Visualizzazione post con etichetta Misericordia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Misericordia. Mostra tutti i post

venerdì 2 marzo 2018

Lezione sulla MISERICORDIA

Per il primo venerdì del mese


CDXCV. Lezione sulla misericordia in risposta alle obiezioni sul perdono all'adultera. Congedo ai discepoli sulla via di Betania. 

   17 settembre 1946.

 1 Gesù ha raggiunto i dieci apostoli e i principali discepoli alle falde del monte Uliveto, vicino alla fontana di Siloan. Quando essi vedono venire a passo sollecito Gesù fra Pietro e Giovanni, gli vanno incontro, ed è proprio vicino alla fonte che si riuniscono.
   «Saliamo alla via di Betania. Lascio la città per qualche tempo. Andando vi dirò ciò che dovete fare», ordina Gesù.
   Fra i discepoli vi sono anche Mannaen e Timoneo che, rasserenati, hanno ripreso il loro posto. E vi sono Stefano ed Erma, Nicolai, Giovanni d'Efeso, il sacerdote Giovanni e tutti, insomma, i più notabili per sapienza oltre gli altri, semplici, ma tanto attivi per grazia di Dio e volere proprio.
   «Lasci la città? Ti è accaduto qualcosa?», chiedono in molti.
   «No. Ma vi sono luoghi che attendono…».
 2 «Che hai fatto questa mattina?».
   «Ho parlato… I profeti… Ancora una volta. Ma essi non intendono…».
   «Nessun miracolo, Maestro?», chiede Matteo.
   «Nessuno. Un perdono. E una difesa».
   «Chi era? Chi offendeva?».
   «Coloro che si credono senza peccato accusavano una peccatrice. Io l'ho salvata».
   «Ma se era peccatrice avevano ragione essi».
   «La sua carne era certamente peccatrice. La sua anima… Molto avrei da dire sulle anime. E non direi peccatrici solo quelle la cui colpa è palese. Sono peccatrici anche quelle che spingono altri a peccare. E di un peccato più astuto. Fanno insieme la parte del serpente e del peccatore».
   «Ma che aveva fatto la donna?».
   «Adulterio».
   «Adulterio?! E Tu l'hai salvata?! Non dovevi!!», esclama l'Isca­riota.
   Gesù lo guarda fissamente, poi chiede: «Perché non dove­vo?».
   «Ma perché… ti può nuocere. Tu lo sai come ti odiano e cercano accuse contro Te! E certo… Salvare un'adultera è andare contro la Legge».
   «Io non ho detto che la salvavo. Ho detto loro che soltanto chi era senza peccato la colpisse. E nessuno l'ha colpita perché nessuno era senza peccato. Ho dunque confermato la Legge che commina la lapidazione agli adulteri, ma ho anche salvato la donna perché non si è più trovato un lapidatore».
   «Ma Tu…».
   «Volevi che la lapidassi Io? Sarebbe stata giustizia, perché Io l'avrei potuta lapidare. Ma non sarebbe stata misericordia».
   «Ah! era pentita! Ti ha supplicato e Tu…».
   «No. Non era neppure pentita. Era soltanto avvilita e paurosa».
   «Ma allora!… Perché?… Non ti capisco più! Prima riuscivo ancora a capire i tuoi perdoni a Maria di Magdala, a Giovanni di Endor, a… insomma a molti pec…».
   «Di' pure: a Matteo. Non me ne ho a male. Anzi, ti sono grato se tu mi aiuti a ricordare il mio debito di riconoscenza al mio Maestro», dice Matteo calmo e dignitoso.
   «Sì, ebbene, anche a Matteo… Ma essi erano pentiti del loro peccato, della loro vita licenziosa. Ma questa!… Non ti capisco più! E non sono solo io a non capirti…».
   «Lo so. Non mi capisci… Mi hai sempre capito poco. E non tu solo. Ma ciò non muta il mio modo di agire».
   «Il perdono va dato a chi lo chiede».
   «Oh! Se Iddio dovesse dare il perdono soltanto a chi lo chiede! E colpire subito chi alla colpa non fa seguire il pentimento! Tu non ti sei mai sentito perdonato prima di esserti pentito? Puoi proprio dire che ti sei pentito, e per questo sei stato perdonato?».
   «Maestro, io…».
 3 «Uditemi tutti, perché molti fra voi trovano che Io ho sbagliato e che Giuda ha ragione. Qui è Pietro e Giovanni. Essi hanno sentito ciò che Io ho detto alla donna e ve lo possono ripetere. Non sono stato stolto nel perdonare. Non ho detto ciò che dissi ad altre anime, alle quali perdonavo perché erano completamente pentite. Ma ho dato modo e tempo a quell'anima di giungere al pentimento e alla santità, se vorrà raggiungerli. Ricordatevelo per quando sarete i maestri delle anime.
   Due cose è essenziale avere per poter essere veri maestri e degni di essere maestri. Prima cosa: una vita austera per se stessi, di modo da poter giudicare senza le ipocrisie di condannare negli altri ciò che a noi si perdona. Seconda: una paziente misericordia per dare modo alle anime di guarire e di fortificarsi.
   Non tutte le anime guariscono istantaneamente dalle loro ferite. Alcune lo fanno per successive fasi, e talora lente e soggette a ricadute. Cacciarle, condannarle, impaurirle non è arte di medico spirituale. Se le cacciate da voi, torneranno per rimbalzo a gettarsi fra le braccia dei falsi amici e maestri. Aprite le vostre braccia e il vostro cuore, sempre, alle povere anime. Che esse sentano in voi un vero e santo confidente, sulle cui ginocchia non si vergognano di piangere. Se voi le condannate privandole degli aiuti spirituali, sempre più le farete malate e deboli. Se voi le impaurite di voi e di Dio, come potranno alzare gli occhi a voi e a Dio?
   L'uomo incontra per primo giudice l'uomo. Solo l'essere che vive spiritualmente sa incontrare per primo Iddio. Ma la creatura che è già giunta a vivere spiritualmente non cade in colpa grave. La sua parte umana può ancora avere debolezze, ma lo spirito forte veglia e le debolezze non divengono colpe gravi. Mentre l'uomo, che ancora è molto carne e sangue, pecca e incontra l'uomo. Ora, se l'uomo, che gli deve indicare Dio e formare lo spirito, gli incute paura, come può il colpevole abbandonarsi a lui? E come può dire: "Mi umilio perché credo che Dio è buono e che perdona", se vede che un suo simile non è buono?
   Voi dovete essere il termine di paragone, la misura di ciò che è Dio, così come un picciolo è la parte che fa capire la ricchezza di un talento. Ma se voi siete crudeli con le anime, voi piccioli che siete una parte dell'Infinito e lo rappresentate, cosa crederanno allora esse che sia Dio? Quale durezza intransigente penseranno in Lui?
 4 Giuda, tu che giudichi con severità, se in questo momento Io ti dicessi: "Io ti denuncerò al Sinedrio per pratiche magiche…"».
   «Signore! Non lo farai! Sarebbe… sarebbe… Tu sai che è…».
   «So e non so. Ma tu vedi come subito invochi pietà per te… e tu sai che non saresti condannato da essi perché…».
   «Che vuoi dire, Maestro? Perché dici questo?», dice molto agitato Giuda interrompendo Gesù.
 Il quale, molto calmo ma con uno sguardo che trivella il cuore a Giuda, e nello stesso tempo frena il suo turbato apostolo sul quale convergono gli sguardi degli altri undici apostoli e di molti discepoli, dice: «Ma perché essi ti amano. Hai buoni amici, tu, là dentro. Lo hai detto più volte».
   Giuda tira un sospiro di sollievo, si asciuga un sudore strano in quel giorno freddo e ventoso, e dice: «È vero. Amici vecchi. Ma non credo che se peccassi…».
   «E chiedi pietà perciò?».
   «Certamente. Sono ancora imperfetto e voglio divenire perfetto».
   «Lo hai detto. Anche quella creatura è molto imperfetta. Gli ho dato tempo a divenire buona, se vuole».
   Giuda non ribatte più.


 5 Sono ormai sulla via di Betania, già lontani da Gerusalemme. Gesù si ferma e dice: «E voi, avete dato ai poveri ciò che vi ho dato? Avete fatto tutto ciò che vi avevo detto?».
   «Tutto, Maestro», dicono apostoli e discepoli.
   «Allora sentite. Ora Io vi benedirò e vi congederò. Vi spargerete, come sempre, per la Palestina. Vi radunerete di nuovo qui per la Pasqua. Non mancate allora… e in questi mesi fortificate il vostro cuore e quello di chi crede in Me. Siate sempre più giusti, disinteressati, pazienti. Siate ciò che vi ho insegnato di essere. Girate per città, paesi, case sperdute. Non evitate nessuno. Sopportate tutto. Non è il vostro io ciò che servite, così come Io non servo l'io di Gesù di Nazaret, ma servo il Padre mio. Voi pure servite il Padre vostro. Perciò i suoi interessi, non i vostri, devono esservi sacri, anche se possono procurare dolore o lesione ai vostri interessi umani. Abbiate spirito di abnegazione e di ubbidienza. Potrà accadere che Io vi chiami o vi ordini di stare dove siete. Non giudicate il mio ordine. Quale che sia, ubbidite, credendo fermamente che esso è buono ed è dato per vostro bene. E non abbiate invidia se alcuni saranno chiamati e altri no da Me. Voi vedete… Alcuni si sono staccati da Me… e Io ne ho sofferto. Erano quelli che ancora volevano regolarsi con la loro mente. La superbia è la leva che ribalta gli spiriti e la calamita che me li strappa. Non maledite chi mi ha lasciato. Pregate perché torni… I miei pastori staranno due a due nelle immediate vicinanze di Gerusalemme. Isacco per ora viene con Me insieme a Marziam. Amatevi molto fra voi. Aiutatevi a vicenda. Amici miei, tutto il resto ve lo dica il vostro spirito, ricordandovi ciò che ho insegnato, e ve lo dicano i vostri angeli. Io vi benedico».
   Tutti si prostrano, mentre Gesù dice la benedizione mosaica. Poi si affollano a salutare Gesù. Infine si separano da Lui, che coi dodici, Isacco e Marziam, procede sulla via di Betania.
   «Ora sosteremo il tempo di salutare Lazzaro e poi proseguiremo verso il Giordano».
   «Andiamo a Gerico?», chiede interessato Giuda di Keriot.
   «No. A Betabara».
   «Ma… la notte…».
   «Non mancano case e paesi da qui al fiume…».
   Nessuno parla più e, tolto il frusciare degli ulivi e lo scalpiccio dei passi, non resta altro rumore.
AMDG et DVM

venerdì 8 luglio 2016

MA Quanto siamo colpevoli, noi che dovrem­mo essere la consolazione di Gesù!

Santa Faustina K.

Ho pregato, in seguito, per i peccatori, e Gesù faceva la stessa cosa come per le anime del Purgatorio. Quale gioia nel vedere quest'amore, questa misericordia del Signore!

Ma quando ho voluto pregarLo per i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i raggi che scendevano dalle sue mani sono risaliti e tutto è sparito. E il mio cuore è cadu­to in una tristezza, in una angoscia terribile, perché io sono nel numero delle reli­giose; ho sospirato, sono scoppiata in singhiozzi. Ogni volta che penso a ciò che ho visto, non posso impedirmi di piangere. Quanto siamo colpevoli, noi che dovrem­mo essere la consolazione di Gesù!»


sabato 31 gennaio 2015

IL MISERICORDIOSO o Il Padre e il figlio prodigo





" La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo alla mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio"
(S. Giovanni Damasceno)




Secondo la tradizione della Chiesa d'Oriente, l'Icona è considerata 'luogo teologico' liturgico, sacramentale, che fa entrare misteriosamente in una Presenza di fede e di Amore.
La sua funzione è quella di portare davanti agli occhi quel che la parola porta all'orecchio, perché si fissi nelle profondità del cuore.




Meditiamo sul dipinto IL MISERICORDIOSO, di Rembrandt


Non è una vera e propria icona, è una pagina di S. Scrittura scritta col dipinto anziché con le parole.


È utile sapere che Rembrandt, nato ad Amsterdam nel 1606, ha composto più di 2000 opere, la maggior parte di ispirazione religiosa.


Egli era Ebreo, quindi la Bibbia era suo pane quotidiano; l’ha scrutata, ha vibrato in modo straordinario di fronte alla realtà spirituale e l’ha lasciata trasparire dai suoi dipinti.

Quel che immediatamente colpisce, nel dipinto, è la luce, che ha la sua sorgente nell’intimo dei personaggi.

Il volto del Padre è sofferente, trasfigurato dall’amore; non vede più a forza di aspettare, scrutare l’orizzonte, forse anche a causa di molte lacrime.

La figura del Padre chino sul figlio, la curva che disegna, domina la scena, ci consegna una maestà dolce, materna.

Il figlio si modella dentro questo arco, come fosse il seno materno.
Padre e Madre nello stesso tempo, che rigenera col calore del suo amore il figlio.


Guardiamo le mani: esprimono ciò che la parola non dice; c’è accordo tra volto e mani: esprimono amore, appoggio, sollecitudine, fermezza, sicurezza.


Notiamo la differenza: la sinistra è affusolata femminile materna; la destra è forte maschile paterna.
Mani che avvolgono in un abbraccio il loro figlio: Mani della creazione che rinnovano il mistero della vita.

Il figlio ha la nuca pelata, assomiglia terribilmente a quella di un deportato, uno spogliato, l’escluso, chi conosce fino in fondo il dramma della sofferenza umana.

È incurante di tutto, nascosto nel cuore del Padre, sembra ascoltare solo il respiro del cuore del Padre.

Notiamo la luminosità sulla fronte del Padre, scende in verticale sul capo, sul collo, su tutto il corpo del figlio: lo permea della sua sostanza.

Il piede ci ricorda il lungo cammino del ritorno: I sandali sono usati, consumati, di uno che viene da lontano. Ora eccolo, scalzo…

Ma il Padre ha già pronta la veste, e l'anello.....



I colori: 2 dominanti: 
il giallo oro (luce, irradiazione, vita donata)
Il rosso (amore, calore, donazione)

Il manto rosso porpora sulle spalle del Padre richiama il 

Salmo 32 "Il tuo amore mi avvolge come un manto"


domenica 5 ottobre 2014

Santa Faustina K.




OTTOBRE

Meditazioni

1. La misericordia creatrice. — O mio Dio, tutto ciò ch'è in me ti adori, mio creatore e mio Signore! Poiché tu sei la felicità in te stesso e non hai bisogno di noi per essere felice, fu la tua misericordia a chiamare all'esistenza le creature, comunicando ad esse qualche cosa dell'intima tua vita, che fa di te un Dio solo in tre Persone. Desidero glorificare la tua misericordia con ogni palpito del mio cuore, parlando della tua pura bontà alle anime e incoraggiandole ad aver fiducia in essa.

2. La misericordia redentrice. — Signore, tu ci doni la tua grazia unicamente perché sei misericordioso. Allorché l'uomo non seppe superare la sua prova, avresti potuto rigettarlo. Tuttavia ti commosse la naturale debolezza di questo composto d'anima e di corpo che noi siamo e promettesti di riparare di persona la perdita della nostra felicità. Dobbiamo unicamente all'abisso della tua misericordia, se non siamo puniti come meritiamo. Che la tua misericordia, Signore, sia adorata! Perfino gli angeli stupiscono per la magnanimità con cui la eserciti in favore degli uomini!

3. La misericordia che s'incarna. — Solo la tua misericordia, Signore, ch'è divina, può rimettere le colpe e, al tempo stesso, arricchire con la grazia la creatura perdonata. La misericordia ti spinse a scendere personalmente fra di noi. Ma, dove discenderai, Signore? Forse nel tempio di Salomone? O preferisci che ti venga edificato un nuovo tempio per poter manifestarti in esso? Ma, o Signore, che tempio prepararti, se la terra intera altro non è che «lo sgabello dei tuoi piedi»? Il tuo tempio sarà il grembo di una madre senza macchia: «Il Verbo di Dio si fece carne e pose la sua tenda fra di noi». Il Verbo di Dio in questo modo è l'incarnazione della sua stessa misericordia! Nessuno ora, Signore, ha motivo di temere nell'avvicinarsi a te. Sei Padre del tuo unigenito Figliolo e, grazie a lui, sei anche il Padre nostro. Sia gloria alla tua misericordia, la quale ti ha condotto fra di noi!

4. La misericordia nei santi Sacramenti. — Da quando, partendo anche come uomo verso il cielo, ci lasciasti te stesso nel Sacramento dell'altare, non vi è miseria che possa esaurire la tua misericordia. Qui si trova il tempio della tua pura bontà, qui l'umanità coglie il rimedio della propria debolezza. Tu, dopo essere spirato sulla croce, ci donasti la tua vita eterna nei santi Sacramenti aprendone nel tuo fianco squarciato la sorgente. Qui si rivela la tua misericordia onnipotente, di qui scorrono per noi tutte le grazie.

5. Desidero celebrare la tua gloria. — O Dio, che tanto generosamente dispensi la tua misericordia, quanto devi amare questa nostra umanità, in favore della quale prodighi te stesso senza posa! O mio Creatore e mio Signore, scorgo dovunque le tracce della tua onnipotenza e l'impronta della tua misericordia senza fine con cui circondi ogni creatura. Mio Creatore e Salvatore, desidero celebrare la tua gloria in nome di tutto ciò che tu hai creato. Voglio chiamare l'universo intero ad adorare la tua misericordia!


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

lunedì 16 giugno 2014

San Francesco Antonio Fasani


Carissimo Amico/Amica,

Il 25 marzo 1858, verso le quattro del mattino, Bernadette Soubirous lascia la «segreta», la catapecchia in cui abita la sua famiglia, per recarsi alla grotta di Massabielle, dove, dall'11 febbraio, le appare una misteriosa Signora. L'adolescente di quattordici anni attraversa Lourdes addormentata, accompagnata da alcune persone cui sua zia ha rivelato il segreto. Ha appena recitato una posta del rosario davanti alla grotta, quando la Signora le si manifesta. Sorridente, le fa segno di avvicinarsi. Bernadette si trova allora vicinissima alla Visitatrice cui trasmette, nel suo dialetto regionale, la richiesta pressante del suo Curato: «Signora, vuol avere la bontà di dirmi chi è?» L'Apparizione sorride e non risponde. Per due volte, la ragazza ripete la domanda. La terza volta, la Signora, che tiene le mani aperte, le congiunge all'altezza del cuore e dice: «Que soy era Immaculada Councepciou... (cioè: Sono l'Immacolata Concezione). Desidero che qui sorga una cappella...» Poi, sempre sorridendo, si dilegua.

Sulla via del ritorno, Bernadette non smette di ripetere, per paura di dimenticarle, quelle parole incomprensibili per lei: «Que soy era Immaculada Councepciou». Corre dal Signor Curato e gli dichiara, senza nemmeno salutarlo: «Que soy era Immaculada Councepciou. – Cosa dici mai, piccola presuntuosa? – È la Signora che mi ha detto queste parole... – La tua Signora non può avere questo nome! Ti sbagli! Sai cosa vuol dire l'Immacolata Concezione? – Non lo so; per questo ho ripetuto le parole continuamente, fin qui, per non dimenticarle».

Come potrebbe sapere cosa significa «l'Immacolata Concezione», lei che non ha ancora imparato a leggere e che si è appena iscritta al Catechismo? Ma il sacerdote lo sa benissimo: meno di quattro anni prima, papa Pio IX ha proclamato la Santa Vergine immacolata nella Concezione. Nella Bolla Ineffabilis, dell'8 dicembre 1854, ha detto: «Noi determiniamo che la dottrina che considera che la Beata Vergine Maria è stata, fin dal primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, preservata intatta da ogni macchia del peccato originale, è una dottrina rivelata da Dio, e pertanto essa deve essere fermamente e costantemente creduta da tutti i fedeli». Più di diciotto secoli dopo Gesù Cristo, attraverso tale atto solenne, il Papa ha definito un nuovo dogma. Certi si chiedono: come è possibile? La Chiesa ha un simile potere? La Rivelazione non è finita con Gesù Cristo?

Effettivamente, nella Lettera agli Ebrei, si legge: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb. 1, 1-2). San Giovanni della Croce commenta questo passo nei seguenti termini: «Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, Dio non ha da dirci altre parole. Ci ha detto tutto in una sola volta con questa sola Parola... infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l'ha detto tutto in suo Figlio, dandoci questo tutto che è suo Figlio». Il Concilio Vaticano II ricorda anch'esso: «L'economia cristiana, in quanto è Alleanza Nuova e definitiva, non passerà mai e non c'è da aspettarsi alcuna nuova Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa di nostro Signore Gesù Cristo» (Dei Verbum, n. 4).

Progredire nell'intelligenza della fede

«Tuttavia, insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, anche se la Rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli» (CCC, n. 66). La Rivelazione è stata affidata da Dio alla Chiesa, perchè essa la trasmetta e la interpreti. «L'ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo Magistero vivente della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo... Il Magistero della Chiesa si avvale in pienezza dell'autorità che gli viene da Cristo quando definisce qualche dogma, cioè quando, in una forma che obbliga il popolo cristiano ad un'irrevocabile adesione di fede, propone verità contenute nella Rivelazione divina... Così, grazie all'assistenza dello Spirito Santo, l'intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa» (CCC, nn. 85-88-94); cosa che si è realizzata in particolare con la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione.

Questo dogma si basa, nella Sacra Scrittura, sul saluto dell'Angelo Gabriele alla Vergine Maria: Ti saluto, o piena di grazia (Luca 1, 27); tale pienezza di grazia è veramente completa solo se si estende, nel tempo, al primo istante della vita della Santa Vergine, quello della sua concezione. Tuttavia, questo passo del Vangelo, pur fornendo una preziosa indicazione, non basta, da solo, a dimostrare la verità dell'Immacolata Concezione della Santissima Vergine; perchè la luce che contiene sia afferrata pienamente, bisogna ricorrere alla testimonianza della Tradizione. Infatti, la Chiesa «non trae la certezza su tutti i punti della Rivelazione dalla sola Sacra Scrittura. Per questo la Scrittura e la Tradizione devono esser ricevute e venerate con pari sentimento di pietà e di rispetto» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, n. 9).

La credenza nell'immacolata concezione di Maria risale ai primi secoli della storia della Chiesa. I Padri della Chiesa che ne hanno parlato sono unanimi nel riconoscere che la Madre di Gesù Cristo è la sposa tutta bella e senza macchia di cui è questione nel Cantico dei Cantici (4, 7). Sant'Efrem († 373) scrive che la Madre di Dio è «piena di grazia..., tutta pura, tutta immacolata, tutta senza peccato..., assolutamente estranea a qualsiasi lordura ed a qualsiasi macchia del peccato» (Oratio ad Deiparam). La festa liturgica della Concezione di Maria (8 dicembre) esiste almeno dal settimo secolo nella Chiesa greca. Grandi teologi, nel Medioevo, hanno, è vero, formulato obiezioni contro la credenza nell'Immacolata Concezione, che sembrava loro costituire una minaccia per l'universalità della Redenzione di Cristo. Il beato Giovanni Duns Scoto (1266-1308), e, come lui, i teologi della scuola francescana, hanno risposto che Maria è rimasta immune da ogni macchia del peccato originale, in previsione dei meriti futuri di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano; la Santa Vergine è stata dunque effettivamente riscattata dal Sangue di Gesù Cristo, ma in un modo affatto sublime, quello della preservazione dal peccato.

San Massimiliano Maria Kolbe, morto quale martire della carità ad Auschwitz nel 1941, figura fra i Francescani che hanno parlato meglio dell'Immacolata Concezione. San Francesco Antonio Fasani, canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986, è meno noto: molto tempo prima della proclamazione del dogma, questo frate  ha avuto il merito di far conoscere ed amare l'Immacolata.

Il «peccatore dell'Immacolata»

Antonio Giovanni Fasani è nato il 6 agosto 1681 a Lucera (Foggia), nelle Puglie (sud-est dell'Italia). I suoi genitori sono di umile condizione; il padre si guadagna la vita quale bracciante agricolo. Nella famiglia Fasani, povera di beni materiali, si è ricchi di fede. Tutte le sere, si recita il rosario davanti ad un'immagine di Maria Immacolata. Antonio trova presso la madre le radici della sua profonda devozione alla Santa Vergine. Fin dal 1695, a quattordici anni, il ragazzo è accolto dai Frati Minori Conventuali. L'anno seguente, pronuncia i voti con il nome di Fra Francesco Antonio, nel convento di Monte Sant'Angelo. Il giovane monaco ha un temperamento vivace e ardente, temperato da un'umile riserva. Si è fatto Monaco per diventare perfetto.

Dal 1696 al 1709, Fra Francesco Antonio continua gli studi di teologia, che conclude ad Assisi, conseguendo il grado di Maestro, il che fa che venga chiamato «Padre Maestro». Il suo affetto e la sua venerazione per l'Immacolata non cessano di crescere e, nella sua umiltà, egli definisce spesso se stesso come «il peccatore dell'Immacolata», vale a dire un povero peccatore riscattato dall'intercessione di Maria Immacolata.

Per la Quaresima del 1707, Padre Fasani viene mandato improvvisamente a predicare a Palazzo, non lontano da Assisi. La sua giovane età, la sicurezza del suo sapere teologico, il calore della sua voce, l'ascetismo del viso da cui traspare una vita interiore profonda, come pure la convinzione che lo anima, provocano nel popolo entusiasmo ed edificazione. Un testimone riferisce: «Predicava con un fervore sensibile, in modo che imprimeva nell'anima degli ascoltatori le verità che annunciava... Parlava della Santa Madre di Dio con un tal trasporto di devozione, una tale tenerezza ed un'espressione del volto talmente affettuosa, che sembrava aver avuto un colloquio faccia a faccia con Lei».

Il male più grave

Tornato a Lucera, dove rimarrà per tutta la vita, predica ivi e in tutta la regione delle Puglie. La sua predicazione, basata sulla Parola di Dio, non lascia nessun posto alla fioritura retorica, tanto in onore all'epoca. Padre Fasani manifesta un orrore e un disappunto indicibile quando vede Dio offeso o quando gli si riferiscono azioni peccaminose. Quest'orrore del peccato, condiviso da tutti i Santi, non è per nulla esagerato. Sant'Ignazio di Loyola, negli Esercizi Spirituali, tante volte raccomandati dalla Chiesa, invita colui che partecipa ad un ritiro spirituale a chiedere alla Santa Vergine la grazia di conoscere intimamente i propri peccati e di concepirne orrore (n. 63). 
Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna: «Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero» (n. 1488). Infatti, per il peccatore, la conseguenza del peccato mortale (cioè del peccato commesso in materia grave, con piena coscienza e pieno consenso) significa la perdita della grazia santificante; e, se muore in tale stato, la privazione della vita eterna. San Paolo avverte di ciò i Corinti:  “O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: nè immorali, nè idolatri, nè adulteri, nè effeminati, nè sodomiti, nè ladri, nè avari, nè ubriaconi, nè maldicenti, nè rapaci erediteranno il regno di Dio” (1 Cor. 6, 9-10).

Ed a colui che si avvale della bontà di Dio per rimanere nel peccato e rassicurarsi sulla sua sorte eterna, san Paolo risponde: “O ti prendi gioco della ricchezza della bontà di Dio, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all'ingiustizia (Rom. 2, 4-8).

Dal pulpito, san Francesco Antonio si infiamma contro i vizi e gli scandali pubblici. Allora, fioccano contro di lui reazioni di sdegno e ingiurie: lo si taccia di isterico e di rozzo; ma, in fin dei conti, si va comunque a confessarsi da lui. Ogni giorno, rimane per parecchie ore nel confessionale, accogliendo persone di tutte le specie con la massima pazienza e con il volto gioioso. Le sue parole tendono ad ispirare il pentimento e la volontà di correggersi. Questo ministero finisce coll'assorbire la maggior parte del suo tempo. Grande è la sua gioia quando riesce a portare alla conversione gente dai costumi dissoluti o scandalosi, peccatori inveterati.

Maria, rifugio dei peccatori

Nella sua lotta contro il peccato, il santo ricorre a Maria Immacolata. Sottolinea che se la Madre di Dio è immacolata, è per essere il rifugio dei peccatori. La sua purezza cancella le nostre macchie e ci rende puri; il suo splendore allontana le nostre tenebre. Dopo il peccato di Adamo e Eva, Dio dice al serpente (cioè al demonio): Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno (Gen. 3, 15 [Vulgata]). I Padri della Chiesa hanno visto questa profezia compiersi nella Vergine Immacolata, nuova Eva, che ha assecondato in modo unico il divino Figlio, nuovo Adamo, nella sua lotta contro il male.

Ai peccatori che vogliono convertirsi, Padre Fasani ripete instancabilmente che Maria, nemica del peccato, è in pari tempo la Madre della misericordia e la «porta del Cielo» perchè ci invita a pregare, a frequentare i sacramenti della penitenza e dell'Eucaristia, ad ascoltare il suo divino Figlio ed a seguirLo. San Massimiliano Maria Kolbe, due secoli più tardi, giungerà fino a dire che l'Immacolata è la personificazione della misericordia divina: non aggiunge nulla alla misericordia di Dio, che passa attraverso il Sacro Cuore di Gesù; ma, conformemente alla volontà di suo Padre, Gesù vuole che la misericordia sia dispensata dalle mani di Maria.

Nell'Immacolata Concezione, san Francesco Antonio vede in primo luogo la realtà positiva, la sublimità della grazia che innalza fin dal primo istante la persona di Maria, perfettamente santificata in vista della sua missione di Madre di Dio. Mette in luce, come in contrasto con la grandezza del dono divino, l'umiltà della Vergine in quanto creatura; la sublimità le viene esclusivamente da Dio: non è una conquista della natura umana. Padre Fasani sottolinea anche che dopo quell'inizio straordinario, la vita di Nostra Signora è stata segnata da una crescita spirituale costante, in una libera corrispondenza con le grazie di Dio.

In occasione delle prediche, il santo distribuisce ampiamente, soprattutto ai bambini, immaginette della Vergine Immacolata, sul retro delle quali è iscritta una pia raccomandazione, una breve preghiera o un pensiero elevato. I frutti spirituali di tale pratica semplicissima sono numerosi. La Santa Vergine si degna di compiere guarigioni miracolose, che si producono quando i malati toccano dette immagini.


Modello dell'anima d'orazione

Le predicazioni mariali di Padre Francesco Antonio si concludono sempre con una lezione pratica: i cristiani possono e devono imitare Maria, perfettissimo modello di fedeltà al Vangelo, per giungere in sua compagnia all'intimità d'amore con Gesù e appartenerGli interamente.
Gli piace contemplare nella Madre di Dio il modello dell'anima d'orazione. La vita della Vergine Immacolata è stata un colloquio permanente con Dio. Chi più di Essa, dopo il suo divino Figlio, può insegnarci a pregare? Il santo fa notare ai suoi monaci: «Si studia Dio, si predica Dio, si discute di Dio, ma lo spirito rimane arido, senza devozione: molto sapere, e nessuna orazione».

Ma che cos'è l'orazione? A questa domanda, il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde citando santa Teresa d'Avila: «L'orazione mentale, a mio parere, non è che un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati». L'orazione cerca l'Amore dell'anima mia (Cantico dei Cantici 1, 7), Gesù, e, in Lui, il Padre. È anche ascolto della Parola di Dio. Lungi dall'esser passivo, questo ascolto s'identifica con l'obbedienza della fede, incondizionata accoglienza del servo e adesione piena d'amore del figlio (ved. CCC, nn. 2709-2716).

La scelta del tempo e della durata dell'orazione dipende da una volontà determinata, rivelatrice dei segreti del cuore. Non si fa orazione quando si ha tempo: si prende il tempo di essere per il Signore, con la ferma decisione di non riprenderglielo lungo il cammino, qualsiasi siano le prove e l'aridità dell'incontro. L'orazione può farsi «contemplazione», cioè sguardo di fede fissato su Gesù. «Io lo guardo ed Egli mi guarda», diceva al suo santo curato il contadino d'Ars in preghiera davanti al Tabernacolo. La luce dello sguardo di Gesù illumina gli occhi del nostro cuore che purifica; ci insegna a vedere tutto nella luce della sua verità e della sua compassione per tutti gli uomini. La contemplazione porta il suo sguardo anche sui misteri della vita di Cristo. In questo modo conduce alla conoscenza intima del Signore, per amarLo e seguirLo di più (cfr. sant'Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, n. 104).

Difensore dei poveri

Padre Francesco Antonio pratica la virtù della povertà dormendo su un pagliericcio nella sua angusta cella, accontentandosi di poco e portando vestiti usati. La vista degli indigenti lo affligge, e nelle sue prediche insiste sulla carità nei riguardi dei poveri. Per essi, mendica denaro e vestiti. Un giorno, un mendicante seminudo gli chiede qualche vestito per coprirsi. Padre Francesco si spoglia dei suoi vestiti principali e torna in convento coperto del solo saio.

Gestisce saggiamente la «banca di credito» che ha sede nel convento ed il cui scopo è quello di proteggere i poveri contro le speculazioni degli usurai. Grazie a detto ente, può organizzare una mensa aperta quotidianamente ai bisognosi. Tutti i giorni si vede accostarcisi un'umile donna del popolo, Isabella Occhiaperti, la madre stessa di Padre Fasani. Nel paese rovinato dalle guerre, in cui i latifondisti gravano i contadini di tasse enormi, il Francescano ricorda ai ricchi il dovere di condividere i beni di questo mondo e di dare un giusto salario ai loro operai.
Oggi come ieri, la pratica della giustizia sociale è un grave obbligo per i cristiani, specialmente i più abbienti. «San Giovanni Crisostomo lo ricordava con forza ai suoi contemporanei: «Non condividere con i poveri i propri beni, è defraudarli e toglier loro la vita. Non sono nostri i beni che possediamo, sono dei poveri».

Bisogna adempiere innanzitutto gli obblighi di giustizia, perchè non venga offerto come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia. «Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia» (San Gregorio Magno)» (CCC, n. 2446). Tale dovere di giustizia è particolarmente grave all'epoca presente, segnata dallo «scandalo delle società opulente attuali, in cui i ricchi diventano sempre più ricchi, perchè la ricchezza produce la ricchezza, ed i poveri diventano sempre più poveri, perché la povertà tende a creare altre povertà. Questo scandalo non esiste solamente all'interno delle varie nazioni; ha dimensioni che superano ampiamente le frontiere... In realtà, è lo spirito di solidarietà che deve crescere nel mondo, per vincere l'egoismo delle persone e delle nazioni» (Giovanni Paolo II, 4 novembre 2000).

L'umiltà che fa i miracoli

Indotto a difendere la virtù di una ragazza quindicenne, senza mezzi, su cui un gentiluomo ha messo gli occhi, san Francesco Antonio la porta in un orfanatrofio, dove essa sarà educata gratuitamente. Cosa che gli procura le minacce e l'odio del gentiluomo che lo denuncia a Roma, dove deve recarsi per discolparsi. Introdotto alla presenza del Papa, non dice nulla per difendersi; ma, mentre bacia umilmente i piedi del Pontefice, questi, che soffre di gotta, si ritrova, a tale contatto, istantaneamente liberato dal suo male; è così convinto dell'innocenza del Francescano. La sua obbedienza produce anch'essa prodigi meravigliosi. Un giorno in cui predica dal pulpito, il suo vescovo, entrando nella chiesa, gli chiede, davanti a tutti, di tacere; tace immediatamente. Qualche giorno dopo, il segretario del vescovo viene a prenderlo: il Prelato, colpito da un violento malessere, reclama Padre Francesco Antonio al suo capezzale. «Inutile, risponde il santo; ha già ricevuto la guarigione da Maria Immacolata».

Il 29 novembre 1742, all'inizio di una novena preparatoria alla festa dell'Immacolata Concezione, Padre Francesco Antonio Fasani muore di spossatezza. Il 16 aprile 1986, canonizzandolo, Giovanni Paolo II sottolineava: «Predicatore instancabile, san Fasani non attenuò mai le esigenze del Messaggio evangelico nel desiderio di compiacere agli uomini». Possa egli, dall'alto del Cielo, aiutarci a ricorrere instancabilmente a Colei che, per sempre immune da ogni macchia, può liberarci da tutto il male che è in noi.
«O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te».

Dom Antoine Marie osb

AMDG et BVM

domenica 4 maggio 2014

Perdona

LA MORTE DI DON RODRIGO E LA MISERICORDIA

In piena epidemia di peste, Renzo incontra Fra’ Cristoforo al Lazzaretto, dove è ricoverato anche Don Rodrigo, malato terminale. Renzo, convinto dal confessore di Lucia, superato il primo moto d’ira, perdona il suo persecutore morente.
di Giovanni Fighera (04-05-2014)
Giunto a Milano, dopo aver assistito a scene pietose, Renzo si reca a casa di donna Prassede e di don Ferrante per conoscere lo stato di salute di Lucia. Trovato l’indirizzo dei due signori, solo dopo alcune vicissitudini, e appreso della malattia dell’amata, sconfortato, si reca nel lazzaretto alla ricerca di lei. Ivi, incontra un frate sporco ed emaciato in cui riconosce Fra Cristoforo. Morto il Conte zio di peste, il frate chiese ed ottenne di essere trasferito a Milano per curare gli ammalati.
Con parole piene di commozione e di genuina curiosità, ignaro di tutto quanto sia capitato ai due giovani, il frate chiede a Renzo dove si trovi Lucia e se sia sua moglie. Il racconto di Renzo, che sintetizza le disavventure dell’amata, il suo rapimento e la liberazione da parte dell’Innominato, riempiono di dolore il frate che si sente in parte colpevole per quanto accaduto. Ora, cerca di avvertire Renzo dell’evenienza che Lucia sia ammalata o addirittura già morta. Il giovane manifesta tutta la sua rabbia nei confronti di colui che è sentito come il responsabile di tutte le sue disavventure. Vorrebbe vendicarsi uccidendolo, ma il frate lo sprona a perdonare e a considerare che nulla è in mano nostra. 
Gli mostra lo scenario del lazzaretto dicendogli: «Guarda chi è Colui che castiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va’, sciagurato, vattene! Io, speravo… sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va’, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va’! non ho più tempo di darti retta». 
Poi, gli ricorda la sua stessa storia personale, il rimorso di coscienza che da anni lo ha attanagliato dopo l’omicidio del nobile. Solo quando Renzo si è mostrato disposto a perdonare don Rodrigo («Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!»), il frate lo accompagna in una capanna, dove giace un uomo febbricitante e morente. Renzo vi riconosce il nemico spocchioso e aristocratico. «Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere».
Un rapido flashback ci permette di ricostruire come don Rodrigo abbia contratto la malattia. In seguito alla morte del conte Attilio don Rodrigo ha tessuto una laudatio funebris di fronte a parenti ed amici invitati ad un banchetto. Non credendo al rischio del contagio per contatto, in maniera incauta, sottrae alcuni oggetti del defunto. La notte stessa ha un incubo. In preda alla febbre sogna di trovarsi in chiesa, vicino a tanti appestati. Ad un certo punto sente una spada che lo colpisce sotto l’ascella e vede un frate che predica da un pulpito. Vi riconosce fra Cristoforo che ad alta voce esclama: «Verrà un giorno…», la stessa frase con cui il religioso ha cercato di dissuaderlo dall’infastidire Lucia. Svegliatosi ed avvedutosi che si tratta solo di un sogno, don Rodrigo si accorge della presenza di un bubbone sotto l’ascella. Ammalato, chiama il fidato bravo Griso chiedendogli di cercare l’aiuto ad un medico che non denuncia i contagiati. Griso, però, si reca dai monatti che accompagnano don Rodrigo nel lazzaretto. Il bravo deruba don Rodrigo e così, contratta la peste, muore poco dopo.
Ritorniamo ora a don Rodrigo che è in punto di morte. Renzo e fra Cristoforo pregano per lui e chiedono a Dio il perdono dei suoi peccati. Il frate arriva ad affermare che quella malattia non è la vendetta di Dio, ma il momento in cui Dio manifesta la sua misericordia, perché permette al peccatore di convertirsi e di ravvedersi: «Può esser castigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!».
Poi, il frate saluterà Renzo: «Va’ ora, va’ preparato, sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a darmene notizia; noi lo loderemo insieme». Renzo cercherà Lucia da un’altra parte della città, dove sono ricoverate le donne. La ritroverà che, ammalatasi, è in via di guarigione, ma rimane nel lazzaretto per accudire una vedova, la mercantessa. Renzo è convinto che ormai non ci siano più ostacoli al loro matrimonio. Non è così, però. Lucia ha, infatti, fatto voto alla Madonna di non sposarsi, se fosse stata liberata dall’Innominato. Di fronte alla volontà della giovane di rispettare il voto, Renzo protesta affermando che Lucia si è prima promessa a lui. Renzo chiederà consiglio a fra Cristoforo che scioglierà la ragazza dal voto. Renzo, allora, abbandonerà Milano in cerca di Agnese, futura suocera, per comunicarle che ormai non vi è più alcun impedimento al matrimonio.
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
AMDG et BVM