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mercoledì 26 ottobre 2016

Il ministero sac. è un’opera divina

LA GRANDEZZA DEL MINISTERO
È LA MISURA DELLE VIRTÙ CHE RICHIEDE

Il ministero è un’opera divina: «Questa è l’opera di Dio credere in colui che egli ha mandato» (Gv. 6,29). San Paolo lo chiama opera del Signore: «Opus Domini» (I Cor. 16,10) Dio, infatti è il primo autore della salvezza degli uomini; fu il primo a volerla, il primo che ne pose le condizioni e ne istituì i mezzi, il primo che vi si è adoperato in Gesù Cristo Nostro Signore: «È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor. 5,19).

Dio chiamo gli uomini a suoi cooperatori nell’opera della salvezza degli uomini, tuttavia Egli è l’agente principale nell’esecuzione dell’opera divina: «Affidando a noi la parola della riconciliazione; noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (Ivi 19,20). Ne consegue che il sacerdote è veramente l’ambasciatore, l’incaricato d’affari, il ministro di Dio, e come dice San Paolo: l’uomo di Dio: «Homo Dei» (I Tim. 6,2).
Da questo San Paolo conclude che l’uomo di Dio è preparato, disposto, diremmo quasi equipaggiato per ogni ope ra: «L’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tim. 3,17). Ossia l’uomo di Dio diventa così, a suo modo, l’uomo-Dio e per i poteri divini che esercita dev’essere ornato di ogni virtù. Dev’essere perfetto come il Padre celeste è perfetto (Matteo, 5,48).
Perciò abbiamo molto da fare prima di poter dire come San Paolo: «Ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza» (2 Cor. 3,6).
Fra tutte le virtù necessarie al sacerdote, al ministro della salvezza delle anime, al pastore, San Gregorio Magno ne richiede principalmente dieci: ne parla in modo ammirevole nella seconda parte del suo Pastorale: voglia egli perdonarci se scriviamo al suo seguito qualche cosa intorno a quelle virtù ch’egli possedeva e che noi non possediamo.


LA CASTITÀ

Dio è santo, anzi è la stessa santità; per questo egli vuole che i suoi ministri siano santi. Orbene: il carattere proprio della santità del sacerdote è la castità.
Il vescovo nell’atto di ordinare i diaconi dice loro: «Estote assumpti a carnalibus desideriis, a terrenis concupiscentiis; estote nitidi, puri, casti sicut decet ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei» (Pont. Rom). Per cui se nel diacono si deve effettuare un tale ministero di assunzione, tanto più deve divenir grande nel sacerdote. L’uomo di Dio non può essere uomo della carne, perché Dio è tutto spirito.
Il sacerdote sia che si consideri in faccia a Dio e in faccia a nostro Signore, vedrà che deve a Dio e a nostro Signore l’omaggio della più perfetta castità. Se poi si considererà in faccia ai fedeli vedrà che a tutti deve sempre castità per essere sempre per loro l’uomo di Dio, pronto a dare i sacramenti, pronto a lavorare per guarire le piaghe delle anime.
La castità del sacerdote dev’essere una castità eccellente; se no sarebbe in difetto rispetto a Dio per la quotidiana celebrazione del Sacrificio e per la comunione quotidiana; in difetto rispetto ai fedeli per i quali non sarebbe mai un medico capace, qualora diventasse un uomo colpevole.
La purezza del sacerdote esige da lui una vita seria, regolata, mortificata, assente alle dissipazioni mondane, una vita di preghiera, ritirata e di studio.
È a questo prezzo che il sacerdote sarà l’uomo di Dio e si manterrà in alto nello stato di assunzione che il vescovo gli ha augurato, ordinandolo diacono. In questo modo egli potrà ascoltare la voce di Dio nella preghiera; potrà vedere con tranquillità e dall’alto lo stato delle anime sulla terra: potrà impegnarsi a guarirle senza esporsi a contrarre egli stesso il male.
Insomma, la castità è una virtù così indispensabile al sacerdote che assolutamente non esitiamo di affermare che la potenza del sacerdote è in ragione diretta della sua castità.
Per giudicarne, si guardino da un lato i Santi e dall’altro un sacerdote caduto o che sta per cadere: i Santi sono potenti «in opere et sermone»; i sacerdoti caduti o che stanno per cadere non possono nulla: danno a sé stessi la testimonianza della loro impotenza ed hanno il solo diritto di tacere.



IL BUON ESEMPIO

«Sii esempio ai fedeli», dice San Paolo al suo discepolo Timoteo (I Tim. 4,12). «Offri te stesso come esempio in tutto», dice a Tito (Tit. 2,7).
Scrive San Giovanni Crisostomo che l’anima del sacerdote dev’essere più pura dei raggi del sole (De Sacerdotio lib. VI, cap. 2).
Scrive anche che i vizi di un sacerdote non possono restare nascosti e quando fossero poca cosa si rivelano molto presto: «Ne utiquam possunt sacerdotum vitia latere, sed etiam exigua cito conspicua sunt» (Ibid. lib. III, cap. 14).
Senza il buon esempio il sacerdote non può né agire, né parlare utilmente per le anime. Egli deve avere il diritto d’insegnare agli altri.

San Gregorio Nazianzeno non pensava altrimenti quando diceva: «Prima di purificare bisogna essere purificati e prima d’insegnare la sapienza bisogna averla acquistata. Prima di rischiarare bisogna diventare luminosi; prima di condurre gli altri a Dio bisogna esserne vicini noi stessi e prima di santificare, bisogna essere santo» (Oratio I o II).
Il sacerdote non saprà mai insegnare le virtù che non possiede e non riuscirà a far praticare il bene ch’egli non avrà praticato. L’esempio è la prima forma di predicazione e senza questa non servirà a nulla tutta l’eloquenza di questo mondo: «Bronzo che risuona o un cembalo che tintinna». 

San Girolamo suppone il caso di un sacerdote che avesse intorno a sé dei fedeli virtuosi senza essere virtuoso egli stesso, o meno di coloro che devono imparare da lui e nettamente afferma che un sacerdote così fatto è la distruzione, la rovina della Chiesa, e una rovina violenta: «Vehementer enim Ecclesiam Dei destruit -meliores esse laicos quam clericos».

È facile cogliere la ragione di questo detto. I fedeli non trovando nei loro pastori ciò di cui hanno bisogno per progredire nelle virtù e anche per preservarsi, andranno verso il declino che sarà tanto più rapido quanto il pastore sarà meno atto a sostenerli là dov’essi avrebbero potuto spiccare il volo.

L’esempio è perciò necessario e dev’essere tanto più perfetto quando si devono istruire delle anime più perfette.

LA DISCREZIONE NEL SILENZIO

Il sacerdote deve saper conservare un silenzio discreto, il rispetto che deve a Dio, a nostro Signore, al Santo Sacramento e alle anime, delle quali è pastore gl’impongono una legge indispensabile di discreto silenzio.

Una sua parola di troppo può compromettere il suo ministero e nuocere alla stessa parola di Dio quando l’annuncerà.

Il sacerdote dovrebbe parlare soltanto quando ha da Dio l’ordine di parlare: ciò appartiene agli obblighi del ministro che deve aprire la bocca soltanto secondo le intenzioni del principe che lo ha inviato. 
Se il sacerdote è uomo di preghiera non avrà difficoltà ad osservare la legge della discrezione e del silenzio: quando si ha l’onore d’intrattenerci con Dio nella preghiera, con Nostro Signore durante il Santo Sacrificio, non si ha punta inclinazione a conversare con gli uomini.
Il sacerdote chiacchierone non sarà mai considerato dalle anime come uomo di Dio e in questo le anime non sbagliano mai.

AMDG et BVM

sabato 10 settembre 2016

Ministero Snaturato e Sacramenti. // ...E' meglio sapere soltanto ciò che sapevano San Pietro e San Paolo! //


COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO NELL'AMMINISTRAZION

DEI SACRAMENTI


Abbiamo detto (Libro I, cap. VII) qual è il compito dei sacramenti nell'economia della religione e, conseguentemente nel ministero ecclesiastico. 

I sacramenti non danno le disposizioni necessarie per riceverli, è evidente perciò che il ministero sarebbe snaturato se chi dà i sacramenti non avesse tutta la sollecitudine necessaria per far nascere queste disposizioni, tutta l'attenzione indispensabile per riconoscerle là dove sono e tutta la fermezza voluta per non dare i sacramenti dove non vi sono le disposizioni richieste da Dio stesso. 

Con quanta facilità ci si immagina ai nostri giorni di avere le disposizioni a un sacramento poiché si ha la volontà di riceverlo e la bontà di accettarlo! 

Non so se questo modo di pensare sia proprio di un gran numero di anime, ma è cosa certa che dove esiste è completamente fuori delle condizioni perché il sacramento possa portare qualche frutto.


CIÒ CHE PUÒ ESSERE IL MINISTERO QUANDO È SNATURATO


Il ministero può fallire al suo scopo per una moltitudine di cause diverse, come l'abbiamo dimostrato con quanto precede; che può essere allora il ministero se non abitudine, empirismo, o una specie di industria? 

Ci spieghiamo. 

L'abitudine è una specie di ministero ecclesiastico che consiste nel rispondere a ciò che è domandato e a fare di volta in volta ciò che si presenta. 

Ossia, si fa quanto si deve fare, in virtù di un certo ordine materiale, di un'usanza e di un'abitudine che non merita biasimo in se stessa. 

Ad un ministero così fatto manca poco meno di quanto manca ad un cadavere: l'anima, lo spirito.
 
L'empirismo... Ahimè quale parola in una materia tanto grave! 

La parola infelicemente richiama alla memoria quegli uomini che con un solo rimedio s'impuntano a guarire tutti i mali e son detti ciarlatani. 

Quando nel ministero si segue un metodo analogo a quello dei ciarlatani, vi si mette del buon volere (non diciamo della buona volontà nel senso teologico della parola): si vuole il bene, ci si dà da fare per il bene, ma è un da fare mosso da una volontà poco e male illuminata. 

Si possono fare dei grandi passi con la speranza che finalmente si imboccherà la buona strada; ma non si sa chiaramente che cos'è la buona strada e quali sono le condizioni per camminarvi con sicurezza. 

Noi chiamiamo una specie d'industria un certo ministero ecclesiastico nel quale si fa un grande spreco dello spirito: s'inventano mille modi, si mettono in movimento mille espedienti, s'impiegano mille e mille arti, ma vi è un male in tutto lo spirito che si esplica: la mancanza dello spirito di Dio. 

Abbiamo tra le mani un libro scritto recentemente, assai lodato ed anche coronato di un certo successo. 

Un libro che è un vero metodo dell'industrialismo in fatto di ministero. Contiene espedienti di cento maniere, per il sindaco e per il suo vice, per il castellano e la castellana, per il notaio e per il medico, per il maestro e per la guardia campestre, ecc. ecc.
 
Dopo aver letto questo libro ci siamo detti: ecco delle cose che San Pietro e San Paolo non sapevano. Poi ci venne alla mente questa riflessione: è meglio sapere soltanto ciò che sapevano San Pietro e San Paolo!


LE CONSEGUENZE DEL MINISTERO SNATURATO


Quando il ministero è snaturato, il sacerdote che non riesce a convertire le anime è portato ad affermarsi [afferrarsi] piuttosto al ministero che a sé stesso. 

Lontano dal dirsi: non sono un uomo di preghiera; non tratto la parola di Dio come di Dio; non vigilo perché i sacramenti che sono santi siano santamente ricevuti. 

Ma dirà molto facilmente a sé stesso che i mezzi che gli sono stati affidati sono impotenti, e che, logicamente non può nulla e che non c'è nulla da fare. 

Dopo ciò egli potrà cadere in una specie di pigrizia spirituale, che gli impedirà di vedere e il male che sta di fronte ai suoi occhi, e il bene da farsi, né i mezzi da prendere per far sì che il suo ministero sia utile al prossimo e a sé stesso. 

Se il male aumenterà potranno sorgere nell'anima del sacerdote dei dubbi intorno all'opera di nostro Signore nel creare il ministero; e il ministero divenuto impotente tra le sue mani, potrà essere considerato da lui impotente a causa di nostro Signore.
 
Ancora un passo: il sacerdote dapprima avvilito, poi esitante nella fede, cadrà nello scoraggiamento, potrà perdere la fede e precipitare in colpe che non hanno più nome, quando sono le colpe di un sacerdote: "Non peccata, sed monstra", dice Tertulliano. 

Certamente in tutti questi scalini di discesa c'è una logica, beninteso senza fatalità: che Dio voglia allontanare una si fatta caduta dal sacerdote!

AVE MARIA

mercoledì 7 settembre 2016

La preghiera canonica nelle ore canoniche!

COME IL MINISTERO È SNATURATO IN QUANTO ALLA SUA PRIMA PARTE: LA PREGHIERA


Abbiamo detto come il sacerdote mancherebbe al suo ministero se considerasse la preghiera un obbligo non del ministero della Chiesa, ma del cristiano che è in lui.
Il sacerdote non può né deve separare in sé stesso il cristiano dal sacerdote, né il sacerdote dal cristiano. Benché sia vero dire ch'egli è cristiano per sé e sacerdote per gli altri, nella realtà non è meno vero che in lui è il cristiano che è sacerdote.
I doveri del cristiano e i doveri del sacerdote sono una cosa sola, come il cristiano e il sacerdote sono in lui una sola persona.

Sarebbe perciò un grande errore il non pensare la preghiera come il massimo, più importante e più indispensabile obbligo del sacerdote. Egli deve la preghiera a Dio, alla Chiesa, alle anime, a sé stesso: a Dio del quale è una creatura; alla Chiesa della quale è ministro; alle anime delle quali è servo; alla sua anima della quale dev'essere, dopo Dio, il salvatore.
Egli la deve perpetua: "Bisogna pregare sempre" (Lc. 18,1). 

La deve nelle ore canoniche e nella forma canonica. 

Nella forma canonica. Questa generalmente si accetta perché c'è un obbligo formidabile e si sa che si commetterebbe peccato mortale, lasciando una sola ora canonica. 

Ma che bisogna recitare le ore canoniche nelle ore canoniche generalmente non si sa. 

Tuttavia che cosa significano le parole del breviario: Ad Matutinum, ad Primam, ad Tertiam, ad Sextam, ad Nonam, ad Vesperas, ad Completorium? 

Si dirà che in altri tempi era così. Certamente, ma perché e come mai oggi non è più così? 

Attualmente si recita Mattutino alla vigilia, cioè si fa della preghiera della notte e del mattino una preghiera della sera, o meglio, una preghiera del "fra poco".

Perché forse non s'è trovato più facile alzarsi più tardi che di buon mattino?
Si dice: è per avere tempo per la meditazione. Ma forse che i nostri padri non conoscevano la meditazione?

Forse non vi dedicavano del tempo?

Siamo perciò più dediti alla meditazione di quanto lo erano i nostri antichi?. 

Oh! Un fatto è certo: noi meditiamo meno dei nostri padri e abbiamo addosso una dose di pigrizia e d'immortificazione che certamente i nostri padri non conoscevano.

Le preghiere del giorno che i nostri padri avevano così saggiamente distanziato da tre a tre ore per richiamarci senza posa all'adorazione della SS. Trinità, oggi si recitano in una sola volta; e ciò, si afferma, per essere più liberi.

Più libero! Ma che cos'è questa libertà che si affranca dalla puntualità nellapreghiera?
 

E per che cosa si impiegherà questa libertà? 
A correre e a discorrere? 
A giocare e a ridere? 
Ah! La libertà! I nostri padri ne avevano un altro concetto. Essi venivano meno, ammirando la definizione che ne aveva dato Sant'Agostino: "Libertas est Charitas" (De Natura et gratia, Lib. I, Cap. LXV). 

La carità! Amare Dio e il prossimo, amare Dio e pregarlo: amare il prossimo e lavorare alla sua salvezza, questa era la carità secondo i nostri padri.

È dunque vero che oggi s'intende in altro modo la libertà e così il dovere della preghiera. 

Quasi dappertutto non si fa più la preghiera canonica nelle ore canoniche e ciò non è una delle cause per le quali il ministero produce pochi frutti press'a poco dappertutto?

E se il ministero è così importante a salvare chi per la cui salvezza è stato istituito, non bisogna forse concludere che dal momento in cui non attinge il suo scopo dev'essere considerato come un'istituzione malauguratamente viziata, diciamo la parola, snaturata?


martedì 6 settembre 2016

SERIETA' DEL MINISTERO SACERDOTALE


IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO


1. Il ministero ecclesiastico è una creazione di Nostro Signore; ma perché è affidato agli uomini può avvenire che a causa della loro natura soggetta a tante debolezze, non sia conservato nella completa integrità della sua natura.
Nostro Signore è Dio e insieme uomo ed ecco che ci sono stati degli uomini che hanno disgiunto in lui la divinità e l'umanità per poi negare l'una o l'altra e, conseguentemente distruggere questo grande mistero per quanto era in loro potere, e inaridire il fiume di grazie di cui è la sorgente. San Giovanni dice che questa è un'opera dell'Anticristo: "Ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio" (1 Gv. 4,3). Poiché gli uomini cercano di scindere il mistero dell'Incarnazione e annientarne le conseguenze, non c'è da stupire che la stessa cosa avvenga per il ministero che è una conseguenza e un'imitazione del mistero della divina Incarnazione.


COME IL MINISTERO PUÒ ESSERE SNATURATO


1. Dal momento che il ministero consiste essenzialmente in tre cose: la preghiera, la predicazione e i sacramenti, evidentemente la sua natura sarebbe mutata, alterata, annientata se accadesse che una di queste tre cose fosse soppressa o alterata. 
Chi non vede, infatti, che l'opera della salvezza degli uomini sarebbe necessariamente arrestata se cessasse la preghiera, se la predicazione divenisse muta e se i sacramenti non fossero più amministrati? 
Lo stesso accadrebbe se non solamente le tre cose sparissero insieme, ma anche se solo una di esse venisse a mancare.

Andiamo più lontano e affermiamo che, pur sussistendo le tre parti essenziali del ministero, il ministero sarebbe infruttuoso se queste non avessero il posto voluto da Dio, cioè se l'ordine stabilito dal Signore non fosse esattamente conservato e osservato. 
A chi si daranno i sacramenti e a quale scopo si daranno se non precede la predicazione onde far nascere la fede nelle anime che è il principio delle opere necessarie alla salvezza? 
E la predicazione avrebbe la potenza che Dio le vuol dare a questo scopo se non fosse preceduta dalla preghiera che attira la grazia dall'alto e sopra il predicatore e sopra l'uditorio?



2. Nel ministero c'è il corpo e l'anima, per cui mancando d'una delle due cose è snaturato in se stesso.
 
Il corpo del ministero è cosa abbastanza conosciuta; ma l'anima, lo spirito interiore che deve dargli vita è cosa troppo poco conosciuta. 

Vi sono molti che credono d'aver compiuto il ministero quando ne hanno compiuto tutte le opere esterne: ma la parte del ministero che si chiama "la preghiera" spesso è considerata l'opera della persona del sacerdote, mentre non è l'opera della persona, ma dello stesso ministero, come abbiamo già osservato (Libro I, Capo IV).

Ciò è importantissimo. Il sacerdote che si persuade che potrà adempiere il suo ministero, compiendo riguardo ai fedeli tutto ciò che possono cristianamente desiderare da lui e chiedergli; e dice a se stesso: Se non sono uomo interiore, uomo di preghiera, ciò riguarda me soltanto, e le conseguenze che ne derivano sono soltanto mie; grandemente si sbaglia e questo errore ci sembra essere oggi assai comune.
Il ministero, in questo caso, è un ministero senz'anima, un ministero senza vita e, troppo sovente un ministero di morte: "Ministratio mortis" (II Cor. 3,7).


AMDG et BVM

giovedì 25 settembre 2014

3. - UN REGALO ECCEZIONALE di EMMANUEL ANDRÈ


LIBRO TERZO

Il campo del ministero

 

CAPITOLO I
DONDE LA NECESSITÀ DEL MINISTERO ECCLESIASTICO

L'autorità ecclesiastica come l'autorità civile, e, conseguentemente tutta l'economia del santo ministero, hanno la loro ragione di essere dopo la caduta originale. 
Se Adamo non fosse caduto, l'umanità fedele a Dio avrebbe goduto di una felicità così grande che avrebbe avuto al di sopra di se stessa soltanto la felicità della vita eterna. 
L'uomo sottomesso a Dio avrebbe attinto direttamente la vita dalla grazia; non avrebbe avuto bisogno di una guida per trovare Dio, e con la santa e divina grazia sarebbe andato a Lui senza inciampare e senza venir meno. 
Ma l'umanità non è più così; il peccato è entrato nel mondo e ha mutato in un modo sorprendente tutte le condizioni di questa terra. Per difenderci contro gli iniqui, Dio volle che nella società vi fosse l'autorità dei re e per ricondurci al bene e alla vita eterna volle che ci fosse un'autorità ecclesiastica e un ministero ecclesiastico e infine volle che le sue grazie giungessero agli uomini attraverso mezzi proporzionati ai bisogni degli uomini decaduti. 
Adamo, dimentico di ciò che doveva a Dio, considero cosa buona piacere ad Eva, come Eva aveva considerato cosa buona ubbidire a Satana; e Dio volendo che il rimedio rispondesse alla natura della colpa, da parte sua considero cosa buona che l'uomo fosse assoggettato all'uomo, sottomesso ai sacramenti, sottomesso a un minuzzolo di pane, a una goccia d'acqua. 
Cioè Dio umilio la sua creatura orgogliosa e qui il nostro ministero ha la sua ragione di essere; per essere i ministri della salvezza degli uomini, noi siamo i ministri dell'umiliazione degli uomini.


Quanto queste prospettive devono umiliarci se abbiamo gli occhi per vedere la profondità dell'umana caduta, la vera natura dei rimedi dei quali siamo ministri e, per conseguenza, la vera natura del nostro ministero!
Oh! Non abbiamo certamente nulla per gloriaci dell'autorità che Dio ci ha dato, dal momento che questa autorità è essa stessa una prova sempre parlante, una testimonianza sempre irrevocabile della caduta dell'umanità, della nostra caduta in essa e con essa. Ora che siamo caduti abbiamo il duplice obbligo di rialzarci e di lavorare a rialzare gli altri.
Il primo sta al di sopra delle forze dell'uomo; che diremo dunque, che faremo noi che con questo primo obbligo dobbiamo rispondere anche al secondo?
Siamo dei caduti: è qui, nell'attuale condizione dell'umanità, la ragione del ministero ecclesiastico.

CAPITOLO II
LA NATURA DEL MALE PRESENTE

Il male presente è semplicemente il peccato originale e le sue conseguenze. Qualunque sia il nome col quale si chiama, il male presente non è, non può essere un'altra cosa. Il peccato è entrato nel mondo per mezzo di Adamo; il peccato di Adamo è diventato il peccato dell'intero genere umano: è da quest'unica sorgente, ma fecondissima, troppo feconda, da dove sono venute tutte le sventure delle anime.
Il peccato originale, anche là dov'è stato cassato dal battesimo, ha lasciato la triplice concupiscenza: l'orgoglio, l'avarizia, la voluttà.
La nostra maggior disgrazia sta nel fatto che queste infelici concupiscenze hanno ripreso il sopravvento nei battezzati; e in questo modo vi regnano così potentemente che il battesimo, la cresima e la comunione sembrano aver perduto la loro efficacia sulle anime d'oggi.
Molti cristiani aihmè! sembrano battezzati soltanto per diventare degli apostati; molti sembrano stati cresimati per rinunciare allo Spirito Santo piuttosto che per riceverlo; non ci sono quelli che partecipano all'Eucarestia solo per calpestare più autenticamente il Figlio d'Iddio?
Perciò i rimedî che dovevano salvare si mutano in veleno mortifero: i sacramenti, che sono i canali della grazia, troppo spesso diventano i sigilli del peccato.
In troppi luoghi l'apostasia è lo stato generale delle anime, un'apostasia sovente più stupida che voluta: si vive fuori di Dio, di nostro Signore, dello Spirito Santo, fuori da tutto ciò che è soprannaturale.
E nonostante ciò si è dei battezzati! Quale oltraggio alla grazia divina! Quale oltraggio allo Spirito Santo! Quale ingratitudine verso Dio, verso l'adorabile persona del Salvatore, verso lo Spirito Santo!

CAPITOLO III

COME SI PROPAGA IL MALE PRESENTE

La sorgente del male, l'abbiamo detto, è il peccato originale. Questa sorgente, pero, è segretissima, e proprio dal segreto che l'avvolge trae maggior facilità per propagare i suoi veleni.
Il peccato originale è poco conosciuto, e spesso mal conosciuto. Poiché ha gettato le anime nell'ignoranza, sembra impegnarsi a nascondere soprattutto la sua malizia che essenzialmente consiste in due cose: la perdita della giustizia originale e il deterioramento della natura: ma oggi, pur ammettendo la perdita della giustizia originale, si vorrebbe tuttavia non riconoscere che la natura è stata deteriorata.
Questa conoscenza così monca del peccato originale lascia campo libero ad una folla di errori, ed è assolutamente impotente nella salvezza di alcunché, seguendo la massima assai conosciuta: "Bonum ex integra causa: malum ex quocunque defectu".
Da questo non saper e non voler riconoscere il deterioramento della natura causato dal peccato originale derivano conseguenze funestissime.
La natura diventa orgogliosa di sé stessa nonostante la solenne espressione dell'Apostolo: "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto" (1 Cor. 4,7).
La natura, essendosi fetta cieca sul suo male, è portata ad abusare del suo proprio bene. Ne abusa col farsene una arma contro Dio e nello stesso tempo per ferire sé stessa con nuove ferite. Possiede la ragione, la libertà e i sensi e ne abusa. La sua insolente rivolta contro Dio l'imprigiona nel naturalismo; e con uno strascico di inevitabili conseguenze la sua ragione sprofonda nel razionalismo, la sua libertà nel liberalismo e i suoi sensi nella sensualità.
Eppure dopo tutte queste spaventose conquiste nel male, la natura, essendo rimasta insoddisfatta, si volta contro il Salvatore; nega la sua divinità, l'umanità, la grazia, la sua Chiesa, per finire col negare tutto. Poi dice a se stessa come l'antica Babilonia: "Io e nessuno fuori di me" (Is. 48,8).
È vero che il male non è grande in tutte le anime; ma negli stessi credenti le verità sono singolarmente diminuite. Esiste per essi un naturalismo addolcito che non si preoccupa di esser elevato a dogma, ma che si contenta perfettamente di esser accettato come dottrina pratica. C'è un razionalismo mitigato che non condanna la fede, ma che spesso si riserva il diritto di giudicarla; c'è anche un liberalismo cattolico; e benché non si sia ancora osato di pronunciare il nome di un sensualismo cattolico, si deve tuttavia ammettere che il sensualismo ha già invaso molte anime cattoliche nelle quali la vita sensuale è giunta a soffocare la conoscenza della stessa mortificazione cristiana, senza la quale, pero, secondo la testimonianza dell'Apostolo non esiste la vita davanti a Dio: "Poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del vostro corpo, vivrete" (Rm. 8,13).
Qui bisogna sottolineare un fatto capitale sul quale il razionalismo ha singolarmente falsificata le idee delle stesse anime buone. Se si studiassero gli autori che hanno trattato della grezia fino al secolo XV o XVI e si confrontassero con essi gli autori dei tempi moderni, si potrebbe osservare che esiste tra loro una differenza considerevole. In quella si riconosce in tutta la sua potenza la grazia medicinale del Redentore, la gratuità e l'efficacia. Nei moderni, invece, l'efficacia della grazia per lo più è attribuita alla volontà della creatura mentre anticamente la si considerava come un dono della stessa grazia. Riteniamo perciò che gli uomini, anche quelli cristiani, del nostro tempo non sono in grado di leggere il trattato di San Bernardo: "De gratia et libero arbitrio" senza smarrirsi, e, forse, senza scandalizzarsi. L'Abate Rohrbacher non ha forse scritto che San Bernardo non seppe fare distinzione della natura e della grazia? Voi pigmei del secolo XIX, voi avete scritto ciò riguardo San Bernardo; voi avete scritto lo stesso di Sant'Agostino.
I piccoli uomini del tempo presente non hanno ricevuto dalla grazia le percezioni che ricevettero gli antichi, perciò non ritengono di aver tanta necessità di pregare per chiedere, ottenere e conservare la grazia. Che cos'è la preghiera oggi? Dove le anime che pregano? Non è forse vero che la maggior parte dei cristiani che ancora pregano fanno consistere la preghiera nella recita di formule? Oh quanto sono lontani dal cristianesimo di nostro Signore e dei suoi Apostoli che è spirito e vita!

CAPITOLO IV

COME PUÒ ESSERE GUARITO IL MALE PRESENTE

Nostro Signore è l'unico Salvatore degli uomini, perciò fuori di Lui non si trova assolutamente alcun rimedio ai mali che ci affliggono: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At. 4,12).
Se la natura è ammalata del male chiamato naturalismo, per essere guarita deve sottomettersi a Gesù, altrimenti conserverà il proprio male che la perderà senza posa e per sempre.
Bisogna pero osservare che la sottomissione necessaria per la guarigione dev'essere totale e affettuosa: è necessario abbandonarsi al medico celeste per ricevere l'intera efficacia dei suoi divini rimedî: ogni riserva nella sottomissione non solo compromette la guarigione, ma spesso la fa diventare impossibile: "Io voglio essere battezzato, disse l'eunuco della regina d'Etiopia". Si, gli rispose Filippo, se tu credi con tutto il tuo cuore; "si credis ex toto corde tuo" (Atti ,8,37). La salvezza si compie a questa condizione.
La ragione ha il suo male che è il razionalismo. Anch'essa per guarire ha bisogno di sottomettersi, di sottomettersi alla fede. Che cosa di più giusto! La ragione creata si deve tutta intera alla ragione increata, la ragione umana alla ragione divina.
Erra la ragione umana quando crede di farsi grande studiandosi di mostrare la sua indipendenza da Dio. Proprio come il figlio prodigo nell'abbandonare la casa paterna. Che cosa trovo egli lontano da suo padre? L'indigenza e la vergogna. La ragione che si scosta dalla fede non può sognare altro. La sua salvezza sta nella parola del figlio prodigo: "Mi alzerò e andrò da mio padre" (Lc. 15,18).
Qui bisogna sottolineare un'altra illusione grandemente funesta nella quale sono cadute molte persone sebbene di rispetto. Poiché è necessario che la ragione umana cammini con la fede, queste persone reputarono di far bene diminuendo la fede; cioè attenuarono le divine esigenze della fede e diminuirono i suoi diritti imprescrittibili, con lo scopo, dicevano a se stessi. di farla più facilmente accettabile. Ma perché fare per le anime ciò che non farebbero per i corpi i medici degni di questo nome? Essi conoscono la dose necessaria perché un farmaco faccia guarire e non si lasciano indurre a prescrivere una dose minore col pretesto che sarà più facile a prendersi; sanno bene che a questa condizione noi vi sarebbe guarigione, e non faranno mai questo. Medici delle anime, perché saremo noi sacerdoti meno abili dei medici dei corpi? "I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce" (Lc. 16,8).
La libertà ha il suo male che è il liberalismo. La libertà è una bellissima e degnissima facoltà dell'anima; il liberalismo è un modo di essere della libertà, ma un modo di essere falso e forzato. Perché la libertà si è data per il bene e per il merito, mentre il liberalismo è una libertà che si compisce fuori del bene e del merito. Come il razionalismo è un abuso della ragione, il liberalismo è un abuso della libertà: abuso che consiste nel fare della libertà stessa la regola della libertà. Ma Dio solo è regola a sé stesso e ogni creatura che vuole imitare Dio in questo non fa che imitare Satana, il primo fra i ribelli. La ragione ha la sua regola nella ragione di Dio che è la fede, e la libertà ha la sua regola nella volontà di Dio che è la carità.
La carità illumina, dirige, sostiene, fortifica la libertà e le fa compiere meravigliosi progressi: perché più l'uomo progredisce nel bene e nel merito, più è libero. Ascoltiamo la grande voce della Chiesa: "Populum tuum, quaesumus Domine, coelesti dono prosequere ut et perfectam libertatem consequi mereatur et ad vitam proficiat sempiternam" (Orazione del lunedì di Pasqua prima della riforma liturgica).
Ciò ci porta a citare nuovamente, per meglio comprenderla e ammirarla, la sublime frase di Sant'Agostino: "Libertas est charitas" (De natura et gratia, lib. I, cap. LXV).
Se poi ci inoltriamo nello studio del male presente, troviamo il sensualismo, l'amore del benessere materiale, l'amore della soddisfazione dei sensi; l'impulso di Eva verso il frutto che le sembrava bello a vedersi e buono a mangiarsi.
Il rimedio a questo male tanto comune e così profondamente radicato nella natura è la penitenza. Fate penitenza, diceva nostro Signore ed era la prima parola della sua predicazione. La penitenza è così necessaria che un giorno egli disse: "Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo" (Lc. 13,3).
La parola penitenza è diventata poco gradita a intendersi e vi è una specie di pudore, di nuovo genere, a pronunciarla.
Ci si è allontanati dalla strada della penitenza che una specie di sant'uomo spacciò gravemente questa massima: "Il digiuno non appartiene più allo spirito della Chiesa; oggi è l'orazione, è l'orazione". Ecco: col pretesto della spiritualità si è giunti a cancellare una buona parte del Vangelo: se poi qualcosa ne ha tratto un guadagno, ci si dica che non è sensualismo?

CAPITOLO V
IL VERO STATO DELLE ANIME

L'umanità è passata per tre stati successivi
il primo dopo la caduta fino a Mosè e si chiama stato della legge di natura; 
il secondo da Mosè a nostro Signore ed è lo stato della legge scritta; 
il terzo da nostro Signore fino a noi, lo stato di grazia che durerà fino alla fine dei tempi.

Sant'Agostino li riassume in tre parole: "Ante legem, sub lege, sub gratia" e, andando più lontano, osserva che questi diversi stati della umanità s'incontrano facilmente nelle anime le quali possono stare "Ante legem", o "sub lege" o "sub gratia". 

*Un'anima sta "Ante legem" quando sta nell'ignoranza, sia perché non le fu data l'istruzione, sia perché l'ha trascurata, non conoscendone il valore.

*Un'anima è "sub lege" quando conosce il bene che deve fare e il male che deve evitare; ma o perché non ha ancora ricevuto la fede, o perché ha trascurato il vivere secondo la fede, sta in peccato pur sapendo che cos'è il peccato.

*Un anima è "sub gratia", quando, con conoscenza, ha ricevuto il dono della fede e la grazia di vivere secondo la fede che opera per mezzo della carità: "La fede che opera per mezzo della carità" (Gal. 5,6).
In questo felice stato d'anima cammina in pace nella via dei santi comandamenti: ama le leggi di Dio e soprattutto Dio; è libera nel bene che ama e avanza con fiducia verso la ricompensa che Dio le promette. Bisogna fare questa distinzione nelle anime per proporzionare le istruzioni alla loro necessità e per non esigere da esse ciò che sorpasserebbe le loro forze. 
Cosi un'anima che sta ancora "ante legem" ha maggior bisogno di ricevere di quanto non è capace di dare; in essa la buona volontà consiste nel ricevere la luce nella misura che le è data, e non le si deve chiedere di più.

L'anima, poi, che è "sub lege" ha bisogno di essere illuminata intorno alla natura della fede, ai misteri dell'Incarnazione, della redenzione, della grazia medicinale del Salvatore, e della natura della carità. Ha bisogno di essere portata alla preghiera e soprattutto al desiderio di una grazia maggiore e più abbondante.

L'anima che sta "sub gratia" chiede di essere ben istruita sulla natura della grazia, della sua gratuità, della sua necessità e sulle sue meravigliose operazioni, e così rimettendosi ad essa con amore, possa camminare nelle strade di tutte le buone opere. Tale anima ha pur bisogno di essere istruita e affermata nell'umiltà onde non esporsi alle cadute: "Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere" (I Cor. 10,12). "Tu resti li in ragione della fede. Non montare in superbia, ma temi" (Rm. 11,20). Da qui la necessità che l'istruzione sia proporzionata allo stato delle anime, e che da parte loro l'azione risponda all'istruzione: sarebbe grande sventura chiedere loro più di quanto possono davanti a Dio: per esempio se si volesse condurre alla comunione chi non è neppure "sub lege" o chi stesse "ante legem" in una deplorevole ignoranza Il male fatto alle anime, agendo in questo modo, è incalcolabile e tanto più deplorevole in quanto si sono usati i sacramenti che sono stati ricevuti senza conoscenza, senza preparazione, senza frutto e senza gusto: per cui i sacramenti ricevuti in tal maniera spesso sono gli ultimi sacramenti.

CAPITOLO VI
ANCORA SUL VERO STATO DELLE ANIME

Siccome nei paesi detti cristiani generalmente si esercita il ministero verso persone battezzate, i sacerdoti potrebbero essere indotti a considerare quei battezzati "sub gratia" o almeno "sub lege", ma si sbaglierebbero pesantemente. Perché? Perché c'è un'infinità di anime che hanno smarrito la grazia e, spesso, anche la fede, e alle quali certamente si farebbe un torto considerevole trattandole come si trattano i fedeli, e cercando di ricondurle alle pratiche religiose prima di essersi adoperati di far nascere o rinascere in esse la fede. Si potrebbe far loro credere che la religione è questione di forme e di cerimonie e in questo modo sarebbero gettate in uno stato peggiore del precedente.
Il padre Faber diceva che gli inglesi dovevano essere trattati con la stessa circospezione che in antico i padri usavano verso i pagani. Eppure gl'inglesi sono dei battezzati; e benché protestanti, sono spesso più religiosi di molti cattolici francesi per i quali ultimi noi chiederemmo volentieri ciò che il padre Faber chiedeva per i suoi compatrioti. Oh si, certamente si farebbe a loro un grande beneficio insegnando ad essi la fede e insegnandola in modo che non fossero mai esposti a credere che accontenteranno Dio con delle sole formalità e che la religione consiste nelle cerimonie.
Ciò è detto per le anime sviate, ma ce ne sono altre, quelle cioè che pur servendo Iddio non hanno sempre gli aiuti spirituali necessarî: bisogno di lui e di discernimento delle loro vie e dell'operato di Dio in esse. Anime che raramente trovano ciò di cui hanno bisogno: per esempio quante anime sprofondano negli scrupoli, quante perdono il coraggio nelle difficoltà, quante languiscono per la mancanza d'un'istruzione basata sulla fede, e che potrebbero dire come il paralitico del Vangelo: "Signore non ho nessuno che mi immerga" (Gv. 5,7).
I sacerdoti troppo facilmente pensano di saperne sempre abbastanza per confessare i contadini. Si sbagliano perché le anime dei contadini hanno lo stesso valore delle anime dei cittadini, e non vi è meno necessità di luce e di discernimento per aiutare un'anima in un villaggio come un'anima in una grande città.
Un'anima è dovunque un'anima; le necessità delle anime sono grandi ovunque e lo Spirito Santo non opera meno nei luoghi più umili che nei grandi centri.
Parecchie volte abbiamo constatato l'angoscia di cui soffrono le anime mancanti d'aiuto, di luci e di sicura direzione.
Vi sono di quelli che ritengono di rimediare a tutto, prendendo il tono dell'autorità sulle anime: "Fate questo, ve lo comando: obbedite..." Tali modi di comportarsi non sono e non portano luce. L'autocrazia del sacerdote non è accettabile, là dove lo Spirito Santo vuole avere la sua parola.
A parte il caso, d'altronde assai raro, d'uno scrupolo che proviene dalla timidezza, l'autorità non è un mezzo efficace di direzione: "Non dominamur fidei vestrae" (1 Cor. 2, 23).
Il vero modo consiste soprattutto nella premura d'illuminare il cammino, d'istruire solidamente nella fede, sulle operazioni dello Spirito di Dio, dello spirito proprio, e qualche volta anche dello spirito maligno.

CAPITOLO VII

L'ADORAZIONE IN SPIRITO E VERITÀ

L'abbiamo detto: vi è un grandissimo pericolo nel far consistere la religione nella osservanza e negli atti esterni. Se fosse concentrata lì, la religione dei cristiani sarebbe poco dissimile dall'antico paganesimo, perché diventerebbe un esercizio fisico, piuttosto che un fatto dell'anima.
Nostro Signore ha insegnato agli uomini che Dio è spirito, vuole che Dio sia adorato dallo spirito, o in spirito; ed egli chiama ciò adorare Dio nella verità.
Perciò se il culto che diamo a Dio, non fosse dato in spirito o dallo spirito, non gli sarebbe dato nella verità.
Considerato sotto questo aspetto, il male attuale è grandissimo, e presso i nostri cristiani è il frutto disgraziato d'una disgraziata ignoranza.

I nostri cristiani non conoscono, o almeno non abbastanza, le tre cose che costituiscono il culto di Dio in spirito: la fede, la grazia di Dio e il grande comandamento.

Nono conoscono la fede, non diciamo l'oggetto della fede, dono gratuito d'Iddio per mezzo del quale il nostro spirito, aderendo alla verità d'Iddio, è posto sulla strada della vita soprannaturale. C'è un immenso lavoro da fare per ristabilire la fede, la fede completa, luminosa nei cristiani dei nostri tempi.

Essi allo stesso modo non conoscono la grazia d'Iddio; parola molto vaga per essi e che non dice loro alcunché di preciso e di determinato. Hanno bisogno d'imparare che cos'è la grazia, la sua gratuità (pensano spesso che se Dio non la donasse indifferentemente a tutti, non sarebbe giusto). Abbiamo dovuto persino renderci conto che certi grandi dottori in Israele avevano essi stessi bisogno d'imparare ciò che è la grazia: e se i maestri stanno a questo punto, a che punto staranno i discepoli?

I nostri cristiani hanno anche urgente bisogno d'imparare il grande comandamento di Dio.

Siccome oggi si pretende di sostituire la fede al sentimento religioso (spesso là dove i nostri dottori dovrebbero usare la parola "fede" usano o scrivono "sentimento religioso") benché fra i due termini vi sia una distanza incommensurabile, essendo il sentimento religioso una disposizione naturale e la fede un dono soprannaturale; si crede pure di aver trovato un mezzo da sostituire all'amor di Dio; si crede di poterlo sostituire con una certa sensibilità, o pia sensibilità, che ci lascerebbe credere che veramente abbiamo ancora qualche cosa "per il buon Dio".
C'è una grande lontananza da questa disposizione all'amore di Dio come Egli lo intende; amore che raccoglie tutti i nostri affetti alle cose di quaggiù e li orienta integralmente a Dio, amore che libera l'anima dalle tre concupiscenze, che regola la vita intiera e tutta intiera la ordina al solo scopo di piacere a Dio.
Oh! Quanto c'è da fare per insegnare ai cristiani la fede, la grazia e l'amore di Dio!




giovedì 17 aprile 2014

Mov. Sac. Mar.: Rubbio (Vicenza), 16 aprile 1992. Giovedì Santo. Sarete Sacerdoti fedeli.



Rubbio (Vicenza), 16 aprile 1992. Giovedì Santo.
Sarete Sacerdoti fedeli.

«Figli prediletti, sono particolarmente vicina a voi, in questo giorno del giovedì santo. 
È il vostro giorno. È la vostra Pasqua.
Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Siete nati nella culla dell'amore.
Il vostro Sacerdozio ha origine nel mistero di infinito amore del Cuore divino di 
Gesù. Con gli Apostoli, nel Cenacolo di Gerusalemme, eravate presenti anche voi. 
C'erano tutti i Vescovi ed i Sacerdoti fino alla fine del mondo, perché questo luogo e 
questo giorno è al di fuori del tempo e della storia.

È il giorno del nuovo Sacerdozio e del nuovo Sacrificio, che viene offerto 
in ogni parte della terra, per la vita del mondo.
Entrate nel Cuore di Gesù vostro fratello; entrate con Me nel Getsemani 
del suo amore e del suo dolore, lasciatevi immergere nel mare infinito della 
sua divina Carità, e sarete Sacerdoti fedeli.

Questo è anche il giorno del tradimento: "in verità vi dico che uno di voi mi tradirà".
Gesù si commuove profondamente, il suo cuore viene trafitto da 
ferite profonde, nel sentirsi tradito dai suoi: "uno di voi mi tradirà!".

È anche il momento della umana debolezza e dell'abbandono.
Pietro rinnega Gesù per tre volte; gli Apostoli fuggono per paura ed 
abbandonano Gesù.
Resta il giovane Giovanni, l'apostolo che ama, l'amico fedele, il mio primo 
figlio prediletto. E resta con me Madre addolorata e crocifissa.

Questa sua Pasqua si perpetua nel tempo; questo mistero dell'amore divino 
e della umana incorrispondenza si rinnova ogni giorno.

- Quanti sono oggi coloro che partecipano del suo Sacerdozio, che fanno 
parte della sua eredità ed in tanti modi lo tradiscono.
Lo tradiscono, perché non credono più alla sua divina Parola; la mancanza di 
fede dilaga; l'apostasia si diffonde sempre più nella Chiesa.
Lo tradiscono, perché preferiscono a Lui i trenta denari delle comodità 
e del piacere, della impurità e dell'orgoglio, della ricerca del benessere e 
della propria affermazione.
Quanti sono i Giuda che oggi tradiscono il Figlio dell'Uomo!
Come numerosi sono fra i suoi quelli che lo rinnegano, ripetendo le parole 
della umana debolezza di Pietro: "Non conosco quell'uomo". Lo rinnegano, 
per paura di non essere considerati e stimati dal mondo in cui vivono, per timore 
di essere ritenuti sorpassati e non aggiornati, di venire criticati e rifiutati.
Vescovi e sacerdoti, figli miei prediletti, perché oggi, in numero così grande, 
ripetete con la vita il gesto crudele del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro?

La nuova Passione che si rinnova per Gesù, in questa Pasqua del 1992, 
è la infedeltà da parte di molti suoi Sacerdoti.

- Come Giovanni, figli prediletti, restate con Me, vostra Madre addolorata e crocifissa.
Restiamo insieme accanto a Gesù nel Getsemani; seguiamolo con amore e 
pietà sulla strada dolorosa verso il Calvario.

Vi chiedo di consacrarvi al mio Cuore Immacolato, di entrare nel mio celeste 
giardino, perché Io vi possa formare ad essere oggi Sacerdoti fedeli, i nuovi 
Giovanni che mai, neppure per un istante, abbandonano mio figlio Gesù.
Così per Gesù che rivive questa notte, in maniera immensamente più grande, 
la dolorosa agonia del Getsemani, la vostra Mamma Celeste prepara il calice 
di conforto che il Padre gli dona, e che Gesù beve con infinita gratitudine, nel 
sentirsi ancora oggi tanto amato dai suoi Sacerdoti fedeli».


giovedì 22 marzo 2012

"Questa storia ha da finì!"

GIOVEDÌ 22 MARZO 2012



Università La Sapienza di Roma: Religioso nega S. Comunione a fedele inginocchiatosi

"Questa storia ha da finì!"
Un lettore ci segnala un nuovo e gravissimo episodio di disobbedienza al Papa e alla Legge della Chiesa e soprattutto di "irriverenza" verso la Ss.ma Eucarestia.

Dopo il padre Cappuccino di San Remo (si veda qui il post), tanto per fare un esempio solo, anche un Gesuita a Roma (precisamente nella Cappella Universitaria della Sapienza) si è platealmente e illecitamente rifiutato di dare la S. Comunione ad un fedele che dopo aver partecipato alla S. Messa, si era inginocchiato per essere comunicato dal celebrante.Qui di seguito la lettera che Jacopo Parravicini ci ha inviato e che noi pubblichiamo perchè molti altri fedeli prendano coraggio per denunciare i comportamenti illeciti dei sacerdoti e, soprattutto perchè i responsabili, se mai ci dovessero leggere (e sappiamo che ci leggono!) prendano provvedimenti, fosse anche solo per non perdere la faccia!

Roberto




" Gentile redazione di MessaInLatino,

vi scrivo in merito al diritto dei fedeli di ricevere la Comunione in ginocchio per segnalarvi un gravissimo episodio recentemente occorsomi proprio a Roma.

Venerdì 16 marzo 2012 intorno alle 12.30 partecipavo alla celebrazione della Messa Feriale nella Cappella Universitaria dell’Università La Sapienza di Roma (foto), retta dai Gesuiti (http://www.uniroma1.it/sapienza/cappella/i-gesuiti): la celebrazione era presieduta dal vice cappellano, padre Franco Annichiarico, S.I. Già nel corso della Messa egli mostrava una certa imprecisione nel celebrare, oltre che una certa fretta (per esempio all’Offertorio ha offerto “il pane e il vino” contemporaneamente, non separatamente come, per quanto ne so, prevede il Rito Romano), anche se il peggio è venuto dopo.

Dopo la Comunione del sacerdote i fedeli, una quindicina circa, si sono messi disciplinatamente in coda per ricevere la Santa Eucarestia. Arrivato il mio turno, come mia consuetudine, mi sono inginocchiato innanzi al sacerdote per ricevere la Comunione.
Il sacerdote (visibilmente infastidito): “In piedi
Io: “No
Sacerdote: “Si alzi, glieLa do in piedi”.
Io: “No, il Papa ha detto che va bene così”.
Sacerdote: “Si alzi, non posso darglieLa così!”
Io: “Perché?
A quel punto, mentre ancora ero inginocchiato, il celebrante mi ha scansato aggirandomi e si è messo a distribuire la Comunione agli altri. Dopo un secondo di sbigottimento mi sono rialzato e sono andato a sedermi sulla prima panca. Inutile dire il mio sgomento e la mia desolazione: “Rifiutarmi la Comunione perché ho mostrato devozione per la Santa Eucarestia, come se fossi un eretico, uno scomunicato, uno che dà pubblico scandalo! Si concede la Comunione perfino a omosessuali praticanti e conclamati e la si nega a me solo perché mi sono inginocchiato!

Temendo di non saper resistere alla tentazione dell’ira, ho evitato di andare subito a parlare col sacerdote. Sono uscito dalla cappella per tornarvi un’oretta dopo, con in mano la stampa dellIstruzione Redemptionis Sacramentum debitamente sottolineata nei punti giusti (n. 90 e soprattutto 91"[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli». Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi."Mi sono presentato negli uffici della cappellania: non ho trovato don Franco (“in questo momento non c’è”), ma un suo confratello, padre Giancarlo Pani S.I., che mi ha accolto con molta gentilezza. A lui ho potuto spiegare pacatamente quanto accaduto: egli mi ha dunque accompagnato in chiesa e, messosi camice e stola, mi ha comunicato personalmente. Gli ho quindi lasciato il testo della Redemptionis Sacramentum invitandolo a recapitarlo al confratello disobbediente e lui a sua volta mi ha invitato a tornare in futuro a parlare personalmente con don Franco.

Tuttavia una pubblica disobbedienza al Papa (meglio sarebbe dire “tradimento”) perpetrata nella città e nella diocesi di Roma proprio da parte di un gesuita è per lo meno qualcosa di vergognoso! Che cosa avrà trasmesso il suo atteggiamento agli altri fedeli presenti alla Messa? Quale irreparabile danno temeva nell’amministrarmi la Comunione mentre ero in ginocchio?

È per questo che, pur avendolo perdonato, ahimé non posso tacere su quanto accaduto, poiché se lo facessi sarei complice di quello stesso sopruso (e di quel disordine nella Chiesa che tanto preoccupa il Santo Padre) già perpetrato da preti come lui (anche non gesuiti) a tanti altri fedeli incapaci di difendersi o timorosi o rassegnati. Qui non si tratta soltanto dell’obbedienza alle norme liturgiche, non si tratta soltanto del dovuto ossequio al Papa, non si tratta soltanto di maltrattare pubblicamente la pietà dei fedeli, ma si tratta del Ministero Sacerdotale: per quale chiesa è stato ordinato quel prete? Se crede alla Presenza Reale, perché si è mostrato così scandalizzato nel vedere un fedele in ginocchio che desidera ricevere il Santissimo Sacramento?

Se foste stati in quel momento tra i fedeli, cosa avreste pensato, come avreste reagito? Mi auguro che don Franco trovi il tempo di domandarsi seriamente che cosa penserebbe sant’Ignazio di Loyola del suo operato.

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AMDG et BVM