immaginazione come una fiera che minaccia e spaventa, soprattutto secondo tre maniere. La prima le fa pensare che perderà il favore del mondo, gli amici, la stima, il prestigio e persino il patrimonio. La seconda – una fiera non meno terribile – le fa vedere quanto dovrà soffrire non avendo più le gioie e i piaceri del mondo e non provando più le sue lusinghe. La terza, ancora più grande, le fa pensare che le si solleveranno contro le male lingue, deridendola e beffeggiandola con motteggi e burle, e sarà stimata pochissimo. Simili minacce di solito si presentano ad alcune anime tanto da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità d’intraprendere il cammino.


7. Ad alcune anime più generose, però, spesso si presentano altre fiere più interiori e spirituali: difficoltà e tentazioni, tribolazioni e prove di vario genere che esse dovranno affrontare. Dio invia tali fiere a coloro che vuole elevare a una perfezione maggiore, provandoli ed purificandoli come l’oro sul fuoco, secondo quanto afferma Davide: Multae tribulationes iustorum, cioè: Molte sono le sventure dei giusti, ma li libera da tutte il Signore (Sal 33,20). Tuttavia l’anima profondamente innamorata, che stima il suo Amato più di ogni altra cosa, fidandosi del suo amore e del suo favore non teme di dire: né temerò le fiere, ma passerò i forti e le frontiere.


8. Chiama forti il secondo nemico, i demoni, perché essi cercano con grande forza di sbarrare il passo di questo cammino e anche perché le loro tentazioni e astuzie sono più forti e dure da superare e più difficili da riconoscere rispetto a quelle del mondo e della carne. Inoltre i demoni si rafforzano con gli altri due nemici, il mondo e la carne, per muovere un’aspra guerra all’anima. Per questo Davide, parlando di essi, li chiama forti: Fortes quaesierunt animam meam: I forti insidiano la mia vita (Sal 53,5). A questa forza si riferisce anche il profeta Giobbe quando dice che non c’è sulla terra potere paragonabile a quello del demonio e tale che di nessuno debba aver paura (Gb 41,24 Volg.), cioè nessun potere umano può essere paragonato al suo. Solo il potere divino, quindi, può vincerlo e solo la luce divina può scoprire i suoi inganni. Ecco perché l’anima che deve vincere la sua forza non potrà riuscirvi senza la preghiera, né potrà scoprire i suoi inganni senza l’umiltà e la mortificazione. Per questo san Paolo, volendo mettere in guardia i fedeli, usa queste espressioni: Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est vobis colluctatio adversus carnem et sanguinem: Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo; la nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne (Ef 6,11-12). Per sangue intende il mondo e per armatura di Dio la preghiera e la croce di Cristo, ove risiedono l’umiltà e la mortificazione di cui ho parlato.


9. L’anima aggiunge che passerà oltre le frontiere, con le quali – ripeto – indica le ripugnanze e le ribellioni che la carne solleva naturalmente contro lo spirito. Come dice san Paolo: Caro enim concupiscit adversus spiritum: La carne ha desideri contrari allo Spirito(Gal 5,17), e si pone quasi sul confine ostacolando il cammino spirituale. L’anima deve andare oltre queste frontiere, superando le difficoltà e abbattendo con la forza e la determinazione dello spirito tutti gli appetiti sensuali e le affezioni naturali. Difatti, finché questi persisteranno nell’anima, lo spirito sarà talmente soggiogato da non poter andare avanti verso la vera vita e il diletto spirituale. Tutto questo ci fa ben comprendere san Paolo quando afferma: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis: Se con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere della carne, vivrete (Rm 8,13). Questo dunque è l’atteggiamento che, secondo la presente strofa, l’anima ritiene opportuno adottare lungo il cammino di ricerca del suo Amato. Vale a dire: costanza e arditezza per non abbassarsi a cogliere i fiori, coraggio per non temere le fiere e forza per superare i forti e le frontiere, con l’unico scopo di andare sui monti e lungo le riviere delle virtù, come ho spiegato sopra.


Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis

lunedì 21 maggio 2012

O BEATISSIMA et dulcissima virgo Maria, mater Dei... O MOST BLESSED and most sweet virgin Mary, mother of God...


Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


O BEATISSIMA et dulcissima virgo Maria, mater Dei, omni pietate plenissima, summi regis filia, domina Angelorum, mater omnium credentium in sinum pietatis tuae commendo hodie et omnibus diebus vitae meae corpus meum et animam meam, omnesque actus meos, cogitationes, voluntates, desideria, locutiones, operationes, omnemque vitam, finemque meum: ut per tua suffragia disponantur in bonum, secundum voluntatem dilecti filii tui domini nostri Iesu Christi: ut sis mihi, o domina mea sanctissima, adiutrix et consolatrix contra insidias et laqueos hostis antiqui, et omnium inimicorum meorum.
O MOST BLESSED and most sweet virgin Mary, mother of God, filled with devotion, daughter of the most high King, mistress of Angels, mother of all believers, today I commend to thy tender heart all my deeds, my thoughts, my wishes, my desires, my speech, my activities, my whole life, and my final end. That through thy prayers they may be disposed towards good, according to the will of thy beloved Son, our Lord Jesus Christ; that thou may be to me, O my most holy lady, helper and consoler against the wickedness and snares of the ancient enemy and against all my enemies.
A dilecto filio tuo domino nostro Iesu Christo mihi impetrare digneris gratiam cum qua potenter resistere valeam tentationibus mundi, carnis et Daemonis, ac semper habere firmum propositum ulterius non peccandi; sed in tuo et dilecti filii tui servitio perseverandi. Deprecor te etiam, domina mea sanctissima, ut impetres mihi veram obedientiam et veram cordis humilitatem, ut veraciter me agnoscam miserum ac fragilem peccatorem et impotentem non solum ad faciendum quodcumque opus bonum, sed etiam ad resistendum continuis impugnationibus, sine gratia et adiutorio creatoris mei, et sanctis precibus tuis. Impetra mihi etiam, o domina mea dulcissima, perpetuam mentis et corporis castitatem: ut puro corde et casto corpore, dilecto filio tuo et tibi in tuo ordine valeam deservire. Obtine mihi ab eo voluntariam paupertatem cum patientia et mentis tranquillitate, ut labores eiusdem ordinis valeam sustinere, et pro salute propria et proximorum valeam laborare.
From thy beloved Son, our Lord Jesus Christ, graciously obtain for me the grace with which I will be able to resist the temptations of the world, the flesh, and the devil, and to always have a firm intention to sin no more. And I beg thee, my most holy Lady, to obtain for me true obedience and true humility of heart, that I may truly acknowledge that I am a wretched and frail sinner and powerless not only to do anything good, but also to resist the continual battles without the grace and help of my Creator and thy holy prayers. Obtain for me also, o my sweetest Lady, perpetual purity of mind and body so that I may serve thee and thy beloved Son in thy order1 with a pure heart and a chaste body. Obtain for me from Him a willing poverty with patience and tranquility of mind, so that I may sustain the labors of this same order2 and that I may work for the salvation of myself and others.
Impetra mihi etiam, o dulcissima domina, caritatem veram, qua sacratissimum filium tuum dominum nostrum Iesum Christum toto corde diligam: et te post ipsum super omnia; et proximum in Deo et propter Deum. Sicque de bono eius gaudeam, de malo doleam, nullumque contemnam, neque temerarie iudicem, neque in corde meo alicui me praeponam. Fac etiam, o regina caeli, ut dulcissimi filii tui timorem pariter et amorem semper in corde meo habeam; et de tantis beneficiis mihi, non meis meritis, sed ipsius benignitate collatis, semper gratias agam: ac de peccatis meis puram et sinceram confessionem, et veram paenitentiam faciam, ut suam consequi merear misericordiam et gratiam. Oro etiam, ut in fine vitae meae, caeli porta et peccatorum advocata, me indignum servum tuum a sancta fide Catholica deviare non permittas; sed tua magna pietate et misericordia mihi succurras, et a malis spiritibus me defendas: ac benedicta filii tui gloriosa passione, etiam in tua propria intercessione spe accepta, veniam de peccatis meis ab eo mihi impetres, atque me, in tua et eius dilectione morientem, in viam salvationis et salutis dirigas. Amen.
Obtain for me also, O sweetest of Ladies, true charity, with which I may love thy most holy Son, our Lord Jesus Christ, with all my heart: and after Him, thee, above all things; and my neighbor in God and on account of God. And so I may rejoice in my neighbour's good and sorrow in his evil, and hold no one in contempt, nor judge rashly, nor exalt myself in my heart over anyone. Make me, o Queen of Heaven, to fear thy Son and to equally love Him always in my heart; and of such benefits granted to me, not by my merits, but by those granted by His kindness, may I always give thanks. And of my sins, may I make a pure and sincere confession with true repentance that I may gain His mercy and grace. I pray, also, that at the end of my life, O gate of heaven, and advocate of sinners, that thou permitteth not thy unworthy servant to deviate from the holy Catholic faith; but by thy great devotion and mercy come to my aid and defend me from the evil spirits: and by the blessed and glorious passion of thy Son and through thy own intercession, received in hope, obtain through Him pardon from my sins. And as I die in His and thy love, guide me in the way of safety and salvation. Amen.


1,2 The Dominican Order, of which St Thomas was a member.
Tr MWM. Latin from "Medulla Pietatis Christianae sive Libellus Precum pro Adulescentibus Litterarum Studiosis", Schneider, S. J., Joseph, Coloniae 1903.
See also "Devoutly I Adore Thee, The Prayers and Hymns of St. Thomas Aquinas", Ed Anderson, R. and Moser, J., Sophia Institute Press, Manchester NH, 1993.

NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA



sabato 25 febbraio 2012

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA Solennità di questo giorno. Il tempo propizio . Consigli apostolici. L'esempio di Gesù tentato da Satana. La condotta di Gesù. I nostri tre nemici.Le tre tentazioni. Le vittorie e l'esempio di Cristo.


PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA
Solennità di questo giorno.
Questa Domenica, la prima della santa Quarantena, è anche una delle più solenni dell'anno. Il suo privilegio, esteso con le ultime decisioni di Roma alle altre Domeniche di Quaresima (Costituzione Divino afflatu), e che per molto tempo lo ha solo condiviso con la Domenica di Passione e delle Palme, è quello di non cedere il posto a nessuna festa, neppure a quella del Patrono, o del Santo Titolare della Chiesa, o della Dedicazione. Negli antichi calendari è chiamata Invocabit, dalla prima parola dell'Introito della Messa; mentre nel Medio Evo la chiamavano Domenica delle torce, in seguito ad un'usanza che non sempre né dovunque pare motivata alla stessa maniera; in certi luoghi, i giovani che s'erano lasciati andare troppo alle dissipazioni del carnevale, dovevano, in quella domenica, presentarsi in chiesa con una torcia in mano, per fare pubblica soddisfazione dei loro eccessi.
Oggi la Quaresima appare in tutta la sua solennità. I quattro giorni che la precedono furono aggiunti abbastanza tardivamente, per completare la quarantena del digiuno; e il Mercoledì delle Ceneri i fedeli non hanno l'obbligo d'udire la Messa. La santa Chiesa nei vedere oggi tutti i suoi figli riuniti, rivolge loro la parola nell'Ufficio del Mattutino, facendo proprio il linguaggio eloquente di san Leone Magno: "Figli carissimi, dice loro, prima d'annunciarvi il sacro e solenne digiuno della Quaresima, posso io cominciare meglio il mio discorso servendomi delle parole dell'Apostolo, nel quale parlava Gesù Cristo, e ripetendo ciò che ora avete sentito leggere: Ecco ora il tempo propizio, ecco ora il giorno della salute? Perché sebbene non esista tempo dell'anno che non sia ripieno dei benefici di Dio, e benché per grazia sua noi abbiamo sempre accesso al trono della sua misericordia, tuttavia dobbiamo in questo santo tempo applicarci con maggior zelo al nostro profitto spirituale, ed essere animati da nuova fiducia. Infatti la Quaresima, ricordandoci quel sacro giorno in cui fummo riscattati, c'invita a praticare tutti i doveri della pietà, affinché, mediante la purificazione dei nostri corpi e delle nostre anime, ci disponiamo a celebrare i misteri della Passione del Signore".

Il tempo propizio.
Un tale mistero meriterebbe da parte nostra un rispetto ed una devozione senza limiti, in modo da essere sempre davanti a Dio quali vorremo essere nella festa di Pasqua. Ma una tale costanza non è la virtù della maggior parte di noi; la debolezza della carne ci obbliga a moderare l'austerità del digiuno, e le diverse occupazioni di questa vita formano l'oggetto delle nostre sollecitudini. Di conseguenza i cuori devoti vanno soggetti ad essere ricoperti da un po' della polvere di questo mondo. Con grande nostro vantaggio fu dunque stabilita questa divina istituzione, la quale ci offre quaranta giorni per ricuperare la purezza delle nostre anime, riparando con la santità delle nostre opere ed i meriti dei nostri digiuni, le colpe degli altri tempi dell'anno.

Consigli apostolici.
"Nell'entrare, miei carissimi figli, in questi giorni pieni di misteri, santamente istituiti per la purificazione delle nostre anime e dei nostri corpi, procuriamo d'obbedire al precetto dell'Apostolo, liberandoci da tutto ciò che può macchiare la carne e lo spirito, affinché il digiu­no, dominando la lotta che esiste fra le due parti di noi stessi, faccia sì che l'anima riacquisti la dignità del comando, pur essendo anch'essa sottomessa a Dio, e da lui governata. Non diamo occasione a nessuno di mormorare contro di noi, né esponiamoci al giusto disprezzo di coloro che vogliono trovare a ridire, perché gl'infedeli avrebbero ben motivo di condannarci, se per nostra colpa fornissimo alle loro empie lingue le armi contro la religione, e se la purezza della nostra vita non rispondesse alla santità del digiuno che abbiamo abbracciato. Non ci dobbiamo immaginare che tutta la perfezione del nostro digiuno consiste nell'astinenza dai cibi, perché sarebbe vano sottrarre al corpo una parte del suo nutrimento, se nello stesso tempo non allontanassimo l'anima dall'iniquità".

L'esempio di Gesù tentato da Satana.
Ogni Domenica di Quaresima ha per oggetto principale una lettura dei santi Vangeli, destinata ad esercitare i fedeli nei sentimenti che la santa Chiesa vuole loro infondere durante la giornata. Oggi essa ci fa meditare la tentazione di Gesù Cristo nel deserto. Niente meglio di questo importante racconto è più adatto ad illuminarci e fortificarci.
Riconosciamo di essere peccatori, e desideriamo espiare i nostri peccati. Ma come siamo caduti nel male? Il demonio ci ha tentati e noi non abbiamo respinta la tentazione; abbiamo ceduto alla suggestione dell'avversario, ed il male fu commesso. Tale è la storia del nostro passato, e uguale sarà nell'avvenire, se non approfittiamo della lezione che ci da oggi il Redentore.
L'Apostolo, spiegandoci la misericordia del divino consolatore degli uomini, insiste sulle tentazioni ch'egli si degnò patire. Una tale prova d'illimitata devozione non ci è affatto mancata; e noi oggi contempliamo l'adorabile pazienza del Santo dei Santi, il quale non disdegna che gli s'avvicini questo schifoso nemico d'ogni bene, affinché noi impariamo come dobbiamo trionfarne.
Satana guardava con preoccupazione alla santità incomparabile di Gesù: le meraviglie della sua nascita, i pastori chiamati dagli Angeli al presepio, i magi venuti dall'Oriente sotto la guida d'una stella, la protezione che sottrasse il Bambino al furore di Erode, la testimonianza resa da Giovanni Battista al nuovo profeta: tutto questo insieme di fatti contrastava in modo così strano con l'umiltà e l'oscurità dei primi trent'anni del Nazareno, che suscitò i timori del serpente infernale. Il mistero dell'Incarnazione s'era compiuto lontano dai suoi sguardi sacrileghi; e ignora che Maria è la Vergine che, come aveva preannunciato Isaia (7,14), doveva partorire l'Emmanuele. Ma sono giunti i tempi; l'ultima settimana di Daniele ha aperto la sua era; anche il mondo pagano attende dalla Giudea un liberatore. Satana sa tutto questo, e, nella sua ansietà, osa accostarsi a Gesù, sperando che nella conversazione con lui riesca a cogliere qualche indizio. È o non è il Figlio di Dio? Sta tutto qui il problema. Forse, chissà! potrà sorprenderlo in qualche debolezza; il fatto di saperlo un uomo come gli altri lo potrebbe rassicurare.

La condotta di Gesù.
Il nemico di Dio e degli uomini doveva però rimanere ben deluso nel suo intento; s'avvicina al Redentore, ma tutti i suoi sforzi dovevano tornare a sua confusione. Con la semplicità e la maestà del giusto, Gesù respinge ogni attacco di Satana, senza svelare la sua origine celeste. Così l'angelo perverso si ritira, senza aver potuto scoprire altra cosa in Gesù se non ch'era un profeta fedele al Signore. Ma si accecherà sempre più nel suo orgoglio, quando fra poco vedrà i disprezzi, le calunnie, le persecuzioni accumularsi sul capo del Figlio dell'uomo, e gli sembreranno così facili i tentativi di farlo cadere. Ma nel momento che Gesù, saziato d'obbrobri e di patimenti, espierà sulla Croce, s'accorgerà finalmente che la sua vittima non è un uomo, ma un Dio, e che tutti i furori congiurati contro il Giusto non erano serviti ad altro che a palesare l'ultimo sforzo della misericordia che salva il genere umano, e della giustizia, che atterra per sempre la potenza dell'inferno.
Questo era il disegno della divina Provvidenza, nel permettere che lo spirito del male osasse contaminare con la sua presenza il ritiro dell'Uomo-Dio, indirizzargli la sua parola e mettere sopra di lui le sue empie mani. Ma studiamo le circostanze della triplice tentazione subita da Gesù per istruirci ed incoraggiarci.

I nostri tre nemici.
Noi abbiamo tre sorta di nemici da combattere, e l'anima nostra è vulnerabile da tre parti; infatti: "Tutto ciò ch'è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita" (1Gv 2,16). Per la concupiscenza della carne dobbiamo intendere l'amore dei sensi avido dei godimenti della carne; se esso non è frenato, trascina l'anima ai piaceri illeciti. La concupiscenza degli occhi significa l'amore dei beni di questo mondo, delle ricchezze e della fortuna; le quali cose brillano dinanzi ai nostri sguardi prima di sedurci il cuore. Finalmente la superbia della vita è la confidenza in noi stessi, che genera la vanagloria e la presunzione, e ci fa dimenticare che abbiamo ricevuto da Dio la vita e i doni che si degnò spargere sopra di noi.
Ora, tutti i nostri peccati scaturiscono da una di queste tre fonti, e le tentazioni mirano a farci accettare, o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o la superbia della vita. Il Salvatore, nostro modello in ogni cosa, volle sottoporsi a tutte e tre le prove.

Le tre tentazioni.
Satana lo tenta prima nella carne, insinuandogli il pensiero che avrebbe adoperato il suo potere soprannaturale per saziare immediatamente la fame che lo stimola. Di' che queste pietre diventino pani: tale è il suggerimento del demonio al Figlio di Dio. Esso vuol vedere se la premura di Gesù nel soddisfare al bisogno del suo corpo non lo denoterà per un uomo debole e soggetto alla intemperanza. Quando invece viene a noi, tristi eredi della concupiscenza di Adamo, le sue suggestioni si spingono ancora oltre: aspira a macchiarci l'anima per mezzo del corpo. Ma la suprema santità del Verbo incarnato non poteva permettere che Satana ardisse di fare una simile prova del suo potere sopra di lui, alla stessa maniera che tenta l'uomo nei suoi sensi. In questo, dunque, il Figlio di Dio ci dà una lezione di temperanza; e sappiamo che per noi la temperanza è la madre della purità, e che l'intemperanza solleva la ribellione dei sensi.
La seconda tentazione è di superbia. Gettati sotto, e gli Angeli ti sosterranno. Qui il nemico vuoi vedere se i favori del cielo hanno generato nell'anima di Gesù quell'alterigia e quella ingrata presunzione, che inducono la creatura ad attribuire a sé i doni di Dio e a dimenticare il proprio benefattore, per mettersi a regnare al suo posto. L'Angelo ribelle è deluso ancora una volta, e l'umiltà del Redentore spaventa la sua superbia.
Fa allora un ultimo tentativo. Forse, pensa, colui che s'è mostrato così temperante ed umile, sarà sedotto dall'ambizione della ricchezza. "Guarda lo splendore e la gloria di tutti i regni della terra: io te li posso dare, purché mi adori. Gesù respinge sdegnato la meschina offerta, e caccia via da sé il seduttore maledetto, il principe del mondo, insegnandoci con tale esempio a disprezzare le ricchezze della terra ogni volta che, per conservale od acquistarle, dovessimo violare la legge di Dio e rendere un omaggio a Satana.

Le vittorie e l'esempio di Cristo.
Ora, in che modo il Redentore, nostro divino capo, respinge la tentazione? Ascolta forse i discorsi del suo nemico? Gli lascia il tempo di far brillare davanti agli occhi tutto il suo prestigio? È così che troppo spesso abbiamo fatto noi, e siamo stati vinti. Gesù oppone semplicemente al nemico lo scudo dell'inflessibile Legge di Dio:
Sta scritto: - gli risponde - Non di solo pane vive l'uomo. Sta scrìtto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo. Seguiamo d'ora innanzi questa grande lezione. Eva si perdette, e con essa il genere umano, per aver intavolato conversazione col serpente. Chi procura la tentazione vi soccomberà. In questi santi giorni il cuore è più guardingo, le occasioni sono allontanate e le abitudini interrotte; purificate dal digiuno, dalla preghiera e dall'elemosina, le anime nostre risusciteranno con Gesù Cristo; ma conserveranno questa nuova vita? Tutto dipenderà dalla nostra condotta nelle tentazioni. Fin dall'inizio della santa Quarantena la Chiesa, mettendo sotto ai nostri occhi la narrazione del santo Vangelo, vuole al precetto aggiungere l'esempio. Se saremo vigili e fedeli, la lezione ci porterà i suoi frutti; e quando avremo raggiunta la Pasqua, la vigilanza, la diffidenza di noi stessi e la preghiera, col divino aiuto che non manca mai, ci assicureranno le perseveranza.


La Chiesa greca oggi celebra una delle sue più grandi solennità. Chiamano tale festa Ortodossia, ed ha lo scopo d'onorare la restaurazione delle sante Immagini a Costantinopoli e nell'impero d'Oriente, nell'842, quando l'imperatrice Teodora, col concorso del santo Patriarca Metodio, pose fine alla persecuzione degl'iconoclasti e fece rimettere in tutte le chiese le sante Immagini, che il furore degli eretici aveva fatto scomparire.


vedi: http://gerardoms.blogspot.com/2012/02/tentato-da-satana-tremendo-non-ci.html


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!

LAUDETUR CUM MARIA!

SEMPER LAUDENTUR!