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sabato 22 febbraio 2014

Domenica 23 febbraio 2014, VII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta



Domenica 23 febbraio 2014, VII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 5, 38-48.


Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; 
ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; 
e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 
E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. 
Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. 
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 
ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 
perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 
Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. 

Traduzione liturgica della Bibbia 



Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 171 pagina 89.
[...]

Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amo-re di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico. 
Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica. Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda. 
Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi. 
L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua. 
Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”. 
Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate”, perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. 
Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. 
Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. 
Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa. 
Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”. 
Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò”. 
La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. 
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”. 
“Ma chi è? Quel romano forse?”. 
“No. Un disgraziato”. 
“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro. 
“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”. 
“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”. 
“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”. 
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/



giovedì 24 ottobre 2013

«Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».










I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Perfezione

Data: Domenica, 03 maggio @ 11:57:26 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


 1. Che cosa è la perfezione. 
 2. Gradi della perfezione. 
 3. Felicità e ricchezze della perfezione. 
 4. Mezzi per arrivare alla perfezione.







1. CHE COSA È LA PERFEZIONE. - «Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste», dice Gesù Cristo (MATTH. V, 48). «Siate perfetti» - ripete il grande Apostolo (II Cor XIII, 11). 

Ma che cosa è questa perfezione, e in che consiste? 

Consiste primieramente nell'imitare Gesù Cristo: «Chi dice di essere in Gesù Cristo, deve camminare per la via per cui ha camminato Gesù Cristo» (I IOANN. II, 6). 
In secondo luogo, consiste nel far vivere Gesù Cristo in noi, e nel vivere noi solamente di Gesù e per Gesù. Lo dice S. Paolo il quale certamente viveva secondo là perfezione: «Io vivo, ma non già io, ma è Gesù che vive in me; perché tutto il mio vivere sta in Gesù Cristo» (Gal II, 20), (Philipp. I, 21).

*Un dotto, avendo incontrato un mendicante, gli domandò: Donde ne vieni tu? - da Dio, rispose l'accattone. - Dove hai imparata così grande sapienza? - L'ho trovata là dove ho abbandonato tutte le creature. - Chi sei tu? - Io sono re. - Dov'è il tuo regno? - Nell'anima mia: perché ho imparato a governare i miei sensi esteriori ed interiori, affinché tutti gli affetti e le potenze tutte dell'anima mia mi stiano soggette. - Chi ti ha guidato a questa perfezione? - Il mio silenzio, le mie preghiere, le mie meditazioni, la mia unione con Dio. Io ho lasciato tutto ciò che non è Dio, ed ho trovato il mio Dio, e godo in lui pace e riposo continuo (TAULERO, p. 685). Ecco la perfezione.. .


La perfezione dell'uomo, secondo Sant'Agostino, sta nel riguardarsi come imperfettissimo. «Non essere mai contento, dice questo santo Padre, di quello che sei, se vuoi arrivare a quello che non sei; poiché dal punto in cui ti compiaci di te stesso, ti arresti; se poi tu dici: basta, allora sei perso (Serm. L, de Tempo)». 

La perfezione consiste nel progredire di virtù in virtù, fino a che si arrivi alla casa di Dio (Psalm. LXXXIII, 7); cosicché, come spiega S. Giovanni, chi già è giusto, si studi di divenirlo di più; chi già è santo, diventi più santo (Apoc. XXII, 11). Di questo abbiamo un bell'esempio nel giovinetto Gesù a cui lode nota l'Evangelista, che cresceva del continuo in saggezza, come in età, e in grazia presso Dio e presso gli uomini» (Luc. II, 52).


La vera perfezione dei giusti è di non mai presumere di essere tali, perché loro non succeda che non continuando la loro via, non corrano il pericolo di cadere là dove cesserebbero di avanzare... La perfezione è un'eroica generosità, una grande e costante applicazione a progredire in tutte le virtù, a praticare le opere meravigliose ch'esse inspirano. 

Perciò dobbiamo imitare, in certo senso, l'avaro; come questi non è mai sazio di oro, così noi non siamo mai sazi di grazia, di virtù, di buone opere. Voi conservate benissimo ciò che avete acquistato, se lavorate sempre ad accumulare. Quello che possedete andrà via scemando a misura che cessate di acquistare. 

S. Marciano, incontratosi con un cacciatore, gli domandò: Che cosa fate voi? - E questi: Caccio lepri e cervi, come vedete, e li perseguito finché li ho presi. ­ Anch'io, riprese il Santo, corro dietro a Dio, e non cesserò da questa caccia divina, finché non l'abbia preso e me ne sia impadronito per sempre (Ha THEODORETUS in Philotet.). 

Il cuore dell'uomo perfetto cerca sempre di ascendere, dice il Profeta (Psalm. LXXXIII, 6); il Savio paragona la vita dei giusti al sole levante che si avanza e cresce finché sia giunto al meriggio (Prov. IV, 18). «Felice colui, esclama S. Gerolamo, che ogni giorno avanza; che non considera quello che ha fatto di bene ieri, ma pensa quello che deve fare quest'oggi per avanzare. Il santo è sempre disposto ad ascendere, il peccatore a discendere; e quindi siccome l'uomo perfetto si perfeziona ogni giorno più, così l'uomo peccatore discende e decresce ogni giorno (In Psalm. LXXXIII)». 

S. Agostino chiama perfetto l'uomo, quando lavora tutta la sua vita a tendere verso l'immutabile, eterna vita, e che vi si adopera con tutto l'animo (De doctrina christ., C. XXII).

«Ogni allievo che alla scuola di Gesù Cristo non avanza è indegno, dice S. Bernardo, del suo insegnamento. La vera virtù non conosce confine; non è limitata da tempo; non dice mai basta, ma ha sempre fame e sete della giustizia, di modo che se sempre vivesse, sempre per quanto sta da lei, si sforzerebbe di divenire più giusta; s'ingegnerebbe a tutto potere di andare dal perfetto al sublime della perfezione. Infatti essa non si è già dedicata al servizio di Dio per un dato tempo, come un servo ordinario, ma gli si è consecrata per sempre. Ecco come parla il giusto: Signore, io non dimenticherò mai la vostra legge salutare, perché voi mi santificate per mezzo suo. La perfezione non è per il tempo, ma per l'eternità. La continua fame del perfetto merita di saziarsi eternamente. E sebbene il tempo le ponga ben tosto fine, essa ha tuttavia compiuto un lungo spazio di tempo, mediante la continua pratica della virtù» (Epl. CXLII).


«Per quanto lunga sia la nostra carriera, scrive S. Agostino, per quanti passi si siano fatti nella via della perfezione, nessuno non dica mai: questo mi basta, io sono giusto. Chi così parlasse o pensasse, rimarrebbe per via e non toccherebbe la mèta. 
Ecco che cosa dice l'Apostolo: Fratelli miei, io non mi credo di aver già terminato la corsa. Egli corre del continuo, e voi vi arrestate! egli si stima ancora imperfetto, e voi vi vantate della vostra giustizia!» (Serm. XV de Verbo Apost.). «Deh per carità! aggiungete sempre, camminate sempre, avanzate sempre. Meglio e più presto cammina lo zoppo che tiene la via, che non colui il quale corre fuori di strada (Serm. XV, de Verbo Apost.)». 

«No, non è perfetto colui il quale non desidera di essere sempre più perfetto; e si mostra più perfetto colui che tende sempre a maggiore perfezione (Epistola XXXIV, ad Dragon.)». «Il non andare innanzi, dice S. Bernardo, è senza dubbio un indietreggiare. Correte pure quanto volete, ma se non correte fino alla morte, non ottenete il premio del vincitore (Epistola CCLIV, ad Garrinum)».


*Ecco un abbozzo della perfezione cristiana, tracciato da S. Cipriano

«L'umiltà nel tratto, la stabilità nella fede, la riservatezza nelle parole, la giustizia nelle azioni, la castigatezza nei costumi; 

non mai fare ingiuria, sopportare quelle che ci si fanno, mantenere la pace e l'unione con tutti, amare Dio come un padre, temerlo come un giudice, preferire Gesù Cristo a ogni altra cosa, come egli ha preferito noi a tutto;

unirci inseparabilmente alla sua carità, stringerci con coraggio, confidenza e perseveranza alla sua croce; 

quando si tratta del suo nome e del suo onore, mostrare costanza nei discorsi per confessarlo, fiducia nelle prove, pazienza nei patimenti e nella morte per arrivare alla corona; 

fare tutto questo è voler essere coeredi di Gesù Cristo, è un adempire il precetto di Dio, è un fare la volontà del Padre celeste» (De Orat. domin.).

*In verità, diceva S. Macario, chi tiene il disprezzo in conto di lode, la povertà stima tesoro, la fame ha in luogo di eccellente alimento, non muore giammai (Vit. Patr.).


2. GRADI DELLA PERFEZIONE. - 

A coloro che tendono alla perfezione, S. Giovanni Climaco assegna per lezione queste pratiche: 

«L'obbedienza, il digiuno, il cilizio, la cenere, le lacrime, la confessione, il silenzio, l'umiltà, le vigilie, il coraggio, il freddo, il lavoro, le prove, il disprezzo, la contrizione, l'oblio delle ingiurie, la carità fraterna, la dolcezza, la fede semplice senza curiosità, il disprezzo del mondo, la rinunzia ai parenti, il distacco da ogni cosa, la semplicità congiunta all'innocenza, la brama di essere dimenticato». 

Più alte opere prescrive a quelli che già sono avanti nella perfezione. La vita di costoro, egli dice, sta nel trionfare della vanagloria e dei moti inconsulti dell'animo, nello sperare fermamente la salute; nel riposo dell'anima, nella discrezione, nel ricordo ben radicato e continuo del giudizio finale, nella misericordia, nell'ospitalità, nella modesta correzione, nella preghiera. 

Quelli finalmente che sono giunti alla perfezione, vuole che abbiano il cuore libero di ogni impedimento, posseggano carità perfetta, umiltà profondissima, siano interamente morti al mondo e tutti assorti in Gesù Cristo, attendano con fervore alla contemplazione, ricevano tutti i lumi celesti, desiderino la morte, odiino la vita, fuggano del continuo il proprio corpo (Grad. XXVI).

Bisogna tendere alla perfezione di Dio medesimo. Consumata perfezione, altissima elevazione è l'imitazione di Dio. «E giacché imitarlo non ci è dato, come avverte S. Gerolamo, nella potenza, nella magnificenza, nell'eternità e in altri simili attributi; possiamo almeno imitarlo da lontano nella dolcezza, nell'umiltà, nella carità, nella purezza, nella santità» (Epist.). «Bisogna imitare, dice S. Tommaso, l'immutabilità di Dio con la costante uguaglianza d'animo così nelle prosperità, come nelle avversità; la sua prescienza, con la previdenza dei fini ultimi; la sua veracità, la sincerità, la pazienza, la clemenza, l'obbedienza, la carità sua» (4 q. II, art. 7).

«Chi è colei che si avanza come l'aurora nascente, bella come la luna, splendida come il sole?» (Cantic. VI, 9). Chi è colei che si leva come aurora nascente? ecco l'anima che comincia la sua perfezione... Bella come la luna; ecco l'anima che avanza in perfezione... Splendida come il sole; ecco l'anima arrivata all'apice della perfezione. 

Quello che qui è indicato sotto figura, viene chiaramente spiegato dallo Spirito Santo nel libro della Sapienza, dove si legge: «Il principio della sapienza è il vero, il sincero desiderio della regola; la cura della regola diviene il suo amore; l'amore della sapienza porta all'osservanza delle sue leggi; l'osservanza delle leggi mette alla consumazione della santità; e la santità avvicina, anzi unisce l'uomo a Dio» (Sap. VI, 13-20).


La scala della perfezione consta di due bracci e di dodici scalini, scrive S. Bernardo. 

Il braccio a destra è il disprezzo di se stesso fino all'amore di Dio; quello a sinistra significa il disprezzo del mondo fino all'amore del regno celeste. 

I dodici scalini, sono: 1° l'odio del peccato...; 2° la fuga del peccato...; 3° il timore dell'odio di Dio...; 4° la soggezione al Creatore in ogni cosa...; 5° l'obbedienza al proprio superiore...; 6° la sommissione al proprio uguale...; 7° la condiscendenza verso l'inferiore...; 8° mettersi nell'ultimo luogo...; 9° meditare incessantemente il proprio fine...; 10° sempre temere delle proprie opere...; 11° confessare umilmente i propri pensieri...; 12° lasciarsi condurre in tutto dalla mano di Dio, secondo il suo volere... 

Per questa scala discendono e ascendono gli angeli, e gli uomini montano al cielo» (Serm. in Cant.).


*La perfezione, dice S. Basilio, è una scala al cui sommo è la carità e i cui scalini sono formati da altrettante rinunzie. 

1° Rinunziare alle cose terrene...; 2° obliarle interamente...; 3° detestarle, disprezzarle come fango...; 4° spogliarsi dell'attaccamento al prossimo, agli amici...; 5° odiare l'anima propria per Gesù Cristo...; 6° rinunziare alla propria volontà, al proprio giudizio...; 7° mortificare incessantemente le proprie voglie per adempire quello che ha detto Gesù Cristo: «Chi vuole venire dopo me, rinunzi a se medesimo, prenda la sua croce, e batta le mie orme» (MATTH. XVI, 24)...; 8° seguire Gesù e da lui imparare l'umiltà e la mitezza...; 9° amare in ogni caso ed efficacemente il prossimo, compresi i propri nemici...; 10° abbracciarsi a Dio, e formare con lui un solo spirito (In Psalm.). 

Questa scala poggia alla casa di Dio, alla porta del cielo.

*Cassiano scrive: «L'ordine, secondo il quale voi potrete con tutta facilità ascendere alla cima della perfezione, è il seguente: Il cominciamento della salute e della sapienza è il timore di Dio; dal timore del Signore nasce la compunzione salutare; dalla compunzione del cuore deriva la rinunzia, il distacco, il disprezzo di ogni umano desiderio; da questa negazione nasce l'umiltà; l'umiltà genera la mortificazione della volontà; con la mortificazione della volontà si schiantano o si recidono le radici di tutti i vizi; estirpati i vizi, le virtù attecchiscono, crescono, fioriscono, fruttificano; mediante la nascita, l'accrescimento e l'impero delle virtù, si acquista la purezza del cuore; per mezzo della purità del cuore si arriva al possesso della perfetta carità» (Institut.).




3. FELICITÀ E RICCHEZZE DELLA PERFEZIONE.

S. Paolo, che era perfetto, così descrive ai Corinzi le meraviglie, le ricchezze, gli stupendi, frutti della sua perfezione: «Ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, con molta pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, tra le sedizioni, nelle fatiche, nelle vigilie, nei digiuni; con la castità, con la scienza, con la longanimità, con la mansuetudine, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata; con la parola di verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a manca; per mezzo della gloria e dell'ignominia, dell'infamia e del buon nome; come seduttori, eppur veraci; come ignoti, ma pure conosciuti; come moribondi, ed ecco che siamo vivi; quasi melanconici, e pure sempre allegri; quasi mendichi, ma che molti facciamo ricchi; quasi privi di tutto, e possessori di ogni cosa» (II Cor. VI, 4-10).

S. Gregorio Nazianzeno dice dei perfetti: «La loro vita è la ricchezza nell'indigenza, l'abbondanza nella penuria, la gloria nel disprezzo, la pazienza nell'infermità, un'ammirabile famiglia nel celibato (la famiglia delle virtù); il disprezzo delle delizie fa la loro delizia; abbracciano l'umiltà, per guadagnare il regno celeste; niente posseggono nel mondo, e ne sono i padroni; vestiti di carne, vivono come se non l'avessero; hanno Iddio per loro porzione e vivono in assoluta inopia per la speranza del regno, e questa povertà completa li fa regnare su tutte le cose» (Orat. I, de Pace).

Le opere delle persone perfette toccano all'eroismo: eroica è la vittoria sopra di se medesimi; eroica la loro vittoria su l'inferno, su le passioni; eroico è il modo col quale superano le difficoltà, vincono gli ostacoli che per l'ordinario si oppongono all'acquisto delle virtù; eroici gli sforzi che fanno per compiere imprese nobili ed ardue. In virtù degli sforzi che facciamo per arrivare alla perfezione, noi diventiamo, dice il Nazianzeno, tanto più terribili ai demoni, quanto più ci avviciniamo a Dio (Orat. I, de Pace).

«I raggi del sole; scrive Seneca, toccano sì la terra, ma stanno là donde vengono (Epist. XLI)». Così è dei perfetti: splendono su la terra, l'illuminano con la loro castità; ma essi dimorano nel cielo, e i raggi di luce che spargono su l'universo partono da Dio medesimo.
E poi i perfetti sono i soli veramente felici, e nel tempo e nell'eternità, perché praticano tutte le virtù le quali soltanto recano. la vera felicità; 
praticano tutto ciò che dà le otto beatitudini predicate da Gesù Cristo. 

Stanno bassi ed umili, e Gesù ha detto: beati i poveri di spirito, perché il regno dei cieli è per loro. 

Sono tutto bontà e dolcezza, e Gesù ha detto: beati i miti, perché possederanno la terra; la terra del loro corpo, la terra dei viventi. 

Essi piangono; e nel Vangelo sta scritto: beati quelli che piangono, perché saranno consolati. 

Non hanno altra brama che di santificarsi, e Gesù ha detto: beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 

Chi più di loro ha viscere di carità, di umanità, di compassione verso il prossimo? e Gesù ha detto: beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. 

Sono angeli di purità: beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio. 

Sono pacifici: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. 

Soffrono con pazienza le afflizioni, gli insulti, i disprezzi, le croci, le persecuzioni; beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli (MATTH. V, 5-10).




4. MEZZI PER ARRIVARE ALLA PERFEZIONE.

Il mezzo per arrivare alla perfezione è di fare quello in cui consiste la perfezione; cioè l'imitazione di Dio e di Gesù Cristo, secondo l'esortazione di S. Paolo: «Siate imitatori di Dio come figli carissimi, e camminate nell'amore, come Cristo ci ha amati» (Eph. V, 1-2).

S. Egidio, discepolo di S. Francesco, diceva: «Volete voi vederci bene? siate cieco. Volete udire bene? siate sordo. Volete parlare bene? siate muto. Volete camminare bene? tagliatevi i piedi. Volete lavorare bene? recidetevi le mani. Volete amarvi sinceramente? odiatevi. Volete vivere lietamente? mortificatevi. Volete molto guadagnare? perdete tutto. Il modo di divenire ricco sta nell'essere povero. 

Il segreto per vivere felice e tra le delizie consiste nell'affliggervi e nel punirvi. Desiderate di essere tranquillo e sicuro? state sempre nel timore. Vi piace essere innalzato? abbassatevi. Volete gli onori? disprezzatevi e onorate quelli che vi spregiano. Se amate avere il bene, sopportate il male. Se amate stare in riposo, occupatevi. Se amate essere benedetto, desiderate di essere maledetto. Grande sapienza e sublime perfezione è saper praticare queste cose! E appunto perché queste cose sono grandi, gli insensati non vi arrivano» (Lib. I, pag. 65).

Importa sapere ed essere persuasi, l° che siamo molto lontani dalla perfezione; 2° attendere ogni giorno ad avanzare in perfezione; 3° avere insaziabile brama di divenire perfetti; 4° tenere del continuo fisso lo sguardo sul valore della celeste vocazione di Dio, su la palma promessa al vincitore. Per toccare alla perfezione, per meritare la corona, mezzo sovra ogni altro efficace è di esaminarci seriamente, soprattutto sul peccato in noi dominante, e perciò non mai dimenticare l'esame quotidiano della propria coscienza; conosciuto il peccato radicale o dominante, sforzarsi a distruggerlo. 

«Avanzate, dice San Agostino, entrate schiettamente con voi stessi in giudizio senza adularvi e lusingarvi. Poiché non vi è dentro di voi una persona in faccia a cui dobbiate arrossire o possiate vantarvi; ma vi è uno a cui piace l'umiltà. Questi vi provi, e provatevi voi medesimi (Sentent.)».

Fate tutto a maggior gloria di Dio: «Una piccola cosa ben fatta, diceva già Platone, vale molto meglio, che non molte grandi e illustri, fatte alla meglio (Lib. de Repub.)». Tutto ciò che è ben fatto è grande; ma non tutto quel che è grande è ben fatto: e quando non è ben fatto, quello che è grande diventa piccolo. 
Le piccole cose ben fatte, guidano alla perfezione; le grandi, spacciate trascuratamente, conducono all'imperfezione. «L'esercizio di funzioni sante non prova la santità, nota S. Cipriano; per ciò bisogna che si compia santamente quello che è santo (Serm. in Evang.)». Lodate Iddio ogni giorno, dice S. Agostino; e voi lo loderete ogni giorno, se fate bene tutto quello che fate (Sentent.)».

Portatevi adunque, o atleta di Gesù Cristo, in modo che possiate dire con S. Paolo, il più mirabile degli atleti: «Io ho combattuto nel buon arringo, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Del resto aspetto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi darà in quel giorno; né solo a me, ma anche a tutti quelli cui sta a cuore la sua venuta» (II Tim. IV, 7-8). 

La vita è breve, poco lunga è la corsa, eterna ed immarcescibile la corona... Nel levarvi il mattino, pensate e dite con S. Antonio: «Ho cominciato quest'oggi a correre; solo oggi ho cominciato a servire Dio; può essere che finisca in questo giorno la mia corsa e il mio servizio. Or bene, io, vivrò come se avessi da morire quest'oggi; correrò come se oggi dovessi terminare la mia corsa. Poiché il tempo della corsa non è lungo, e lungo cammino mi resta a fare per giungere al cielo, correrò di carriera e con tutte le forze (Vit. Pat. 1. I).

Altri mezzi eccellenti per arrivare alla perfezione sono: il pensiero della presenza di Dio; la conformità al suo volere; un'umiltà profonda; un assoluto distacco da ogni cosa: ritirarsi in fondo all'anima, studiarvi gli ostacoli alla virtù e rimuoverli decisamente; fermare la mente in Dio; professare una rassegnazione assoluta; disprezzare tutto e desiderare di essere disprezzati da tutti... «Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».




Santa Monica e sant'Agostino
pregate per noi!


lunedì 22 luglio 2013

Claudio Arvisenet VITA SACERDOTALE




Claudio Arvisenet


VITA SACERDOTALE

CAPITOLO I

LA VOCAZIONE ALLO STATO

 SACERDOTALE

E AL SACRO MINISTERO



1 – Signore degli eserciti, quanto sono amabili le tue dimore! O mio Dio, l’anima mia languisce e brama i tuoi altari.
Quanto è buono e quanto soave offrire in sacrificio nel tuo santuario la vittima santa, cantare e inneggiare a te!
Quanto è buono annunziare i tuoi comandamenti e predicare la penitenza per la remissione dei peccati!
Quanto è buono insegnare alle genti e battezzare, cacciare i demoni, curare gli infermi, moltiplicare, istruire, condurre a perfezione i tuoi servi e le tue serve!
Chi mi darà, o mio Dio, di poter sottomettere a te tutto quanto il mondo e far sì che tutta la terra ti adori, e ogni uomo benedica il tuo santo nome, e ti serva ogni creatura?

2 – Figlio, è vero: se desideri il sacerdozio e l’ufficio pastorale, desideri un nobile lavoro, aspiri a una grande dignità.
Ma se rifletti attentamente, questa grande dignità espone anche a grande rovina.
Perciò, quantunque il tuo animo si volga ad essa con grande desiderio, non voler presumere questo onore se non sarai stato chiamato da me come Aronne.
Né lui, né gli apostoli scelsero me, ma io scelsi loro e li posi perché, perseverando, portassero frutti.
Mie sono le pecore, mio è l’ovile: io stesso sono il portiere: sta a me l’aprire.
Solo colui a cui avrò aperto, avrà diritto di entrare, potrà uscire sicuro e trovare dei pascoli.
Ma chi sarà entrato da un’altra parte anziché attraverso me, egli è un ladro e un brigante: sarà di dannò a sé e alle mie pecore.
Si, figlio: chi vuol venire dietro di me per diventare pescatore di uomini, sappia che questo non dipende né da colui che vuole, né da colui che corre, ma dalla libera mia volontà nello scegliere e usare misericordia.
Stai in timore, stai in timore, o figlio nell’appressarti al mio santuario. Per quanto tu sia mondo, se ti accosti senza esser chiamato, temerariamente ti accosti: incorri nel delitto di Oza e ti esponi alla sua condanna.

3 – È proprio così, o figlio: il peso del sacerdozio e della cura pastorale non è tale da far timorosi di portarlo gli angeli stessi?
E come lo potrai portare se non ti sostenga la mia mano, se io non ti abbia fatto forte con grazie particolari?
Figlio, non sai che tali aiuti io prometto solo a quelli che da me sono chiamati?
No: non imitare coloro, che non sono innalzati da me, ma da se stessi si innalzano.
Io non li conosco, o figlio, io non edifico con loro: e perciò invano lavorano a edificare.
Io non custodisco il loro ovile e perciò invano vegliano nel custodirlo.
Io non comando loro di gettare la rete e perciò, pur faticando tutta la notte di questa vita, non prendono nulla.
Io non li proteggo contro chi fa loro guerra: perciò sono deboli e cadono: perciò peccano e vanno in perdizione.

4 – Abbi cura dunque, o figlio, di accertare la tua vocazione ed elezione.
Se di questo non ti sarai curato con molta cautela, sarai in ansietà per tutta la vita; non sapendo se tu sia entrato dalla porta; se tu vada avanti secondo la volontà di Dio; se tu possa contare sull’aiuto di Dio in quella che è l’arte delle arti; se tu non sia ripudiato dal tuo Dio, sì da non poter esercitare lo stesso sacerdozio.
Se invece sarai diventato sacerdote e avrai assunto l’ufficio pastorale, sicuro della tua vocazione: camminerai lieto e tranquillo in mezzo ai pericoli: sapendo che io dirigo, guido e difendo quelli che ho chiamati.
Lieto e fedele adempirai al tuo ufficio: convinto che facendo questo, farai sempre quel che piace a me.

5 – È vero, o buon Signore. La volontà di servirti nel sacerdozio è in mio potere: ma non potrò portarla a compimento se non a condizione che tu abbia deciso, abbia rivolto l’invito ed espresso il comando. Degnati, dunque, di farmi conoscere il tuo volere: mostrami, o mio Dio, se tu mi abbia eletto.

6 – Potrai conoscere, o figlio, la mia volontà e discernere la tua vocazione servendoti di questi mezzi.
Prima di tutto, cerca, domanda, picchia: cioè invoca me, che sono il Padre dei lumi, con una supplica ardente e perseverante: perché sia data capacità al tuo intelletto.
Ritirati per un po’ di tempo nella solitudine: dove, seriamente raccolto e segregato da quanto è terreno, tu possa interrogarmi con più devozione, e con più attenzione udire le mie risposte.
E poiché sono solito guidare gli uomini per mezzo degli uomini, chiedi consiglio ad un uomo che sia saggio e santo.
Apri candidamente a questi tutte le profondità della tua coscienza: le azioni, le passioni, i desideri, le intenzioni perché egli possa giudicare con maggior sicurezza e in modo definitivo.
Abbi dinanzi agli occhi, o figlio, solo la mia gloria e la tua salvezza. I tuoi passi siano diretti da questa purissima stella.
Rifletti quale stato vorresti aver desiderato se fossi ora in procinto di morire.
Osserva con diligenza tutte le doti della tua mente, tutte le inclinazioni del tuo cuore.
Vedi se siano tali quali le richiede lo stato sublime e santo del sacerdozio, quali le esige il pericoloso ufficio di pastore delle anime.
Attento soprattutto che Satana non ti inganni persuadendoti studiosamente ad ambire l’ufficio santo del sacerdozio, ma in vista di turpe guadagno, o per brama di ozio, o per desiderio di dignità e di grandezza.
A questo fine molti entrano nel santuario, ma a loro rovina.
Se poi dopo aver così seriamente maturato la cosa, riconoscerai di essere immune da gravi peccati: o per aver felicemente mantenuto l’innocenza, o per aver fatto vera penitenza,
– se ti parrà che uomini santi e prudenti ti giudichino atto e idoneo agli uffici ecclesiastici,
– se ti riconoscerai disposto ad assumerli guidato da una interiore inclinazione,
– se avrai ben conosciuto che sei attratto al sacerdozio e alla cura d’anime da una intenzione pura, non viziosa e terrena,
– se, soprattutto, il tuo Ordinario ti avrà chiamato decidendo di assumerti nel ministero, o almeno, dinanzi alle tue trepidazioni nell’accedere al santuario, ti avrà detto di andare avanti con fiducia,
– allora, figlio, sappi che la mia volontà ti si è fatta manifesta; allora con prontezza e senza ulteriore consultazione o dilazione, offriti a seguire la tua vocazione.
Con umiltà certamente, ma per quanto ti possa ripugnare a motivo di un santo timore, non opporre tenacemente un rifiuto.
Avanti figliolo, avanti con fiducia: tu lo sai: io che ti ho chiamato guarderò alla tua debolezza, alla tua pochezza.
Non disperare, non ti scoraggiare: fai conto, non su di te, ma su di me che opererò in te.
Ma se, o figlio, hai già assunto l’onore del sacerdozio, se già hai intrapreso l’ufficio pastorale e, riflettendo nel tuo intimo, ti accorgi di essere entrato temerariamente nel mio santuario:
– o perché non avevi la purezza e la santità necessaria,
– o perché mancavi delle doti richieste, o perché eri tratto dalla brama dei beni temporali e non dalla sete della mia gloria,
– o figlio! abbine dolore, piangi: hai veramente errato come una pecora perduta, hai veramente commesso un grave peccato.
O dilettissimo, fa’ degni frutti di penitenza.
Preso consiglio da persona prudente, cerca di supplire a quel che mancò per la tua parte: da qui avanti dirigi tutto alla mia gloria, e opera nel timore, e con amore.
E così abbi fiducia: perché non è impossibile a Dio far sì che tu diventi finalmente un vaso di elezione.
Si, figliolo, io non voglio che nessuno perisca; io ti userò misericordia.


II

venerdì 21 giugno 2013

METTIAMOCI ALLA SCUOLA DI

Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

SAN FILIPPO NERI

L'Obbedienza

- L'obbedienza buona è quando si ubbidisce senza discorso e si tiene per certo quello
che è comandato è la miglior cosa che si possa fare.
- L'obbedienza è il vero olocausto che si sacrifica a Dio sull'altare del nostro cuore, e
bisogna sforzarci d'obbedire anche nelle cose piccole, e che paiono di niun momento,
poiché in questo modo la persona si rende facile ad essere obbediente nelle cose
maggiori.
- E' meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in
camera a fare orazione.
- A proposito di colui che comandava diceva: Chi vuol esser obbedito assai, comandi
poco.

La Gioia Cristiana

- Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate
allegri.
- Non voglio scrupoli, non voglio malinconie. Scrupoli e malinconie, lontani da casa
mia.
- L'allegrezza cristiana interiore è un dono di Dio, derivato dalla buona coscienza,
mercé il disprezzo delle cose terrene, unito con la contemplazione delle celesti...Si
oppone alla nostra allegrezza il peccato; anzi, chi è servo del peccato non può
neanche assaporarla: le si oppone principalmente l'ambizione: le è nemico il senso, e
molto altresì la vanità e la detrazione. La nostra allegrezza corre gran pericolo e
spesso si perde col trattare cose mondane, col consorzio degli ambiziosi, col diletto
degli spettacoli.
- Ai giovani che facevano chiasso, a proposito di coloro che si lamentavano, diceva:
Lasciateli, miei cari, brontolare quanto vogliono. Voi seguitate il fatto vostro, e state
allegramente, perché altro non voglio da voi se non che non facciate peccati. E
quando doveva frenare l'irrequietezza dei ragazzi diceva: State fermi, e, sotto voce, se
potete.


La Devozione a Maria

- Figliuoli miei, siate devoti della Madonna: siate devoti a Maria.
- Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere
le grazie da Dio che la Madonna Santissima.
- Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.
- La Madonna Santissima ama coloro che la chiamano Vergine e Madre di Dio, e che
nominano innanzi a Lei il nome santissimo di Gesù, il quale ha forza d'intenerire il
cuore.

La Confessione

- La confessione frequente de' peccati è cagione di gran bene all'anima nostra, perché
la purifica, la risana e la ferma nel servizio di Dio.
- Nel confessarsi l'uomo si accusi prima de' peccati più gravi e de' quali ha maggior
vergogna: perché così si viene a confondere più il demonio e cavar maggior frutto

dalla confessione.


La Mortificazione

- Figliuoli, umiliate la mente, soggettate il giudizio.
- Tutta l'importanza della vita cristiana consiste nel mortificare la razionale.
- Molto più giova mortificare una propria passione per piccola che sia, che molte
astinenze, digiuni e discipline.
- Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità, era solito provarla
con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto,
altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può
esservi gran santità.
- Le mortificazioni esteriori aiutano grandemente all'acquisto della mortificazione

interiore e delle altre virtù.


L'Umiltà

- Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi.
- Umiliate voi stessi sempre, e abbassatevi negli occhi vostri e degli altri, acciò
possiate diventar grandi negli occhi di Dio.
- Dio sempre ha ricercato nei cuori degli uomini lo spirito d'umiltà, e un sentir basso
di sè. Non vi è cosa che più dispiaccia a Dio che l'essere gonfiato della propria stima.
- Non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e
gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare.
- Per fuggire ogni pericolo di vanagloria voleva il Santo che alcune devozioni
particolari si facessero in camera, ed esortava che si fuggisse ogni singolarità. A
proposito della vanagloria diceva: Vi sono tre sorta di vanagloria. La prima è
Padrona e si ha quando questa va innanzi all'opera e l'opera si fa per il fine della
vanagloria. La seconda è la Compagna e si ha quando l'uomo non fa l'opera per fine
di vanagloria, ma nel farla sente compiacenza. La terza è Serva e si ha quando nel
far l'opera sorge la vanagloria, ma la persona subito la reprime.
- Per acquistare il dono dell'umiltà sono necessarie quattro cose: spernere mundum,
spernere nullum, spernere seipsum, spernere se sperni: cioè disprezzare il mondo,
non disprezzare alcuno, disprezzare se stesso, non far conto d'essere disprezzato. E
soggiungeva, rispetto all'ultimo grado: A questo non sono arrivato: a questo vorrei
arrivare.
- Fuggiva con tutta la forza ogni sorta di dignità: Figliuoli miei, prendete in bene le mie
parole, piuttosto pregherei Iddio che mi mandasse la morte, anzi una saetta, che il
pensiero di simili dignità. Desidero bene lo spirito e la virtù dei Cardinali e dei Papi,

ma non già le grandezze loro.



Desiderio di Perfezione

- Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni.
- Bisogna desiderare di far cose grandi per servizio di Dio, e non accontentarsi di una
bontà mediocre, ma aver desiderio (se fosse possibile) di passare in santità ed in
amore anche S. Pietro e S. Paolo: la qual cosa, benché l'uomo non sia per conseguire,
si deve con tutto ciò desiderare, per fare almeno col desiderio quello che non
possiamo colle opere.
- Non è superbia il desiderare di passare in santità qualsivoglia Santo: perché il
desiderare d'essere santo è desiderio di voler amare ed onorare Dio sopra tutte le
cose: e questo desiderio, se si potesse, si dovrebbe stendere in infinito, perché Dio è
degno d'infinito onore.
- La santità sta tutta in tre dita di spazio, e si toccava la fronte, cioè nel mortificare la
razionale, contrastando cioè a se stesso, all'amore proprio, al proprio giudizio.
- La perfezione non consiste nelle cose esteriori, come in piangere ed altre cose simili,
e le lacrime non sono segno che l'uomo sia in grazia di Dio.

- Parlando il Santo di spirito e della perfezione diceva: Ubbidienza, Umiltà, Distacco!


La volontà di Dio

- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola

figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.

Presenza in Dio e confidenza in Lui

- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non

bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.



L'Amore di Dio

Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda
altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo,
non sa quello che si faccia.
- L'anima che si dà tutta a Dio, è tutta di Dio.
- Quanto amore si pone nelle creature, tanto se ne toglie a Dio.
- All'acquisto dell'amor di Dio non c'è più vera e più breve strada che staccarsi
dall'amore delle cose del mondo ancor piccole e di poco momento e dall'amor di se
stesso, amando in noi più il volere e servizio di Dio, che la nostra soddisfazione e
volere.
- Come mai è possibile che un uomo il quale crede in Dio, possa amare altra cosa che
Dio?
- La grandezza dell'amor di Dio si riconosce dalla grandezza del desiderio che l'uomo
ha di patire per amor suo.
- A chi veramente ama Dio non può avvenire cosa di più gran dispiacere quanto non
aver occasione di patire per Lui.
- Ad uno il quale ama veramente il Signore non è cosa più grave, né più molesta
quanto la vita.
- I veri servi di Dio hanno la vita in pazienza e la morte in desiderio.
- Un'anima veramente innamorata di Dio viene a tale che bisogna che dica: Signore,
lasciatemi dormire: Signore, lasciatemi stare.
Presenza in Dio e confidenza in Lui
- Spesso esortava i suoi figli spirituali che pensassero di aver sempre Dio davanti agli
occhi.
- Chi non sale spesso in vita col pensiero in Cielo, pericola grandemente di non salirvi
dopo morte.
- Paradiso! Paradiso! era il grido col quale calpestava ogni grandezza umana.
- Buttatevi in Dio, buttatevi in Dio, e sappiate che se vorrà qualche cosa da voi, vi
farà buoni in tutto quello in cui vorrà adoperarvi.
- Bisogna avere grande fiducia in Dio, il quale è quello che è stato sempre: e non
bisogna sgomentarsi per cosa accada in contrario.
La volontà di Dio
- Io non voglio altro se non la tua santissima volontà, o Gesù mio.
- Quando l'anima sta rassegnata nelle mani di Dio, e si contenta del divino
beneplacito, sta in buone mani, ed è molto sicura che le abbia ad intervenire bene.
- Ognuno vorrebbe stare sul monte Tabor a vedere Cristo trasfigurato: accompagnar
Cristo sul monte Calvario pochi vorrebbero.
- E' ottimo rimedio, nel tempo delle tribolazioni e aridità di spirito, l'immaginarsi di
essere come un mendico, alla presenza di Dio e dei Santi, e come tale andare ora da
questo Santo, ora da quell'altro a domandar loro elemosina spirituale, con
quell'affetto e verità onde sogliono domandarla i poveri. E ciò si faccia alle volte
corporalmente, andando ora alla Chiesa di questo Santo, ed ora alla Chiesa di
quell'altro a domandar questa santa elemosina.
- Al P. Antonio Gallonio, fortemente tormentato da una interna tribolazione, S. Filippo
diceva: Abbia pazienza, Antonio: questa è la volontà di Dio. Abbi pazienza, sta saldo;
questo è il tuo Purgatorio.
- A chi si lamentava di certe prove diceva: Non sei degno, non sei degno che il Signore
ti visiti.
- Quietati che Dio la vuole, disse una volta ad una mamma a cui moriva una piccola
figlia, e ti basta essere stata balia di Dio.


La Tentazione

- Le tentazioni del demonio, spirito superbissimo e tenebroso, non si vincono meglio
che con l'umiltà del cuore, e col manifestare semplicemente e chiaramente senza
coperta i peccati e le tentazioni al confessore.
- Contro le tentazioni di fede invitava a dire: credo, credo, oppure che si recitasse il
Credo.
- La vera custodia della castità è l'umiltà: e però quando si sente la caduta di
qualcuno, bisogna muoversi a compassione, e non a sdegno: perché il non aver pietà
in simili casi, è segno manifesto di dover prestamente cadere.
- Ai giovani dava cinque brevi ricordi: fuggire le cattive compagnie, non nutrire
delicatamente il corpo, aborrire l'ozio, fare orazione, frequentare i Sacramenti
spesso, e particolarmente la Confessione.

Giaculatorie

Padre Zazzara diceva che il Santo lodava molto le giaculatorie, ed in diversi tempi
dell'anno gliele insegnava e ne faceva dire ogni giorno quando una, quando un'altra.
- Per tenere vivo il pensiero della divina presenza ed eccitare la confidenza in Dio
sono utilissime alcune orazioni brevi e quelle spesse volte lanciare verso il cielo tra il
giorno, alzando la mente a Dio da questo fango del mondo: e chi le usa, ne ricaverà
frutto incredibile con poca fatica.

Ave, Gratia Plena!