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domenica 27 luglio 2014

Nicolás Gómez Dávila


In margine a un testo implicito

  • Adattarsi è sacrificare un bene remoto a un bisogno immediato.
  • Borghesia è qualunque insieme di individui scontenti di ciò che hanno e soddisfatti di ciò che sono.
  • Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.
  • Chi cerchi di educare e non di sfruttare, si tratti di un popolo o di un bambino, non gli parla facendo la vocina infantile.
  • Chi denuncia i limiti intellettuali dei politici dimentica che tali limiti sono la causa dei loro successi.
  • Chi sopprime le segrete connivenze tra i propri amori e i propri odi diventa un fanatico che incede tra schemi.
  • Chiamare ingiustizia la giustizia è la più diffusa delle consolazioni.
  • Chiamiamo egoista chi non si sacrifica al nostro egoismo.
  • Civiltà è ciò che è miracolosamente scampato allo zelo dei governanti.
  • Ciò che non è persona in fondo non è nulla.
  • Crediamo di affrontare le nostre teorie con i fatti, in realtà possiamo confrontarle solo con teorie dell'esperienza.
  • Da quando la religione si secolarizza, come unico testimone di Dio rimane Satana.
  • Da sempre, in politica, patrocinare la causa del povero è stato il mezzo più sicuro per arricchirsi.
  • Dopo aver screditato la virtù, questo secolo è riuscito a screditare anche i vizi.
  • Duecento anni fa era lecito confidare nel futuro senza essere completamente stupidi. Ma oggi chi può dar credito alle attuali profezie, dato che siamo noi lo splendido avvenire di ieri?
  • Educare l'uomo è impedirgli la "libera espressione della sua personalità".
  • Essere cristiani è trovarsi di fronte a colui cui non possiamo nasconderci, di fronte a cui non possiamo mascherarci. È assumersi il peso di dire la verità anche quando offende.
  • Gli esempi concreti sono i carnefici delle idee astratte.
  • I professionisti della venerazione dell'uomo si sentono autorizzati a disprezzare il prossimo. La difesa della dignità umana consente loro di essere sgarbati con il vicino.
  • Il cattolico autentico non sta al di qua ma al di là della bestemmia.
  • Il domandarsi tace solo di fronte all'amore: "Perché amare?" è l'unica domanda impossibile: L'amore non è mistero, ma luogo in cui il mistero si dissolve.
  • Il filosofo non è altro che la fiamma che lo brucia.
  • Il filosofo non è portavoce della sua epoca, ma angelo prigioniero nel tempo.
  • Il massimo trionfo della scienza sembra consistere nella velocità crescente con cui lo stupido può trasferire la sua stupidità da un luogo a un altro.
  • Il più grande errore moderno non è l'annuncio della morte di Dio, ma l'essersi persuasi della morte del diavolo.
  • Il popolo sopporta di essere derubato, purché non si smetta di adularlo.
  • Il riso amabile e compiacente è una prostituzione dell'anima.
  • Il socialismo è la filosofia della colpa altrui.
  • Istruire non è indicare soluzioni, ma rivelare problemi.
  • L'amore è l'atto che trasforma il suo oggetto da cosa in persona.
  • L'amore per il popolo è vocazione aristocratica. Il democratico lo esercita soltanto in periodo elettorale.
  • L'anima cresce verso l'interno.
  • L'atrocità della vendetta non è proporzionale all'atrocità dell'offesa, ma all'atrocità di chi si vendica.
  • L'atto filosofico per eccellenza è scoprire un problema in ogni soluzione.
  • L'etica ci proibisce di considerare gli uomini come mezzi e l'Uomo come fine.
  • L'idea del "libero sviluppo della personalità" sembra degna di ammirazione finché non incappa in individui la cui personalità si è sviluppata liberamente.
  • L'incertezza è il clima dell'anima.
  • L'individualismo moderno si riduce a reputare personali e proprie le opinioni condivise da tutti.
  • L'intelligenza vive finché non preferisce le sue soluzioni ai problemi.
  • L'umanità crede di rimediare ai propri errori ripetendoli.
  • L'uomo ama solo chi adula, ma rispetta solo chi lo insulta.
  • L'uomo di sinistra si crede generoso perché le sue mete sono confuse.
  • L'uomo è il rifugio più fragile per l'uomo.
  • L'uomo intelligente non vive mai in ambienti mediocri. Un ambiente mediocre è quello in cui non ci sono uomini intelligenti.
  • L'uomo moderno non si sente mai così individuo come quando fa le stesse cose che fanno tutti.
  • L'uomo preferisce discolparsi con la colpa altrui piuttosto che con la propria innocenza.
  • La banalizzazione è il prezzo della comunicazione.
  • La bruttezza di un oggetto è la condizione preliminare del suo moltiplicarsi su scala industriale.
  • La forma sublime del disprezzo è il perdono.
  • La libertà non è indispensabile perché l'uomo sappia cosa vuole e chi è, ma perché sappia chi è e che cosa vuole.
  • La libertà non è la meta della storia, ma la materia con cui essa lavora.
  • La legge è forma giuridica del costume oppure sopraffazione della libertà.
  • La legge è l'embrione del terrore.
  • La legittimità del potere non dipende dalla sua origine ma dai suoi fini. Per il democratico, invece, nulla è vietato al potere se la sua origine lo legittima.
  • La legislazione che protegge minuziosamente la libertà strangola le libertà.
  • La modernità non sfugge alla tentazione di identificare il permesso con il possibile.
  • La modernità risolve i suoi problemi con soluzioni ancora peggiori dei problemi.
  • La morte di Dio, è una falsa notizia messa in giro dal diavolo che mentiva sapendo di mentire.
  • La personalità di questi tempi è la somma di ciò che fa colpo sugli stupidi.
  • La più grande astuzie del male è travestirsi da dio domestico e discreto, familiare e rassicurante.
  • La ragione è una mano premuta sul petto a placare il battito del nostro cuore disordinato.
  • La religione non è nata dall'esigenza di assicurare solidarietà sociale, come le cattedrali non sono state edificate per incentivare il turismo.
  • La saggezza consiste semplicemente nel non insegnare a Dio come si debbano fare le cose.
  • La sensualità è la possibilità permanente di riscattare il mondo dalla prigionia della sua insignificanza.
  • La sensualità è la presenza del valore nel sensibile.
  • La società moderna si concede il lusso di tollerare che tutti dicano ciò che vogliono perché oggi, di fondo, tutti pensano allo stesso modo.
  • La tecnica mutila ogni desiderio che soddisfa.
  • La tirannia di un individuo è preferibile al dispotismo della legge, perché il tiranno è vulnerabile mentre la legge è incorporea.
  • La tirannia più esecrabile è quella che adduce principi degni di rispetto.
  • La "volontà generale" è la finzione che consente al democratico di sostenere che per inchinarsi di fronte ad una maggioranza c'è un'altra ragione oltre la semplice paura.
  • Le architravi secolari poggiano sulle spalle solitarie.
  • Le categorie sociologiche autorizzano a circolare nella società senza curarsi dell'individualità insostituibile di ciascun uomo. La sociologia è l'ideologia della nostra indifferenza verso il prossimo.
  • Le civiltà muoiono per l'indifferenza verso i valori peculiari che le fondano.
  • Le frasi sono pietruzze che lo scrittore getta nell'animo del lettore. Il diametro delle onde concentriche che esse formano dipende dalle dimensioni dello stagno.
  • Le perversioni sono diventate parchi suburbani frequentati in famiglia dalle moltitudini domenicali.
  • Limitando il nostro uditorio limitiamo i nostri passi falsi. La solitudine è l'unico arbitro incorruttibile.
  • Lo psicologo abita i sobborghi dell'anima, come il sociologo la periferia della società.
  • Lo specialista asseconda la propensione delle scienze a trasformarsi in ideologie. Al fine di occupare posizioni di comando, lo specialista attribuisce alla propria specialità una superiorità fittizia che il profano, intimidito dall'esoterismo di ogni specializzazione, non osa contestare.
  • Lo Stato moderno fabbrica le opinioni che poi raccoglie rispettosamente sotto il nome di opinione pubblica.
  • Lo storico democratico insegna che il democratico uccide solo perché le sue vittime lo costringono a farlo.
  • Malgrado l'intrusione di fronzoli tecnici nelle lettere, gli artifici estetici non sono strumenti di laboratorio ma trappole per dare la caccia agli angeli.
  • Maturare non vuol dire rinunciare alle nostre aspirazioni, ma accettare che il mondo non è obbligato a soddisfarle.
  • Mille sono le verità, uno solo l'errore.
  • Nel correggere la naturale ambivalenza dei sentimenti, la ragione li corrompe, mutilando così l'universo.
  • Nel nostro secolo ogni impresa collettiva edifica prigioni. Solo l'egoismo ci impedisce di collaborare ad atti infami.
  • Nessuna idea che ha bisogno d'appoggio lo merita.
  • Nessuno sa esattamente cosa vuole finché il suo avversario non glielo spiega.
  • Nietzsche sarebbe l'unico abitante nobile di un mondo derelitto. Solo la sua scelta potrebbe esporsi senza vergogna alla resurrezione di Dio.
  • Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo.
  • Non c'è fraternità politica che valga un odio condiviso.
  • Non c'è retorica che prolunghi l'amore tra le anime oltre l'istante in cui la carne si placa.
  • Non è la sensualità che allontana da Dio ma l'astrazione.
  • Non l'originalità della dottrina ma la divinità di Cristo determina l'importanza del cristianesimo.
  • Non parlo di Dio, per convertire qualcuno, ma perché è l'unico tema di cui valga la pena parlare.
  • Non riuscendo a realizzare le sue aspirazioni, il "progresso" chiama aspirazione ciò che si realizza.
  • Nulla è più pericoloso che risolvere problemi transitori con soluzioni permanenti.
  • Oggi a partecipare si finisce per essere complici.
  • Ogni bene che si possa dimostrare è un bene a metà. Il Bene si può solo mostrare.
  • Ogni civiltà è un dialogo con la morte.
  • Ogni nuova generazione accusa le generazioni precedenti di non aver redento l'uomo. Ma l'abiezione con cui la nuova generazione si adatta al mondo, dopo il fallimento di turno, è proporzionale alla veemenza delle sue accuse.
  • Ogni verità è un rischio che ci pare valga la pena di correre.
  • Pensare come i nostri contemporanei è la ricetta della prosperità e della stupidità.
  • Per Dio non ci sono che individui.
  • Per sfidare Dio l'uomo gonfia il proprio vuoto.
  • Pochi uomini sopporterebbero la propria vita se non si sentissero vittime della sorte.
  • Quando le cose ci sembrano essere solo quel che sembrano, presto ci sembreranno essere ancora meno.
  • Quando si è giovani si teme di passare per stupidi; nell'età matura si teme di esserlo.
  • Quanto più gravi sono i problemi, tanto maggiore è il numero di inetti che la democrazia chiama a risolverli.
  • Quanto più una cosa è importante, tanto meno importa il numero dei suoi difensori. Se per difendere una nazione c'è bisogno di un esercito, per difendere un'idea basta un solo uomo.
  • Questo secolo di pedagogia proletaria predica la dignità del lavoro, come uno schiavo che calunnia l'ozio intelligente e voluttuoso.
  • Questo secolo sprofonda lentamente in un pantano di sperma e di merda. Per maneggiare gli avvenimenti attuali gli storici futuri dovranno mettersi i guanti.
  • Respiro male in un mondo non attraversato da ombre sacre.
  • Rifiutare di stupirsi è il contrassegno della bestia.
  • Riformare la società per mezzo di leggi è il sogno del cittadino incauto e il preambolo discreto di ogni tirannia
  • Ritenere di non avere pregiudizi è il più comune dei pregiudizi.
  • Sarebbe interessante verificare se c'è mai stata predica che non sia sfociata in assassinio.
  • Se Dio fosse il punto d'arrivo di un ragionamento, non sentirei alcuna necessità di adorarlo. Ma Dio non è solo la sostanza di ciò che spero, è anche la sostanza di ciò che vivo.
  • Sensuale, scettico e religioso non sarebbe una cattiva definizione di ciò che sono.
  • Si comincia scegliendo perché si ammira e si finisce ammirando perché si è scelto.
  • Società totalitaria è il nome volgare di quella specie sociale la cui denominazione scientifica è società industriale.
  • Soggettivo è quel che un solo soggetto percepisce, oggettivo quel che tutti i soggetti percepiscono: perciò sia l'oggettività che la soggettività possono essere tanto reali quanto fittizie.
  • Solo se ci contraddicono possiamo affinare le nostre idee.
  • Tra i moderni succedanei della religione forse il meno abietto è il vizio.
  • Tutto ci sembra caotico tranne il nostro disordine.
  • Un libro che non abbia Dio, o l'assenza di Dio, come protagonista clandestino, è privo d'interesse.
  • Una convinzione si irrobustisce solo quando la nutriamo di obiezioni.
  • Visto dall'interno, niente è completamente vuoto.
  • Vive la sua vita solo chi la osserva, la pensa e la dice: gli altri, è la vita che li vive.
  • Vivere è l'unico valore della modernità. Perfino l'eroe moderno muore esclusivamente in nome della vita.
  • Nulla è più difficile del non fingere di capire.
  • L'amore è l'organo con cui percepiamo l'inconfondibile individualità degli esseri.
  • La libertà non è un fine, è un mezzo. Chi la scambia per un fine, quando la ottiene non sa che farsene.
  • Le verità non stanno entro la circonferenza di un cerchio il cui centro è l'uomo. Le verità si stagliano in luoghi impervi: l'uomo si aggira seguendo i meandri di un sentiero sinuoso che le rivela, le occulta, e alla fine le mostra o le nasconde.
  • Man mano che cresce lo Stato decresce l'individuo.
  • Spesso il pensare si riduce a inventare ragioni per dubitare dell'evidente.
  • Qualsiasi filosofo risulta indecifrabile per chi ne indaghi le risposte senza conoscerne prima le domande.
  • Le perfezioni di chi amiamo non sono finzioni dell'amore. Amare è, al contrario, il privilegio di accorgersi di una perfezione invisibile agli occhi degli altri.
  • Solo delle cause perse si può essere partigiani irriducibili.
  • È facile convertirsi a una teoria ascoltando il difensore della teoria contraria.
  • L'idea intelligente produce piacere sensuale.
  • Il libro non educa chi lo legge allo scopo di educarsi.
  • La radicale opposizione tra gli uomini si svela nel fatto che, parlando del piacere, gli uni decollano verso la metafisica e gli altri scivolano verso la fisiologia.
  • L'interlocutore incoerente è più irritante dell'interlocutore ostile.
  • Non la sintesi, ma la tensione dei contrari appaga l'intelligenza.
  • La vita dell'intelligenza è un dialogo tra il personalismo dello spirito e l'impersonalismo della ragione.
  • L'ironista diffida di ciò che dice senza per questo credere che sia vero il contrario.
  • Solo una cosa non è vana: la perfezione sensuale dell'istante.
  • Grande scrittore è quello che intinge in inchiostro infernale la penna che strappa dall'ala di un arcangelo.
  • Vorremmo che certi dipinti ci invitassero dentro il quadro per partecipare al loro modo di essere.
  • L'ortodossia è la tensione tra due eresie.
  • Dio è la condizione trascendentale dell'assurdità dell'universo.
  • Chiunque non confidi nell'uomo è, in fondo, un cristiano.
  • Per il lettore che sa leggere tutta la letteratura è contemporanea.
  • È sufficiente l'impatto di un verso per far esplodere i detriti che seppelliscono l'anima.
  • La prolissità non è un eccesso di parole, ma una carenza di idee.
  • Chi si ostina a voler capire più di quel che c'è da capire capisce meno di tutti.
  • Tutte le dimostrazioni deludono, come tutti i sogni realizzati. L'incertezza è il clima dell'anima.
  • Coltivare la lucidità è il fine della cultura.
  • I conflitti interiori rompono la crosta di indifferenza che l'anima oppone alle verità che l'assediano.
  • Alla mente da lei prescelta l'intelligenza dona tutto, tranne la certezza di essere intelligente.
  • Lo stupido si interessa delle idee altrui solo quando sfiorano le sue tribolazioni personali.
  • Chi non teme che il più banale dei suoi momenti presenti diventi in futuro un paradiso perduto?
  • La verità nasce nell'anima che si agita in mezzo al silenzio delle cose.
  • La società del futuro: una schiavitù senza padroni.
  • L'intelligenza si inventa coerenze per dormire sonni tranquilli. Fin quando non irrompe l'assurdo.
  • L'arte non annoia mai perché ogni opera è un'avventura senza preliminari garanzie di riuscita.
  • Il mistero è meno inquietante del fatuo tentativo di eliminarlo attraverso spiegazioni stupide.
  • Ci sono uomini che alla loro intelligenza fanno visita, e altri che vi dimorano.
  • Quando lo spirito si adagia per assopirsi in una «armonia più alta», il rumore del conflitto lo risveglia.
  • Al cospetto di ogni verità un'angoscia segreta ci pervade.
  • Tra avversari intelligenti c'è una simpatia segreta, giacché tutti dobbiamo la nostra intelligenza e le nostre virtù alle virtù e all'intelligenza del nostro nemico.
  • L'uomo più disperato è solamente colui che meglio nasconde la sua speranza.
  • Ogni verità è tensione tra evidenze contrarie che esigono simultaneo rispetto.
  • Delle persone che amiamo ci basta l'esistenza.
  • Lo sguardo disinfettante dell'intelligenza è l'unica profilassi contro le purulenze della vita.
  • La coerenza di un discorso non è prova di verità ma solo di coerenza. La verità è la somma di evidenze incoerenti.
  • Basta un briciolo di perspicacia per diffidare delle proprie idee senza per questo affidarsi alle idee altrui.
  • Invecchiare è una catastrofe del corpo che la nostra codardia trasforma in catastrofe dell'anima.
  • Solo da una lettura ininterrotta, ratificata da una seconda lettura, può nascere un giudizio assennato su un libro.
  • Un'evidente stupidaggine non certifica la stupidità del suo autore. È sufficiente affidarsi all'automatismo della ragione per sfociare logicamente in impavide scemenze.
  • La banalizzazione è il prezzo della comunicazione.
  • I libri non sono strumenti di perfezione, ma barricate contro il tedio.
  • Sulla nostra vita influiscono solo piccole verità, minuscole illuminazioni.
  • Lo stupido, non comprendendo l'obiezione che lo confuta, si sente da essa rafforzato.
  • Viviamo perché non ci guardiamo con gli occhi con cui gli altri ci guardano.
  • La parola non è stata data all'uomo per ingannare, ma per ingannarsi.
  • Predicano le verità in cui credono o le verità in cui credono di dover credere?
  • La fede incapace di ridere di se stessa deve dubitare della propria autenticità. Il sorriso è ciò che dissolve il simulacro.
  • Soltanto i personaggi dei romanzi mediocri risolvono i loro problemi.
  • L'unica imparzialità su cui fare affidamento è quella dell'anima da cui si ode un agitarsi di fiere.
  • La spiegazione incapace di rendere più misterioso ciò che spiega è una spiegazione fallita.
  • Il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga.
  • L'autentico umanesimo si edifica sulla consapevolezza delle insufficienze umane.
  • La lucidità della coscienza è privilegio di coloro che sono privi della stoltezza necessaria alle convinzioni dominanti.
  • L'uomo vive dei suoi problemi e muore delle sue soluzioni.
  • La continuità dell'Occidente si è interrotta da quando il libro antico ha smesso di contenere insegnamenti per diventare documenti.
  • Ciò che la ragione giudica impossibile è l'unica cosa in grado di appagare il nostro cuore.
  • A seconda del lettore, e del libro, si tratta di lettura o di avventura.
  • Un corpo nudo risolve tutti i problemi dell'universo.
  • Il ridicolo è il tribunale supremo della nostra condizione terrena.
  • Non appena le norme che ci rendono civili si allentano, il popolo servile, che grugnisce in ciascuno di noi, scatena i suoi torvi appetiti.
  • Non è stato un Dio ventriloquo a ispirare la Bibbia. La voce divina attraversa il testo sacro come un vento tempestoso il folto di un bosco.
  • Le idee sembrano frutto di improvvisi squilibri del cervello, che rapidamente torna alla sua stolida stabilità.
  • Non vorremmo limitarci ad accarezzare il corpo amato, ma essere la carezza stessa.
  • L'artista coglie nel segno per ragioni che ignora.
  • Lo scetticismo è l'umiltà dell'intelligenza.
  • Ogni scrittore glossa all'infinito il suo breve testo originale.
  • L'uomo è un animale che immagina di essere uomo.
  • Il critico coglie nel segno con argomenti assurdi e prende cantonate con ragionamenti coerenti. La grande critica d'arte è un abuso efficace della ragione.
  • È sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita.
  • Il modo in cui certuni predicano i «valori spirituali» fa automaticamente dubitare della loro rettitudine.
  • Invecchiare con dignità è un compito da svolgere istante per istante.
  • Tutto ci sembra caotico tranne il nostro disordine.
  • Più che ragioni per credere, ci sono ragioni per dubitare del dubbio.
  • Lo scetticismo non è la tomba dell'intelligenza, bensì la fonte che la ringiovanisce.
  • Lo scetticismo autentico aspetta serenamente senza erigere idoli surrettizi.
  • Arte popolare è l'arte del popolo che al popolo non sembra arte. Quella che gli sembra arte è arte volgare.
  • L'intelligenza tende all'imbecillità come i corpi tendono al centro della terra.
  • Il discepolo non possiede né soluzioni né problemi, ma solo un vocabolario. La sua funzione si riduce a formulare banalità nel lessico del maestro.
  • Una convinzione che non poggi su palafitte scettiche sprofonda.
  • L'uomo comune erra nell'oscurità, il filosofo si sbaglia alla luce del sole.
  • Nei Paesi borghesi come in terra comunista l'«evasione dalla realtà» è deplorata in quanto vizio solitario, perversione debilitante e abietta. […] Tale «evasione» è la fugace visione di splendori perduti e la probabilità di un verdetto implacabile sulla società attuale.
  • Amare è sentire la pressione del corpo assente contro il nostro.
  • L'adesione al comunismo è il rito che permette all'intellettuale borghese di esorcizzare la sua cattiva coscienza senza abiurare il suo essere borghese.
  • Le incertezze del maestro sono le certezze del discepolo.
  • L'intelligenza vive finché non preferisce le sue soluzioni ai suoi problemi.
  • Il male, come gli occhi, non vede se stesso. Tremi colui che si vede innocente.
  • Il credente non è possessore di eredità iscritte al catasto, ma comandante che avvista le coste di un continente inesplorato.
  • L'uomo intelligente è quello che mantiene la sua intelligenza a una temperatura indipendente dalla temperatura dell'ambiente in cui vive.
  • Lo stupido non si rassegna all'esistenza dell'insolubile: falso problema o problema risolvibile domani, questo è il suo dilemma.
  • Gli individui, come le nazioni, hanno virtù diverse e identici difetti. Nostro patrimonio comune è la viltà.
  • Il nulla è l'ombra di Dio.
  • Diffidiamo di chi vive andando a caccia di argomenti per convincere gli altri. L'intelligenza ha per unica ambizione convincere se stessa.
  • Il naturale e il sovrannaturale non sono piani sovrapposti ma fili intrecciati.
  • L'età adulta del pensiero non è determinata né dall'esperienza né dagli anni, ma dall'incontro con certe filosofie.
  • La maggior parte delle filosofie sono ostacoli che è possibile aggirare con una deviazione di percorso, ma alcune, poche, sono catene montuose che si è costretti ad attraversare.
  • Non c'è vittoria spirituale che non sia necessario ogni giorno vincere di nuovo.
  • Rassegnarsi all'errore è il principio della saggezza.
  • Nessuno merita il nostro interesse più di un istante, o meno di una vita.
  • L'adolescente non perdona gli scrittori letti da suo padre.
  • L'amore è essenzialmente adesione dello spirito a un corpo nudo.
  • Respingiamo l'abominevole esortazione a rinunciare all'amicizia e all'amore per evitare la sventura. Mescoliamo piuttosto le nostre anime come intrecciamo i nostri corpi. Che la persona amata sia la terra delle nostre radici divelte.
  • Quando l'amore raggiunge la sua perfetta maturità, l'impudicizia è la sua unica espressione adeguata.
  • Dicesi problema sociale la necessità di trovare un equilibrio tra l'evidente uguaglianza degli uomini e la loro evidente disuguaglianza.
  • Convincere chi ha opinioni proprie è facile, ma nessuno convince chi sostiene opinioni altrui. Nessuno si aggrappa tanto alle proprie opinioni quanto colui che è solamente l'eco dell'epoca in cui vive.
  • Il mondo dei sensi è una molecola di polvere in un torrente di acque invisibili.
  • Il paganesimo è l'altro Antico Testamento della Chiesa.
  • Ogni verità va dalla carne alla carne.
  • In filosofia il nuovo non è un albero nuovo, ma un nuovo germoglio primaverile.
  • L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza; non crede, si rifugia in un dogma.
  • Si deve leggere solo per scoprire ciò che va eternamente riletto.
  • Basta la grazia imprevista di un sorriso intelligente a far volare via gli strati di tedio depositati dai giorni.
  • Erotismo, sensualità, amore, quando non convergono in una stessa persona non sono altro, isolatamente, che una malattia, un vizio, una stupidità.
  • Una vocazione genuina porta lo scrittore a scrivere solo per sé: dapprima per orgoglio, poi per umiltà.
  • L'anima deve aprirsi all'invasione di ciò che le è estraneo, rinunciare a difendersi, favorire il nemico, affinché il nostro essere autentico sorga e si mostri, non come una fragile costruzione protetta dalla nostra timidezza, ma come la nostra rocca, il nostro granito incorruttibile.
  • Ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare chicchessia è il primo passo verso la saggezza.
  • Quanto più l'uomo crede di essere libero, tanto più facile è indottrinarlo.
  • Amare è fare la ronda senza posa intorno all'impenetrabilità di un essere.
  • L'uomo non è padrone della propria intelligenza: ne riceve semplicemente le visite.
  • Le prove dell'esistenza di Dio abbondano per chi non ne ha bisogno.
  • Compito dell'immaginazione è la redenzione della realtà.
  • La sensualità è la possibilità permanente di riscattare il mondo dalla prigionia della sua insignificanza.
  • La ragione è una mano premuta sul petto a placare il battito del nostro cuore disordinato.
  • Il sorriso dell'essere che amiamo è l'unico rimedio efficace contro il tedio.
  • L'unica cosa che amiamo nella vita sono le presenze che l'attraversano come messaggere d'altri mondi.
  • Non potendo parlare sempre della morte, tutti i nostri discorsi sono banali.
  • Appartengono alla letteratura tutti i libri che si possono leggere due volte.
[Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, a cura di Franco Volpi, traduzione di Lucio Sessa, Adelphi, Milano 2001.]

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«Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole»

"Poco e buono" e 
"meglio un fiore che accumulare tanta materia".

"Il dire breve è migliore che 'lungo"

sabato 8 marzo 2014

Nicolás Gómez Dávila: "il peso di questo mondo si può sopportare solo in ginocchio"






Articoli e note firmate

GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 298 (2000)

Un contro-rivoluzionario cattolico iberoamericano nell’età della Rivoluzione culturale: il "vero reazionario" postmoderno Nicolás Gómez Dávila

1. Il "quinto viaggio di Colombo", dalla "selva" divenuta rifugio d’uomini alla "città" trasformata in selva
Il 6 giugno 1995 un maestro del pensiero cattolico contro-rivoluzionario nel secolo XX, Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) (1), licenziava uno dei suoi ultimi scritti, la prefazione alla prima edizione polacca della sua opera principale, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (2), con queste parole conclusive: "Indubbiamente, il caos che sta avvolgendo gli avvenimenti umani — che preannunciano, a mio modo di vedere, il passaggio da un’epoca storica a un’altra — esige nella loro analisi uno spirito di adeguamento. Nella prospettiva della corretta interpretazione di questi avvenimenti offro al pubblico polacco la presente opera come strumento utile di orientamento di chi, in questi giorni pieni d’incertezza, vuole solamente servire la causa cattolica. La Madonna di Czestochowa, patrona della Polonia, voglia benedire questo sforzo" (3). Il 3 ottobre dello stesso anno il pensatore e leader brasiliano chiudeva la sua avventura terrena.

Da allora i fatti, e le situazioni da essi determinate, hanno solamente confermato l’ipotesi del "passaggio da un’epoca storica a un’altra", nello stesso tempo facendo crescere la consapevolezza della corrispondente indispensabilità di "uno spirito di adeguamento nella loro analisi". La formale denuncia dell’ingresso nella fase finale di quanto sopravviveva nell’Occidente della Cristianità romano-germanica, nella formulazione catechistica — meglio, forse, aforismatico-catechistica — propria dello stesso Corrêa de Oliveira, risaliva alla seconda metà degli anni 1970. Precisamente nel 1977 veniva pubblicata — in italiano in prima edizione mondiale — la terza parte dell’opera citata, parte appunto dedicata a far "sospettare" — attraverso l’artificio pedagogico e propagandistico costituito da una domanda retorica a risposta obbligatoriamente affermativa — l’ingresso in tale fase storica, indicata come IV Rivoluzione o Rivoluzione culturale ed emblematicamente collegata al Maggio francese del 1968 (4), in questo modo aprendo sempre più alla prospettiva, per altro già evocata in precedenza, di una "Cristianità nuova" (5). Si tratta di una fase storica ambigua che costituisce apogeo della cosiddetta modernità — esito della Rivoluzione o della secolarizzazione, entrambi motori di un processo globalmente culturale e cinque volte secolare (6) —, ma si presenta anche come postmodernità, come istituzionalizzazione della modernità, come tempo in cui la modernità si è fatta tanto dominante da essere ovvia, perdendo in aggressività "forte" ma acquistando in corrosività "debole". Inoltre, è tempo nel quale è pure possibile, latente quasi, una contestazione della modernità stessa, una reazione a essa, che può giungere — fra l’altro — a una "testimonianza novissima di cristiana civiltà" (7).

Nello stessa area geografica e culturale, cioè sempre in Iberoamerica, non molto più di un anno prima, il 17 maggio 1994, aveva chiuso la propria esistenza terrena un esponente a più titoli "monastico" della stessa cultura cattolica, il colombiano Nicolás Gómez Dávila, lasciando un legato caratterizzato per certo da un tale "spirito di adeguamento", un’opera coerente con un giudizio, che può costituire iscrizione su uno dei suoi possibili portali, quindi su uno degli "ingressi" a essa:"Penetriamo nuovamente — aveva affermato l’autore in un’opera edita nel 1977 — in epoche che non aspettano dal filosofo né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma la costruzione di rifugi contro l’inclemenza del tempo" (8). E tali "rifugi contro l’inclemenza del tempo"paiono essere verosimilmente quei "covili d’uomini" ricavati dalle selve (9) e contrapposti da Giambattista Vico (1668-1744) alle "selve delle città" (10), alle città divenute selvagge, sì che appunto gli uomini che tali "covili" abitano vengono qualificati come selvaggi (11), come "omini salvatici", "uomini dei boschi" (12) — insieme abitanti della selva e "coloro che si salvano" (13) —, dagli abitanti delle città inselvatichite, quindi richiamano quelle "catacombe attuali" di cui parlava nel 1974 un altro pensatore cattolico iberoamericano, l’argentino Alberto Caturelli, come di "cavità sotterranee" e "invisibili dalla superficie del "mondo"" (14).

Nel 1992, lo stesso Caturelli ricordava, in un mirabile scritto di circostanza — ma quale circostanza e, anche, quale scritto! —, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale (15), il cinquecentesimo anniversario della scoperta del continente americano. E introduceva una categoria storico-culturale particolarmente suggestiva e felice, quella del "quinto viaggio di Cristoforo Colombo [1451 ca.-1506]""Sembra — scriveva — che sia rimasto sospeso il quinto viaggio dell’Ammiraglio. Cinque secoli dopo la scoperta [...] ho l’impressione che si renda necessario un nuovo viaggio, ma in senso contrario ai primi quattro. Benché il corpo dell’Ammiraglio riposi in terra di Spagna, lo spirito colombiano, prendendo la rotta del secondo Mediterraneo o del mare Oceano, deve dare inizio ad un nuovo viaggio, che ha come punto di partenza il Nuovo Mondo. Sarebbe non un viaggio di scoperta, bensì diritorno; l’Ammiraglio non pianterà la croce a Guanahaní, bensì sulle spiagge dell’Iberia e del Vecchio Mondo. Nel 1492 partì verso l’ignoto[...] e scoprì il Nuovo Mondo [...]; ritornando, l’Ammiraglio Cristoforo avrà compiuto la sua missione, poiché, come diceva [...], Dio "concede a tutti coloro che percorrono i suoi sentieri di ottenere ciò che appare impossibile". E l’impossibile non sarà la scoperta, ma la riconversione del Vecchio Mondo a Cristo.

"Perciò "la cristianità del Nuovo Mondo" [...] nel mondo d’oggi deve compiere due missioni essenziali, analoghe a quelle che portarono a termine i missionari del secolo XVI. Negli idoli del mondo contemporaneo, benché siano per natura opposti al Dio vivo, si riconosce presente il Deus absconditus, che combatte per essere riconosciuto. Perciò è necessaria una progressiva demitizzazione della società contemporanea. Più propriamente dovremo dire: una deideologizzazione della civiltà attuale [...].
"Il processo di de-ideologizzazione è in tal caso incommensurabilmente più arduo, perché non si tratta dell’idolatria dei pagani, ma della neo-idolatria degli apostati [...]: il mondo dell’attuale neo-illuminismo è un mondo recidivo, apostata, che offre sacrifici a nuovi idoli [...]. Quindi lo spirito cristoforo e missionario esige la distruzione degli idoli [...] e la conseguente penitenza" (16).

Dunque, il quinto viaggio colombiano suggerito da Caturelli dev’essere compiuto non più per descrivere a chi è rimasto in Europa i pur straordinari spazi naturali, contrastanti con quelli angusti del Vecchio Continente (17), o per narrare loro pur eroiche gesta — da quelle umane della scoperta e della conquista a quelle spirituali dell’evangelizzazione —, ma per ricordare un "mondo" e le sue strutture portanti a chi da esse si è tanto allontanato da perderne non solo la consapevolezza ma perfino il ricordo, un "modo d’essere" di una comunità umana nel tempo, una civiltà insomma, quasi accompagnandone l’eco alla sua fonte storica: e l’eco culturale, per sua natura, sembra non trasmettere né complete linee melodiche né particolari sonori, ma Leitmotiv, "temi dominanti". Così, con diversa intensità, il modo del ricordo s’accompagna, quasi "distillandosi" in aggressività, all’"iracundia legionum" — la "collera delle legioni" (18) —, al risentimento di chi è stato abbandonato ai confini, in periferia, mentre al centro venivano prima tradite e poi dimenticate, quando non combattute, la vocazione originaria e le ragioni della missione (19). E l’attaccamento sempre rinnovato a "tutto quanto è stato portato dalla madrepatria" non produce solo aggressività verso chi per primo ha tradito, ma s’esprime anche in "comprensione" storica e in umana e protettiva "compassione" verso chi — per così dire — è stato indotto a "tradire per non dimenticare", dando così corpo a un atteggiamento non soltanto iberoamericano, ma globalmente americano (20), riscontrabile pure in un’altra marca di confine, in un’altra frontiera (21), la Polonia (22), non definita dal "mare Oceano" ma sulle rive di un non meno vasto "oceano terrestre" (23), l’Asia. Inoltre, tale aggressività contribuisce alla qualità della sintesi e alla penetrazione critica dell’approfondimento.

Ebbene, così come fra i protagonisti — cioè fra gli attori principali — del "quinto viaggio di Colombo" si collocano per certo, con altri, Corrêa de Oliveira e Caturelli, fra loro, a pieno titolo, può essere classificato anche Gómez Dávila.

2. Un ricco eremita in casa propria: il "certosino dell’altopiano"

Nicolás Gómez Dávila nasce il 18 maggio 1913 in Colombia, a Cajicá, nel dipartimento di Cundinamarca, di cui è capoluogo la capitale dello Stato iberoamericano, Santa Fe de Bogotá, da una famiglia dell’alta società. Non si laurea e della sua formazione si possono considerare regolari solo gli studi medi superiori compiuti privatamente, sotto la guida di precettori, durante una lunga permanenza in Francia, dai sedici ai ventidue anni.
La sua naturale avidità intellettuale si esprime fin da subito nelle pratiche della lettura e della riflessione, confermate e trasformate — per così dire — da stile di vita in destino a causa di un grave incidente occorsogli giocando a polo, incidente che lo relega, dai primi anni 1960, in casa propria, "ubicata in un’affollata via di Bogotá, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la routine sembra condannare alla dimenticanza, nonostante la sua isolata bellezza": in questi termini Óscar Torres Duque, uno dei suoi pochi critici, ne descrive suggestivamente l’abitazione, in stile Tudor (24). Così Gómez Dávila vive quasi trent’anni come in clausura, da"certosino dell’altopiano" — la felice definizione è dello stesso critico (25) e l’altopiano è quello dov’è situata Santa Fe de Bogotá, a 2630 metri d’altitudine —, nella "cella" costituita dalla sua monumentale biblioteca, di oltre quarantamila volumi, soprattutto in lingua originale — rifiutava le traduzioni —, greco, latino, tedesco, inglese, portoghese, francese, italiano e, naturalmente, spagnolo. Vi riceve una mezza dozzina d’interlocutori — fra essi il critico e scrittore Hernando Téllez (1908-1966) (26), il dotto frate minore Félix Wilches (1905-1972) (27) e l’uomo politico conservatore e diplomatico Douglas Botero Boshell (1916-1997) (28) — e l’abbandona quasi solo per la "cappella", la chiesa del convento francescano de La Porciúncula, nella stessa via.
Muore il 17 maggio 1994, mentre s’appresta a studiare il danese per accostare Søren Kierkegaard (1813-1855), lasciando la moglie, María Emilia Nieto de Gómez, tre figli e diversi nipoti.

3. Gli scritti: "glosse a un testo implicito"

Di fatto Gómez Dávila è autore di una sola grande opera continua,Escolios a un texto implícito, la cui pubblicazione inizia nel 1977 in due volumi con questo titolo complessivo (29); prosegue nel 1986 con altri due volumi, Nuevos escolios a un texto implícito (30); e si conclude nel 1992 con un volume, Sucesivos escolios a un texto implícito (31). Tutti questi volumi hanno la stessa struttura e sono frutto della stessa concezione: una sequenza di escolios, di "glosse", di genere ampiamente anticipate, con il modesto titolo di Notas, nel 1954 in un’edizione privata in Messico (32), quindi, nel 1956, sulla rivista d’avanguardia colombianaMito (1955-1962), fondata e diretta dal poeta e saggista "libertario", di origine spagnola, Jorge Gaitán Durán (1925-1962). In apparenza diverso è il volume Textos I, del 1959 (33), un testo unico con qualche suddivisione — poi, sembra, "svanito" nella stessa consapevolezza dell’autore (34) —, che raccoglie pensieri non brevi, analogo ad altri scritti con carattere d’eccezione dal punto di vista formale, i saggi Il vero reazionario (35) e De Jure (36). Ma in Notas e in Textos I sono già presenti i caratteri delle glosse, meno il "testo implicito": un pensiero libero e concentrato e un’espressione ricercata.

4. La fortuna dello "scrittore reazionario" o la "celebrità discreta"

Gli scritti del pensatore colombiano vengono proposti al pubblico nonostante la sua ritrosia e solo grazie all’interessamento dei pochi ma fedelissimi amici. Del resto — la notazione è dello stesso Gómez Dávila —, "lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento che non si può ingraziare gl’imbecilli" (37).
La letteratura critica è limitata a qualche saggio quando non a rievocazioni giornalistiche, talora — peraltro — particolarmente efficaci (38). I suoi scritti e il suo pensiero hanno però trovato eco nel mondo di lingua tedesca, negli anni 1980, grazie a un’editrice conservatrice viennese (39), così acquisendo fra i suoi estimatori lo scrittore Ernst Jünger (1895-1998), il saggista Erik Maria von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999) e il filosofo Robert Spaemann. Sono pure riferibili i giudizi di ben altrimenti noti scrittori suoi compatrioti. Il romanziere e poeta Álvaro Mutis Jaramillo — uno dei suoi frequentatori — parla di Escolios a un texto implícito come di "un capolavoro del pensiero occidentale" (40), una "[...] vasta summa di sapere, disseminata [...] di allusioni e di elusioni, la cui piena utilizzazione supporrebbe lunghe veglie con i testi essenziali della nostra eredità ebraica, ellenica, romana, cristiana e occidentale" (41); e la definisce "opera superba che presenta nello stesso tempo una feconda teoria della storia e un’inconfutabile dottrina politica, un’essenziale meditazione sulla poesia e un non meno definitivo esame del pensiero metafisico e teologico" (42), tale da essere — prevede — motivo di scandalo per gli "[...] eredi della tradizione liberale e democratica nata con la riforma protestante, incubata nel secolo dei lumi e battezzata con il sangue nelle giornate del 1789" (43), ma atta a essere utilizzata anche dall’uomo qualunque, come afferma con espressione italiana (44), dal momento che, per quanto "inconsueta e vasta" (45), "[...] concerne anche i nostri affari di tutti i giorni" (46). E del romanziere Gabriel García Márquez viene citata l’impegnativa affermazione: "Se non fossi comunista, penserei in tutto e per tutto come lui" (47).

4. Il genere letterario: la tecnica "pointilliste" e il "testo breve"

L’opera del pensatore colombiano va esaminata secondo le prospettive formale e contenutistica non per "pregiudizio" critico, ma perché indicate, più che soltanto suggerite, dai titoli generici, prima che spogli, dei suoi volumi, privi di qualsiasi richiamo, costituiti dalla reiterazione di "glosse" e di "testo implicito". Si tratta infatti di consistenti raccolte di pensieri brevi — oltre diecimila —, ai quali l’autore nega la natura di aforismi: "Il lettore non troverà aforismi in queste pagine" (48) — scrive —, "le mie brevi frasi sono i tocchi cromatici di una composizione "pointilliste"" (49). E il riferimento alla tecnica pittorica pointilliste, in una delle prime glosse della prima raccolta, costituisce indicazione ermeneutica fondamentale, che vieta un giudizio non d’insieme sulla "composizione" e sull’"artista" — sua la dichiarazione: "Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico" (50) — e che suggerisce un apprezzamento corrispondente dei singoli "punti", dei singoli "tocchi cromatici""Il discorso continuo — sentenzia — tende a occultare le rotture dell’essere.
"Il frammento è espressione del pensiero onesto" (51). Quanto alle"brevi frasi""un testo breve non è affermazione presuntuosa, ma un gesto che scompare appena abbozzato" (52); e l’aforisma "negato" è però difeso, svelando la consapevolezza della difficoltà di definirlo:"Accusare l’aforisma di esprimere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta" (53); dell’aforisma viene colta l’ambiguità, quindi la funzionalità e la fragilità:"Il vantaggio dell’aforisma sul sistema è la facilità con cui se ne dimostra l’insufficienza.
"Fra poche parole è difficile nascondersi come fra pochi alberi" (54); è denunciata la prolissità — "la prolissità non è eccesso di parole, ma scarsità d’idee" (55) — ed è tessuto l’elogio del testo breve in quanto "poetico", cioè creativo, quindi costruttivo per il lettore: "L’opera frammentaria conquista la propria poesia obbligandoci a completare le sue curve mutilate" (56). Lo "spettro" dell’aforisma va infatti dalla definizione alla massima, alla "degnità" — richiamo Vico (57) —, alla"monografia compressa" — la formula è dello studioso canadese della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1981) a proposito dello stile del suo maestro pure canadese, Harold Adams Innis (1894-1952) (58) —, alla glossa, alla breve osservazione, al rimando, all’appunto, alla nota a margine. Comunque — sentenzia il poeta, scrittore e saggista messicano Gabriel Zaid —, "non vi è saggio più breve di un aforisma" (59), che costituisce retaggio dell’"oralità primaria" (60) ed elemento di una plurisecolare farmacopea spirituale (61), di particolare puntualità in regime di "oralità di ritorno" od "oralità secondaria" (62), perché la"nostalgia di oralità" (63) non danneggi in radice la riflessione, anche nella forma dell’astrazione, e il suo legato variamente sapienziale. InfattiIl teatro della politica. Sentenziosi afforismi della prudenza è titolo di una raccolta di pensieri dell’artista partenopeo Salvator Rosa (1615-1673) (64), che, agli inizi degli anni 1670, pare echeggiare sia gliAforismi politici fondati sopra le favolette di Esopo frigio, del 1646, opera del sacerdote torinese Emanuele Tesauro (1592-1675) (65), siaLa filosofia morale derivata dall’alto fonte del grande Aristotele stagirita, del 1670, pure scritta da quest’ultimo autore (66), ov’è questione di "sentenziosi aforismi della prudenza" (67) e nella quale — osserva il narratore e critico Giuseppe Pontiggia — si "[...] intreccia il complesso nodo di laconismo, medicina e prudenza. Il laconismo, ovvero la brevitas tacitiana, "significa più che non dice; al contrario dell’iperbole, la quale dice più che non significa". Quanto alla medicina, "è curatrice degli animi".
"Brevità, medicina e prudenza si fondono nell’unità dell’aforisma. Forse un passo ulteriore sarebbe scoprire nella figura di Ippocrate [460 ca.-370 ca. a. C.] non solo il centro di una irradiazione, ma l’orizzonte ultimo cui essa tende" (68), conclusione di un itinerario essenziale aperto dalla notazione dello stesso Pontiggia secondo cui "la radice della parola aforisma è la stessa di orizzonte. Il verbo greco horízo significa delimitare" (69).
Dunque, Gómez Dávila scrive glosse a margine, che inducono a "sospettare" un’architettura del loro insieme: infatti, se ne deve quasi immaginare una, nonostante tutto, almeno quanto alla prima raccolta,Escolios a un texto implícito, dal momento che il primo volume di essa si apre con l’indicazione formale citata relativa al "testo breve" e il secondo volume si chiude con un’affermazione insieme personale e contenutistica di grande rilievo: "Non appartengo a un mondo che perisce.
"Prolungo e trasmetto una verità che non muore" (70). Però, se l’architettura è dubbia — o almeno esigua —, non lo è assolutamente il modulo della costruzione: "Perché non mi manchi il tempo e non mi avanzi, la mia opera si solidifica come cristallo d’identica struttura in qualunque dimensione cristallizzi" (71).
Ma, a margine di che cosa "cristallizzano" le glosse? S’impone, oltre la forma e il contenuto di tali glosse, l’identificazione del texto implícito, di cui i critici propongono — in alternativa o in combinazione — quella letterale, stretta, che rimanda a un ampio passo dei Textos I di dura polemica sia con la democrazia come religione — vi si legge che "la democrazia è una religione antropoteista" (72) — che con l’uomo democratico (73), identificazione affermata, per esempio, da Francisco Pizano de Brigard, alla fine degli anni 1960 rettore dell’Universidad de los Andes, di Santa Fe de Bogotá (74); e quella lata, la più diffusa, che identifica tale testo con l’intero corpus culturale dell’Occidente, da Omero ai contemporanei (75).

6. Il "pensiero reazionario"

Se il genere dell’opera favorisce l’apprezzamento anzitutto del paradosso, un’attenzione maggiore permette l’identificazione in essa di una dialettica di tipo vichiano fra "stoltezza" e "sapienza", nascoste dalla varietà delle formulazioni dell’una e dell’altra: "Gli uomini cambiano meno idee che le idee maschere.
"Nel decorso dei secoli dialogano le stesse voci" (76).
Ma "imbecillità", "stupidità" e "follia", oppure, con riferimento temporale, "modernità", possono suggerire nell’autore pura emotività — analoga a quella colta dallo scrittore rumeno, naturalizzato francese, Emil-Michel Cioran (1911-1995) nel "pensiero reazionario" del conte Joseph de Maistre (1753-1821) (77), abusivamente astratto dal suo testo e dal suo contesto — e far dimenticare sia la gamma espressiva che l’espressione singola quando strutturata a paradosso, cioè a figura logica in apparenza assurda in quanto contrastante non solo, eventualmente, con il buon senso, ma, nel caso, con l’opinione corrente, e peraltro atta a decantare in proverbio. E, se nella glossa si realizza la frantumazione di una cultura altamente "alfabetizzata", quale quella propria della modernità, la glossa medesima costituisce anche seme di riflessione, probatum verbum, "detto confermato dall’esperienza", con immediata ricaduta esistenziale e, lato sensu, culturale, sia nel mondo intra-personale che nel rapporto inter-personale, caratteristici della postmodernità.
Dal punto di vista culturale, del pensiero reazionario Gómez Dávila non coglie e non svolge solamente l’ascendenza spagnola — ricordo, anche per la consonanza formale, i Pensamientos varios del marchese di Valdegamás, Juan Donoso Cortés (1809-1853) (78) —, francese o anglosassone, ma pure quella tedesca; quindi procede a un ricupero del romanticismo, non solo del pre-romanticismo della sensibilité e dellasensibility, sia contenutisticamente sia espressivamente, attraverso l’apprezzamento della continuità fra pensiero contro-rivoluzionario e poesia soprattutto ottocentesca. Infatti, "la poesia del secolo XIX è l’eredità che la contro-rivoluzione soffocata ha lasciato alla letteratura"(79), così in qualche modo sinteticamente teorizzando quanto Gonzague de Reynold aveva verificato e documentato negli anni 1920 a proposito di Charles Baudelaire (1821-1867) (80). Sì che — osserva acutamente —, "identificando romanticismo e democrazia, così condannando il romanticismo, Maurras [Charles, 1868-1952] è caduto in un terribile errore.
"Condannando il romanticismo, Maurras condannava il pensiero reazionario e adottava un’ideologia rivoluzionaria in nome della contro-rivoluzione" (81).
Dal punto di vista sostanziale, i temi toccati sono — a grandi linee e senza nessuna pretesa di classificarli in modo esauriente — quelli richiamati da Mutis: teologia e metafisica, storia e politica, nonché arte e letteratura, non dimenticando assolutamente le sapide notazioni di costume. Per certo, dall’opera di Gómez Dávila è impossibile ricavare un sistema, rifuggito tematicamente e consapevolmente dall’autore, come pure ricostruirne — se non molto approssimativamente — il disegno, dal momento che la tecnica pointilliste confessatamente utilizzata accompagna spesso al "tocco cromatico" una lettura braille del reale, di cui sono tastati i rilievi, i nodi, quindi l’autore è primordialmente più attento alla rugosità della tela e alla tela stessa che ai colori con cui la viene qualificando. Comunque, tali rugosità, tali nodi egli segnala sempre crudamente e non si affida mai, per coprirli e tanto meno per scioglierli, ad artifici verbali o espressivi. Quindi, Gómez Dávila si rivela meno guida che compagno di strada ideale: infatti, il tono malesonante, quando non palesemente, esplicitamente e formalmente eterodosso di alcune proposizioni dal punto di vista del dogma cattolico pare perfino teorizzato — "Perfezioniamo l’insolenza delle nostre idee" (82) —, sì che riesce di volta in volta difficile imputarlo con sicurezza all’intentiopolemica, all’espressione paradossale oppure al pensiero; e però — a suo modo — egli è incarnazione della vigilanza filosofica e richiamo costante a tale vigilanza attraverso l’attenzione, che oso definire metodica, al "rovescio della medaglia", di ogni medaglia. Fra questi rovesci di medaglia sottolineo quello in relazione con un "pensiero" cattolico iberoamericano semplicisticamente fatto coincidere con un tomismo di scuola contrastante con la "teologia della liberazione": ebbene, Gómez Dávila sembra suggerire la presenza di un’altra ipotesi, costituita da una linea teologico-filosofica di scuola francescana — peraltro non difficilmente riconducibile alla missione dei dodici frati di san Francesco d’Assisi (1182-1226) inviati da Papa Adriano VI (1522-1523) e dall’imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-1558) a convertire gl’indiani della Nuova Spagna (83) —, non dimentica di ascendenze benedettine, monastiche.
Una sintesi del suo messaggio — di cui l’autore è responsabile solo quanto alla formulazione, ma non per l’uso che ne faccio — potrebbe suonare così: "La saggezza si riduce a non insegnare a Dio come si devono fare le cose" (84) e a vivere l’individualità, l’irripetibilità e la frammentarietà nel mistero: "Contro lo svuotamento moderno del mistero affermiamo la sua presenza inglobante" (85). Ma "la radice del pensiero reazionario non è la sfiducia nella ragione, ma la sfiducia nella volontà" (86); ed "esser reazionario significa voler estirpare dall’anima perfino le ramificazioni più remote della promessa del serpente" (87); quindi l’autore abbozza il pensiero reazionario su tre "cavalletti", suggeriti da un’autoqualificazione: "cattolico, reazionario e retrogrado"(88). Perciò non ha solo dimensioni politiche e culturali, ma radici religiose ed esistenziali: se "la Reazione comincia a Delfi" (89) e se "la Reazione è cominciata con il primo pentimento" (90), "la reazione esplicita comincia alla fine del secolo XVIII; ma la reazione implicita comincia con l’espulsione del diavolo" (91); ed "essere reazionario significa capire che l’uomo è un problema senza soluzione umana" (92). Così i testi brevi sono percorsi da una vena polemica, talora esplicita e dura, in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche — perché "razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo" (93), "la democrazia è la politica della teologia gnostica"(94), "la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica.
"Nell’interpretazione gnostica dell’esperienza mistica si genera la divinizzazione dell’uomo" (95), e "l’ugualitarismo è inferenza gnostica: infatti ogni particella della divinità è ugualmente divina" (96) —, in una prospettiva filosofica e teologica negativa, che richiama quella platonico-tomistica di Josef Pieper (1904-1997) (97); e con un atteggiamento esistenziale così descritto: "Più che cristiano, forse sono un pagano che crede in Cristo" (98), non senza precisare che "il paganesimo è l’altro Antico Testamento della Chiesa" (99) e che, "tanto dopo come prima di Cristo, vi è un paganesimo di precursori e un paganesimo di avversari" (100), ed è fra i primi che l’autore apertamente si schiera.
E a tale vena se ne affianca un’altra, antimoralistica ma non certo antimorale — sulla quale ricade pure la notazione fatta relativamente all’ortodossia cattolica —, percorsa dall’evangelica "prudenza del serpente" da affiancare alla "semplicità della colomba" (101), la cui divisa potrebbe essere "Credere in Dio, confidare in Cristo, guardare con malizia" (102), e la cui espressione è talora non solo dura quanto al contenuto ma pure cruda quanto al modo. Insomma — la dichiarazione è formale —, Gómez Dávila elabora ed espone "un platonismo esistenziale e uno storicismo agostiniano" (103).
Ma l’orizzonte limitato e cupo non alimenta né pessimismo né disperazione, in questo modo rendendo insostenibile sia il richiamo a Cioran, abbastanza ricorrente nei critici — forse richiamo insieme "europeo" e "cosmopolita" ritenuto atto a "giustificare" il diritto di cittadinanza culturale del pensatore colombiano — sia vietando quello, insieme qualificante e squalificante a seconda della fonte, a Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) come topos di cattiva retorica culturale, ma non, per esempio, a quello rivisitato da Gustave Thibon (104) — un autore non privo di analogie sia stilistiche che sostanziali con Gómez Dávila — con l’intento dichiarato di operare una "lenta e prudente integrazione nella sintesi cristiana delle verità psicologiche più intollerabili alla nostra debolezza e al nostro orgoglio" (105), in qualche modo confermando la tesi del pensatore colombiano secondo la quale,"nonostante la sua rabbia contro il cristianesimo, il lignaggio di Nietzsche è incerto.
"Nietzsche è un Saulo che la follia rapisce sulla via di Damasco" (106).

7. Un analogo italiano: l’"omo salvatico" Domenico Giuliotti

Con riferimento a Thibon, ho accennato ad analogie stilistiche e sostanziali dello scrittore e pensatore francese con Gómez Dávila. A questo punto, alcune tematiche e alcuni elementi stilistici presenti nell’opera del pensatore e scrittore colombiano m’indurrebbero a evocare pure il "cabbalista secolarizzato" Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno (1903-1969) e i suoi Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, del 1951 (107). Ma il richiamo a Thibon e altre tematiche e altri elementi stilistici mi suggeriscono, infine e piuttosto, un ultimo rimando, forseall’unico italiano che abbia, fra gli scrittori del secolo XX, non esigui tratti analoghi a quelli di Gómez Dávila, ricordando che "analogia" dice similitudine, non assolutamente "identità", dalla quale si diversifica sottolineando la somiglianza, mentre "equivocità" evidenzia la diversità.
Parlo di Domenico Giuliotti (108), riconoscibile senza difficoltà nell’identikit tracciato almeno da due suggestive glosse quali "Non sono un intellettuale moderno anticonformista, ma un contadino medioevale indignato" (109) e "Canonico oscurantista del vecchio capitolo metropolitano di Santa Fe, acida bigotta di Bogotá, rude agricoltore dell’altopiano, siamo dello stesso genere.
"Con i miei compatrioti attuali ho in comune solo il passaporto" (110). D’altra parte, non si potrebbe definire Gómez Dávila, com’è stato fatto di Giuliotti, "uno scrittore letteratissimno e, nel contempo, antiletterario"(111)?
Alla fama — e alla fortuna — dello scrittore toscano hanno per certo nuociuto e continuano a nuocere non poco sia la dottrina reazionaria — dal 6 novembre 1913 al 21 maggio 1914 ha diretto, con Federico Tozzi (1883-1920), il quindicinale La Torre. Organo della reazione spirituale italiana (112), nel cui primo numero i redattori affermano: "[...] ci professiamo, a scandalo degli stolti, reazionarî e cattolici" (113) — sia la sua classificazione storiografica e critica sul versante della letteratura d’ispirazione religiosa nel movimento letterario, ma non solo letterario, denominato Strapaese. Infatti questa classificazione suggerisce — in prima battuta talora anche all’osservatore vicino, comunque esterno — non tanto la contrapposizione al movimento indicato come Novecento, quanto marginalità sostanziale piuttosto che emarginazione, congiura del silenzio da parte della cultura egemone; quindi provincialismo, cultura limitata, se non addirittura microcefalia. Ma la lettura — per esempio — de L’ora di Barabba, del 1920 (114), delle voci giuliottiane del Dizionario dell’Omo Salvatico, pubblicato nel 1923 in collaborazione con Giovanni Papini (115), di Tizzi e fiamme, del 1925 (116), dei Pensieri di un malpensante, del 1937 (117), dei Nuovi pensieri d’un malpensante, del 1947 (118), e degli Ultimi pensieri di un malpensante, del 1951 (119), nonché le raccolte postume di editi e d’inediti (120) convincono facilmente del contrario. Il giudizio si conferma quando agli scritti si affianchi l’opera culturale: di nuovo per esempio, il saggio Jacopone da Todi (1230/1236-1306), del 1939 (121); la traduzione italiana deL’ornamento delle nozze spirituali del mistico fiammingo Jan van Ruysbroeck (1293-1381) (122), nel 1916; de La Gerarchia celeste di san Dionigi l’Areopagita (123) — l’attribuzione polemica non può sfuggire a chi conosca almeno i termini grandi della questione areopagitica, relativa appunto all’attribuzione "tradizionale" di un corpus di testi, fra cui quello citato, a un personaggio del quale è questione al versetto 34 del capitolo 17 degli Atti degli Apostoli, quindi del secolo I, oppure a uno scrittore cristiano di lingua greca vissuto fra i secoli V e VI (124) —, nel 1921, e finalmente, nel 1948, un’antologia del conte de Maistre, con un’introduzione corposa, almeno secondo i parametri giuliottiani (125), sostanzialmente aforismatici (126).

8. L’"ultima speranza" e l’"ultima parola"

Torno a Gómez Dávila e alle sue qualificanti "ultima speranza" e "ultima parola". Secondo il pensatore colombiano, anche se "la nostra ultima speranza sta nell’ingiustizia di Dio" (127) e "l’unica precauzione sta nel pregare in tempo" (128), poiché "per rinnovare non è necessario contraddire, basta approfondire" (129), e siccome "il peso di questo mondo si può sopportare solo in ginocchio" (130), "l’unica ragione di sperare è stata espressa perfettamente da Huizinga [Johan, 1872-1945] in una delle sue ultime parole: "Per fortuna l’uomo non ha l’ultima parola"" (131).
Giovanni Cantoni

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* Studio ampiamente anticipato, senza note, in Gómez Dávila, certosino dell’altopiano, con un’Antologia daviliana e una Bibliografia sommaria, inPercorsi di politica, cultura, economia, anno IV, n. 26, Roma febbraio 2000, pp. 45-48.
(1) Cfr. indicazioni bio-bibliografiche, in Plinio Corrêa de Oliveira, inCristianità, anno XXIII, Piacenza novembre-dicembre 1995, pp. 5-8; insieme a elementi per una bibliografia in lingua italiana, in Plinio Corrêa de Oliveira, Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua "ministerialità", a mia cura, Thule, Palermo 1998, pp. 45-55.
(2) Cfr. P. Corrêa de Oliveira, Rewolucja i Kontrrewolucja, trad. polacca, Arcana, Cracovia 1998, pp. 19-22; sull’opera in generale, cfr. il mio"Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" quarant’anni dopo, intervista a cura di Juan Miguel Montes Cousiño, in Cristianità, anno XXVII, n. 289, maggio 1999, pp. 17-20, trad. it., di Quatro prestigiosas edições de "Revolução e Contra-Revolução" na Itália, in Catolicismo. Porta-voz da TFP, anno XLIX, n. 580, San Paolo (Brasile) aprile 1999, pp. 12-15.
(3) P. Corrêa de Oliveira, Rewolucja i Kontrrewolucja, cit., pp. 21-22; faccio riferimento all’ed. polacca in quanto unica sede in cui il testo compare a stampa, ma traduco il brano dall’originale in portoghese; infine, traduco l’espressione "espirito atilado" con "spirito di adeguamento", di "aderenza al reale", piuttosto che con "perspicace", per non mutare la metafora soggiacente, dal momento che atilado ha l’area di significato dell’italiano attillatoadti[tu]latus, "adeguato alla dignità nel vestito", quindi aderente alla realtà, analogo a calzantequando si tratta appunto di calzatura, perciò richiama sia la compiutezza e l’irreprensibilità formale che la formula filosoficaadaequatio rei et intellectus per esprimere la concezione realistica della verità come accordo o "corrispondenza" fra la realtà e la sua immagine linguistica e concettuale; né muta l’eventuale derivazione di atilado dallo spagnolo atildar, "mettere i puntini sulle i", ma è lontano dal "penetrare", dal "guardar dentro" sotteso a "perspicace", o almeno descrive un atteggiamento più contemplativo, rilevativo, che dominatore.
(4) Cfr. Idem, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di"Rivoluzione e Contro-Rivoluzione" vent’anni dopo in prima edizione mondiale, con lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999) e con un mio saggio introduttivo su L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977, parte III, capitolo III, pp. 189-195; per il collegamento al Maggio francese, cfr. Idem, Rivoluzione e Contro-RivoluzioneAppendice. Commento 3. Guerra psicologica rivoluzionaria: "rivoluzione culturale" e rivoluzione nelle tendenze, trad. it., ed. fuori commercio, Luci sull’Est, Roma 1998, p. 167.
(5) Ibid., parte II, capitolo XII, 6, [ed. Cristianità] p. 163.
(6) Cfr. una sintetica esposizione di entrambe le prospettive, quella che fa riferimento alla "Rivoluzione" e quella che si serve della nozione di "secolarizzazione", nel mio I "network" della religione in un mondo in frantumi, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, La sfida pentecostale, a cura di Massimo Introvigne, Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1996, pp. 121-147.
(7) Paolo VI (1963-1978), Omelia in occasione della sacra ordinazione di settanta sacerdoti destinati ai popoli dell’America Latina, del 3-7-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IV, pp. 349-354 (p. 352).
(8) Nicolás Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, 2 voll., Instituto Colombiano de Cultura, Santa Fe de Bogotá 1977, vol. I, p. 35.
(9) Cfr. Giambattista Vico, Princìpi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, 1744, Conchiusione dell’opera. Sopra un’eterna repubblica naturale, in ciascheduna sua spezie ottima, dalla divina provvedenza ordinata, in Idem, Opere, a cura di Andrea Battistini, tomo I, Mondadori, Milano 1990, pp. 959-971 (p. 967).
(10) Ibidem.
(11) Cfr. Aldous Huxley (1894-1961), Il mondo nuovo, 1932, in Idem, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, trad. it., Mondadori, Milano 1991, pp. 1-231, passim; un inquadramento, in Massimo Baldini, La storia delle utopie, Armando, Roma 1994, pp. 135-137.
(12) Giovanni Papini (1881-1956) e Domenico Giuliotti (1877-1956),Umilissime scuse, in Il Carroccio, II, fasc. 4, aprile 1923, pp. 201-220 (p. 201), cit. in M. Baldini, Giuliotti Cristiano controcorrente, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1996, p. 53.
(13) Cfr. Leonardo da Vinci (1452-1519), Pensieri dal Codice della Biblioteca Trivulziana di Milano"Salvatico è quel che si salva", inScrittori italiani di aforismi, vol. I, I classici, a cura di Gino Ruozzi, Mondadori, Milano 1994, pp. 183-223 (p. 203).
(14) Cfr. Alberto Caturelli, La Iglesia Católica y las catacumbas de hoy, Editorial Almena, Buenos Aires 1974, pp. 141-149 (p. 144).
(15) Cfr. Idem, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale, con prefazione di Pier Paolo Ottonello, trad. it., Edizioni Ares, Milano 1992.
(16) A. Caturelli, opcit., pp. 368-370; sostituisco "ideologizzazione"con "deideologizzazione" sulla base dell’originale: cfr. Idem, El Nuevo Mundo. El Discubrimiento, la Conquista y la Evangelización de América y la Cultura Occidental, Edamex, Città del Messico e Universidad Autónoma del Estado de Puebla, Puebla 1991, p. 438; sui rapporti fra Europa e America e sull’Atlantico come "secondo Mediterraneo", cfr. Gonzague de Reynold (1880-1970), Impressions d’Amérique, Marguerat, Losanna 1950, soprattutto pp. 34 e 70; per l’espressione "cristianità del Nuovo Mondo", cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio alla Chiesa e ai Popoli latinoamericani in occasione dell’inaugurazione delle celebrazioni in preparazione del V centenario dell’inizio dell’evangelizzazione dell’America, II, 2, Santo Domingo, 12-10-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, pp. 885-897 (p. 889); su Colombo, cfr. Marco Tangheroni e Maurizio Parenti, Cristoforo Colombo, ammiraglio genovese e "defensor fidei", in Cristianità, anno XX, n. 203, marzo 1992, pp. 11-17.
(17) Cfr. G. de Reynold, Impressions d’Amérique, cit., pp. 79-80.
(18) Publio Cornelio Tacito (54/55-120 ca.), Storie, libro IV, 25, 4, trad. it., in Idem, Tutte le opere, a cura di Enzio Cetrangolo, Sansoni, Firenze 1993, pp. 116-381 (pp. 316-317).
(19) Cfr. Lionel Cecil Jane (1879-1932), Libertad y despotismo en la América hispánica, trad. spagnola, con prefazione di Salvador de Madariaga y Rojo (1886-1978), Edit. España, Madrid 1931, pp. 111-112 e 135; cit. dell’opera dello storico statunitense, in José Pedro Galvão de Sousa (1912-1992), Introdução à história do direito político brasileiro, 2a ed., Saraiva, San Paolo 1962, pp. 119-120.
(20) Cfr., esemplare, A. Caturelli, opcit., pp. 340-354; cfr. pure Russell Amos Kirk (1918-1994), Stati Uniti e Francia: due rivoluzioni a confronto, trad. it., a cura di Marco Respinti, Centro Grafico Stampa, Bergamo 1995; e Idem, Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo, trad. it., a cura di M. Respinti, con un epilogo di Frank J. Shakespeare Jr., Mondadori, Milano 1996.
(21) Cfr. corrispondenze fra espansione cristiana nell’Europa nord-orientale come "compenso" provvidenziale dopo l’invasione musulmana ed evangelizzazione dell’America dopo la rivolta protestante, in Oscar Halecki (1891-1973), Limiti e divisioni della storia europea, con prefazione di Christopher Dawson (1889-1970), trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1962, pp. 29-30; Idem, Borderlands of Western Civilization. A History of East Central Europe, The Ronald Press Company, New York 1952, pp. 25-114; e Idem, The Millenium of Europe, con prefazione di Hendrik Brugmans (1906-1997), University of Notre Dame Press, Notre Dame (Indiana) 1963, pp. 240-250.
(22) Cfr. canonico Walerian Meysztowicz (1893-1982), La Pologne dans la chrétienté. Coup d’oeil sur mille ans d’histoire (966-1966), Nouvelles Éditions Latines, Parigi 1966, per esempio pp. 98-101; cfr. pure la trad. spagnola, Polonia en la Cristiandad. Una mirada sobre mil años de historia (966-1966), con una seconda conclusione, di don Miguel Poradowski, e un saggio su Las ideas sociales de Solidaridad, di Witold Roman Kopytynski, Ediciones del Aguila Coronada, Buenos Aires 1987, pp. 79-82; sull’ecclesiastico polacco, canonico di San Pietro, professore dell’università di Wilno e fondatore dell’Istituto Storico Polacco di Roma, cfr. Karolina Lanckoronska, Walerian Meysztowicz (1893-1982)in memoriam con bibliografia, in Institutum Historicum Polonicum Romae,XXVI Antemurale, Roma 1982-1983, pp. 218-223.
(23) Riccardo Picchio, La letteratura russa antica, Rizzoli, Milano 1999, p. 10.
(24) Oscar Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, con servizio fotografico di Ernesto Monsalve, in Boletín Cultural y Bibliográfico, della Biblioteca Luis Ángel Arango di Bogotá, vol. 32, Bogotá 1995, n. 40, pp. 30-49 (p. 33).
(25) Ibid., p. 31.
(26) Cfr. Jorge H. Cadavid, Hernando Téllez: un consumado estratega, con servizio fotografico di Mauricio A. Osorio e Germán Téllez, ibid., pp. 74-95.
(27) Cfr. Luis Carlos Mantilla R. O.F.M., Necrologio de la Provincia Franciscana de Colombia (1900-1980), Editorial Kelly, Bogotá 1980, pp. 184-185.
(28) Cfr. El descanso del patriarca, in Semana, n. 785, Santa Fe de Bogotá19/26-5-1997, pp. 72-73.
(29) Cfr. N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit.; trad. it. di qualche glossa, in Mille le verità, uno solo l’errore, in surplus, anno I, 1999, n. 4, pp. 58-61; ripresa e ulteriormente antologizzata in Io, il Nietzsche di Bogotà, in la Repubblica, 18-12-1999.
(30) Cfr. Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, 2 voll., Procultura, Santa Fe de Bogotá 1986.
(31) Cfr. Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, Instituto Caro y Cuervo, Santa Fe de Bogotá 1992.
(32) Cfr. Idem, Notas, tomo I [unico edito], ed. fuori commercio fatta per conto dell’autore, Messico 1954.
(33) Cfr. Idem, Textos, I [unico edito], Editorial Voluntad, Bogotá 1959.
(34) Cfr. O. Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, cit., p. 35.
(35) Cfr. N. Gómez Dávila, El reaccionario autentico, in Revista Universidad de Antioquía, n. 240, Medellín aprile-giugno 1995, pp. 16-33; trad. it., Il vero reazionario, in Cristianità, anno XXVII, marzo-aprile 1999, n. 287-288, pp. 18-20.
(36) Cfr. Idem, De Jure, in Revista del Collegio Mayor de Nuestra Señora del Rosario, vol. 81, n. 542, Bogotá aprile-giugno 1988, pp. 67-85.
(37) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 209.
(38) Cfr. — oltre a O. Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, cit. — Ernesto Volkening (1908-1984), Anotado al margen de "El reaccionario" de Nicolás Gómez Dávila, in Eco. Revista de la cultura de Occidente, n. 205, Bogotá giugno 1978, pp. 95-99; H. Téllez,La obra de Nicolás Gómez Dávila. Una dura punta de diamante, inRevista del Collegio Mayor de Nuestra Señora del Rosario, vol. 81, n. 542, cit., pp. 21-22; Álvaro Mutis, Donde se vaticina el destino de un libro inmensoibid., pp. 23-25; Adolfo Castañón, Retrato de un pastor de libelulas: Nicolás Gómez Dávilaibid., pp. 34-37; Juan Gustavo Cobo Borda, Escolio a los Escoliosibid., pp. 26-30; Gerd-Klaus Kaltenbrunner,Un pagano che cree en Cristo. El antimodernista colombiano Nicolás Gómez Dávila en aleman, trad. spagnola, ibid., pp. 31-33; Francisco Pizano de Brigard, Semblanza de un colombiano universal: las claves de Nicolás Gómez Dávilaibid., pp. 9-20; Reinhart Maurer, Reaktionäre Postmoderne. Zu Nicolás Gómez Dávila [Postmodernità reazionaria. Su Nicolás Gómez Dávila], in Jörg Albertz (a cura di), Aufklärung und Postmoderne. 200 Jahre nach der französischen Revolution das Ende aller Aufklärung? [Illuminismo e postmodernità. 200 anni dopo la Rivoluzione francese la fine di ogni illuminismo?], Freie Akademie, Berlino 1991, pp. 139-150; José Miguel Oviedo, Breve historia del ensayo hispanoamericano, Alianza Editorial, Madrid 1991, pp. 150-151; Amalia Quevedo, ¿Metafísica aquí? Reflexiones preliminares sobre Nicolás Gómez Dávila, conferenza tenuta in occasione della settima edizione delle Jornadas de Actualización Filosófica, organizzate dall’Universidad de la Sabana, 1/3-9-1999, in Ideas y Valores. Revista Colombiana de Filosofía, n. 111, Bogotá dicembre 1999, pp. 79-88; Franco Volpi, voceNicolás Gómez Dávila in Idem (a cura di), Großes Werklexikon der Philosophie, Kröner, Stoccarda 1999, vol. I, pp. 580-81; Idem, Nicolás Gómez Dávila. Il perfetto reazionario, in surplus, cit., pp. 55-58; Anonimo, El pensador incansable: Nicolás Gómez Dávila, in Semana, n. 629, Santa Fe de Bogotá 25/31-5-1994, pp. 76-78; J. G. Cobo Borda,Solitario entre libros, in El Tiempo, Santa Fe de Bogotá 15-3-1992; Mauricio Acero Montejo, Escepticismo Renacentistaibid., 2-1-1995; Arturo Guerrero, Nicolás Gómez Dávila. Discubrimiento de un pensador,ibid., 25-9-1995; e il mio Gómez Dávila il conservatore, in Secolo d’Italia, 7-5-1999.
(39) Cfr. N. Gómez Dávila, Einsamkeiten. Glossen und Text [Solitudini. Glosse e testo], antologia e trad. tedesca a cura di Günther Rudolf Sigl, con postfazione di Franz Niedermayer, Karolinger Verlag, Vienna 1987; Idem, Auf verlorenen Posten. Neue Scholien zu einem inbegriffenen Text[In una postazione perduta. Nuove glosse a un testo implicito], trad. tedesca di Michaela Meßner, con un saggio di Francisco Pizano de Brigard, Karolinger Verlag, Vienna 1992; e Idem, Aufzeichnungen des Besiegten. Fortgesetzte Scholien zu einem inbegriffenen Text[Annotazioni dello sconfitto. Successive glosse a un testo implicito], trad. tedesca di Günter Maschke, con postfazione di Martin Mosebach, Karolinger Verlag, Vienna e Lipsia 1994.
(40) Á. Mutis, art. cit., p. 23.
(41) Ibidem.
(42) Ibid., p. 24.
(43) Ibidem.
(44) Cfr. ibidem.
(45) Ibidem.
(46) Ibidem.
(47) Cit. in F. Volpi, Nicolás Gómez Dávila. Il perfetto reazionario, cit., p. 58.
(48) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 11.
(49) Ibidem.
(50) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 211.
(51) Ibid., p. 203.
(52) Idem, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 11.
(53) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 122.
(54) Idem, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 362.
(55) Ibid., p. 57.
(56) Ibid., p. 59.
(57) Cfr. i 114 "assiomi o degnità così filosofiche come filologiche", in G. Vico, Princìpi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, 1744, cit., pp. 494-540; comparse per la prima volta nell’edizione del 1730, la cosiddetta Scienza nuova seconda, nellaScienza nuova prima, del 1725, trovano corrispondenze parziali: cfr. Idem, Princìpi di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritruovano i princìpi di altro sistema del diritto delle genti, 1725, libro primo: Necessità del fine e difficultà de’ mezzi di ritruovare una nuova scienza, [capo] XVIII: Questa scienza si conduce sopra una morale del genere umano, per la quale si truovano i termini dentro i quali corrono i costumi delle nazioni, e Indice. [I] Tradizioni volgari e [II] Discoverte generaliibid., tomo II, pp. 975-1222 (rispettivamente pp. 1046-1047, 1209-1219 e 1220-1222).
(58) Marshall McLuhan, Introduzione a Harold Innis, Le tendenze della comunicazione, trad. it., SugarCo, Milano 1982, pp. 13-22 (p. 15).
(59) Cit. in O. Torres Duque (a cura di), El Mausoleo Iluminado. Antología del ensayo en Colombia, Biblioteca Familiar Presidencia de la RepúblicaIntroducción, in <http://www.banrep.gov.co/blaavirtual/letra-e/ensayo/introd.htm>, visitato il 10-4-2000.
(60) Cfr. Walter J. Ong S.J., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, con introduzione di Rosamaria Loretelli, trad. it., il Mulino, Bologna 1986; Idem, La presenza della parola, con introduzione di Renato Barilli, trad. it., il Mulino, Bologna 1970; e Idem, Interfacce della parola, con introduzione di R. Barilli, trad. it., il Mulino, Bologna 1989; cfr. pure Eric Havelock (1903-1988), La Musa impara a scrivere. Riflessioni sull’oralità e l’alfabetismo dall’antichità al giorno d’oggi, trad. it., Laterza, Roma-Bari 1995, soprattutto pp. 81-99; e Idem,L’equazione oralità-alfabetizzazione. Una formula per la mente moderna, in David R. Olson e Nancy Torrance (a cura di),Alfabetizzazione e oralità, trad. it., Raffaello Cortina, Milano 1995, pp. 13-29.
(61) Cfr. Giuseppe Pontiggia, L’aforisma come medicina dell’uomo, prefazione a Scrittori italiani di aforismi, vol. I, I classici, cit., pp. XIII-XXII.
(62) R. Loretelli, La galassia della parola, introduzione a W. J. Ong S.J.,Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, cit., pp. 5-15 (pp. 10 e 15).
(63) Cfr. Biagio Loré, Introduzione a G. Vico, Il metodo degli studi del nostro tempo, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1993, pp. VII-XLVI (p. XXI).
(64) Cfr. Scrittori italiani di aforismi, vol. I, I classici, cit., pp. 689-719.
(65) Cfr. ibid., pp. 673-688.
(66) Ibid., p. 674.
(67) Ibidem.
(68) G. Pontiggia, L’aforisma come medicina dell’uomo, cit., p. XXII.
(69) Ibid., p. XV.
(70) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 500.
(71) Ibid., p. 474.
(72) Idem, Textos, I, cit., p. 71.
(73) Cfr. ibid., pp. 61-100.
(74) Cfr. F. Pizano de Brigard, Semblanza de un colombiano universal: las claves de Nicolás Gómez Dávila, cit., pp. 12-13.
(75) Cfr. O. Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, cit., p. 11; ma l’ipotesi è presente nello stesso F. Pizano de Brigard, Semblanza de un colombiano universal: las claves de Nicolás Gómez Dávila, cit., p. 11.
(76) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 11.
(77) Cfr. Emil-Michel Cioran, Joseph de Maistre. Saggio sul pensiero reazionario, in Idem, Esercizi di ammirazione. Saggi e ritratti, trad. it., Adelphi, Milano 1988, pp. 11-78.
(78) Cfr. Juan Donoso Cortés, Pensamientos varios, in Idem, Obras completas, edizione, introduzione e note di Carlos Valverde S.J., vol. II, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1970, pp. 980-984.
(79) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 9.
(80) Cfr. G. de Reynold, Charles Baudelaire, Slatkine Reprints, Ginevra 1993.
(81) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 151.
(82) Ibid., vol. II, p. 65.
(83) Cfr. Bernardino de Sahagún O.F.M. (1500-1590), I colloqui dei Dodici, trad. it., con una nota di Vittoria Martinetto, Sellerio, Palermo 1991.
(84) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 56.
(85) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 68.
(86) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 40.
(87) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 54.
(88) Cit. in O. Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, cit., p. 34.
(89) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 12.
(90) Ibid., p. 123.
(91) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 39.
(92) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 124.
(93) Ibid., vol. I, p. 154.
(94) Ibid., p. 146.
(95) Ibid., p. 147.
(96) Ibid., p. 156.
(97) Cfr. in genere Josef Pieper, Autopresentazione, trad. it., in Filosofia oggi, anno XIV, n. 55, Genova gennaio-marzo 1991, pp. 37-52; e Idem,La mia filosofia. Colloquio di Josef Pieper con Bernard Schumacher, trad. it., in La filosofia cristiana del Novecento (I). Josef Pieper, a cura di B. Schumacher, Edizioni Romane di Cultura, Roma 1997, pp. 17-30; in specie Idem, Unaustrinkbares Licht. Über das negative Element in der Weltansicht des Thomas von Aquin [Luce inesauribile. Sull’elemento negativo nella visione del mondo di Tommaso d’Aquino], Kösel Verlag, Monaco di Baviera 1963, 2a ed. di Philosophia negativa. Zwei Versuche über Thomas von Aquin [Philosophia negativa. Due ricerche su Tommaso d’Aquino], Kösel Verlag, Monaco di Baviera 1953.
(98) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 316.
(99) Ibid., p. 206.
(100) Ibid., p. 278.
(101) Cfr. Mt. 10, 16.
(102) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 47.
(103) Ibid., p. 184.
(104) Cfr. Gustave Thibon, Nietzsche o il declino dello spirito, trad. it., Edizioni Paoline, Alba (Cuneo) 1964.
(105) Ibid., p. 11.
(106) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 197.
(107) Cfr. Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, trad. it., con introduzione di Leonardo Ceppa, Einaudi, Torino 1994.
(108) Cfr. presentazione e nota bibliografica, in Scrittori italiani di aforismi, vol. II, Il Novecento, a cura di G. Ruozzi, Mondadori, Milano 1996, pp. 359-361 e 381-385; più ampiamente, M. Baldini, Giuliotti Cristiano controcorrente, cit.
(109) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 78.
(110) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 135.
(111) M. Baldini, Giuliotti Cristiano controcorrente, cit., p. 71.
(112) Cfr. La Torre. 1913-1914, a cura di Lorenza Giorgi, SPES, Firenze 1977.
(113) Ibid., p. 1.
(114) Cfr. D. Giuliotti, L’ora di Barabba, con prefazione di Antonio Corsaro, a cura di Luigi Castiglione, Logos, Roma 1982.
(115) Cfr. G. Papini e D. Giuliotti, Dizionario dell’Omo Salvatico. Volume primo (A-B), Vallecchi, Firenze 1923.
(116) Cfr. D. Giuliotti, Tizzi e fiamme, a cura di M. Baldini, Cantagalli, Siena 1999.
(117) Cfr. Idem, Pensieri d’un malpensante, a cura di M. Baldini, Logos, Roma 1984.
(118) Cfr. Idem, Nuovi pensieri d’un malpensante, a cura di M. Baldini, Logos, Roma 1985.
(119) Cfr. Idem, Ultimi pensieri di un malpensante, Istituto di Propaganda Libraria, Milano 1951.
(120) Cfr. Idem, Amare e credere, a cura di M. Baldini, La Locusta, Vicenza 1977; Idem, Lettere agli amici, con introduzione di Geno Pampaloni, a cura di M. Baldini, Piergiovanni Permoli e Ettore Tirinnanzi, La Locusta, Vicenza 1980; e Idem, Schegge, con introduzione di padre Nazareno Fabbretti O.F.M, a cura di M. Baldini, La Locusta, Vicenza 1983.
(121) Cfr. Idem, Jacopone da Todi, Vallecchi, Firenze 1939.
(122) Cfr. Jan van Ruysbroeck, L’ornamento delle nozze spirituali, trad. it., Carabba, Lanciano (Chieti) 1916.
(123) Cfr. san Dionigi l’Areopagita, La Gerarchia celeste, trad. it., Giannini, Firenze 1921.
(124) Sulla questione areopagitica, cfr. don Enzo Bellini (1934-1981),Introduzione alla lettura del "corpus" dionisiano, in Dionigi Aeropagita,Tutte le opere. Gerarchia celeste – Gerarchia ecclesiastica – Nomi divini – Teologia mistica – Lettere, trad. it. di Piero Scazzoso, a cura di don E. Bellini, Rusconi, Milano 1999, pp. 5-52, 1, Il mistero dell’autore, pp. 7-17.
(125) Cfr. De Maistre, a cura di D. Giuliotti, L’Arco, Firenze 1948; introduzione, pp. 7-26.
(126) Cfr. M. Baldini, Giuliotti Cristiano controcorrente, cit., pp. 71-83.
(127) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., vol. I, p. 16.
(128) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 9.
(129) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 21.
(130) Ibid., p. 25.
(131) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., vol. II, p. 34.