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giovedì 8 febbraio 2018

TERESA NEUMANN (2)

Le visioni

Dal momento in cui ricevette le stigmate fino alla morte, Teresa Neumann ebbe numerosissime visioni in cui vedeva Gesù, i vari episodi della sua vita, i suoi miracoli, le sue prediche, la morte in croce, la risurrezione, l'ascensione al cielo. Vedeva anche la vita della Madonna, degli apostoli e dei santi, fatti biblici, episodi narrati negli Atti degli Apostoli.
Durante le visioni Teresa era completamente staccata dal mondo circostante e non reagiva a nessuno stimolo: era totalmente immersa in quello che vedeva, che si rifletteva con grande espressività sul suo volto. Le fotografie che le sono state scattate dal fratello Ferdinand mentre davanti al suo occhio interiore passavano le visioni documentano con estrema chiarezza i diversi stati d'animo: gioia, dolore, preoccupazione, sofferenza, stupore e così via.
Teresa non assisteva ai fatti biblici soltanto con lo sguardo, ma con tutta se stessa: udiva quello che veniva detto (come vedremo, sentiva ed era in grado di ripetere anche parole e frasi in lingue che allo stato normale non conosceva), percepiva gli odori (per esempio quelli dei balsami), avvertiva sensazioni di caldo e di freddo, soffriva nel corpo le sofferenze di Gesù. Subito dopo la visione, e anche tra una visione e l'altra, Teresa entrava in uno stato che fu definito di «quiete soprannaturale», durante il quale si sentiva gioiosamente unita al Salvatore. Raramente Teresa Neumann parlava di Dio o di Gesù Cristo: per lei c'era soltanto il Salvatore, col quale per tutta la vita ebbe un rapporto di totale fiducia e confidenza. Durante lo stato di «quiete soprannaturale », Teresa poteva essere interrogata su quanto aveva visto e lo riferiva dettagliatamente; e anche su problemi religiosi e filosofici e su questioni personali riguardanti i presenti.
Le risposte e le spiegazioni che dava mentre si trovava in questa condizione superavano di gran lunga le sue conoscenze abituali; inoltre si esprimeva in tedesco corretto invece che in dialetto e dava prova di abilità chiaroveggenti e di uno straordinario potere di penetrazione nell'animo altrui. Capitava quindi sovente che rispondesse a qualche domanda prima che la persona interessata la formulasse e che accennasse, senza mai esprimere alcun biasimo o critica, a episodi della vita passata di chi le stava davanti, allo scopo di sollecitarne la confidenza. Tornata allo stato normale, Teresa non ricordava nulla di quanto aveva detto. Conosciamo ogni cosa perché padre Naber, Fritz Gerlich e altri hanno preso accuratamente nota di tutto; inoltre il fratello Ferdinand riuscì fin dagli anni Trenta a registrare su disco quanto Teresa diceva a proposito di ciò che vedeva in stato di estasi.
Le visioni più famose e impressionanti sono quelle della passione e morte di Gesù, che si ripetevano ogni venerdì ad eccezione dei tempi liturgici gaudiosi o di particolari feste religiose che cadevano di venerdì; in questi casi, abbastanza rari, a Teresa erano risparmiate le abituali sofferenze. Le visioni del venerdì si distinguevano infatti dalle altre anche perché Teresa soffriva moltissimo nel fisico e nello spirito: riviveva nel corpo e nell'anima l'ultimo giorno di Gesù. E’ stato calcolato che questo avvenne almeno settecento volte. Per quello che riguarda invece le altre visioni, quelle relative alla vita della Madonna e dei santi e agli episodi biblici, esse coglievano Teresa improvvisamente, in qualunque momento della giornata. Di colpo ella veniva colta dalla visione e trasportata altrove: ciò poteva capitare mentre stava cucendo, quando era in giardino, durante un colloquio con i familiari o i visitatori, in macchina col fratello Ferdinand. Teresa diventava allora del tutto insensibile agli stimoli esterni, non si accorgeva più di quanto avveniva intorno a lei, che era completamente concentrata su quanto le veniva mostrato.
Concentriamoci ora sulle visioni del venerdì, che erano del tutto particolari. Ogni volta Teresa vedeva più o meno la stessa cosa, cioè le veniva mostrata in quarantacinque quadri la passione del Redentore, dalla preghiera nell'orto degli ulivi al Golgota. Le visioni cominciavano la notte fra il giovedì e il venerdì e terminavano il venerdì, nell'ora della morte di Gesù. Come teologi, orientalisti ed esperti ebbero modo di constatare, queste visioni corrispondevano alla realtà storica, anche nei suoi aspetti meno noti. Quando Teresa Neumann cominciò ad avere le visioni, era una giovane contadina con ben poche letture al suo attivo. Ci si sarebbe dovuti di conseguenza aspettare che fosse influenzata per esempio dai quadri della Via Crucis della chiesa parrocchiale del paese, le uniche raffigurazioni di questo evento che conoscesse; invece ciò non avvenne affatto, né per l'ambiente, né per l'abbigliamento, né per il modo di agire dei personaggi coinvolti. Al dottor Fritz Gerlich che una volta le chiese se ci fosse somiglianza tra ciò che vedeva e i quadri che erano in chiesa, lei rispose subito: « Oh, no, dottore, non, c’è niente di simile! ». Ciò che le veniva mostrato nello stato visionario corrispondeva invece perfettamente al paesaggio di Gerusalemme, che Teresa non aveva mai visto, agli arredamenti e agli abiti dell'epoca, su cui certamente non aveva fatto alcuno studio storico.
Appena aveva inizio la contemplazione di Gesù nell'orto degli ulivi, Teresa cominciava a sanguinare dalle stigmate del costato, delle mani, dei piedi e della fronte; lacrime di sangue le sgorgavano inoltre dagli occhi. Mentre assisteva al trasporto della croce, la spalla le si gonfiava e si tumefaceva. « Chi ha potuto assistere a questa visione, ne ha riportato l'immagine di un martire perfetto e impressionante, ma pur sempre nobile, commovente e composto », scrive nel suo libro Johannes Steiner, che segui Teresa per quarant'anni. « Si vedevano le mani muoversi intorno alla fronte, come per allontanare le spine, le dita delle mani contrarsi nello spasimo doloroso dei chiodi della crocifissione, la lingua che cercava di umettare le labbra riarse...». Le varie scene duravano ognuna da due a cinque minuti e venivano interrotte dallo stato di quiete in cui Teresa raccontava ciò che aveva visto. Diceva anche che in quei momenti il Signore le ridava forza. Le visioni si interrompevano verso le due di notte, l'ora in cui Gesù fu messo in prigione prima di comparire davanti a Pilato, e riprendevano la mattina dopo. Particolarmente impressionante era la visione della flagellazione, durante la quale le si aprivano ferite sul petto e sulla schiena. Racconta il fratello Ferdinand: « Teresa ogni volta assisteva alle visioni come se fosse stata una persona dell'epoca che partecipa a qualcosa di terribile e crudele, continuando a sperare fino alla fine che Gesù in qualche modo venisse liberato. Per esempio quando assisteva al bacio di Giuda, credeva davvero che fosse amichevole e sorrideva; soltanto in un secondo momento la sua espressione si tramutava in orrore. Ogni volta la visione rappresentava quindi per lei una terribile angoscia sia fisica che morale. A queste passioni hanno assistito migliaia di persone, che venivano da tutte le parti della Germania e anche dall'estero e sfilavano in silenzio davanti al letto di Teresa che soffriva e sanguinava. Qualcuno di noi fratelli era sempre presente: abbiamo assistito a scene di estrema commozione, a conversioni, a sfoghi di pianto. Io sono stato presente decine di volte, ma non mi ci sono mai abituato: era veramente uno spettacolo che strappava il cuore! ».
Il contenuto delle visioni della passione era sempre uguale, come è stato detto; talora le varie fasi si allungavano o si accorciavano, però le scene che venivano viste erano sempre le seguenti: 1) Il Salvatore è in strada con dieci apostoli; mancano Pietro e Giovanni che sono stati mandati avanti. Sono le dieci e mezzo di sera. 2) Il Salvatore viene introdotto da « un uomo buono » in una bella e grande sala dove è imbandita un'a tavola. Gli apostoli sono ora dodici, ci sono anche Pietro e Giovanni. 3) Si finisce di preparare la sala e la mensa. Non ci sono sedie, ma sedili a schienale obliquo, piatti scuri, niente forchette ma certi strumenti simili a ganci. Il Salvatore ha un grosso coltello. Il fuoco è acceso. Entra un uomo che porta frasche verdi e un agnello pasquale allo spiedo. Il Salvatore segna la porta col sangue dell'agnello e ne getta anche nel fuoco. 4) Visione breve, con l'inizio della cena. 5) Il Salvatore si muove per la sala con gli apostoli. Tutti cantano, anche il Salvatore canta « con voce chiara ». Quando le chiedono se abbia sentito qualcosa, Teresa dice che le parole del canto erano « Alleluja, Eloim, Adonai ». 6) Il Salvatore lava i piedi agli apostoli. Pietro non vorrebbe farseli lavare, ma il Salvatore lo convince. 7) Il Salvatore benedice il pane e il vino. Teresa assume un'espressione di rispetto e rivolge lo sguardo verso l'alto. Gesù parla dicendo « qualcosa di grande » e dà a ognuno un pezzo di pane. Dice poi una cosa che fa alzare e uscire in fretta « quello con i capelli rossi ».
Gesù parla ancora e dà il vino agli apostoli. 8) Gli apostoli parlano tra loro. Il Salvatore si alza e prega. Quando si siede di nuovo, Giovanni gli appoggia la testa sulla spalla sinistra. Alcuni degli apostoli sono ora seduti, altri in piedi. Poi il Salvatore esce dalla porta. 9) Il Salvatore e gli apostoli si dirigono verso il monte degli ulivi. Teresa li segue con lo sguardo. 10) Il Salvatore attraversa un piccolo ponte e va verso un orto. Qui c'è una casa piccola e una più grande. Otto degli apostoli si fermano qui. Gesù prosegue con gli altri tre. 11) Il Salvatore prega inginocchiato nell'orto e poi torna verso i tre (prima preghiera). Teresa ha le lacrime agli occhi. 12) Seconda preghiera del Salvatore. Di nuovo va dai tre e li trova addormentati. Dagli occhi di Teresa escono le prime gocce di sangue. 13) Il Salvatore prega per la terza volta e suda sangue. Viene un angelo e lo consola. Gesù torna dai tre e li sveglia. Essi erano « il giovane, uno più vecchio e un altro più vecchio ». Teresa ha ormai strisce di sangue sulle guance, le gocce cominciano a cadere sulla camicia da notte; la ferita al cuore inizia a sanguinare. 14) Arrivano uomini con fiaccole. Davanti a tutti è quello che « era scappato quando il Salvatore gli aveva dato il pane ». 15) Scontro fra gli apostoli e Giuda. Gli apostoli gridano: « Machada, machada » (cosa succede?); poi riconoscono Giuda e urlano: « Ganapa, magera » (mascalzone, una spada!). Pietro estrae la spada e colpisce. (Da questo momento ella chiamerà Pietro « il mozzaorecchi » 3) Gli uomini gridano che vogliono Gesù di Nazareth, e il Salvatore risponde: « Ana » (Sono io). 16) Teresa sorride: ha scambiato il bacio di Giuda per un segno di amicizia. Subito dopo però la sua espressione diviene di orrore. Comincia a lamentare dolori alle mani. Il Salvatore risana l'orecchio del ferito (Malco) e subito dopo viene legato. La stigmata della mano sinistra di Teresa comincia a sanguinare. 17) Il Salvatore viene condotto via. E’ stanco e assetato.
Gli uomini hanno tentato di catturare Marco, ma lui è fuggito lasciando loro la sua tunica. 18) « Hanno gettato il Salvatore nell'acqua, lui ha bevuto l'acqua sporca » (del torrente Cedron). Anche la stigmata della mano destra e quelle dei piedi cominciano a sanguinare. 19) Il corteo passa per un sobborgo di poveri, che hanno pietà del Salvatore, si inginocchiano sulla strada e lo invocano. Poi vorrebbero seguire il corteo, ma vengono respinti. Il Salvatore, che è scalzo, viene condotto al centro della città, per strade sassose, fino a una grande casa con cortile interno, dove è acceso un fuoco. 20) Giovanni e Pietro osservano i fatti da una certa distanza. Arriva un uomo anziano con una lungà barba (Anna). 21) Il Salvatore è davanti a quest'uomo, ma da principio non gli parla. Infine gli dà una risposta orgogliosa. Allora uno gli dà uno schiaffo. Teresa geme per il dolore alla ferita al cuore. 22) Il Salvatore viene deriso. Le stigmate alle mani sanguinano di nuovo. Anna scrive qualcosa su un rotolo, lo infila nella cintura del Salvatore e lo fa portar via. 23) Il Salvatore viene condotto davanti a un altro uomo dalla veste scintillante, « qualcosa sulla testa che assomiglia a piccoli corni e una strana cosa sul petto». Teresa indica con le mani strisce che scendono obliquamente verso il petto. Si tratta dello stemma (ephod) del pontefice, su cui sono indicati i nomi delle dodici tribù di Israele. 24) Fuoco nel cortile. Il «mozzaorecchi» viene interrogato, ma nega di conoscere il Salvatore.
Teresa sente cantare il gallo. 25) « L'uomo con i cornetti», cioè il sommo pontefice, si strappa la veste. La taglia con un coltello e poi la strappa. Caifa si strappa la veste in segno di condanna. Alcuni si sono espressi contro la condanna, « ma non è servito a niente ». Il Salvatore viene di nuovo deriso. Gli mettono un mantello bruno, in testa una corona di paglia e da tutte le parti gli sputano addosso. Pietro, interrogato da una donna, nega ancora di conoscere Gesù. Di nuovo canta il gallo. In quello stesso momento il Salvatore gli passa davanti, lo guarda « addolorato ma buono », e poi si allontana piangendo. 26) Il Salvatore viene condotto in un « buco scuro, freddo », a cui si arriva attraverso un corridoio stretto e basso, che bisogna percorrere piegati. Il carcere è una cella stretta in cui possono stare al massimo due persone. Lì resta fino al mattino dopo. La gente se ne va, anche Giovanni raggiunge la Madre e le altre donne. «Che sofferenza per la Madre!».
Ella viene poi condotta in una casa nelle vicinanze. A questo punto, verso le due di notte, le visioni si interrompevano. Il tutto era durato circa due ore. Durante le visioni Teresa stava seduta diritta sul letto. Nelle pause tra una visione e l'altra si appoggiava al guanciale e dava spiegazioni su quanto aveva visto. Dopo l'ultima visione subentrava uno stato di pace, durante il quale diceva che il Salvatore le ridava forza. Fino al mattino dopo Teresa riposava. Nel momento in cui riprendevano le visioni, il sangue che era uscito dagli occhi e dalle stigmate era secco. 27) Al mattino i sacerdoti e il loro seguito portano Gesù davanti a Pilato. Si fermano davanti alla scalinata del palazzo, Pilato esce e si fa portare una specie di canapè, su cui si mette a sedere. Teresa sente che Pilato non prova odio per Gesù, ma vorrebbe essere giusto.
Dice però che « dovette cedere al volere della gente ». Pilato, saputo che Gesù è della Galilea, lo manda da Erode, che è a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Prima però lo fa lavare, perché è pieno di sangue e di sputi. Davanti a Erode il Salvatore si comporta con molto orgoglio e non risponde alle sue domande. Tuttavia Erode, anche se irato, non fa niente contro di lui, ma lo rimanda a Pilato. 28) Gesù viene ricondotto da Pilato. Teresa intanto vede la moglie di Pilato mandare al marito un messaggio che lo invita a non « impicciarsi di quel giusto ». Pilato è molto inquieto. 29) Il Salvatore e il corteo che lo accompagna arrivano da Pilato, il quale non è affatto contento di rivederli. Di nuovo interroga Gesù, e Teresa nota che Pilato « è l'unico al quale il Salvatore risponde ». Pilato cerca nuovamente di salvarlo, ma la folla che si è riunita continua a gridare: «Schelappo» (crocifiggilo). Allora Pilato manda a prendere il brigante Barabba e grida qualcosa alla folla. Tutti gridano: «Barabba». Pilato allora dà un ordine e Gesù viene condotto via. 30) Teresa guarda terrorizzata e volge il capo a destra e a sinistra: assiste alla flagellazione. Il Salvatore viene spogliato, le mani gli vengono legate e la corda fissata alla colonna. Il Salvatore ha il volto verso la colonna e le braccia così tirate verso l’alto che tocca terra appena con le dita dei piedi. Poi tre gruppi composti ognuno da due uomini ubriachi cominciano a flagellarlo.
Quando vedono che tutte le parti raggiungibili del corpo sono gonfie e tumefatte, lo voltano e lo flagellano anteriormente. Durante la flagellazione sul petto e sulle spalle di Teresa si aprono delle ferite che macchiano di sangue la camicia. Finita la flagellazione, il Salvatore è così sfinito che non riesce neppure a chinarsi per raccogliere le proprie vesti. Per scherno il ragazzetto gliele fa volare lontano con un calcio. Teresa è furiosa contro questo ragazzo ed esprime vivacemente la sua collera. 31) La corona di spine. Questa corona non consiste, come abitualmente si pensa, in semplici rami spinosi intrecciati, ma è simile alle corone orientali, che sono chiuse nella parte superiore: i copricapo dei patriarchi della Chiesa ortodossa hanno tuttora questa forma. Teresa la descriveva come « una specie di cesto, con molte spine lunghe e appuntite, che i servitori conficcavano in testa a Gesù aiutandosi anche con bastoni per non ferirsi ». (Interessante notare che recenti studi sulla Sindone hanno portato a scoprire che la corona di spine era in realtà una specie di mitra fatta di un intreccio di rovi) 32) Pilato si fa condurre il Salvatore, che ha la corona di spine sulla testa, un lacero mantello rosso sulle spalle, sta curvo e trema. Pilato lo guarda con evidente pietà. Tra la folla Teresa vede anche la Madre e Giovanni. La folla continua a gridare: «Schelappo». 33) Pilato si fa portare una ciotola e si fa versare acqua sulle mani. Viene pronunciata la condanna a morte di Gesù. Le proteste vengono soffocate dalle grida della folla.
Vengono portati i legni per la croce: Teresa in un primo momento crede che sia legna da costruzione. Due pezzi corti e uno più lungo: la croce non è ancora stata montata e i legni sono legati insieme. Teresa nota che devono essere stati squadrati da tempo, infatti gli angoli sono smussati per le intemperie. I legni vengono gettati sulle spalle del Salvatore, che cominciano a sanguinare. Anche la spalla destra di Teresa comincia a macchiarsi di sangue. 34) Gesù cammina verso il Calvario. Cade sotto la croce e viene rialzato violentemente. 35) Lungo il cammino Gesù vede sua madre insieme a Giovanni e ad alcune donne. Teresa lo sente chiamare «Immi» (mia madre). Uno dei ragazzacci che accompagnano i carnefici, accorgendosi che si tratta della madre di Gesù, per scherno le mostra due chiodi di crocifissione. Maria sviene e viene sorretta da Giovanni. 36) Uno straniero viene sollecitato a portare la croce di Gesù. Teresa gli fa cenno con la mano sinistra, come a sollecitarlo ad aiutare il Salvatore. 37) Quest'uomo è un greco, si chiama Simone di Cirene. Ha un bastone sotto il braccio ed è in compagnia di due ragazzi, uno più grande e uno più piccolo. Si erano avvicinati per vedere cosa stava succedendo. Quando gli ordinano di portare la croce, l'uomo si ribella e rifiuta di farlo. Dato che gli aguzzini vogliono costringerlo, lui protesta energicamente e così facendo provoca la seconda caduta del Salvatore, il quale rialzandosi si volta verso di lui e lo guarda con uno sguardo divino che tronca ogni sua resistenza. Simone afferra la croce, sollevando completamente del suo peso il Salvatore.
Teresa assiste a tutto questo camminando accanto a Gesù. 38) Si avvicina una donna con una fanciulla che porta una brocca d'acqua. Resì la riconosce: è la stessa che un tempo si era avvicinata di nascosto al Salvatore e gli aveva toccato la veste, guarendo dalla sua emorragia. Commossa, vedendo il volto coperto di sudore e di sangue del Salvatore, gli porge il suo scialle e lui se lo preme contro il viso, la cui impronta vi resta impressa. 39) Il corteo arriva alla porta della città. 40) Donne e bambini sostano sulla strada e guardano piangendo il passaggio del Salvatore. I soldati li respingono. 41) Il Salvatore inciampa e cade. 42) Gli aguzzini gridano: « Kum » (alzati), e afferrano il Salvatore per le spalle per farlo rialzare: temono che muoia prima di venir crocifisso. 43) Il corteo arriva al luogo della crocifissione sul monte Calvario. Qui si ferma. Il Salvatore viene condotto in una vecchia tomba mezza diroccata. 44) I tre pezzi della croce vengono messi insieme. 45) Il Salvatore viene disteso per prova sulla croce: vengono segnate le posizioni della testa, delle mani, dei piedi e della vita. Poi lo fanno alzare (Teresa dice che da solo non ci sarebbe mai riuscito) e lo riportano nella tomba. Teresa lo vede seduto, ancora vestito e tremante: in stato normale Teresa osservò che era logico che tremasse, visto che la stagione era ancora indietro e lui aveva la febbre per le molte ferite. Dopo questa visione, che avveniva in genere verso le undici del mattino, c'era sempre una pausa di circa un’ora, durante la quale Teresa giaceva in posizione di abbandono e riprendeva forza.
In varie occasioni ebbe a dire che durante quell'ora i carnefici preparavano la croce. Verso le dodici Teresa si mette di colpo a sedere sul letto, con le mani tese in avanti: per tre quarti d'ora assisterà alla crocifissione. Il Salvatore viene condotto accanto alla croce; gli strappano i vestiti appiccicati al corpo dal sangue, così che tutte le ferite si riaprono e ricominciano a sanguinare. Resta nudo, e ha il volto pieno di tristezza per l'affronto. Presa da pietà, una donna gli porge uno scialle e lui se lo avvolge con gratitudine intorno alla vita. Gli aguzzini lo spingono sulla croce e lo legano alla cintola. Poi gli legano anche le braccia alla croce e infilano i chiodi, attraverso la mano, nel foro già praticato in precedenza nel legno. Siccome a sinistra il foro è troppo distante, con una corda tirano il braccio fino a slogare la spalla. Teresa sussulta a ogni colpo di martello e dalle stigmate esce sangue fresco. Si procede poi all'inchiodatura dei piedi: anche le gambe vengono legate alla croce, i piedi sovrapposti e inchiodati con un lungo chiodo. Viene quindi attaccata la scritta col nome e poi la croce viene innalzata e conficcata in una fossa, già preparata. Teresa sussulta per lo spasimo e vede il Salvatore piegare il capo e svenire per qualche momento. Siccome la fossa non risulta sufficientemente profonda, i carnefici tolgono la croce, scavano ancora un po' e poi la rimettono a posto, meno violentemente di prima. Per tener salda la croce, riempiono la fossa di terra, pietre e cunei di legno. Teresa, su richiesta, ebbe occasione di precisare che il Salvatore era stato crocifisso con le spalle alla città; le croci dei due ladroni erano un po' più avanti, disposte obliquamente. Teresa tiene ora costantemente lo sguardo rivolto verso l'alto, sente le parole di perdono di Gesù, le grida di scherno della folla. Il suo sguardo si posa con grande pietà anche sulla Madre, che sta ai piedi della croce sorretta da Giovanni. Accanto a lei Maria Maddalena, con le vesti imbrattate di sangue. Il cielo si oscura e il Salvatore si sente abbandonato. Mormora: « Ebi, Ebi, lamà sabaktani » (Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?). E’ il momento più difficile della sua esistenza. Ferdinand Neumann ha registrato queste parole della sorella: «Al Salvatore pareva che il Padre non ne volesse più sapere di lui, e per me è stato come se il Salvatore non ne volesse più sapere di me».
Nella febbre e nell'arsura Teresa sente il Salvatore pronunciare la parola « As-che » (ho sete), termine insolito di cui si dirà in seguito, alla fine di questo capitolo. Al Salvatore viene allungata la spugna con acqua e aceto, lui ne beve, poi esclama: « Salem kulechi » (tutto è compiuto). E poco dopo: « Abba, bejadach afkedh ruchi » (Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito). La terra trema, la rupe si spacca, il Salvatore china la testa e spira. In quello stesso momento Teresa si abbandona riversa sui guanciali. La bocca le resta semichiusa, il volto è cereo: a giudizio dei numerosissimi testimoni, sembra veramente una morta. Le visioni della passione erano quasi sempre queste. Il venerdì santo e in qualche altra rara occasione Teresa vedeva però anche altre cose: la morte dei ladroni, la deposizione dalla croce, la sepoltura del Salvatore. Johannes Steiner riferisce che nel 1947, mentre era nello stato normale, Teresa spiegò che i due bracci della croce non erano paralleli a terra, bensì piantati obliquamente nel palo centrale. Steiner allora fece uno schizzo (quello qui riportato) che Teresa giudicò più o meno esatto. Disse però che la croce era molto più bassa, tanto che la Madre e Giovanni, che stavano accanto alla croce, arrivavano con la testa quasi all'altezza del petto del Salvatore. Dopo la visione della passione, Teresa cadeva in un sonno profondo.
Il sabato solitamente si era del tutto rimessa. Soltanto il sabato santo continuava a dormire, e a fatica i parenti riuscivano a muoverla per lavarla. Si riprendeva la mattina di Pasqua, di buon'ora, con la visione della risurrezione. Appariva allora felicissima, piena di gioia e non si stancava di ripetere a padre Naber, che era sempre presente, di non dimenticare di dire alla gente, nel suo sermone pasquale, che « il Salvatore è buono ». Vediamo ora qualche altro elemento di grande interesse. È stato osservato più volte che, durante le visioni, le stigmate di Teresa Neumann si aprivano e cominciavano a sanguinare. A queste sanguinazioni ebbero modo di assistere, in più occasioni, dei medici, tra cui il professor G. Ewald, docente a Erlangen; dopo aver analizzato le piaghe insieme ad alcuni colleghi, egli scrisse: «La prima apparizione delle lacrime di sangue all'inizio dell'estasi fu osservata anche dal collega Seidì e dal medico legale Molitori. Furono fatti immediati prelievi, che furono analizzati al microscopio: la presenza di sangue fu constatata senz'ombra di dubbio... Una simile sanguinazione non potrebbe essere provocata artificialmente, in quanto rimarrebbero cicatrici evidenti alle congiuntive. Ogni ferita provocata si chiuderebbe da sola prima di poter provocare una tale sanguinazione, anche se si trattasse di ferite ampie, che però non potrebbero mai passare inosservate. Lo stesso vale anche per la ferita nella regione del cuore e per il sangue che esce dalla testa. L'inizio spontaneo delle sanguinazioni è stato osservato con certezza da parecchi medici, anche con la lente d'ingrandimento».
Nessun dubbio quindi sull'autenticità delle stigmate e delle sanguinazioni spontanee durante le visioni. Un altro elemento notevole è rappresentato dal fatto che durante le visioni Teresa Neumann parlava in lingue che allo stato normale non conosceva: si parla in questo caso di xenoglossia, cioè della capacità di parlare, in uno stato alterato di coscienza, lingue straniere non apprese. Teresa pronunciò frasi in latino quando ripeteva le frasi dei soldati romani, in portoghese quando assisteva a scene della vita di sant'Antonio di Padova, in francese per Bernadette di Lourdes, in aramaico per quello che riguarda la vita di Gesù. Superfluo ripetere che Teresa Neumann conosceva soltanto il tedesco, anzi abitualmente si espflmeva nel dialetto del suo paese. Alle sue visioni ebbero modo di assistere eminenti orientalisti, fra cui il professor Wutz di Eichstàtt, docente di esegesi biblica, il professor Wesseley di Vienna e il professor Johannes Bauer, docente di teologia semitica all'Università di Halle. Le frasi in aramaico pronunciate dalla Neumann durante le estasi furono molto numerose.
Alcune le abbiamo già citate in precedenza, altre sono per esempio queste: Johudaje: giudei; Schiama Rabbuni: io ti saluto, o Maestro (parole pronunciate da Giuda nell'orto degli ulivi); Abba, shobok la'hon: Padre, perdona loro (parole di Gesù sulla croce); Amen Amarna lach bjani atte emmi b'padesa: in verità ti dico che oggi sarai con me in paradiso (parole di Gesù al buon ladrone). È stato osservato che queste espressioni esistono già stampate in libri e dizionari, e quindi potrebbe essere ipotizzabile che Teresa Neumann, che possedeva facoltà chiaroveggenti, in qualche modo le captasse. Il fenomeno della « lettura in libri chiusi » è noto in parapsicologia e certi sensitivi hanno dimostrato di esserne capaci. Oppure si potrebbe anche ipotizzare che Teresa Neumann captasse tali conoscenze direttamente dalla mente degli orientalisti presenti. Va notato però che in certi casi le parole pronunciate in aramaico stupivano gli stessi esperti, che se ne sarebbero attese altre.
Per esempio una volta, mentre aveva la visione di Gesù in croce, Teresa pronunciò la parola «as-che!», che significa « ho sete ». Tutti gli esperti presenti furono d'accordo nel ritenere che il vocabolo da usarsi per esprimere tale necessità sarebbe dovuto essere « sachena! ». Il dottor Punder ebbe anzi a dire: « Ma da dove, dunque, Teresa avrà rilevato l'inattesa quanto corretta parola as-che? E’ questo un enigma che nessuna forma di suggestione può risolvere » Un altro orientalista presente, il professor Wesseley, rimase anch'egli sorpreso da questa parola e da un'altra frase pronunciata da Teresa e ignorata dagli esperti presenti: « Rimane inesplicabile », affermò, « come mai Teresa abbia potuto pronunciare una sentenza fino ad ora non conosciuta dagli orientalisti che l'ascoltavano, e che essa abbia potuto usare una parola aramaica inattesa da loro stessi, per quanto assolutamente corretta. Il presumere che la fanciulla abbia potuto leggere un pensiero che non si concretizzò mai nel cervello del professor Wutz e di tutti gli altri, risulta pura insulsaggine ». In un'altra occasione il professor Wutz stava trascrivendo quanto Teresa diceva, quando, non comprendendo una frase, interruppe la veggente dicendole: « Teresa, ciò non e possibile. Le parole che dite non sono in aramaico ». La Neumann rispose: « Ho ripetuto le parole che mi hanno detto ». Il professor Wutz rimase nella convinzione che la frase fosse sbagliata, e tornato a casa consultò diversi testi in aramaico, fino a quando in uno dei più antichi dizionari di questa lingua trovò la stessa frase che Teresa aveva pronunciato. C'è anche da rilevare che le parole in aramaico non si leggono come sono scritte, e di conseguenza anche se Teresa fosse riuscita a « leggerle » in libri lontani, come avrebbe potuto pronunciarle in maniera esatta? L'ipotesi più logica è quindi che durante lo stato mistico Teresa avesse la possibilità di superare le barriere spaziali e temporali, trasferendosi indietro nel tempo e percependo quanto effettivamente si era verificato quasi duemila anni prima. (Continua) 
Agnello mistico

AMDG et DVM

lunedì 22 ottobre 2012

SANT'ALFONSO M: de' Liguori: "Il fine principale ch'ebbe Gesù nella sua Passione fu di palesarci il suo amore e così tirarsi i nostri cuori colla memoria de' mali per noi sofferti: Haec prima causa Dominicae Passionis, quia sciri voluit, quantum amaret hominem Deus, qui plus amari voluit quam timeri".




CAPITOLO II. - Gesù volle assai patire per noi, affine di farc'intendere il grande amor che ci porta.

 

 1. Due cose, scrisse Cicerone, fan conoscere un amante, il beneficare l'amato e 'l patire per l'amato; e questo è il segno più grande d'un vero amore:Duo sunt quae amantem produnt, amato benefacere, et pro amato cruciatus ferre, et hoc est maius.1 Iddio ben già avea dimostrato il suo amore all'uomo con tanti benefici a lui dispensati; ma il beneficare solamente l'uomo, dice S. Pier Grisologo, egli stimò esser troppo poco al suo amore, se non avesse trovato il modo di dimostrargli quanto l'amava anche col patire e morire per esso, come

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fece pigliando carne umana: Sed parum esse credidit, si affectum suum non etiam adversa sustinendo monstraret.2- E qual modo più atto potea Dio trovare per palesarci l'amore immenso che ha per noi che col farsi uomo e patire per noi? Non aliter Dei amor erga nos declarari poterat, scrive a tal proposito S. Gregorio Nazianzeno.3 
- Amato mio Gesù, troppo voi avete stentato per dichiararmi il vostro affetto e per innamorarmi della vostra bontà. Troppo dunque sarebbe il torto che vi farei, se vi amassi poco o amassi altra cosa che voi.


2. Ah, che in farsi da noi vedere un Dio impiagato, crocifisso e moribondo, ben egli ci diede, dice Cornelio a Lapide (In 1. Cor.), il segno più grande dell'amor che ci porta: Summum Deus in cruce ostendit amorem.4 E prima di lui disse S. Bernardo che Gesù nella sua Passione ci diè a conoscere che 'l suo affetto verso di noi non potea esser maggiore di quel che era: In Passionis rubore maxima et incomparabilis ostenditur caritas (De Pass. c. 41).5 Scrive l'Apostolo che quando Gesù Cristo volle morire per la nostra salute, apparve allora dove giungea l'amore di un Dio verso noi misere creature: Apparuit benignitas et humanitas Salvatoris nostri Dei (Ad Tit. III, 4). 
- Ah mio innamorato Signore, intendo già che tutte le vostre piaghe mi parlano dell'amore che mi portate! E chi mai, a tanti contrassegni della vostra carità, potrà resistere a non amarvi? Avea ragione di dir S. Teresa, o amabilissimo Gesù, che chi non v'ama dà segno che non vi conosce.6

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3. Ben potea Gesù Cristo ottenerci la salute senza patire e col menare in terra una vita dolce e deliziosa; ma no, dice S. Paolo: Proposito sibi gaudio, sustinuit crucem (Hebr. XII, 2). Ricusò egli le ricchezze, le delizie, gli onori terreni, e si elesse una vita povera ed una morte piena di dolori e di obbrobri. E perché? Non bastava forse ch'egli avesse supplicato l'Eterno Padre a perdonare l'uomo con una semplice preghiera, la quale essendo d'infinito valore era sufficiente a salvare il mondo ed infiniti mondi? E perché mai volle poi eleggersi tante pene con una morte così crudele che ben dice un autore (Contens. theol. t. 2. l. 10, dis. 4) che per puro dolore l'anima di Gesù si separò dal corpo: Inter agones purus dolor animam e corpore disiunxit?7 
A che tanta spesa per redimere l'uomo? Risponde S. Gio. Grisostomo: Bastava sì una preghiera di Gesù per redimerci, ma non bastava per dimostrarci l'amore che questo Dio ci porta: Quod sufficiebat Redemptioni non sufficiebat amori (Ser. 128).8 E lo conferma S. Tommaso dicendo:Christus ex caritate patiendo magis Deo exhibuit, quam exigeret recompensatio offensae humani generis (3. p. q. 48. a. 2).9 Perché Gesù ci amava assai, voleva assai esser amato da noi; e perciò fece quanto poté anche col patire per conciliarsi il nostro amore e per farc'intendere ch'esso non avea quasi più che fare per farsi amare da noi. Multum fatigationis assumpsit, dice S. Bernardo, quo multae dilectionis hominem teneret:10 Egli prese molto a patire per molto obbligare l'uomo ad amarlo.

4. E qual prova maggiore d'affetto, disse lo stesso nostro Salvatore, può dimostrare un amante verso la persona amata che dar la vita per suo amore?Maiorem hac dilectionem nemo

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habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Io. XV, 13). Ma voi, o amantissimo Gesù, dice S. Bernardo, avete fatto più di questo, mentre avete voluto dar la vita per noi non amici, ma vostri nemici e ribelli: Tu maiorem habuisti, Domine, caritatem, ponens animam pro inimicis.11 E questo è ciò che avvertì l'Apostolo, quando scrisse: Commendat caritatem suam in nobis, quia cum adhuc peccatores essemus, secundum tempus Christus pro nobis mortuus est (Rom. V, 8, 9). Dunque, Gesù mio, voi per me vostro nemico avete voluto morire, ed io potrò resistere a tanto amore? Eccomi, giacché voi con tanta premura desiderate ch'io vi ami, io v'amo sopra ogni cosa, discaccio da me ogni altro amore e solo voi voglio amare.


5. Dice S. Gio. Grisostomo che 'l fine principale ch'ebbe Gesù nella sua Passione fu di palesarci il suo amore e così tirarsi i nostri cuori colla memoria de' mali per noi sofferti: Haec prima causa Dominicae Passionis, quia sciri voluit, quantum amaret hominem Deus, qui plus amari voluit quam timeri.12 Aggiunge S. Tommaso che noi per mezzo della Passione di Gesù conosciamo la grandezza dell'amore che Dio porta all'uomo: Per hoc enim homo cognoscit, quantum Deus hominem diligat.13 E prima lo disse S. Gio.: In hoc cognovimus caritatem Dei, quoniam ille animam suam pro nobis posuit.14 Ah, Gesù mio, o Agnello immacolato sagrificato sulla croce per me, tantus labor non sit cassus,15 non sia perduto quanto avete patito per me; deh conseguite in me il fine di tante vostre pene! Ligatemi tutto colle dolci catene del vostro amore, acciocch'io non vi lasci e non mi divida più da voi. Iesu dulcissime, ne permittas me separari a te: ne permittas me separari a te.


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6. Riferisce S. Luca che parlando Mosè ed Elia sul monte Taborre della Passione di Gesù Cristo, la chiamavano un eccesso: Dicebant excessum eius quem completurus erat in Ierusalem (Luc. IX, 31). Sì, dice S. Bonaventura, con ragione la Passione di Gesù fu chiamata un eccesso, poiché fu un eccesso di dolore ed un eccesso d'amore: Excessus doloris, excessus amoris.16 Ed un divoto autore soggiunge: Quid ultra pati potuit, et non pertulit? Ad summum pervenit amoris excessus (Contens).17 E come no? La divina legge non altro impone agli uomini, se non che amino il prossimo come loro stessi; ma Gesù ha amato gli uomini più che se stesso: Magis hos, quam seipsum amavit, dice S. Cirillo.18 - Dunque, amato mio Redentore, vi dirò con S. Agostino, voi siete giunto ad amarmi più di voi stesso, mentre per salvare me avete voluto perdere la vostra vita divina, vita infinitamente più preziosa delle vite di tutti gli uomini e di tutti gli angeli insieme: Dilexisti me plus quam te, quoniam mori voluisti pro me.19

7. O Dio infinito, esclama Guerrico abbate, voi per amor dell'uomo, s'è lecito dirlo, siete divenuto prodigo di voi stesso: Oh Deum, si fas est dici, prodigum sui prae desiderio hominis! E come no? soggiunge, giacché non solo avete voluto donare i vostri beni, ma anche voi stesso per ricuperare l'uomo perduto? An non prodigum sui, qui non solum

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sua, sed seipsum impendit, ut hominem recuperaret?20 O prodigio, o eccesso d'amore degno solo d'una bontà infinita! E chi mai, dice S. Tommaso da Villanova, potrà, Signore, neppure da lungi intendere l'immensità del vostro amore nell'avere tanto amato noi miseri vermi che per noi abbiate voluto morire e morire in croce? Quis amoris tui cognoscere vel suspicari posset a longe caritatis ardorem; quod sic amares, ut teipsum cruci et morti exponeres pro vermiculis? Ah che questo amore, conclude il medesimo santo, eccede ogni misura, ogni intelligenza: Excedit haec caritas omnem modum, omnem sensum.21



8. È cosa dolce il vedersi alcuno amato da qualche gran personaggio, tanto più se quegli può sollevarlo ad una gran fortuna. Or quanto più dolce e caro dev'essere a noi il vederci amati da Dio che può sollevarci ad una fortuna eterna? Nell'antica legge potea l'uomo dubitare se Dio l'amasse con tenero amore; ma dopo averlo veduto su d'un patibolo versar sangue e morire, come noi possiamo più dubitare se egli ci ama con tutta la tenerezza ed affetto? Anima mia, deh mira il tuo Gesù che pende da quella croce tutto impiagato; ecco come per quelle ferite egli ben ti dimostra l'amore del suo Cuore innamorato. Patent arcana cordis per foramina corporis, parla S. Bernardo.22 - Caro mio Gesù, m'affligge sì il vedervi morire con tanti affanni su questo legno d'obbrobrio, ma troppo mi consola e m'innamora di voi il conoscere per mezzo di queste piaghe l'amore che mi portate. Serafini del cielo, che ve ne pare della carità del mio Dio, qui dilexit me, et tradidit semetipsum pro me? (Galat. II, 20).

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9. Dice S. Paolo che i Gentili sentendo predicare Gesù crocifisso per amore degli uomini, la stimavano una pazzia da non potersi credere: Nos autem praedicamus Christum crucifixum, Iudaeis quidem scandalum, Gentibus autem stultitiam (I Cor. I, 23). E com'è possibile, diceano essi, credere che un Dio onnipotente, il quale non ha bisogno d'alcuno per essere felicissimo qual è, abbia voluto per salvare gli uomini farsi uomo e morire in croce? Questo sarebbe lo stesso, diceano, che credere un Dio divenuto pazzo per amore degli uomini: Gentibus autem stultitiam.23 E con ciò ricusavano di crederlo. - Ma questa grand'opera della Redenzione che le genti stimavano e chiamavano pazzia, noi sappiamo per fede che Gesù l'ha intrapresa e terminata. Agnovimus sapientem amoris nimietate infatuatum:24 abbiamo veduto, dice S. Lorenzo Giustiniani, la sapienza eterna, l'Unigenito di Dio, divenuto, per dir così, impazzito per l'amore eccessivo che porta agli uomini. Sì, perché non sembra che una pazzia d'amore, soggiunge Ugon cardinale, aver voluto un Dio morire per l'uomo: Stultitia videtur, quod mortuus fuerit Deus pro salute hominum.25

10. Il B. Giacopone, uomo che nel secolo era stato letterato poi rendutosi francescano, parea diventato matto per l'amore che portava a Gesù Cristo. Un giorno gli apparve Gesù e gli disse: “Giacopone, perché fai queste pazzie?”- “Perché le fo? rispose, perché voi me le avete insegnate. Se io son pazzo, disse, voi siete stato più pazzo di me in aver voluto morire per me: Stultus sum, quia stultior me fuisti.”26 Così parimente

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S. Maria Maddalena de' Pazzi sollevata in estasi esclamava (In vita, c. 11): Oh Dio d'amore! oh Dio d'amore! È troppo, Gesù mio, l'amore che porti alle creature.27 Ed un giorno, stando pure fuor di sé rapita, prese un'immagine del Crocifisso e si pose a correre pel monasterio, gridando: O amore! o amore! non resterò giammai, mio Dio, di chiamarti amore. Indi rivolta alle religiose disse: “Non sapete voi, care sorelle, che il mio Gesù altro non è che amore? anzi pazzo d'amore? Pazzo d'amore dico che sei, o Gesù mio, e sempre lo dirò”.28 E dicea che chiamando Gesù amore, avrebbe voluto essere udita da tutto il mondo, acciò da tutti fosse stato conosciuto

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ed amato l'amor di Gesù.29 Ed alcuna volta si poneva a sonar la campana, affinché venissero tutte le genti della terra, come desiderava, se fosse stato possibile,30 ad amare il suo Gesù.31

11. Sì, mio dolce Redentore, permettetemi dirlo, ben avea ragione questa vostra sposa di chiamarvi pazzo d'amore. E non pare una pazzia che voi abbiate voluto morire per me? morire per un verme ingrato quale son io, di cui già vedevate l'offese ed i tradimenti ch'io dovea farvi? Ma se voi, mio Dio, siete quasi impazzito per amor mio, come io non impazzisco per amore d'un Dio? Dopo ch'io vi ho veduto morto per me, come posso pensare ad altri che a voi? come posso amare altra cosa che voi? Sì, mio Signore, mio sommo bene, amabile sopra ogni bene, io v'amo più di me stesso. Vi prometto di non amare da oggi avanti altri che voi e di pensare sempre all'amore che voi m'avete dimostrato morendo tra tante pene per me.
12. O flagelli, o spine, o chiodi, o croce, o piaghe, o affanni, o morte del mio Gesù, voi troppo mi stringete ed obbligate ad amare chi tanto m'ha amato. O Verbo Incarnato, o Dio amante, l'anima mia s'è innamorata di voi. Vorrei amarvi tanto, che non trovassi altro gusto che in dar gusto a voi, dolcissimo mio Signore. Giacché voi tanto bramate l'amor mio, io mi protesto che non voglio vivere se non per voi. Voglio fare quanto volete da me. Deh, Gesù mio, aiutatemi, fate ch'io vi compiaccia intieramente e sempre nel tempo e nell'eternità.

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Maria, madre mia, pregate Gesù per me, acciò mi doni il suo amore, poiché altro non desidero in questa e nell'altra vita che di amare Gesù. Amen.


1 Questa sentenza, non l' abbiamo ritrovata né presso Cicerone, né presso alcuno degli antichi.2 “Sed adhuc parum esse credidit, si affectum suum erga non praestando prospera tantum, et non etiam adversa sustinendo monstraret.” S. PETRUS CHRYSOLOGUS, Sermo 69. ML 52-397.

3 “Non aliter Dei erga nos amor testatus esse poterat, quam ex eo quod caro in memoria fuerit, (cioé che non si dicesse: Verbum homo vel anima factum est) et quia nostri causa ipse etiam usque ad deteriorem partem sese demisit. Carnem enim anima viliorem esse nemo sanae mentis indiciabitur. Itaque hic locus, Verbum caro factum est, eamdem vim et significationem mihi habere videtur cum eo, quod peccatum quoque ipsum et maledictum factus esse dicitur; non quod Dominus in haec immutatus sit: qui enim id fieri posset? sed quia per id quod haec suscepit, iniquitates nostras sustulit, et morbos portavit.” S. GREGORIUS NAZIANZENUS, Epistola 101, ad Cledonium presbyterum, contra Apollinarium. MG 37-190.
4 CORNELIUS A LAPIDE, S. I., Commentaria in I Epist. ad Corinthios, cap. 1, v. 25.
5 Vitis mystica seu tractatus de Passione Domini, cap. 41, n. 132. Inter Opera S. Bernardi, ML 184-715. - “In Passione ac Passionis rubore ardor maximae et incomparabilis ostenditur caritatis.” Vitis mystica seu tractatus de Passione Domini, cap. 23. Opera S. BONAVENTURAE, VIII, ad Claras Aquas, 1898, pag. 186. - Vedi Appendice, 2, 9°.
6 “Oh, Senor y verdadero Dios mio! Quien no os conoce, no os ama. Oh qué gran verdad es ésta!” S. TERESA, Exclamaciones del alma a Dios. XIV.Obras, IV, 287.
7 “Inter has languoris luctas, inter obruentes agones, purus dolor animam a corpore disiunxit.” Vincentius CONTENSON, Theologia mentis et cordis, lib. 10, dissertatio 4, cap. 1, speculatio 1, (tertius excessus, in fine).
8 S. PETRUS DAMIANUS, sermo 47, De exaltatione S. Crucis, ML 144-172. - S. Io. CHRYSOSTOMUS, in Epist. ad Ephes., hom. 3, n. 3. MG 62-27. - VediAppendice 4. 
9 “Ille proprie satisfacit pro offensa qui exhibet offenso id quod aeque vel magis diligit quam oderit offensam. Christus autem, ex caritate et obedientia patiendo, maius aliquid Deo exhibuit quam exigeret recompensatio totius offensae humani generis.” S. THOMAS, Sum. Theol., III, qu. 48, art. 2, c.
10 “Multum fatigationis assumpsit, quo multae dilectionis hominem debitorem teneret.” S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 11, n. 7. ML 183-827.
11 “Maiorem, inquit, caritatem nemo habet, quam ut animam suam ponat quis pro amicis suis (Ioan. XV, 13). Tu maiorem habuisti, Domine, ponens eam etiam pro inimicis.” S. BERNARDUS, Sermo de Passione Domini, in feria IV Hebdomadis Sanctae, n. 4. ML 183-264.
12 “Haec prima causa est Dominicae Passionis: quia sciri voluit quantum amaret hominem Deus, qui plus amari voluit quam timeri.” Inter Opera S. Io. Chrysostomi, III, Venetiis, 1574, De Passione Domini sermo sextus, fol. 297, col. 4. - Però questi Sermoni sulla Passione non vengono neppur ricordati nell' edizione Benedettina. Ma, nelle sue opere genuine, svolge più volte questo pensiero il Grisostomo. - Vedi Appendice, 5.
13 S. THOMAS, Sum. Theol., III, qu. 46, art. 3, c.
14 Questo testo di S. Giovanni (III, 16) manca nelle ediz. del 1751 (Pellecchia, Paci) e in quella Romana (De' Rossi, 1755).
15 Sequentia Dies irae.16 “Excessus recte nominat Passionem, quia in ea fuit excessus humilitatis... Fuit etiam excessus paupertatis... Fuit excessus doloris.... Fuit etiam excessus amoris.” S. BONAVENTURA, Commentarius in Evangelium S. Lucae, cap. XI, n. 54 (in vers. 31). Opera, VII, ad Claras Aquas, 1895, pag. 234.
17 Vincentius CONTENSON, Theologia mentis et cordis, lib. 10, dissertatio 4, cap. 1, speculatio 1, Reflexio ( in fine).
18 “Vides dilectionis erga nos novitatem? Lex enim praecepit diligere fratrem sicut seipsum: Dominus autem noster Iesus Christus dilexit nos plus quam seipsum: nec enim in forma et aequalitate Dei ac Patris exsistens, ad nostram humilitatem descendisset, neque tam acerbam corporis mortem pro nobis pertulisset, non colaphos iudaicos, non sannas et contumelias, uno verbo cetera omnia, ut ne singula quae passus est numrando in infinitum sermonem proferamus, pertulisset; sed neque dives cum esset pauper fieri voluisset, nisi nos magis dilexisset quam seipsum. Inauditus itaque ac novus est huius dilectionis modus.” S. CYRILLUS ALEXADRINUS, In Ioannis Evangelium liber 9, in Io. XIII, 34. MG 74-162, 163.
19 Soliloquia animae ad Deum, cap. 13. Inter Opera S. Augustini, ML 40-874. - Operetta, non già di S. Agostino, ma di un compilatore più recente, forseAlchero, monaco di Chiaravalle.20 “Dedit (Pater) Filium in pretium redemptionis; dedit Spiritum in privilegium adoptationis; se denique totum servat haereditatem adoptatis. O Deum, si fas est dici, prodigum sui, prae desiderio hominis! An non prodigum, qui non solum sua, sed et seipsum impendit, ut hominem recuperaret, non tam sibi quam homini ipsi?” GUERRICUS Abbas, In festo Pentecostes, sermo 1, n. 1. ML 185-157.
21 “Quis enim, non dicam hominum, sed angelorum, qui a saeculo vident te, amoris tui immensum pondus et ardentissimam vim tam plene cognosceret? Quis eorum vel suspicari posset a longe tantae caritatis ardorem: quod sic amares, ita diligeres, ut teipsum cruci et morti exponeres pro vermiculo? S. THOMAS A VILLANOVA, In festo Natalis Domini concio 3, n. 7. Conciones, Mediolani, 1760: II, 52. - “Excedit, exsuperat supra modum haec caritas tua, Domine, quam in nostra redemptione monstrasti, omnem scientiam, et omnem sensum, non solum humanum, sed etiam angelicum.” Ibid.
22 “Patet arcanum cordis per foramina corporis.” S. BERNARDUS, In Cantica, sermo 61, n. 4. ML 183-1072.23 La ripetizione del testo latino di S. Paolo “Gentibus autem stultitiam” è stata aggiunta nelle edizioni posteriori al 1755.
24 “Adeamus cum fiducia, non ad thronum gloriae, sed ad diversorium humanitatis eius (specum nempe Bethleemiticum).... Ibi namque agnoscemus exinanitam maiestatem. Verbum abbreviatum, solem carnis nube obtectum, et sapientiam amoris nimietate infatuatam.” S. LAURENTIUS IUSTINIANUS,Sermo in festo Nativitatis Domini, Opera,  Venetiis, 1721, pag. 328, col. 1.
25 “Cum uno verbo posset omnes homines salvare, stultitia videtur, procedentibus secundum naturales rationes, quod mortuus fuerit (Deus) propter salutem hominum.” HUGO DE SANCTO CHARO, Cardinalis primus O. P., In Epist. I ad Cor., cap. 1, v. 23. Opera, VII, fol. 75, col. 3, post medium. Venetiis, 1703.
26 Questo amoroso diverbio tra sé e Cristo riferisce lo stesso B. JACOPONE DA TODI nella sua Lauda XC, Amor de caritate: Le Laude, Ristampa integrale della prima edizione (1490), Firenze, 1923.
(Parla Cristo):
Tutte le cose qual aggio ordenate
si so fatte con numero e misura,
e molto più ancora caritate

si è ordenata nella sua natura.
Donqua co per calura, - alma, tu sé empazita?
For d' orden tu se' uscita, - non t' è freno el fervore.

(Risponde Jacopone):
Cristo, che lo core si m' hai furato,
dici che ad amor ordini la mente,
come da poi ch' en te si so mutato
de me remasta, fusse convenente?

A te si può imputare - non a me quel che faccio;
però, se non te piaccio, - tu a te non piaci, amore.

Questo ben sacci che, s' io so empazito,
tu, somma sapienza, si el m' hai fatto.

Ad tal fornace perché me menavi,
se volevi ch' io fossi en temperanza?
Quando sì smesurato me te davi, tollevi da me tutta mesuranza.

Onde, se c' è fallanza, - amor, tua è, non mia,
però che questa via - tu la facesti, amore.

Tu, sapienzia, non te contenesti
che l' amor tuo spesso non versasse,
d' amor non de carne tua nascesti,
umanato amor che ne salvasse;
per abbracciarne en croce tu salesti,
e credo che per ciò tu non parlasse.

27 “Tenendo talora ne' suoi ratti fissato il suo purissimo intelletto nella contemplazione dell' infinito amore che ha mosso Dio a far tanto per la vilissima creatura dell' uomo, non poteva tenersi che altamente non dicesse: “O Amore, o Amore, o Dio, che ami le creature con amor puro! O Dio d' amore! o Dio d' amore! O Signor mio, non più amore, non più amore: è troppo, o Gesù mio, l' amore che porti alle creature.” PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 11.
28 “Una volta, essendo pure in ratto, tolto un crocifisso in mano, si diede per lo convento a correre, e sfogando col Verbo divino amorosi avvisi e intensi affetti, esclamava: “O Amore, o Amore, o Amore! ” Questo faceva con dolci sorrisi, e con volto sì colmo di gioia, che in rimirarla cagionava grandissima consolazione. Ora affissava gli occhi al cielo, ora al Crocifisso, ora se lo stringeva al petto, e lo baciava con eccessivo fervore, ed in quel mentre non cessava di replicare: “O Amore, o Amore! non resterò giammai, o mio Dio, di chiamarti Amore, giubilo del mio cuore, speranza e conforto dell' anima mia.” - “Poi rivolta alle sorelle che la seguitavano, soggiungeva: “Non sapete voi, care sorelle, che il mio Gesù altro non è che Amore, anzi pazzo d' amore? Pazzo d' amore dico che sei, o Gesù mio, e sempre lo dirò. Tu sei tutto amabile e giocondo: tu recreativo e confortativo; tu nutritivo e unitivo. Sei pena e refrigerio, fatica e riposo, morte e vita insieme: finalmente, che non è in te?” PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 11.
29 “Altra volta esclamava: “O Amore, o Amore!” ed al cielo rivolta diceva: “Dammi tanta voce, o Signor mio, che chiamando te Amore sia sentita dall' Oriente sino all' Occidente, e da tutte le parti del mondo, sino nell' inferno; acciò tu sia conosciuto e riverito come vero Amore.” PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 11.
30 Questo inciso che restringe il senso tanto ampio della frase, si trova aggiunto nelle edizioni posteriori al 1754.
31 “Nel mezzo di quello (incendio d' amore), bene spesso correva con grandissima velocità, ora per lo convento, ora per tutto l' orto, dicendo che andava cercando anime che conoscessero ed amassero l' Amore. Per questo incontrandosi talvolta in qualche Sorella, la prendeva per la mano, e stringendola molto forte, le diceva: “O anima, amate voi l' Amore? come fate a vivere? non sentite consumarvi e morir per amore?” Quando poi per buono spazio di tempo avea camminato, prendeva le funi delle campane, e sonandole, ad alta voce esclamava: “Venite, anime, ad amare, venite ad amar l' Amore, dal quale siete tanto amate”. PUCCINI, Vita, Firenze, 1611, parte 1, cap. 12



AVE AVE AVE MARIA!

venerdì 12 ottobre 2012

1. Sant'Alfonso de' Liguori: Frutti che si ricavano dal meditare la Passione di Gesù Cristo.





Frutti che si ricavano dal meditare 
la Passione di Gesù Cristo.


1. L'amante dell'anime, il nostro amantissimo Redentore, dichiarò che non ebbe altro fine in venire in terra a farsi uomo, che d'accendere fuoco di santo amore nei cuori degli uomini: Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). Ed oh che belle fiamme di carità ha egli accese in tante anime, specialmente colle pene ch'elesse di patir nella sua morte, affin di dimostrarci l'amore immenso che per noi conserva! Oh quanti cuori felici, nelle piaghe di Gesù, come in tante fornaci d'amore, si sono talmente infiammati ad amarlo che non hanno ricusato di consacrargli i beni, la vita e tutti se stessi, superando con gran coraggio tutte le difficoltà che loro si attraversavano nell'osservanza della divina legge, per amore di quel Signore che, essendo Dio, volle tanto soffrire per loro amore! Questo fu appunto il consiglio che ci diè l'Apostolo per non mancare, e per correre speditamente nella via del cielo: Recogitate eum, qui talem sustinuit adversus semetipsum a peccatoribus contradictionem, ut ne fatigemini animis vestris deficientes (Hebr. XII, 3).

2. Perciò l'innamorato S. Agostino, stando a vista di Gesù impiagato sulla croce, così dolcemente pregava: Scribe, Domine, vulnera tua in corde meo, ut in eis legam dolorem et amorem: dolorem ad sustinendum pro te omnem dolorem: amorem ad contemnendum pro te omnem amorem.1 Scrivi, diceva, o mio amantissimo Salvatore, scrivi sopra il mio cuore le tue piaghe, acciocché in quelle io legga sempre il vostro dolore e 'l vostro amore; sì, perché avendo avanti gli occhi miei il gran dolore che voi, mio Dio, soffriste per me, io soffrirò con pace tutte le pene che mai mi occorrerà di patire; ed a vista del vostro amore, che mi avete dichiarato sulla croce, io non amerò né potrò amare altri che voi.

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3. E da che mai i santi han preso animo e fortezza a soffrire i tormenti, i martiri e le morti, se non dalle pene di Gesù crocifisso? S. Giuseppe da Leonessa cappuccino, vedendo che altri volevano ligarlo con funi per un taglio doloroso nel corpo, che gli dovea dare il cerusico, egli si prese nelle mani il suo Crocifisso e disse: “Che funi, che funi! ecco i miei legami: questo mio Signore inchiodato per amor mio; Egli co' suoi dolori mi stringe a sopportare ogni pena per amor suo”. E così soffrì il taglio senza lagnarsi,2 vedendo Gesù che tamquam agnus coram tondente se obmutuit, et non aperuit os suum (Is. LIII, 7).3 -Chi mai potrà dire che patisce a torto, mirando Gesù che attritus est propter scelera nostra? (Ibid. 5). Chi mai potrà ricusar di ubbidire per cagion di qualche incomodo, essendo Gesùfactus obediens usque ad mortem? (Philip. II, 8). Chi potrà ricusar le ignominie, vedendo Gesù trattato da pazzo, da re di burla, da ribaldo, schiaffeggiato, sputato in faccia ed appeso ad un patibolo infame?

4. Chi potrà poi amare altr'oggetto che Gesù, vedendolo morire fra tanti dolori e disprezzi, affine di cattivarsi il nostro amore? Un divoto solitario pregava Dio ad insegnargli che cosa potesse fare per amarlo perfettamente; gli rivelò il Signore che per giungere al suo perfetto amore non vi era esercizio più atto che meditare spesso la sua Passione.4 Piangeva

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S. Teresa e si lagnava d'alcuni libri che le avevano insegnato a lasciar di meditare la Passione di Gesù Cristo, perché poteva ciò esser d'impedimento alla contemplazione della Divinità; onde poi la santa esclamava: “O Signore dell'anima mia, o Ben mio Gesù crocifisso, non mi ricordo mai di questa opinione, che non mi sembri d'aver fatto un gran tradimento. Ed è possibile che voi, Signore, mi aveste ad essere impedimento a maggior bene? E donde mi vennero tutti i beni, se non da voi?” E poi soggiunge: “Ho veduto che per contentare Dio, e perché ci faccia grazie grandi, egli vuole che passi ciò per le mani di questa umanità sacratissima, nella quale disse sua divina maestà di compiacersi.”5

5. Quindi diceva il P. Baldassarre Alvarez che l'ignoranza de' tesori che abbiamo in Gesù, era la rovina dei Cristiani; onde la meditazione della Passione di Gesù Cristo era la sua più diletta ed usata, meditando in Gesù specialmente tre suoi patimenti, la povertà, il dispregio, e 'l dolore; ed esortava i suoi penitenti a meditare spesso la Passione del Redentore, dicendo che non pensassero d'aver fatta cosa alcuna, se non arrivassero a tener sempre fisso nel cuore Gesù crocifisso.6

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6. Chi vuole, insegna S. Bonaventura, crescere sempre da virtù in virtù, da grazia in grazia, mediti sempre Gesù appassionato: Si vis, homo, de virtute in virtutem, de gratia in gratiam proficere, quotidie mediteris Domini Passionem. Ed aggiunge che non vi è esercizio più utile per rendere un'anima santa, che considerare spesso le pene di Gesù Cristo: Nihil enim in anima ita operatur universalem sanctificationem, sicut meditatio Passionis Christi.7

7. Inoltre diceva S. Agostino (Ap. Bernardin. de Bustis) che vale più una sola lagrima sparsa per memoria della Passione di Gesù, che un pellegrinaggio sino a Gerusalemme ed un anno di digiuno in pane ed acqua.8 Sì, perché a tal fine

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il nostro amante Salvatore ha patito tanto, acciocché vi pensassimo; poiché pensandovi non è possibile non infiammarsi nel divino amore: Caritas enim Christi urget nos, dice S. Paolo (II Cor. V, 14). Gesù da pochi è amato, perché pochi son quelli che considerano le pene che ha patito per noi; ma chi le considera spesso, non può vivere senz'amare Gesù: Caritas... Christi urget nos. Si sentirà talmente stringere dal suo amore che non gli sarà possibile resistere a non amare un Dio così innamorato che tanto ha patito per farsi amare.9

8. Perciò l'Apostolo dicea ch'egli non volea saper altro che Gesù e Gesù crocifisso, cioè l'amore ch'esso ci ha dimostrato sulla croce:Non iudicavi me scire aliquid inter vos, nisi Iesum Christum, et hunc crucifixum (I Cor. II, 2). Ed in verità, da quali libri noi meglio possiamo apprendere la scienza dei santi, ch'è la scienza di amare Dio, che da Gesù crocifisso? Il gran servo di Dio Fra Bernardo da Corlione cappuccino non sapendo leggere, i suoi religiosi voleano istruirnelo; egli se n'andò a consigliare col Crocifisso, ma Gesù gli rispose dalla croce: “Che libri! che leggere! Ecco io sono il tuo libro, dove sempre puoi leggere l'amore che t'ho portato.”10 O gran punto da considerarsi in tutta la vita e per tutta l'eternità: un Dio morto per nostro amore! un Dio morto per nostro amore! O gran punto!

9. Un giorno S. Tommaso d'Aquino visitando S. Bonaventura gli dimandò di qual libro più si fosse servito per registrar tante belle dottrine ch'egli avea scritte. S. Bonaventura gli dimostrò l'immagine del Crocifisso, tutta annerita per

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tanti baci che l'avea dati, dicendo: “Ecco il mio libro, da cui ricavo tutto ciò che scrivo; egli mi ha insegnato tutto quel poco che ho saputo.”11 Tutti i santi in somma hanno appresa l'arte d'amare Dio dallo studio del Crocifisso. Fra Giovanni d'Alvernia ogni volta che mirava Gesù impiagato, non poteva trattenere le lagrime.12 Fra Giacomo da Tuderto, sentendo leggere la Passione del Redentore, non solo piangeva dirottamente, ma prorompeva in urli, sopraffatto dall'amore da cui sentivasi infiammato verso l'amato Signore.13

10. Il P. S. Francesco in questo dolce studio del Crocifisso divenne quel gran serafino.14 Egli lagrimava sì continuamente nel meditare le pene di Gesù Cristo, che avea perduto quasi affatto la vista.15 Una volta, ritrovato che gridava piangendo, fu

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domandato che avesse. “E che voglio avere? rispose il santo, piango i dolori e gli affronti dati al mio Signore; e cresce, soggiunse, la mia pena, in vedere gli uomini ingrati che non l'amano e ne vivono scordati.”16 Ogni volta poi che udiva belare un agnello si sentiva ferire dalla compassione, pensando alla morte di Gesù, Agnello immacolato, svenato sulla croce per li peccati del mondo.17 E perciò l'innamorato santo non sapeva esortare con maggior premura altra cosa a' suoi frati che lo spesso ricordarsi della Passione di Gesù.18

11. Ecco il libro dunque, Gesù crocifisso, che se da noi ancora sarà spesso letto, noi ancora resteremo da una parte

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bene ammaestrati a temere il peccato, e dall'altra infiammati ad amare un Dio così amante, leggendo in quelle piaghe la malizia del peccato che ha ridotto un Dio a soffrire una morte sì amara per soddisfare la divina giustizia; e l'amore che ci ha palesato il Salvatore in voler tanto patire per farci intendere quanto egli ci amava.

12. Preghiamo la divina madre Maria, acciocché ci ottenga dal Figlio la grazia di entrare ancor noi in quelle fornaci d'amore dove ardono tanti cuori innamorati: affinché, restando ivi consumati tutti i nostri affetti terreni, possiamo ancor noi bruciare di quelle felici fiamme che rendono l'anime sante in terra e beate in cielo. Amen.



1 Questa preghiera non è di S. Agostino: però il pensiero è suo. - Vedi Appendice, 1.2 “Andava ogni giorno vie più nella di lui carne la cancrena... Determinarono (i medici) di venire al taglio. Trattando il chirurgo di legarlo, acciocché per la veemenza del dolore non si sconcertasse, preso nelle  mani il suo Crocifisso, disse: “Non fa mestieri d' altri legami che di quelli della carità mostrataci dal Figlio di Dio in questa croce”; e con tanta fortezza d' animo soffri quell' incisione, che non gli uscì mai dalla bocca un sol sospiro o voce alcuna di lamento, ma replicava solamente l' orazione Sancta Maria, succurre miseris... Si venne al secondo (taglio) il giorno seguente, quale sopportò con l' istessa pazienza.” Zaccaria BOVERIO, Annali de' Cappuccini, anno 1612, n. 155.

3 Quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperiet os suum, Is. LIII, 7.

4 Chi si questo divoto solitario, non si sa. Molto probabilmente S. Alfonso ha attinto questo fatto da Ludolfo di Sassonia:  Multum quippe placet Deo quod homo memoriam Passionis et vulnerum eius portet in corde suo. Narratur enim quod cum quidam eremita sanctissimae vitae instanter Dominum exoraret, ut sibi ostenderet quod sibi inter cetera servitia magis acceptaret, vidit hominem nudum trepidantem frigore, et crucem magnam super se baiulantem, et sibi quis esset interroganti dicentem: Iesus Christus ego sum. Rogasti enim me ut tibi ostenderem quod inter cetera servitia mihi magis complaceret, et nunc tibi dico quod hoc, scilicet quod quis homo iuvet me portare crucem meam, et vulnera, et Passionem in corde suo.” Et haec dicens evanuit.” LUDOLPHUS DE SAXONIA, Ord. Carthus.,Vita Iesu Christi, pars 2, cap. 58. - Cf. AURIEMMA, S. I., Stanza dell' anima nelle piaghe di Gesù, Venezia, 1755, parte 2, cap. 20, p. 421.

5 “(En algunos libros que estàn escritos de oraciòn) avisan mucho que aparten de sì toda imaginacion corpòrea, y que se lleguen a contemplar en la Divinidad; porque dicen que, qunque sea la Humanidad de Cristo, a los que llegan ya tan adelante, que embaraza u impide  a la màs perfeta contemplaciòn.... Esto bien me parece a mi algunas veces; mas apartarse del todo de Cristo, y que entre en cuenta este divino Cuerpo con nuestras miserias ni con todo lo criado, no lo puedo sufrir... Si me hubiera estado en ello, creo nunca hubiera llegado a lo que ahora, porque, a mi parecer, es engano.... Ya no habia quien me hiciese tornar a la Humanidad, sino que, en hecho de verdad, me parecia me era impedimento. Oh Senor de mi alma y Bien mio Jesucristo crucificado! No me acuerdo vez de esta opiniòn que tuve que no me da pena; y me parece que hice una gran traiciòn, aunque con inorancia... Durò muy poco estar en esta opiniòn, y ansi siempre tornaba a mi costumbre de holgarme con este Senor... Es posible, Senor mio, que cupo en mi pensamiento, ni un hora, que Vos me habiades de impidir para mayor bien? De donde me vinieron a mi todos los bienes sino de Vos? No quiero pensar que en esto tuve culpa, porque me lastimo mucho, que cierto era inorancia... Y veo yo claro, y he visto después, que para contentar a Dios y que nos haga grandes mercedes, quiere sea por manos de esta Humanidad sacratisima, en quien dijo Su Majestad se deleita. Muy, muy muchas veces lo he visto por expiriencia; hàmelo dicho el Senor.” S. TERESA, LIbro de la Vida, cap. 22. Obras, I, 165-169.

6 “Sopra tutti i misteri del Salvatore, avea singolar divozione a quelli della santissima Passione sua e morte di croce, la quale avea molto fissa nella memoria, e molto gustava di meditarla... Era sì grande il profitto ch' indi traeva, che a tutti coloro i quali cominciavano a fare orazione mentale, consigliava che meditassero la Passione, come fonte ch' è d' ogni spiritual profitto. E solea ripetere ad ora ad ora nelle sue ordinarie esortazioni: “Non pensiamo d' aver mai fatto alcuna cosa di rilievo, se non giungiamo a portar sempre ne' nostri cuori Gesù crocifisso.” ... Ciò che meditava con ispecial sentimento e con fervore in Cristo crocifisso, erano i tre compagni che lo seguirono sin dal presepio per tutto il tempo di sua vita, e con più di rigore nella sua Passione e nella sua morte: cioé Povertà, Disprezzo e Dolore.” Ven. Lodovico  DA PONTE, Vita, cap. 3, § 2. - “Come se prevedesse che quella stata sarebbe l' ultimo della vita, così egli si applicò in quegli esercizi con tanto fervore, con quanto mai non altra volta, meditando... i sacri misteri della Passione, affine di rinnovare nel suo cuore la viva immagine di Gesù crocifisso, accompagnato da' suoi tre perpetui compagni, Povertà, Disprezzo e Dolore”. La stessa opera, cap. 47.
7 “(Christi) Passionem rumines quotidie. Huius enim Passionis Christi meditatio continua mentem elevabit, quid agendum, quid meditandum, quid quiescendum et sentiendum sit, indicabit; te demum ad ardua infiammabit; te vilificari, et contemni, et affligi faciet; affectus tuos tam in cogitatione quam in locutione ac etiam operatione regulabit... Vere mirabile est quod Christus in cruce sitiens inebriat, nudus exsistens virtutum vestimentis ornat... O Passio mirabilis, quae suum meditatorem alienat, et non solum reddit angelicum, sed divinum.” Stimulus amoris, pars 1, cap. 1. Inter Opera S. Bonaventurae, VII, Lugduni, 1668. - Vedi Appendice, 2, 5°. - “Quoniam devotionis fervor per frequentem Christi Passionis memoriam nutritur et conservatur in homine, ideo necesse est ut frequenter, ut semper oculis cordis sui Christum in cruce tamquam morientem videat qui devotioinem in se vult inexstinguibilem conservare. Propter hoc Dominus dicit in Levitico (VI, 12): Ignis in altari meo semper ardebit, quem nutriet sacerdos subiiciens ligna per singulos dies. Audi, mater devotissima: Altare Dei est cor tuum: in hoc altari debet semper ardere ignis fervidae devotionis, quem singulis diebus debes nutrire per ligna  crucis Christi et memoriam Passionis ipsius. Et hoc est quod dicit Isaias propheta (XII, 3):Haurietis aquas in gaudio de fontibus Salvatoris; ac si diceret: quicumque desiderat a Deo aquas gratiarum, aquas devotionis, aquas lacrimarum, ille hauriat de fontibus Salvatoris, id est de quinque vulneribus Iesu Christi.” S. BONAVENTURA, De perfectione vitae ad Sorores,  cap. 6, n. 1. Opera, VIII, ad Claras Aquas, 1898, pag. 120.
8 “Quam magni sit meriti Passionem Filii Dei piangere, ostendit Augustinus in quodam sermone (?), dicens quod magis meretur vel unam solam lacrimam emittens ob memoriam Passionis Christi, quam si usque ad terram promissionis peregrinaretur, et quam si per totum annum omni hebdomada totum psalterium diceret, et plus quam si qualibet anni hebdomada disciplinam faceret, vel in pane et aqua ieiunaret.” BERNARDINUS DE BUSTO, O. M., Rosarium Sermonum, pars 2, Sermo 15 (subito dopo l' esordio e l' invocazione). - Più verisimilmente viene dal Tiepolo (Considerazioni della Passione, trattato 1, 16°) attribuita questa sentenza a S. Alberto Magno: però non l' abbiamo incontrata nel trattato De sacrificio Missae, a cui egli rimanda.
9 Le ediz. del 1751 (Pellecchia, Paci) uniscono in uno i nostri nn. 6 e 7; in quella Romana (De' Rossi, 1755) manca la sopra citata sentenza di S. Agostino.
10 “Bernardo, non cercare altro libro, ma ti basti quello delle mie Piaghe, ché da esso apprenderai dottrina più profittevole che da qual altro si sia.” GABRIELE DA MODIGLIANA, Vita del B. Bernardo da Corlione, Laico professo Cappuccino, lib. 1, cap. 12.
Il periodo che segue manca nelle edizioni del 1751 e del 1755 (De' Rossi).
11 “Tantam admiratus est in operibus eius doctrinam et eruditionem sanctus Thomas Aquinas, ut petierit a Bonaventura sibi ostendi libros ex quibus tam multiplicem atque adeo magnam eruditionis ubertatem hauriret. Is vero Christi Domini cruci affixi imaginem demonstravit, e quo fonte uberrimo se accipere professus est quidquid vel legeret vel scriberet.” WADDINGUS, Annales Minorum, an. 1260, n. 20.
12 “Natus est hoc anno (1259) Beatus Ioannes Firmanus, de Alvernia cognominatus ob diutinam in illo monte habitationem... Septimo aetatis anno, puerulorum fugiebat consortia, solitaria frequentans loca. In quibus amarissime Christi deflebat Passionem, lacrimis addens verbera et profundos singultus.... Noctu etiam Christum passum meditatus, in tanta copia lacrimas mittebat, ut suppositum cervical madefieret. Atque adeo cordi insita erat Passionis huiusmodi compassio, ut etiam dormiens fieret amare”.WADDINGUS, Annales Minorum, an. 1259, n. 7.
13 “Adeo fervebat Dei amore, uti mente a sensibus alienata esse videretur; interim psallebat, interim plorabat, creberrime autem in suspiria erumpebat. Saepenumero sese a congressu hominum subducens, praecurrebat acri divini amoris stimulo incitatus, sibique Iesum Christum amplexari constringereque visus, amplectebatur arborem quampiam, vociferans eumque summa voce nominibus diversis inclamans, ingeminando identidem: “O Iesu dulcis! O Iesu suavis! O Iesu amantissime! ” - Rogatus aliquando a Fratre quid adeo lacrimaretur: respondit id se eo facere quod “Amor non amaretur”. WADDINGUS, Annales Minorum, an. 1298, n. 38 et 40. - Però, delle sue lagrime e dei suoi strilli nel sentir leggere la Passione di Cristo, non parla Vadingo, come neppure Marco da Lisbona. Ma non manca qualche altra testimonianza. “Beatus Frater noster Jacoponus de Tuderto, audiens legi Passionem Christi, non solum lacrimas, sed nec clamores valebat continere. ” Ven. BERNARDINUS DE BUSTO, O. M., Rosarium sermonum, pars 2, sermo 15, De lacrimosa Passione Domini (dopo l' esordio e l' invocazione).
14 “Cum igitur seraphicis desideriorum ardoribus sursum ageretur in Deum, et compassiva dulcedine in eum transformaretur qui ex caritate nimia voluit crucifigi...” S. BOVANENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 13, n. 3. Opera, VIII, ad Claras Aquas, 1898, p. 542.
15 “Fra gli altri continui esercizi nei quali S. Francesco esercitava l' anima sua, il principale era la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, quale talmente, infin da principio della sua conversione, gli aveva egli stesso scolpita nelle viscere del cuore, che tutta volta che se ne ricordava, non si potea tener di lagrimare... Per il che egli era, per l' orazione  continua, astinenza, vigilie e peregrinazioni che faceva, tutto venuto infermo nella testa, negli occhi e nel polmone, né però mai cessava.” MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco,  parte 1, lib. 1, cap. 86. - “Vir autem Dei.... nemora replebat gemitibus, loca spargebat lacrimis... A Fratribus... aliquoties auditus est... deplorare.... alta voce, quasi coram positam, dominicam Passionem.” S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 10, n. 4. - “Cum.... ex continuo fletu infirmitatem oculorum incurrisset gravissimam, suadente sibi medico quod abstineret a lacrimis, si corporei visus caecitatem vellet effugere, vir sanctus respondit: “Non est, frater medice, ob amorem luminis quod habemus commune cum muscis, visitatio lucis aeternae repellenda vel modicum...” Ibid.,  cap. 5, n. 8.
16 “Una volta tra l' altre.... gridava ad alta voce.... Sentito da una persona nobile e timorata di Dio che passava, e che era stato assai suo famigliare al secolo, gli chiese, con istanza e meraviglia, che disgrazia gli fosse intravenuta; ed il Santo piangendo rispose: “Mi doglio e piango per i gravi tormenti e disonori che dierono e fecero al mio Signore Gesù Cristo quei crudelissimi Giudei; e tanto più ne sento gran cordoglio quanto che io odo e vedo che tutto il mondo, per cui ei gli ha patiti, ingratissimamente s' è scordato d' un sì inestimabile beneficio.” Il che dicendo, cominciò a riversar fiumi di lagrime.” MARCO DA LISBONA, Croniche del Padre S. Francesco,parte 1, lib. 1, cap. 86.
17 “Illas (creaturas) viscerosius complexabatur et dulcius, quae Christi mansuetudinem piam similitudine naturali praetendunt et Scripturae significatione figurant. Redemit frequenter agnos qui ducebantur ad mortem, illius memor Agni mitissimi qui ad occisionem adduci voluit pro peccatoribus redimendis... Lamentabatur pro morte agniculi (quem sus ferocissima vix natum necaverat) coram omnibus, dicens: “Heu me, frater agnicule, animal innocens, Christum hominibus repraesentans, maledicta sit impia, nullusque de ea comedat homo vel bestia.” (Post tres dies, sus necem ex infirmitate pertulit, ac proiecta et in modum tabulae desiccata, nulli fuit esca famelico.).” S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 8, n. 6.
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 “Esortava i suoi figliuoli a rivoltar ben spesso, e giorno e notte, questo pietoso libro della Passione di Cristo.... E tutti i suoi sermoni ed esortazioni erano.... di questa croce e Passione santissima.” MARCO DA LISBONA, Croniche del P. S. Francesco, parte 1, lib. 1, cap. 86. -La stessa opera, cap. 87. - “Persuadeva continuamente ai suoi che cercassero di mondarsi colle lagrime sparse per la Passione del Signore.” La stessa opera , cap. 88. - “Recollegit se vir Dei cum ceteris sociis in quodam tugurio derelicto iuxta civitatem Assisti.... Librum crucis Christi continuatis aspectibus diebus ac noctibus revolvebant, exemplo Patris et eloquio eruditi, qui iugiter faciebat eis de Christi cruce sermonem.” S. BONAVENTURA, Legenda S. Francisci, cap. 4, n. 3. - “Semper ante oculos habete, fratres carissimi, viam humilitatis et paupertatis sanctae Crucis, per quam nos minavit Salvator noster Iesu Christus... Plane probat (anima quae vere Deum amat et a Spiritu Sancto ducitur) in nulla alia re perfectius requiescere amorem suum quam in compassione caritativa Christi.” S. FRANCISCUS, Opuscula, Pedeponti, 1739, tom. 3, Collationes monasticae sive ad Fratres, Collatio 24, De meditanda assidue Christi Passione. 

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>