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venerdì 17 novembre 2017

La mia casa sarà casa di preghiera: ecco la chiesa povera.


Ogni tanto torna di moda parlare di 
chiesa povera, per i poveri


 Si sa che, normalmente, quelli che amano parlare di chiesa povera sono i ricchi, sono quelli che poveri non sono. Chi ha assaggiato la fatica della povertà economica, non ama la povertà e non la augura a nessuno, nemmeno alla chiesa. 



 Sono i borghesi che, per rifarsi un'anima a buon prezzo, hanno bisogno di un fremito di commozione sulla povertà altrui, e per un'invidia mista a un laicismo acido pretendono che la chiesa sia economicamente povera.

 Così dicendo non vogliamo affermare che la povertà, non la miseria!, non sia un valore; la povertà è uno dei consigli evangelici, che con la castità e l'obbedienza segna il cammino di perfezione della vita religiosa. E per tutti, anche per chi non è in convento, è da coltivare con estrema attenzione: la sobrietà, la modestia e la morigeratezza quanto sono necessarie alla vita cristiana di tutti!

 Ma a che serve la povertà? A non sperare in se stessi, ma unicamente nella Grazia di Dio.

 Questo è il punto. La povertà, con anche il suo aspetto di sobrietà economica, non serve in se stessa, serve perché rimette l'uomo nella posizione più vera, quella della sua totale dipendenza da Dio. Ed è innegabile che chi è in difficoltà economica, il povero, può capire di più cosa sia questa dipendenza, questo dover sperare in un Altro; e Dio diventa per lui più concretamente Provvidenza.

 Ma questo non è mai automatico; e lo è meno che mai nel mondo odierno post-comunista, che ahimè comunista resta, che ha chiuso la povertà nella prigione della lotta di classe e della lotta per i diritti personali, e così facendo ha ucciso con l'ateismo la povertà; l’ha uccisa, non l'ha risolta! 

 Anche la Chiesa non può vivere la questione della povertà come il mondo post-comunista, che resta malato di comunismo.

 Chiesa povera vuol dire chiesa semplice, che non ha altra sicurezza che quella che le viene dalla grazia di Cristo e dalla Divina Rivelazione.

 I poveri non hanno tempo da perdere, non hanno voglia di elucubrazioni pseudo-intellettuali. Per loro la vita urge, devono arrivare al dunque e presto, per mangiare e vivere.

 E non è così anche del cristiano, quando è seriamente impegnato con la vita? Quando si è coscienti che la vita è una lotta drammatica, non si perde tempo, non ci si intrattiene sull'inutile o sul futile, si vuole giungere subito alla questione della salvezza, alla questione della grazia che salva.

 Chiesa povera è allora quella impegnata sul fronte della grazia, sul fronte della salvezza delle anime, con gli strumenti dati da Dio: predicazione e sacramenti.

 Ma l'orizzonte si fa sempre più scuro: dov'è questa Chiesa preoccupata della salvezza delle anime? Sembra che la maggiore parte del clero e del laicato impegnato sia occupata nel servizio al mondo. La predicazione ufficiale parla di pace del mondo, di fraternità universale, di umanità consapevole... un linguaggio degno del mondo massonico e della propaganda marxista di decenni fa.

 No, questa chiesa impegnata in qualcosa d'altro non è una chiesa povera, anche se fa volontariato per i poveri. Non è una chiesa povera, anche se apre a dismisura centri di accoglienza, perché  ha perso la radice della vera povertà, che è sperare solo in Dio.

 “Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina” (At 3,6) Nel nome di Gesù Cristo... così agisce San Pietro con lo storpio alla porta del tempio, così agisce la Chiesa di sempre difronte ai mali del mondo: dona la grazia che salva, invitando alla conversione, quella vera.

 Quando invece la chiesa si imborghesisce parla dei poveri, ma non vive la povertà che ha come cuore il miracolo della grazia. Parla dei poveri la chiesa ammodernata, ma è borghese nel midollo, perché cerca i mezzi umani per essere come gli altri club sociali. E anche quando parla di grazia di Dio, ne parla come un cappello aggiunto al suo pelagiano impegno tutto umano. Non è una chiesa povera, perché la grazia di Dio, quella che discende dalla Croce di Cristo e dai sacramenti, non diventa mai il principio di giudizio e di azione.

 Eppure saremo salvi se accoglieremo la grazia di Dio, e vivremo di conseguenza.

 Domandiamo a Dio la grazia di vedere tornare la chiesa a questa nobile povertà. Alla povertà coraggiosa che domanda ai peccatori di tornare a Cristo, e a coloro che non lo conoscono ancora di convertirsi a lui, unico Redentore.

 E supplichiamo i pastori legittimi della Chiesa perché ci lascino vivere così: non ci interessano i borghesi che amano avere un po' di commozione per i poveri, no - non ci interessano davvero. Vogliamo vivere da poveri, cioè integralmente cattolici, credendo pienamente nell'efficacia della grazia di Dio; credendo nell'assoluta necessità dei sacramenti; posando la vita sulla potenza della preghiera vissuta e insegnata.
 Ci interessa vivere di questo, e non di altre elucubrazioni pastorali.

 La mia casa sarà casa di preghiera: ecco la chiesa povera.

Radicati nella fede
AMDG et BVM

martedì 7 febbraio 2017

Oggi, la santità, non è la preghiera, né le visioni, né le rivelazioni, né la scienza del parlare bene, né i cilici, né le penitenze, è la regola vissuta e l'umiltà.

Viola tricolor comunemente conosciuta come
viola del pensiero 


"Desidero che quelli che mi circondano non abbiano altro bene che l'Altissimo... Siamo gelose della gloria dell'Altissimo...


Signore Gesù, diceva un'altra volta nel coro, davanti al santo Sacramento, che debbo fare per amarti?" Una voce le rispose: Servi il prossimo e mi servirai; ama il prossimo e mi servirai. È da questo che riconoscerò che mi ami veramente».


Incoraggiando una suora molto provata, le diceva che, fintanto che avrebbe avuto fiducia in Dio, fintanto che sarebbe stata umile e aperta verso i suoi superiori, il buon Dio l'avrebbe protetta. Parlò poi dell'umiltà:

«Oggi, la santità, non è la preghiera, né le visioni, né le rivelazioni, né la scienza del parlare bene, né i cilici, né le penitenze, è la regola vissuta e l'umiltà.
Il Signore ha detto: È il secolo in cui il serpente ha preso le ali, ed è per questo che sto per purificare la terra! Chi potrà dunque essere salvato? Colui che domanda l'umiltà e che la pratica.

L'umiltà è la pace!... L'anima umile è regina. È sempre felice. Nella lotta, nella sofferenza, si umilia, crede di meritare di più, domanda ancora di più, è sempre in pa­ce... L'orgoglio dà il turbamento. Il cuore umile è il vaso, il calice che contiene Dio!...

Il Signore dice: un'anima umile, veramente umile, farà più miracoli degli antichi profeti.
In cielo, gli alberi più belli sono quelli che hanno più peccato, ma si sono serviti delle loro miserie come un concime che circonda il piede.

Se tu vedi, aggiunse rivolgendosi alla Priora, giovani suore, novizie avide di re­stare in preghiera al di fuori di quello che è di regola, falle occupare nei lavori più umili».

Diceva, il 19 aprile 1874, la domenica del Buon Pastore: «Se una novizia fa dei miracoli e non si sottomette, o se ha portato un milione e in seguito ne voglia dispor­re o soltanto attaccarsi ad una immaginetta, Madre Teresa dice: Rimandatela con ciò che ha portato.
Colui che non ha dato la sua volontà a Dio non gli ha dato niente.

Quando si è dato qualche cosa a Dio, non bisogna riprenderla. Siete uscite nude dal seno di vostra madre e ritornerete nude nel seno della terra.

Quando Dio vi ha create, eravate nude, e se volete ritornare nel seno di Dio, siate nude, non abbiate alcuna proprietà. Se voi avete qualche cosa, non entrerete, ma re­sterete fuori. Non occorre neppure la proprietà di una immagine, di una penna». Ri­prese ben presto: «Margherita Alacoque dice: Se i figli della terra comprendessero che le umiliazioni, che tutto sulla terra è come un lampo che passa!... Se potessi ave­re un rimpianto, sarebbe di non aver fatto di più».

Sempre in estasi, ella aggiunse: «Beati tutti quelli che lavorano alla fondazio­ne!...».` «Il Signore mi ha promesso che i miei giorni saranno brevi!... Mi ha detto il giorno e il mese in cui mi verrà a cercare, ed a che ora, e quanti giorni ho ancora da vivere».


Il giorno della festa della santa Trinità di quello stesso anno (1874), ebbe una vi­sione e delle comunicazioni soprannaturali, che Dio l'obbligò a sottomettere al Su­periore.

Dettò ciò che segue:
«Sto per dire, Padre mio, ciò che mi è stato ordinato di far sapere. Questa mattina, prima della messa, mi sentivo presa, atterrata, senza sapere perché, da una potenza nemica che mi perseguitava; il mio cuore si innalza verso Dio più che mai e grido: Signore, è possibile che abbandoniate la mia anima? Mio Dio, spero in te! Immediatamente, mi sono vista davanti a Dio. Lui, su un'alta montagna, molto alta, ed io, in una fossa profonda. Mi sentivo le gam­be rotte, le braccia tagliate ed ero quasi cieca; potevo appena guardare davanti a me. Vedo allora una luce che l'immaginazione dell'uomo non può raffigurarsi, né comprendere. È un fuoco ed un refrigerio. Sento che è Dio. Non ho alcun dubbio che non sia Dio; dico tra me, è Dio e comincio a gridare: Mio Dio, tirami dall'abisso in cui sono, tirami dall'abisso!
Da "Il piccolo nulla/ B.Maria Baouardy".



<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

domenica 15 novembre 2015

BISOGNA RIMBOCCARSI LE MANICHE



di Giorgio Mariano

Nel II secolo a.C. un sacerdote, di nome Mattatia (in ebraico «dono di Dio»), alla vista dell’apostasia generale del popolo d’Israele, dal Sommo Sacerdote all’ultimo israelita, pianse su Gerusalemme, stracciandosi le vesti per la corruzione, l’idolatria e il tradimento perpetrato da tutto il popolo contro la fede dei padri.

Vennero, dunque, a chiamarlo i messaggeri del re Antioco Epìfane, per convincerlo ad accettare i “nuovi” riti, di sottomettersi, per obbedienza, alla pratica del nuovo culto. “Ma Mattatia rispose a gran voce: «Anche se tutti i popoli nei domini del re lo ascolteranno e ognuno si staccherà dal culto dei suoi padri e vorranno tutti aderire alle sue richieste, io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell'alleanza dei nostri padri; ci guardi il Signore dall'abbandonare la legge e le tradizioni; non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra”. (1Mac 2, 19-22).

A ben vedere, questo brano del primo libro dei Maccabei, riporta delle forti analogie con gli avvenimenti dei nostri tempi.


Quello che è successo ai Frati Francescani dell’Immacolata, per esempio, è semplicemente sconcertante e doloroso, e tuttavia è ancora più sconvolgente la loro risposta a questa ingiusta oppressione: hanno deposto le armi, hanno scelto la non belligeranza. 

L’atteggiamento che hanno sposato è quello di obbedire all’ingiustizia e contemporaneamente affidarsi ciecamente all’Immacolata la quale, a dir loro, li libererà, prima o poi, da questa persecuzione. 

Premesso che la devozione e la fiducia sconfinata nella Santa Madre di Dio è santissima nonché doverosa per ogni battezzato, tuttavia la Madonna non ci priva del nostro intelletto, né la devozione a Lei ci esime dal resistere alle ingiustizie e di rimboccarci le maniche dinanzi all’errore e al sopruso: occorre ispirarsi davvero a  San Massimiliano Kolbe. In parole povere, “bisogna dar battaglia perché Dio conceda vittoria!” (Santa Giovanna d’Arco)

L’immobilismo apparentemente pio ed eroico in cui i Francescani dell’Immacolata si sono rinchiusi sembra essere più un cieco fideismo che mal si concilia con la “Vera” e santa obbedienza cattolica. I frati vorrebbero cioè rimanere fedeli all’autorità, che li ha privati della Santa Messa di sempre, pur riconoscendo la palese ingiustizia di tale comando. 
Ma l’obbedienza, per definizione, non consiste nell’accettare controvoglia, con critiche, con mormorazioni e giudizi un decreto dell’autorità, bensì, per essere vera obbedienza, deve tendere alla conformazione della volontà del sottoposto con quella del suo superiore. Ossia, il religioso deve pensare come il superiore o almeno tendere alla totale identità di volontà (cfr. Summ. Theol.). Ora, posto che i frati perseguitati si considerano appunto “perseguitati”, si deduce che essi non accettano (moralmente) il provvedimento della Suprema autorità contro di essi, riconoscendone la palese ingiustizia, eppure l’accettano sul piano pratico. 

Bè cari frati, se credete così di assolvere al precetto dell’obbedienza, vi sbagliate di grosso. 

Questa non è l’obbedienza cattolica, è falsa obbedienza. Dunque, se volessimo essere veramente puristi e vestire i panni dell’avvocato del Diavolo, dovremmo richiamarvi ad una più piena obbedienza, ad una più piena “comunione”, ad un vero “sentire cum Ecclesia”. 
Ma se i frati chinano il capo dinanzi a tale provvedimento, ne riconoscono la giustezza, dunque perdono ogni diritto di lamentarsi, e di compatirsi, leccandosi le ferite che hanno voluto autoinfliggersi. 


Inoltre, sembra che i nostri frati si dimentichino che fu lo stesso Papa Benedetto XVI a smascherare la totale falsità di questa prospettiva, dichiarando che l’antica Messa non “è mai stata abrogata” e che il suo uso da parte di qualsiasi sacerdote all’interno della Chiesa “è stato sempre permesso”, non potendo, neppure il Papa, in alcun modo eliminarla o abrogarla, né, tantomeno, sostituirla (cfr. CCC n. 1125). 
Infatti è stato proprio a causa di un falso principio di obbedienza all’autorità ecclesiastica che la sovversione della Fede Cattolica è stata così rapida e diffusa. 


Fu proprio lo stesso Papa Benedetto, quando era ancora il Cardinal Ratzinger, a confutare questa erronea teoria: “Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà è legge, ma piuttosto il custode dell’autentica Tradizione, e perciò il primo garante dell’obbedienza… Per cui, per quanto concerne la Liturgia, ha il compito di un giardiniere, e non quello di un tecnico che costruisce nuove macchine e butta quelle vecchie[2]Dobbiamo dare atto a S.S. Benedetto XVI del valido e coraggioso tentativo di ritorno sui binari della Tradizione e, contemporaneamente, dobbiamo tenere conto della violenta e tempestiva offensiva che i suoi oppositori hanno riversato su di lui, tanto da costringerlo a una [apparente] rinuncia papale [con la quale li ha giocati tutti].


Ciò che è vero per il Papa – ovvero che il suo potere e la sua autorità sono limitate dall’obbedienza alla Fede – è ancor più vero per tutti i suoi sottoposti. Eppure tra le fila di questi ultimi, in quest’epoca post-conciliare, l’obbedienza alla Fede è stata largamente rimpiazzata dall’obbedienza all’autorità gerarchica, a loro uso e consumo. Il positivismo (la mia volontà è legge) ed il nominalismo (ciò che voglio è giusto perché lo voglio io) hanno invaso la Chiesa, facendo in modo che gli abusi della gerarchia venissero coperti in virtù dell’obbedienza, che ormai sembra essere diventata l’unica e sola virtù su cui insistono le autorità ecclesiastiche”[3]

Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”(5,29), e facilmente si obbietterà che Dio parla per mezzo del Papa, di un Concilio o della gerarchia, eppure bisogna ricordare anche che Dio non può comandare cose contraddittorie, Dio non “evolve”, Egli è Immutabile per essenza. “Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile”(Is  45,23), con buona pace del card. Kasper e del sua fanta-teologia schellinghiana. 

Dio non dice un giorno di credere in una cosa e il giorno dopo di non crederla più: Dio non cambia, rimane stabile per sempre, e con Lui coloro che rimangono fedeli alla dottrina immutabile: “Veritas Domini manet in aeternum”(Esdr 3,12). Non solo, per quanto riguarda la Fede, che è il presupposto della Speranza e della Carità, l’Apostolo dice: “se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele perché non può rinnegare se stesso”(2Tm 2,12-13). Dio cioè non può contraddirsi, non può rinnegare ciò che ha già dichiarato.




Ma riprendiamo per un secondo il passaggio del libro dei Maccabei: “Si avvicinò un Giudeo alla vista di tutti per sacrificare sull'altare in Modin secondo il decreto del re. Ciò vedendo Mattatia arse di zelo; fremettero le sue viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, lo uccise sull'altare; uccise nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l'altare. Egli agiva per zelo verso la legge come aveva fatto Pincas con Zambri figlio di Salom. La voce di Mattatia tuonò nella città: «Chiunque ha zelo per la legge e vuol difendere l'alleanza mi segua!». Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto avevano”(1Mac2,23-28).

Torniamo, per concludere, ai Maccabei.
 In seguito alla persecuzione, “molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto con i loro figli, le loro mogli e i greggi, perché si erano addensati i mali sopra di essi”(29-30). Ora, i mali addensatisi sopra i Francescani dell’Immacolata perché ricercavano sinceramente la giustizia sono innegabili, e molti di loro sono attualmente “nascosti” e braccati come lepri dal cacciatore. E tuttavia, qui non si lotta contro gli uomini ma contro le potenze infernali, le quali non si fermeranno finché non avranno annientato coloro che gli si oppongono. 

Ma quale fu la reazione dei “fedeli” d’Israele dinanzi alla battaglia? «Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato[…]Moriamo tutti nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente» (34,37). Apparentemente sembrerebbe una morte eroica e santa, giustificata dalla loro “obbedienza” legalistica al giorno di sabato nel quale era proibito combattere ed uccidere. Eppure, all’udire la fine di questi “pii” giudei, Mattatia dichiarò: «Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra». Presero in quel giorno questa decisione: “«Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei nascondigli» (40-41). Dunque, alla luce di tali riflessioni, voglio concludere con una santa esortazione, con una chiamata alle armi (spirituali).

Frati Francescani dell’Immacolata e voi tutti sacerdoti
 timidi, (comprensibilmente) impauriti: combattete la buona battaglia, difendete con fortezza la Santa Messa, quella tramandataci dalla Sacra Tradizione, quella dei Santi, quella immutabile, quella che è perseguitata, quella che è stata messa al bando, quella che il Maligno non sopporta. 

A tal proposito, è opportuno chiedersi seriamente: se la Messa moderna è “sostanzialmente” uguale all’antica, se la grazia è la stessa, perché il Maligno la tollera? Perché non la perseguita? Perché non gli dà fastidio? Pertanto, sacerdoti e religiosi tutti, amanti della Tradizione e perciò stesso amanti della Chiesa, e ancor più amanti di Cristo: unitevi insieme, alzatevi a difesa dell’unico Vero Innocente, dell’Unica Vera Vittima, dell’Unico Vero Perseguitato, Gesù Cristo Signore Nostro! 


Mi rivolgo qui anche a quei vescovi e cardinali che sotto Ratzinger si dimostrarono coraggiosi e che ora si sono un po’ “contratti”, ora che, invece, ce n’è più bisogno. Non siate quei cani muti, di cui parla Isaia, ma siate, al contrario, pastori che difendono il gregge. “Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore, è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio?” (San Gregorio Magno, La Regola pastorale).

A tal proposito c’è una nota storiella popolare molto istruttiva, che narra di un uomo molto fervente che stava affogando nel mezzo di un lago. Costui implorava la Divina Provvidenza che lo salvasse e lo liberasse dalla morte: confidava fermamente che Dio lo avrebbe salvato. Passò, dunque, una barca che gli tese un remo, ma lui rispose: “no grazie, aspetto che Dio mi salvi” e, intanto, annaspava e sperava…passò dunque una seconda barchetta che, allo stesso modo, si offrì di portarlo in salvo, ma egli replicò: “no grazie, sono sicuro che verrà Dio a salvarmi” e, intanto, beveva acqua e continuava a confidare…passò infine una terza scialuppa di salvataggio ma egli: “mi salverà Dio, ne sono certo”. Alla fine, l’uomo fidente, morì affogato. Quando si trovò al cospetto di Dio chiese indispettito: “perché non sei venuto a salvarmi?” e l’Onnipotente rispose: “ma come? Sono passato tre volte e mi hai rifiutato!”.
Morale della favola, bisogna rimboccarsi le maniche, e combattere la battaglia del nostro tempo, e non ritirare i remi in barca nascondendoci dietro un’apparente “pia” obbedienza. Prima di tutto, dice San Tommaso: “la Carità è una virtù più grande dell’obbedienza”[1].



Quello appena visto è l’esempio di obbedienza che non pochi santi si sono trovati a dover opporre a decreti ingiusti provenienti, non di rado, anche dalla Suprema Autorità ecclesiastica (Sant’Ambrogio, Sant’Ilario, Sant’Atanasio, San Massimo, Santa Caterina, Santa Brigida ecc…). “Poiché tutta l’autorità proviene da Dio, noi obbediamo agli uomini solo e unicamente perché la loro autorità si basa in ultima analisi su quella del Signore. Questa obbedienza, laddove non vada contro la legge di Dio, è in realtà un atto di giustizia, un dare agli altri, e a Dio in primo luogo, ciò che è dovuto. 
Ma il Signore non dà a nessun uomo l’autorità di impartire un ordine che contravvenga ai comandi e ai precetti da Lui Stesso fornitici, come quelli contenuti nei Dieci Comandamenti o nel Vangelo, che costituisce la “legge positiva” di Cristo Re. 
Ne consegue che nessun uomo abbia il diritto di obbedire ad un ordine simile. Per di più, tutta l’autorità in terra è limitata dalla giustizia.Neanche il Papa dispone di un’autorità illimitata, perché i suoi limiti provengono dalla Rivelazione, dalle Scritture, dalla Tradizione e dagli insegnamenti autentici dal Magistero Ordinario ed Universale, nonché da quello Straordinario con le sue definizioni dogmatiche[4].

(10 ottobre 2014)



[1] Summa Theologiae, II-II, Q. 104, Art. 3
[3] GRUNER N., Il Terzo Segreto e il problema della falsa obbedienza.
[4] Ibidem.

AVE MARIA!


giovedì 26 marzo 2015

26. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria



17. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria 


Dice Gesù: «Non si legge nella Genesi che Dio fece l'uomo dominatore su tutto quanto era sulla terra, ossia su tutto meno che su Dio e i suoi angelici ministri? Non si legge che fece la donna perché fosse compagna all'uomo nella gioia e nella dominazione su tutti i viventi? Non si legge che di tutto potevano mangiare fuorché dell'albero della scienza del Bene e del Male? Perché? Quale sottosenso è nella parola " perché domini "? Quale in quello dell'albero della scienza del Bene e del Male? Ve lo siete mai chiesto, voi che vi chiedete tante cose inutili e non sapete chiedere mai alla vostra anima le celesti verità? 

(E’ un costante riferimento alla storia delle origini, creazione dell’universo e dell’uomo, colpa di Adamo ed Eva e sue conseguenze, per la quale rimandiamo una volta per tutte a: Genesi 1-3. Il tema della creazione rifulgerà nel discorso di Gesù ripetuto da Giovanni nel Vol 4 Cap 244 e in quello pronunciato da Gesù al Vol 8 Cap 506 e 540, e al Vol 10 Cap 651. Il tema del peccato originale è trattato, oltre che nel presente capitolo, anche nei Cap 5–29–45–47, al Vol 2 Cap 122-126-131-140, al Vol 3 Cap 174-188-195-207, al Vol 4 Cap 242-265-267-286, al Vol 5 Cap 307-317, al Vol 6 Cap 365-381-406-412-414-420, al Vol 7 Cap 477, al Vol 8 Cap 511-515-527-553-554, al Vol 9 Cap 567-593-596-600, al Vol 10 Cap 606-620-635-642-643-645) 

La vostra anima, se fosse viva, ve le direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra le mani dell'angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato dalla rugiada per lo Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci. Quante verità vi direbbe la vostra anima se sapeste conversare con essa, se l'amaste come quella che mette in voi la somiglianza con Dio, che è Spirito come spirito è la vostra anima. Quale grande amica avreste se amaste la vostra anima in luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime amica con la quale parlare di cose di Cielo, voi che siete così avidi di parlare e vi rovinate l'un l'altro con amicizie che, se non sono indegne (qualche volta lo sono) sono però quasi sempre inutili e vi si mutano in frastuono vano o nocivo di parole, e parole tutte di terra. Non ho Io detto (Giovanni 14, 23 e Vol 9 Cap 600): " Chi mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio l'amerà, e verremo presso di lui e faremo in lui dimora "? 

L'anima in grazia possiede l'amore e, possedendo l'amore, possiede Dio, ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l'ammaestra, lo Spirito che la illumina. Possiede quindi la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce. Pensate perciò quali conversazioni sublimi potrebbe intrecciare con voi la vostra anima. Sono quelle che hanno empito i silenzi delle carceri, i silenzi delle celle, i silenzi degli eremitaggi, i silenzi delle camere degli infermi santi. Sono quelle che hanno confortato i carcerati in attesa di martirio, i claustrati alla ricerca della Verità, i romiti anelanti alla conoscenza anticipata di Dio, gli infermi alla sopportazione, ma che dico?, all'amore della loro croce. Se sapeste interrogare la vostra anima, essa vi direbbe che il significato vero, esatto, vasto quanto il creato, di quella parola " domini " è questo: "Perché l'uomo domini su tutto. Su tutti i suoi tre strati. (Come li intende anche San Paolo in: 1 Tessalonicesi 5, 23. 

L’opera Valtortiana presenta con frequenza la divisione tripartita dell’uomo: corpo – carne, materia, senso, ecc. – anima – mente, pensiero, morale, cuore, ecc. – spirito – anima spirituale, essenza spirituale, ecc. -. Sempre mantenendo la sostanziale gradualità delle tre parti, spesso chiama “anima” l’anima spirituale o spirito, fino a darne, in Vol 10 Cap 651, la singolare definizione di “parte eletta dello spirito”. 

La divisione tripartita dell’uomo si ripresenta in questo capitolo e nei capitoli 35-36-37-46-47-69, al Vol 2 Cap 80-122-125-137, al Vol 3 Cap 174-196-204-209-212-225, al Vol 4 Cap 237-243-272-275-286, al Vol 5 Cap 346, al Vol 6 Cap 406, al Vol 7 Cap 465-473, al Vol 8 Cap 524-527- 548, al Vol 9 Cap 555-567, al Vol 10 Cap 601-608-610-613-651) 

Lo strato inferiore, animale. Lo strato in mezzo, morale. Lo strato superiore, spirituale. E tutti e tre li volga ad un unico fine: possedere Dio". Possederlo meritandolo con questo ferreo dominio, che tiene soggette tutte le forze dell'io e le fa ancelle di questo unico scopo: meritare di possedere Dio. Vi direbbe che Dio aveva proibito la conoscenza del Bene e del Male, perché il Bene lo aveva elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo conosceste, perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete. Voi obbietterete: " E perché ce l'ha messo? ". 

E perché! Perché il Male è una forza che è nata da sola, come certi mali mostruosi nel corpo più sano. Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto, inferiore a Dio soltanto. Eppure nel suo essere luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse. Ma anzi condensò covandolo. E da questa incubazione è nato il Male. Esso era prima che l'uomo fosse. Dio l'aveva precipitato fuor dal Paradiso, l'Incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma esso è rimasto l'eterno Incubatore del Male e, non potendo più insozzare il Paradiso, ha insozzato la Terra. 

Quella metaforica pianta sta a dimostrare questa verità. Dio aveva detto all'uomo e alla donna: "Conoscete tutte le leggi ed i misteri del creato. Ma non vogliate usurparmi il diritto di essere il Creatore dell'uomo. A propagare la stirpe umana basterà il mio amore che circolerà in voi, e senza libidine di senso ma per solo palpito di carità susciterà i nuovi Adami della stirpe. Tutto vi dono. Solo mi serbo questo mistero della formazione dell'uomo. Satana ha voluto levare questa verginità intellettuale all'uomo, e con la sua lingua serpentina ha blandito e accarezzato membra e occhi di Eva, suscitandone riflessi e acutezze che prima non avevano, perché la Malizia non li aveva intossicati. 

Essa "vide". E vedendo volle provare. La carne era destata. Oh! se avesse chiamato Dio! Se fosse corsa a dirgli: "Padre! Io son malata. Il Serpente mi ha accarezzata e il turbamento è in me". Il Padre l'avrebbe purificata e guarita col suo alito, che, come le aveva infuso la vita, poteva infonderle nuovamente innocenza, smemorandola del tossico serpentino ed anzi mettendo in lei la ripugnanza per il Serpente, come è in quelli che un male ha assalito e che, guariti di quel male, ne portano una istintiva ripugnanza. 

Ma Eva non va al Padre. Eva torna dal Serpente. Quella sensazione è dolce per lei. "Vedendo che il frutto dell'albero era buono a mangiarsi e bello all'occhio e gradevole all'aspetto, lo colse e ne mangiò". E " comprese ". Ormai la malizia era scesa a morderle le viscere. Vide con occhi nuovi e udì con orecchi nuovi gli usi e le voci dei bruti. E li bramò con folle bramosia. Iniziò sola il peccato. Lo portò a termine col compagno. Ecco perché sulla donna pesa condanna maggiore. È per lei che l'uomo è divenuto ribelle a Dio e che ha conosciuto lussuria e morte. 

È per lei che non ha più saputo dominare i suoi tre regni: dello spirito, perché ha permesso che lo spirito disubbidisse a Dio; del morale, perché ha permesso che le passioni lo signoreggiassero; della carne, perché l'avvilì alle leggi istintive dei bruti. "Il Serpente mi ha sedotta" dice Eva. "La donna m'ha offerto il frutto ed io ne ho mangiato" dice Adamo. E la cupidigia triplice abbranca da allora i tre regni dell'uomo. Non c'è che la Grazia che riesca ad allentare la stretta di questo mostro spietato. 

E, se è viva, vivissima, mantenuta sempre più viva dalla volontà del figlio fedele, giunge a strozzare il mostro ed a non aver più a temere di nulla. Non dei tiranni interni, ossia della carne e delle passioni; non dei tiranni esterni, ossia del mondo e dei potenti del mondo. Non delle persecuzioni. Non della morte. È come dice l'apostolo Paolo: (Atti 20, 24) "Nessuna di queste cose io temo, né tengo alla mia vita più di me, purché io compia la mia missione ed il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere testimonianza al Vangelo della Grazia di Dio"». 

Dice Maria: «Nella gioia, poiché quando ho compreso la missione a cui Dio mi chiamava fui ripiena di gioia, il mio cuore si aprì come un giglio serrato e se ne effuse quel sangue che fu zolla al Germe del Signore. Gioia di esser madre. M'ero consacrata a Dio dalla prima età, perché la luce dell'Altissimo m'aveva illuminato la causa del male del mondo ed avevo voluto, per quanto era in mio potere, cancellare da me la traccia di Satana. Io non sapevo di esser senza macchia. Non potevo pensare d'esserlo. Il solo pensarlo sarebbe stata presunzione e superbia, perché, nata da umani genitori, non m'era lecito pensare che proprio io ero l'Eletta ad esser la Senza Macchia. 

Lo Spirito di Dio mi aveva istruita sul dolore del Padre davanti alla corruzione di Eva, che aveva voluto avvilire sé, creatura di grazia, ad un livello di creatura inferiore. Era in me l'intenzione di addolcire quel dolore riportando la mia carne alla purezza angelica col serbarmi inviolata da pensieri, desideri e contatti umani. Solo per Lui il mio palpito d'amore, solo a Lui il mio essere. Ma, se non era in me arsione di carne, era però ancora il sacrificio di non esser madre. La maternità, priva di quanto ora la avvilisce, era stata concessa dal Padre creatore anche ad Eva. Dolce e pura maternità senza pesantezza di senso! Io l'ho provata! Di quanto s'è spogliata Eva rinunciando a questa ricchezza! Più che dell'immortalità. E non vi paia esagerazione. Il mio Gesù, e con Lui io, sua Madre, abbiamo conosciuto il languore della morte. 

Io il dolce languore di chi stanco si addormenta, Egli l'atroce languore di chi muore per la sua condanna. Dunque anche a noi è venuta la morte. Ma la maternità, senza violazioni di sorta, è venuta a me sola, Eva nuova, perché io potessi dire al mondo di qual dolcezza fosse la sorte della donna chiamata ad esser madre senza dolore di carne. E il desiderio di questa pura maternità poteva essere ed era anche nella vergine tutta di Dio, poiché essa è la gloria della donna. 

Se voi pensate, poi, in quale onore era tenuta la donna madre presso gli israeliti, ancor più potete pensare quale sacrificio avevo compiuto consacrandomi a questa privazione. Ora alla sua serva l'eterno Buono dava questo dono senza levarmi il candore di cui m'ero vestita per esser fiore sul suo trono. Ed io ne giubilavo con la duplice gioia d'esser madre di un uomo e d'esser Madre di Dio. Gioia d'esser Quella per cui la pace si rinsaldava fra Cielo e Terra. Oh! aver desiderato questa pace per amore di Dio e di prossimo, e sapere che per mezzo di me, povera ancella del Potente, essa veniva al mondo! 

Dire: "Oh! uomini, non piangete più. Io porto in me il segreto che vi farà felici. Non ve lo posso dire, perché è sigillato in me, nel mio cuore, come è chiuso il Figlio nel seno inviolato. Ma già ve lo porto fra voi, ma ogni ora che passa è più prossimo il momento in cui lo vedrete e ne conoscerete il Nome santo. Gioia d'aver fatto felice Iddio: gioia di credente per il suo Dio fatto felice. Oh! l'aver levato dal cuore di Dio l'amarezza della disubbidienza d'Eva! Della superbia d'Eva! Della sua incredulità! Il mio Gesù ha spiegato di qual colpa si macchiò la Coppia prima. Io ho annullato quella colpa rifacendo a ritroso, per ascendere, le tappe della sua discesa. Il principio della colpa fu nella disubbidienza. "Non mangiate e non toccate di quell'albero" aveva detto Iddio. E l'uomo e la donna, i re del creato, che potevano di tutto toccare e mangiare fuor che di quello, perché Dio voleva non renderli che inferiori agli angeli, non tennero conto di quel divieto. La pianta: il mezzo per provare l'ubbidienza dei figli. 

Che è l'ubbidienza al comando di Dio? È bene, perché Dio non comanda che il bene. Che è la disubbidienza? È male, perché mette l'animo nelle disposizioni di ribellione su cui Satana può operare. Eva va alla pianta da cui sarebbe venuto il suo bene con lo sfuggirla o il suo male coll'avvicinarla. Vi va trascinata dalla curiosità bambina di vedere che avesse in sé di speciale, dall'imprudenza che le fa parere inutile il comando di Dio, dato che lei è forte e pura, regina dell'Eden, in cui tutto le ubbidisce e in cui nulla potrà farle del male. La sua presunzione la rovina. La presunzione è già lievito di superbia. 

Alla pianta trova il Seduttore il quale, alla sua inesperienza, alla sua vergine tanto bella inesperienza, alla sua maltutelata da lei inesperienza, canta la canzone della menzogna. “ Tu credi che qui sia del male? No. Dio te l'ha detto, perché vi vuol tenere schiavi del suo potere. Credete d'esser re? Non siete neppur liberi come lo è la fiera. Ad essa è concesso di amarsi di amor vero. Non a voi. Ad essa è concesso d'esser creatrice come Dio. Essa genererà figli e vedrà crescere a suo piacere la famiglia. Non voi. A voi negata è questa gioia. A che pro dunque farvi uomo e donna se dovete vivere in tal maniera? Siate dèi. Non sapete quale gioia è l'esser due in una carne sola, che ne crea una terza e molte più terze? Non credete alle promesse di Dio di avere gioia di posterità vedendo i figli crearsi nuove famiglie, lasciando per esse e padre e madre. Vi ha dato una larva di vita: la vita vera è di conoscere le leggi della vita. Allora sarete simili a dèi e potrete dire a Dio: 'Siamo tuoi uguali' ”. 

E la seduzione è continuata, perché non vi fu volontà di spezzarla, ma anzi volontà di continuarla e di conoscere ciò che non era dell'uomo. Ecco che l'albero proibito diviene, alla razza, realmente mortale, perché dalle sue rame pende il frutto dell'amaro sapere che viene da Satana. 

E la donna diviene femmina e, col lievito della conoscenza satanica in cuore, va a corrompere Adamo. Avvilita così la carne, corrotto il morale, degradato lo spirito, conobbero il dolore e la morte dello spirito privato della Grazia, e della carne privata dell'immortalità. E la ferita di Eva generò la sofferenza, che non si placherà finché non sarà estinta l'ultima coppia sulla terra. Io ho percorso a ritroso la via dei due peccatori. 

Ho ubbidito. In tutti i modi ho ubbidito. Dio m'aveva chiesto d'esser vergine. Ho ubbidito. Amata la verginità, che mi faceva pura come la prima delle donne prima di  conoscere Satana, Dio mi chiese d'esser sposa. Ho ubbidito, riportando il matrimonio a quel grado di purezza che era nel pensiero di Dio quando aveva creato i due Primi. Convinta d'esser destinata alla solitudine nel matrimonio e allo sprezzo del prossimo per la mia sterilità santa, ora Dio mi chiedeva d'esser Madre. Ho ubbidito. 

Ho creduto che ciò fosse possibile e che quella parola venisse da Dio, perché la pace si diffondeva in me nell'udirla. Non ho pensato: "Me lo sono meritato ". Non mi son detta: "Ora il mondo mi ammirerà, perché sono simile a Dio creando la carne di Dio". No. Mi sono annichilita nella umiltà. La gioia m'è sgorgata dal cuore come uno stelo di rosa fiorita. Ma si ornò subito di acute spine e fu stretta nel viluppo del dolore, come quei rami che sono avvolti dai vilucchi dei convolvoli. Il dolore del dolore dello sposo: ecco la strettoia nel mio gioire. Il dolore del dolore del mio Figlio: ecco le spine del mio gioire. Eva volle il godimento, il trionfo, la libertà. Io accettai il dolore, l'annichilimento, la schiavitù. 

Rinunciai alla mia vita tranquilla, alla stima dello sposo, alla libertà mia propria. Non mi serbai nulla. Divenni l'Ancella di Dio nella carne, nel morale, nello spirito, affidandomi a Lui non solo per il verginale concepimento, ma per la difesa del mio onore, per la consolazione dello sposo, per il mezzo con cui portare egli pure alla sublimazione del coniugio, di modo da fare di noi coloro che rendono all'uomo e alla donna la dignità perduta. Abbracciai la volontà del Signore per me, per lo sposo, per la mia Creatura. Dissi: "Si" per tutti e tre, certa che Dio non avrebbe mentito alla sua promessa di soccorrermi nel mio dolore di sposa che si vede giudicata colpevole, di madre che si vede generare per dare il Figlio al dolore. 

"Sì" ho detto. Si. E basta. Quel "sì" ha annullato il "no" di Eva al comando di Dio. "Si, Signore, come Tu vuoi. Conoscerò quel che Tu vuoi. Vivrò come Tu vuoi. Gioirò se Tu vuoi. Soffrirò per quel che Tu vuoi. Sì, sempre sì, mio Signore, dal momento in cui il tuo raggio mi fe' Madre al momento in cui mi chiamasti a Te. Si, sempre sì. Tutte le voci della carne, tutte le passioni del morale sotto il peso di questo mio perpetuo si. E sopra, come su un piedestallo di diamante, il mio spirito a cui mancan l'ali per volare a Te, ma che è signore di tutto l'io domato e servo tuo. Servo nella gioia, servo nel dolore. 

Ma sorridi, o Dio. E sii felice. La colpa è vinta. È levata, è distrutta. Essa giace sotto al mio tallone, essa è lavata nel mio pianto, distrutta dalla mia ubbidienza. Dal mio seno nascerà l'Albero nuovo che porterà il Frutto che conoscerà tutto il Male, per averlo patito in Sé, e darà tutto il Bene. A questo potranno venire gli uomini, ed io sarò felice se ne coglieranno, anche senza pensare che esso nasce da me. Purché l'uomo si salvi e Dio sia amato, si faccia della sua ancella quel che si fa della zolla su cui un albero sorge: gradino per salire". 

Maria, bisogna sempre saper essere gradino perché gli altri salgano a Dio. Se ci calpestano, non fa niente. Purché riescano ad andare alla Croce. È il nuovo albero che ha il frutto della conoscenza del Bene e del Male, perché dice all'uomo ciò che è male e ciò che è bene perché sappia scegliere e vivere, e sa nel contempo fare di sé liquore per guarire gli intossicati dal male voluto gustare. 

Il nostro cuore sotto ai piedi degli uomini, purché il numero dei redenti cresca e il Sangue del mio Gesù non sia effuso senza frutto. Ecco la sorte delle ancelle di Dio. Ma poi meritiamo di ricevere nel grembo l'Ostia santa e ai piedi della Croce, intrisa del suo Sangue e del nostro pianto, dire: "Ecco, o Padre, l'Ostia immacolata che ti offriamo per la salute del mondo. Guardaci, o Padre, fuse con Essa, e per i suoi meriti infiniti dacci la tua benedizione". Ed io ti do la mia carezza. Riposa, figlia. Il Signore è con te». 


Dice Gesù: «La parola della Madre mia dovrebbe sperdere ogni titubanza di pensiero anche nei più inceppati nelle formule. Ho detto: "metaforica pianta". Dirò ora: "simbolica pianta". Forse capirete meglio. Il suo simbolo è chiaro: dal come i due figli di Dio avrebbero agito rispetto ad essa, si sarebbe compreso come era in loro tendenza al Bene o al Male. Come acqua regia che prova l'oro e bilancia d'orafo che ne pesa i carati, quella pianta, divenuta una "missione" per il comando di Dio rispetto ad essa, ha dato la misura della purezza del metallo d'Adamo e di Eva. Sento già la vostra obbiezione: "Non è stata soverchia la condanna e puerile il mezzo usato per giungere a condannarli?". Non è stato. 

Una disubbidienza attualmente in voi, che siete gli eredi loro, è meno grave che non fosse in essi. Voi siete redenti da Me. Ma il veleno di Satana rimane sempre pronto a risorgere, come certi morbi che non si annullano mai totalmente nel sangue. Essi, i due progenitori, erano possessori della Grazia senza aver mai avuto sfioramento con la Disgrazia. Perciò più forti, più sorretti dalla Grazia, che generava innocenza e amore. Infinito era il dono che Dio aveva loro dato. Ben più grave perciò la loro caduta nonostante quel dono. Simbolico anche il frutto offerto e mangiato. Era il frutto di una esperienza voluta compiere per istigazione satanica contro il comando di Dio. Io non avevo interdetto agli uomini l'amore. Volevo unicamente che si amassero senza malizia; come Io li amavo con la mia santità, essi dovevano amarsi in santità d'affetti, che nessuna libidine insozza. Non si deve dimenticare che la Grazia è lume, e chi la possiede conosce ciò che è utile e buono conoscere. La Piena di Grazia conobbe tutto, perché la Sapienza la istruiva, la Sapienza che è Grazia, e si seppe guidare santamente. 

Eva conosceva perciò ciò che le era buono conoscere. Non oltre, perché è inutile conoscere ciò che non è buono. Non ebbe fede nelle parole di Dio e non fu fedele nella sua promessa di ubbidienza. Credette a Satana, infranse la promessa, volle sapere il non buono, lo amò senza rimorso, rese l'amore, che Io avevo dato così santo, una corrotta cosa, una avvilita cosa. Angelo decaduto, si rotolò nel fango e sullo strame, mentre poteva correre felice fra i fiori del Paradiso terrestre e vedersi fiorire intorno la prole, così come una pianta si copre di fiori senza curvare la chioma nel pantano. 

Non siate come i fanciulli stolti che Io indico nel Vangelo (Matteo 11, 16-17; Luca 7, 31-32; Cap 45; Vol 4 Cap 266), i quali hanno udito cantare e si sono turati gli orecchi, hanno udito suonare e non hanno ballato, hanno udito piangere e hanno voluto ridere. Non siate gretti e non siate negatori. Accettate, accettate senza malizia e cocciutaggine, senza ironia e incredulità, la Luce. E basta su ciò. Per farvi capire di quanto dovete esser grati a Colui che è morto per rialzarvi al Cielo e per vincere la concupiscenza di Satana, ho voluto parlarvi, in questo tempo di preparazione alla Pasqua, di questo che è stato il primo anello della catena con cui il Verbo del Padre fu tratto alla morte, l'Agnello divino al macello. Ve ne ho voluto parlare perché ora il novanta per cento fra voi è simile ad Eva intossicata dal fiato e dalla parola di Lucifero, e non vivete per amarvi ma per saziarvi di senso, non vivete per il Cielo ma per il fango, non siete più creature dotate d'anima e ragione ma cani senz’anima e senza ragione. L'anima l'avete uccisa e la ragione depravata. In verità vi dico che i bruti vi superano nella onestà dei loro amori».


AMDG et BVM