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lunedì 24 aprile 2023

San FEDELE da Sigmaringen

 San Fedele da Sigmaringen


San Fedele da Sigmaringen
autore: Ambito toscano anno: sec. XVIII titolo: San Fedele da Sigmaringen luogo: Gambassi Terme

Nome: San Fedele da Sigmaringen
Titolo: Sacerdote e martire
Nome di battesimo: Markus Roy
Nascita: 1577, Sigmaringa, Germania
Morte: 21 aprile 1622, Seewis, Svizzera
Ricorrenza: 24 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Beatificazione:
24 marzo 1729, Roma, papa Benedetto XIII
Canonizzazione:
29 giugno 1746, Roma, papa Benedetto XIV


Nacque nel 1577 nella città di Sigmaringa. Il nome di nascita era Marco, cambiato poi in Fedele nella professione religiosa. Nel dargli questo nome, il maestro dei novizi gli disse queste parole dell'Apocalisse: « Sii fedele sino alla morte e ti darò la corona della vita ».

La natura e la grazia lo favorirono dei loro doni e il nostro giovane fece in breve tempo sì ammirabili progressi nella scienza, da essere indicato come esempio ai suoi condiscepoli, ed insieme fiorì meravigliosamente in lui il fiore d'ogni virtù, così da giungere presto all'apice della santità.

Studiò filosofia nell'università di Friburgo, e ottenne con brillante esito la laurea dottorale a Villigen, ove esercitò poi l'avvocatura.

Ma questa carica, occasione continua di peccato, fu presto abbandonata da quell'anima assetata di giustizia, la quale scelse una via più sicura per la sua eterna salvezza, passando nella famiglia del serafico S. Francesco: si fece religioso cappuccino.

In religione fu luminoso esempio a tutti i confratelli nell'osservanza delle regole, nello spirito d'orazione e nell'unione con Dio. Elevato alle più alte cariche del convento, tutte le disimpegnò con prudenza, giustizia, mansuetudine e umiltà ammirabili.

Distinguendosi nel ministero della predicazione e ardendogli in cuore il desiderio di dare il suo sangue per la fede, fu scelto a capo di una missione, la quale si portava nella Rezia per' la conversione degli eretici.

Predicò a Sevis, ove con zelo apostolico e con accento paterno, esortava i Cattolici a serbare immacolata la loro fede, a non dare ascolto ai violatori del sacro patrimonio, ai lupi rapaci, seminatori della zizzania calvinista.

Ogni giorno più, particolarmente nel celebrare la S. Messa, il desiderio del martirio si accendeva in lui; ogni giorno ripeteva al Signore la sua supplica, e Gesù infine lo appagò.


Un giorno, mentre celebrava, un eretico sacrilegamente gli sparò contro; ciò visto, i fedeli lo pregarono a porsi in salvo, ma egli protestò di non temere la morte, e di essere pronto a sacrificare la sua vita per Gesù e la Chiesa.

Invitato con inganno dagli eretici a predicare loro la verità, simulandosi desiderosi di conversione, S. Fedele, il 21 aprile del 1622 si portava a Cruch, quando fu assalito dai suoi nemici, i quali barbaramente lo trucidarono, abbandonandolo in una pozza di sangue.

Martirio di San Fedele da Sammaringa
titolo Martirio di San Fedele da Sammaringa
autore Boccanera Giacinto anno 1730 - 1746


S. Fedele consacrò le primizie dei Martiri del suo ordine. Da quel giorno prodigi e miracoli lo resero illustre, specie a Coira e a Veldkrich, dove si conservano le sue reliquie e dove è tenuto in somma venerazione dal popolo. Fu canonizzato dal Papa Benedetto XIV.

PRATICA. S. Fedele ci dà esempio di costanza e fedeltà nel servizio del Signore: siamo anche noi fedeli, e costanti, qualunque sia la nostra missione.

PREGHIERA. Dio, che nella propagazione della fede ti sei degnato decorare della palma del martirio e di gloriosi miracoli il beato Fedele, deh! per i suoi meriti ed intercessione, confermaci così nella fede e nella carità, che meritiamo d'essere trovati fedeli nel tuo servizio fino alla morte.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sèvis, nella Svizzera, san Fedéle da Sigmaringa, Sacerdote dell'Ordine dei Minori Cappuccini e Martire, il quale, mandato là a predicare la fede cattolica, nello stesso luogo, ucciso dagli eretici, compì il martirio, e dal Papa Benedétto decimoquarto fu annoverato fra i santi Martiri.
AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 24 aprile 2020

"Beati quei figli fedeli, perché Fedele con loro sarò"

San Fedele da Sigmaringen

San Fedele da Sigmaringen
Nome: San Fedele da Sigmaringen
Titolo: Sacerdote e martire
Nascita: 1577, Sigmaringa, Germania
Morte: 21 aprile 1622, Seewis, Svizzera
Ricorrenza: 24 aprile
Tipologia: Commemorazione



Nacque nel 1577 nella città di Sigmaringa. Il nome di nascita era Marco, cambiato poi in Fedele nella professione religiosa. Nel dargli questo nome, il maestro dei novizi gli disse queste parole dell'Apocalisse: « Sii fedele sino alla morte e ti darò la corona della vita ».

La natura e la grazia lo favorirono dei loro doni e il nostro giovane fece in breve tempo sì ammirabili progressi nella scienza, da essere indicato come esempio ai suoi condiscepoli, ed insieme fiorì meravigliosamente in lui il fiore d'ogni virtù, così da giungere presto all'apice della santità.

Studiò filosofia nell'università di Friburgo, e ottenne con brillante esito la laurea dottorale a Villigen, ove esercitò poi l'avvocatura.

Ma questa carica, occasione continua di peccato, fu presto abbandonata da quell'anima assetata di giustizia, la quale scelse una via più sicura per la sua eterna salvezza, passando nella famiglia del serafico S. Francesco: si fece religioso cappuccino.

In religione fu luminoso esempio a tutti i confratelli nell'osservanza delle regole, nello spirito d'orazione e nell'unione con Dio. Elevato alle più alte cariche del convento, tutte le disimpegnò con prudenza, giustizia, mansuetudine e umiltà ammirabili.

Distinguendosi nel ministero della predicazione e ardendogli in cuore il desiderio di dare il suo sangue per la fede, fu scelto a capo di una missione, la quale si portava nella Rezia per' la conversione degli eretici.

Predicò a Sevis, ove con zelo apostolico e con accento paterno, esortava i Cattolici a serbare immacolata la loro fede, a non dare ascolto ai violatori del sacro patrimonio, ai lupi rapaci, seminatori della zizzania calvinista.

Ogni giorno più, particolarmente nel celebrare la S. Messa, il desiderio del martirio si accendeva in lui; ogni giorno ripeteva al Signore la sua supplica, e Gesù infine lo appagò.


Un giorno, mentre celebrava, un eretico sacrilegamente gli sparò contro; ciò visto, i fedeli lo pregarono a porsi in salvo, ma egli protestò di non temere la morte, e di essere pronto a sacrificare la sua vita per Gesù e la Chiesa.

Invitato con inganno dagli eretici a predicare loro la verità, simulandosi desiderosi di conversione, S. Fedele, il 21 aprile del 1622 si portava a Cruch, quando fu assalito dai suoi nemici, i quali barbaramente lo trucidarono, abbandonandolo in una pozza di sangue.

S. Fedele consacrò le primizie dei Martiri del suo ordine. Da quel giorno prodigi e miracoli lo resero illustre, specie a Coira e a Veldkrich, dove si conservano le sue reliquie e dove è tenuto in somma venerazione dal popolo. Fu canonizzato dal Papa Benedetto XIV.

*

PRATICA. — S. Fedele ci dà esempio di costanza e fedeltà nel servizio del Signore: siamo anche noi fedeli, e costanti, qualunque sia la nostra missione.


PREGHIERA. — Dio, che nella propagazione della fede ti sei degnato decorare della palma del martirio e di gloriosi miracoli il beato Fedele, deh! per i suoi meriti ed intercessione, confermaci così nella fede e nella carità, che meritiamo d'essere trovati fedeli nel tuo servizio fino alla morte.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sèvis, nella Svizzera, san Fedéle da Sigmaringa, Sacerdote dell'Ordine dei Minori Cappuccini e Martire, il quale, mandato là a predicare la fede cattolica, nello stesso luogo, ucciso dagli eretici, compì il martirio, e dal Papa Benedétto decimoquarto fu annoverato fra i santi Martiri.

Maria, ANCORA DELLA NOSTRA SALVEZZA
prega per noi

lunedì 23 aprile 2018

Martirologio / Festa di san Fedele da Sigmaringa (1.10.1577 - 24.4.1622)

ESTO FIDELIS...
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Martyrologium (anticip.)

April 24th anno Domini 2018 The 9th Day of Moon

24 Aprile

A Sèvis, nella Svizzera, san Fedéle da Sigmaringa, Sacerdote dell'Ordine dei Minori Cappuccini e Martire, il quale, mandato là a predicare la fede cattolica, nello stesso luogo, ucciso dagli eretici, compì il martirio, e dal Papa Benedétto decimoquarto fu annoverato fra i santi Martiri.


A Roma san Saba, condottiero di soldati, il quale, accusato di visitare i Cristiani detenuti in carcere, liberamente confessò Cristo dinanzi al Giudice. Per questo dallo stesso Giudice fu bruciato con fiaccole e gettato in una caldaia di pece bollente, ed essendone uscito illeso, convertì a Cristo con tal miracolo settanta uomini, i quali tutti, perseverando costantemente nella confessione della fede, furono uccisi con la spada. Alla fine anche lui, gettato nel fiume, compì il martirio.

A Lióne, in Frància, il natale di sant'Alessandro Martire, il quale, nella persecuzione di Antonino Vero, dopo la prigionia, fu prima talmente lacerato dalla crudeltà dei carnefici, che, sciolta la tessitura delle coste, ed aperte le viscere, rimasero scoperte le interiora del corpo; quindi, confitto sul patibolo della croce, sfinito esalò il beato spirito. Insieme con lui furono martirizzati anche altri, in numero di trentaquattro, la cui memoria si celebra in altri giorni.
A Nicomédia i santi Martiri Eusébio, Neóne, Leonzio, Longino ed altri quattro, i quali, nella persecuzione di Diocleziano, dopo atroci tormenti, furono uccisi con la spada.
In Inghiltérra la deposizione di san Mellito Vescovo, il quale, mandato là dal Papa san Gregorio, convertì alla fede i Sàssoni orientali e il loro Re.
A Elvira, nella Spagna, san Gregorio, Vescovo e Confessore.
A Bréscia sant'Onorio Vescovo.
In Iona, isola della Scòzia, sant'Egbérto, Prete e Monaco, uomo di meravigliosa umiltà e continenza.
A Reims, in Frància, le sante Vergini Bova e Doda.
Ad Angers, in Frància, santa Maria di santa Eufràsia Pelletier, Vergine, Fondatrice dell'Istituto delle Suore del Buon Pastore, da Pio dodicesimo. Pontefice Massimo, inserita nel numero delle Sante.

A Milano la Conversióne di sant'Agostino Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, il quale dal beato Vescovo Ambrogio fu ammaestrato nella verità della fede cattolica, ed in questo giorno fu da lui battezzato.

V. Ed altrove molti altri santi Martiri e Confessori, e sante Vergini.

R. Grazie a Dio.


*
SAN FEDELE DA SIGMARINGEN
SACERDOTE E MARTIRE
24 aprile – Memoria 

Sigmaringen, Germania, 1577/8 – Seewis, Svizzera, 24 aprile 1622

Filosofo, giurista, educatore e martire nel cuore d’Europa: quello di San Fedele di Sigmaringen è un profilo umano e culturale complesso e affascinante, reso luminoso dalla determinazione con cui affrontò l’incarico di predicatore in una terra dove si andava diffondendo il protestantesimo.
Nato non lontano da Stoccarda, a Sigmaringen, nel 1578 studiò filosofia e diritto a Friburgo, in Svizzera, per poi avviarsi alla carriera forense in Alsazia, dove però un nobile gli affidò per la formazione il figlio e un gruppo di giovani: assieme a loro, il futuro santo viaggiò tra Italia, Francia e Spagna. Poi tornò a Friburgo e si fece cappuccino. Da Roma però gli venne chiesto di andare a predicare in Rezia, tra i protestanti. Proprio una predica pubblica gli costò la vita a Seewis per mano di alcuni soldati nel 1622.
Etimologia: Fedele = fidato, devoto, dal latino
Emblema: Palma

Martirologio Romano: San Fedele da Sigmaringen, sacerdote e martire, che fu dapprima avvocato e, entrato poi tra i Frati Minori Cappuccini, condusse un’austera vita di veglie e di preghiera. Assiduo nella predicazione della parola di Dio, fu mandato nei territori dell’odierna Svizzera per consolidarvi la retta dottrina e per la sua fede cattolica incontrò la morte a Seewis per mano di alcuni eretici.

Lo chiamavano “l’avvocato dei poveri” perché difendeva gratuitamente coloro che non avevano denaro a sufficienza per pagarsi un avvocato. Marco Reyd – il futuro cappuccino fra Fedele – nato a Sigmaringen, in Germania, nel 1578, si era laureato brillantemente in filosofia e in diritto all’università di Friburgo in Svizzera, e aveva intrapreso la carriera forense a Colmar in Alsazia. Più portato ai severi studi filosofici che alle arringhe in tribunale, Marco Reyd accolse con entusiasmo l’invito del conte di Stotzingen, che gli affidava i figli e un gruppo di giovani promettenti perché li avviasse agli studi e alla conoscenza dei problemi del mondo contemporaneo.

Soggiornando per ben sei anni nelle diverse città dell’Italia, della Spagna e della Francia, impartì ai giovani e nobili allievi anche utili ammaestramenti che lo fecero ribattezzare col nome di “filosofo cristiano”. Poi all’età di 34 anni, abbandonò ogni cosa e tornò a Friburgo, stavolta al convento dei cappuccini e indossò l’umile saio di S. Francesco. Preposto per la sua saggezza alla guida di vari conventi, mentre copriva l’incarico di guardiano al convento di Weltkirchen gli abitanti della regione ebbero modo di ammirare la sua straordinaria carità e coraggio nell’assistenza ai colpiti dalla peste.

Dalla Congregazione di Propaganda Fide ebbe l’incarico di recarsi nella Rezia, in piena crisi protestante. Le conversioni furono numerose, ma l’intolleranza di molti finì per creare attorno al santo predicatore una vera ondata di ostilità, soprattutto da parte dei contadini calvinisti del cantone svizzero dei Grigioni, scesi in guerra contro l’imperatore d’Austria. Più che scontata quindi l’accusa mossa a fra Fedele d’essere un agente al servizio dell’imperatore cattolico.

Il santo frate continuava impavido la sua missione, recandosi di città in città a tenere corsi di predicazione. “Se mi uccidono – disse ai confratelli, partendo per Séwis – accetterò con gioia la morte per amore di Nostro Signore. La riterrò una grande grazia”.

Era poco meno d’una profezia. A Séwis, durante la predica, si udì qualche sparo. Fra Fedele portò ugualmente a termine la predica e poi si riavviò verso casa. All’improvviso gli si fecero attorno una ventina di soldati, capeggiati da un ministro, che in seguito si sarebbe convertito. Gli intimarono di rinnegare quanto aveva predicato poco prima. “Non posso, è la fede dei vostri avi. Darei volentieri la mia vita perché voi tornaste a questa fede”. Colpito pesantemente al capo, ebbe appena il tempo di pronunciare parole di perdono, prima di essere abbattuto a colpi di spada. Era il 24 aprile 1622. Fu canonizzato nel 1746 da Benedetto XIV.



PREGHIERA A SAN FEDELE

O Padre,
che al tuo sacerdote San Fedele, ardente di carità,
hai dato la grazia di testimoniare con il sangue
l’annunzio missionario del Vangelo,
per sua intercessione concedi anche a noi
di essere radicati e fondati nell’amore di Cristo,
per conoscere la gloria del Signore risorto.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.


Esto fidelis usque ad mortem et dabo tibi coronam vitae

**************************

II protomartire dell'Ordine dei Minori Cappuccini 
e della S. Congregazione di Propaganda Fide 
si chiamava Marco Roy
ed era nato il 1-10-1578 a Sigmaringen, nella Svevia (Germania), da Giovanni, albergatore e borgomastro della città che lo aveva lasciato orfano presto. Dopo gli studi umanistici, per le sue brillanti doti Marco fu inviato a Friburgo, in Brisgovia, dove si laureò in filosofia e respinse i primi assalti delle passioni, dandosi a grandi austerità.
Come precettore dei tre figli del Conte Stotzingen accettò di accompagnarli per sei anni (1604-1610) attraverso l'Italia, la Francia e la Spagna a condizione però che gli lasciassero il tempo necessario ai suoi esercizi di pietà. Sollecito com'era di visitare le chiese, di soccorrere i malati negli ospedali e beneficare i poveri, lasciò ovunque grandi esempi di virtù. Poco dopo il suo ritorno, si laureò in utroque iure (1611) e fu inviato come avvocato-consigliere della corte di giustizia austriaca a Ensisheim (Alta Alsazia) dove esercitò la magistratura con grande rettitudine. Il popolo lo considerava come "l'avvocato dei poveri". Egli, tuttavia, per il timore di commettere, in quella sua attività, qualche ingiustizia, si risolvette ad abbandonare il mondo e ad entrare tra i Cappuccini della provincia svizzera perché in essi trovava riuniti lo spirito di preghiera dei Certosini, lo zelo di S. Ignazio di Loyola per le anime, e la povertà di S. Francesco d'Assisi.
I suoi futuri superiori gli consigliarono di accedere prima agli ordini sacri, che egli ricevette dal vescovo di Costanza dopo aver ottenuto da Roma la dispensa dagli interstizi richiesti dai canoni. Il 4-10-1612 l'ex-magistrato andò a celebrare la Messa nel convento dei Cappuccini.
Subito dopo ricevette dal P. Guardiano l'abito dei novizi con il nome di Fedele. Suo fratello, Fra Apollinare, morto nel servizio degli appestati (+1629), lo aveva preceduto otto anni prima. Fin dall'inizio del noviziato niente poté rallentare Fra Fedele nel suo fervore; non le austerità più dure, non le osservanze più penose, non le umiliazioni più ripugnanti. Il demonio suscitò in lui dubbi riguardo alla propria vocazione, rappresentandogli il bene che avrebbe fatto nel mondo se vi fosse rimasto. Trovò la forza di perseverare, pregando con più fervore, manifestando le tentazioni al maestro di noviziato. Al fratello confidò che, dopo il suo ingresso nell'Ordine, non aveva mai cessato di chiedere a Dio la grazia di non commettere nessun peccato mortale e di morire per la fede. Per distaccarsi totalmente e per sempre dal mondo, con il permesso del superiore fece chiamare un notaio e lasciò i propri beni a una fondazione che assicurava ai giovani ecclesiastici i mezzi per continuare gli studi.

Ammesso a pieni voti alla professione, volle prima scrivere il suo testamento, in cui tra l'altro si legge: "Siccome il Vangelo e la mia regola mi ordinano di vendere tutti i miei beni e di distribuirli ai poveri, ho deciso di dare quanto possiedo ai bisognosi e di consacrare me stesso, con una professione solenne, eterna, irrevocabile, a Gesù Cristo che è il vero tesoro, la via sicura, la verità infallibile, e la vita eterna. E per imitare, perfettamente, il mio Salvatore, propongo con l'aiuto del Signore, di vivere costantemente in un estrema povertà, castità e ubbidienza, nelle sofferenze e nelle persecuzioni, in un'austera penitenza, una profonda umiltà, un sincero amore per tutto il restante della mia vita,.. Come sono uscito nudo dal seno di mia madre, così, spoglio di tutte le cose della terra, mi abbandono nudo tra le braccia di Gesù Cristo, mio Salvatore".
Da quel momento Fra Fedele visse distaccato da tutto, si considerò come l'ultimo dei fratelli e ritenne le più vili occupazioni come troppo onorevoli per sé. Durante gli studi di teologia a Costanza e a Frauenfeld, la devozione alla Vergine Maria gli parve il mezzo più adatto per progredire nella virtù, evitare la tiepidezza e il rilassamento. Fin dal 1617 si acquistò fama di illuminato confessore e valente oratore.
S'interessò presto dei protestanti, di cui si accattivò la fiducia evitando la polemica. Essi lo chiamavano infatti "l'angelo della pace". Quando terminò il corso di teologia egli fu nominato Guardiano di Rheinfelden (1618-1619), di Feldkirch (1619-1620), di Friburgo (1620-1621) e ancora di Feldkirch (1621-1622).
La predicazione continuò a costituire la sua occupazione principale, Per la salvezza dei fratelli avrebbe dato volentieri la vita. Nessuna fatica, nessun disagio lo scoraggiò mai.
       Prima di salire il pulpito faceva mezz'ora di meditazione davanti al SS. Sacramento. Poi biasimava, con coraggio, i disordini di tutte le categorie sociali, dal lusso delle donne alle ingiustizie dei magistrati, ricordando quasi sempre i novissimi e l'obbligo della penitenza per la salvezza eterna. Alla sua predicazione la città di Feldkirch si rinnovò completamente. Per impedire il ritorno dei disordini, Fra Fedele chiese al Senato che fossero pubblicati i regolamenti da lui preparati, e proibiti, con un editto, i libelli degli eretici. Egli stesso entrò animoso nelle librerie per dare alle fiamme gli scritti perniciosi che vi trovava. 
Quand'era libero dal ministero della predicazione riprendeva nella solitudine del chiostro gli esercizi della vita comune, lo studio della S. Scrittura e la composizione di opuscoli che sono andati smarriti, in difesa della fede, sull'esempio dell'apostolo del Chiablese, S. Francesco di Sales (+1622). Quando le truppe dell'imperatore, acquartierate nei dintorni di Feldkirch, furono decimate dal contagio, Fra Fedele uscì dal suo ritiro per visitare abitazioni, ospedali e prigioni e procurare medicine ai malati che ne erano rimasti privi. Dio ricompensò l'eroica carità del suo servo con dei miracoli.
Nella Svizzera e in modo speciale nei Grigioni, il protestantesimo continuava a pervertire i cattolici. Ignazio da Casnigo, cappuccino, che da Roma era stato inviato ad esaminare la situazione religiosa della Rezia, ne fece a Gregorio XV un rapporto tanto scoraggiale che il Papa decise di aprirvi una missione sotto la direzione dei cappuccini e la protezione dell'arciduca d'Austria. 
   Fra Fedele, avendo chiesto di far parte di quella missione, fu inviato con otto confratelli presso i Grigioni, nel Pràtigau, i cui abitanti nel 1608 erano passati numerosi all'eresia e si erano persino ribellati alle autorità austriache. Dio rivelò, senza dubbio, al santo la sorte gloriosa che lo attendeva perché, agli abitanti di Feldkirch, dichiarò che non lo avrebbero più veduto, essendo chiamato a dare la vita per il Signore. Ai suoi compagni disse: "Andiamo, fratelli, dove la grazia di Dio ci chiama; la messe sospinge".

Il santo riportò subito grandi successi. In colloqui privati conquistò il conte Rodolfo di Salis, sapiente difensore del protestantesimo. Il suo esempio fu contagioso. I riformati, pieni di livore anche perché lo zelante missionario aveva provocato un editto di proscrizione del culto protestante e d'imposizione ai cattolici di frequentare l'istruzione religiosa, decisero di dargli la morte. Per scuotere il giogo austriaco convennero pure di provocare una sedizione. Il santo conobbe il loro progetto per divina rivelazione e ne fece avvertire le autorità del paese e prevenire un ufficiale dell'esercito. I Grigioni effettivamente sopraffecero le truppe dell'imperatore, s'impadronirono dei posti di difesa, profanarono le chiese e molestarono i cattolici. Fra Fedele allora pensò soltanto a disporsi alla morte passando notti intere dinanzi al SS. Sacramento o al Crocifisso e implorando dalla Vergine SS. di non essere abbandonato.

Il 24-4-1622 entrò a Grisch, grosso borgo in cui i Grigioni si erano trincerati. Fece la sua confessione al confratello che lo accompagnava, celebrò la Messa e salì sul pulpito. I cattolici attestarono di non averlo mai udito parlare con tanta unzione ed eloquenza come quella volta. Al termine della predica andò in estasi e Dio gli rivelò che, in quello stesso giorno, lo avrebbe coronato. Disceso dal pulpito, disse al confratello: "Restate qui a confessare; io vado a predicare a Seewis, dove i cattolici mi aspettano. Non ignoro quello che mi deve capitare. Addio! Pregate per me". Strada facendo incontrò un cattolico che gli domandò ove andasse con tanta precipitazione. Avutane risposta, esclamò: "E se gli eretici vi attaccheranno, che farete?". Gli rispose; "Farò quello che hanno fatto i martiri; come loro accetterò la morte con gioia, per amore di nostro Signore, e la riterrò come una grande grazia per me".
A Seewis, il santo esortò i cattolici a restare fedeli alle promesse del battesimo e a pregare per lui. Verso la fine della predica s'intese gridare: "Alle armi!". Erano le truppe dell'imperatore Ferdinando II che venivano a forzare i Grigioni nei loro luoghi. Costoro, persuasi che Fra Fedele avesse chiamato le milizie austriache, cominciarono a maltrattarlo. Ci fu persino chi gli sparò contro senza neppure ferirlo. Mentre stava per uscire di chiesa, un cattolico lo trattenne dicendogli: "Aspettate che la collera degli eretici si sia un po' calmata!". "Vi ringrazio della vostra carità, replicò il missionario, ma non inquietatevi a mio riguardo; io non temo la morte; da molto tempo ho fatto a Dio il sacrificio della mia vita.
Andiamo sotto la sua protezione e quella della sua santa Madre". Uscì, passò in mezzo ai soldati senza essere insultato, ma appena egli s'incamminò alla volta di Grisch, venti soldati eretici, guidati da un loro pastore, si precipitarono su di lui. Uno di essi gridò: "Sei dunque tu, disgraziato fanatico, che vuoi fare il profeta. Di' che hai mentito, o perirai di mano mia". Gli rispose con dolce fierezza il santo: "Io non ho insegnato che le verità eterne, la fede dei vostri padri. Io darei volentieri la mia vita perché voi la riconosciate!".

"Noi non siamo qui per ragionare - interloquì un altro. - Vuoi tu abbracciare la nostra religione o no?", "Sono stato mandato in mezzo a voi per illuminarvi e non per condividere i vostri errori". - "Renditi nostro prigioniero, altrimenti ne va la tua vita". "Io non temo la morte, io difendo le verità che hanno sostenuto i martiri, la mia causa è la loro, la loro sorte sarà la mia".
Un soldato lo colpì allora con la spada alla testa. Fra Fedele, stordito, cadde a terra. Appena riuscì a mettersi in ginocchio, stese le braccia in forma di croce e disse: "Perdona, mio Dio, perdona ai miei nemici accecati dalla passione; essi non sanno quello che fanno. Signore Gesù, abbi pietà di me. Maria, Madre di Gesù, assistimi". Fu colpito ancora con la spada alla testa, poi un violento colpo di mazza gli spaccò il cranio. Il martire cadde a terra in una pozza di sangue. Credendo che non fosse ancora morto, gli eretici lo trapassarono con parecchi colpi di spada. Era il 24-4-1622. Per tutto il giorno il corpo del martire restò esposto agli insulti degli eretici i quali gli staccarono la testa e la gamba sinistra dal tronco.
Poco tempo dopo il comandante dell'esercito austriaco riportò sui ribelli completa vittoria. 
I resti mortali di Fra Fedele furono sepolti nella chiesa di Seewis. Il ministro protestante, che aveva assistito al suo supplizio, si convertì.

Dopo il ristabilimento della pace i Cappuccini di Feldkirch reclamarono il corpo del loro antico guardiano. Il 13 ottobre dello stesso anno fu aperta la sua tomba. Il corpo del martire fu trovato intatto. La sua testa e la sua gamba sinistra furono portate a Feldkirch e il corpo nella cattedrale di Coira dove ancora riposa. Benedetto XIII lo beatificò il 12-3-1729 e Benedetto XIV lo canonizzò il 29-6-1746. Il metodo della sua vita spirituale è contenuto in Exercitia seraphicae devotionis, sua raccolta di preghiere e di esercizi di pietà.
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 4, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 299-304.
http://www.edizionisegno.it/
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AMDG et DVM

lunedì 24 aprile 2017

San Fedele, martire cappuccino, insegna che la verità va amata e difesa con coraggio, e che a Dio si deve restare fedeli. Fedeli, sino alla morte.

San Fedele da Sigmaringa 
(Sigmaringen 1578 - Seewes1622) 

I cappuccini, nel 1972, hanno ricordato il 350mo anniversario del martirio di un loro confratello, San Fedele da Sigmaringa. Con decreto del Vicariato di Roma, 6 febbraio 1973, in Via Monti di Pietralata, Roma, settore nord, venne costituita la parrocchia intitolata a lui, a S. Fedele martire. 
Chi è costui?
Una risposta, pur breve, tuttavia sicura ed esauriente, la troverai leggendo queste pagine. Alla fine della lettura, ti accorgerai di aver fatto conoscenza con un Santo « mai sentito ». Proverai ammirazione per un grande missionario e per un eroico martire. Spontaneamente, ti sentirai convinto a metterti in ginocchio per pregarlo e a metterti con impegno ad imitarlo. E' quanto ti augura, con cordialità e sincerità, il tuo parroco. Padre GEREMIA LUNARDI, dei cappuccini Roma, 24 aprile 1973, nella festa di S. Fedele martire. 

IN UNA POZZA DI SANGUE 

Ore 9 della mattina del 24 aprile 1622, quarta domenica dopo Pasqua. Sul pulpito della chiesa di Seewis (Svizzera), affollata di pochi fedeli e da molti calvinisti, è salito un cappuccino, per la predica. E' un frate di statura mediocre, dalla faccia piuttosto rotonda e ben colorita, con fronte spaziosa, occhi vivaci, barba corta e ricciuta di color biondo. Il suo nome di religioso: padre Fedele da Sigmaringa. Sulla sponda del pulpito era stato collocato un biglietto, su cui era scritto: Oggi predicherai e non più. Padre Fedele, in silenzio, lo legge. Resta pensoso, un istante. Senza la minima esitazione, inizia la sua predica, svolgendo un tema desunto dalla lettera di Paolo apostolo agli Efesini: Un solo Signore, un'unica fede, un solo battesimo (Ef 4,5). La voce non tradisce emozione: ha il tono franco di sempre, che scaturisce spontaneo dalla convinzione. Espone con chiarezza, con pronuncia spiccata e chiara, all'uditorio inquieto. «Basta! Smettila!» è il rabbioso invito di alcuni. «Fuoco! fuoco!», grida un soldato, entrando in chiesa. L'uditorio scatta in piedi, alcuni presi dal panico, altri da soddisfazione rabbiosa. Fischiano le palle, crepitano le munizioni che erano state apprestate precedentemente, in segreto, nel paese in cui covava la ribellione. Si dà ordine al padre Fedele di scendere dal pulpito. Nella chiesa e fuori, è un pandemonio. I soldati, a difesa della chiesa, cadono, uccisi. I pochi cattolici, terrorizzati, scappano qua e là, inseguiti, alcuni anche uccisi. Padre Fedele, dopo avere sostato in preghiera accanto all'altare, esce per la porta della sacrestia. Lo accompagna un capitano austriaco, Gioacchino Colonna. Assieme, percorrono un sentiero tortuoso, che li allontana dalla chiesa, verso Grusch, donde erano venuti. Quasi subito, si trovano accerchiati da venticinque uomini, armati di mazze ferrate, di forche, di spade. Sono calvinisti, appartenenti a una setta protestante, che da tempo erano in lotta con i cattolici della zona. A padre Fedele, preso a pugni, a calci, a percosse, propongono un dilemma: o apostatare dalla fede cattolica, o lasciarsi uccidere; o ripudiare la Chiesa di Roma, o sottostare alla morte. La risposta del frate è netta, immediata. Egli precisa di trovarsi in quel territorio non per farsi eretico, ma per estirpare l'eresia e far conoscere a tutti la vera ed unica religione, quella cattolica. Uno dei rivoltosi, un ceffo da galera, violento, sguaina la spada e colpisce. La testa di padre Fedele gronda sangue. Il frate cade in ginocchio, pregando Dio: chiede perdono per i suoi nemici, che non sanno quello che fanno; chiede a Gesù pietà per sé; implora dalla Madonna assistenza. Sul povero cappuccino cadono colpi di scure e lame di spade. Una picca gli trapassa il petto. Gli si fracassano le costole. Tutto il corpo è segnato da squarci e ferite. Gli si tagliuzzano le gambe. La testa, sul lato sinistro, è frantumata. Attorno, sul campo al ciglio della strada, la terra è rossa di sangue. I feroci calvinisti godono brutalmente ad insultare quel povero corpo. Sfogata tutta la loro rabbia, s'allontanano, lasciando a terra l'ucciso, il martire. Sono circa le 11 del mattino. Padre Fedele contava 44 anni. Dieci anni prima, quando indossò l'abito cappuccino, il maestro di noviziato padre Angelo Visconti da Milano, prendendo lo spunto dal nuovo nome impostogli «Fra Fedele», aveva iniziato il discorso con il versetto dell'Apocalisse: "Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita" (Ap 2,10). Padre Fedele, in una pozza di sangue aveva mantenuto la consegna: fedele, sino alla morte. 

IN RIVA AL DANUBIO 

Sigmaringa, cittadina della Svevia, nella Germania sud-occidentale, è disposta su un colle, a 538 metri sul livello del mare. Capitale dell'antico principato Hohenzollern-Sigmaringen, dominata da un castello, vede scorrersi ai piedi il Danubio, dallo scorrere placido, quasi insonnolito. Il titolo più ambito della cittadina sveva è quello di essersi sempre mantenuta «una città cattolica» e di non aver mai tollerato entro le proprie mura un predicante di eresie. Non aveva ceduto neppure alla bufera della riforma protestante. Mentre la Germania accettava la predicazione di Lutero, trasmessa nei paesi vicini dai suoi seguaci Calvino e Zwinglio, Sigmaringa restava fedele al Papa di Roma. Quella dei Roy era tra le famiglie più distinte della città, oriunda dai Paesi Bassi. Dai Roy, nel 1578, probabilmente nei primi giorni d'ottobre, nacque S. Fedele, il martire di Seewis. Suo padre, Giovanni, questore, console e pretore di Sigmaringa, aveva sposato Genoveffa Rosemberger di Tubinga, che lo fece padre di numerosi figli. Ne ricordiamo due: Giorgio, che divenne sacerdote cappuccino, padre Apollinare (1584-1629); Marco, che seguì il fratello Giorgio, diventando lui pure sacerdote cappuccino, padre Fedele. Fu una nascita difficile, quella di Marco. Sua madre, trovatasi in estremo pericolo di vita, si dichiarò disposta a morire per lasciar sopravvivere la sua creatura. Provvidenza volle che fossero salvi madre e figlio. E fu davvero provvidenziale quella buona madre, che educò egregiamente tutti i suoi figli, sostenuta nella delicata opera educatrice dal marito. Marco, ormai cresciuto, frequentò le elementari, rivelando intelligenza e straordinaria memoria. Incoraggiato dai maestri e attratto dall'amore alla scienza, proseguì negli studi umanistici: pure in essi con grande successo. Sopravvenne il dolore a irrobustire la personalità del quasi ventenne Marco. Nel 1597, gli muore il papà, inaspettatamente. Poco dopo, la mamma passa a nuove nozze: «un matrimonio — scriverà le stesso S. Fedele nel suo testamento — che a me ed ai miei fratelli non fu eccessivamente gradito, e che non riuscimmo a spiegarci». Il peggio fu che, poco dopo, la mamma morì. Marco si recò all'università di Friburgo, nella Brisgovia, per lo studio della filosofia e delle lettere. Ne uscì, a 23 anni, 1601, laureato in filosofia, brillantemente addestrato a maneggiare la spada e il fioretto, dati anche i tempi malsicuri. Per altri tre anni s'impegnò allo studio del diritto civile e canonico, esercitandosi pure in dispute, meritandosi la benevolenza e la stima dei professori. Amante del bello, si sentì attratto alla musica. Vi si appassionò, tanto da riuscire a muovere abilmente le dita su ogni strumento musicale. Ciò gli era un hobby, che lo sollevava dai severi impegni di studio. L'impegno, tuttavia, più deciso era, per Marco, quello di essere un cristiano esemplare. In ciò l'aiutavano l'educazione avuta in famiglia e la sua buona volontà. E di questo s'accorgevano i suoi compagni di studio e quanti l'avvicinavano. Si poteva guardare al suo domani con la più grande fiducia. 

GUIDA TURISTICA 

Marco, ormai giovanotto, esperimentò uno di quegli intensi desideri che provano i popoli del nord Europa: mettersi in viaggio verso i paesi del sole, per godere di esso, ma, più ancora, per venire a contatto con le bellezze del paesaggio, con i monumenti di storia e d'arte di civiltà ormai passate, con mentalità, usi e costumi di altri popoli. Tanto più che uno dei suoi più affezionati colleghi di università, figlio del barone Giovanni Willitem von Storingen, aveva deciso, con altri suoi due compagni nobili tedeschi, di fare un viaggio per l'Europa, a motivo d'istruzione. Certo, un viaggio turistico-culturale del genere domandava tempo, mezzi e pure una buona dose di coraggio, conoscendo i mezzi di trasporto di quei tempi. Il fatto è che la comitiva, capitanata da Marco ventiseienne, guida soprattutto prudente ed educatrice, intraprese il viaggio, nel 1604. Marco, desideroso pure di apprendere bene le lingue italiana e francese, si assunse la responsabilità del giro d'Europa, anche per lasciare più tranquille le famiglie dei compagni. Il giro durò sei anni, concludendosi nel 1610. Furono visitate le principali città d'Italia, di Francia, di Spagna. In Italia e Francia, la precedenza fu data ai santuari cristiani, specialmente mariani. A Roma, città dei papi, la fermata fu più lunga che in altre città. C'era tanto da vedere e da godere. Non solo la varietà del paesaggio, i ruderi superstiti della Roma pagana, ma soprattutto i ricordi e i monumenti cristiani. Sorprendente, per la comitiva, una circostanza eccezionale: nel breve spazio di 49 giorni, assistette alle cerimonie dell'incoronazione di due papi, Leone XI e Paolo V, rispettivamente 10 aprile 1605 e 29 maggio. La visita di Roma lasciò il più incancellabile ricordo: basiliche, catacombe, ipogei dei martiri, ricordi di santi. Coerentemente, la comitiva si comportava con spirito cristiano. Di questo Marco era esempio e promotore: recitava le sue preghiere, mattina e sera; quotidianamente partecipava alla messa, pellegrinava alle chiese stazionali; si confessava e comunicava spesso; nei giorni di quaresima si flagellava e cingeva il cilicio; donava con carità ai poveri; si dedicava ad opere di bene e di apostolato. Ne documentò il comportamento un compagno di viaggio, il barone von Storingen. Adempiuti i suoi doveri di pietà, Marco diventava l'animatore del gruppo, che accompagnava a visitare cose belle, a godere dell'arte, a conversare con uomini di scienza, a intavolare dotte discussioni con i più distinti professori di università. Così ne guadagnava la loro cultura si procacciavano nuove e preziose cogni zioni, coltivavano i loro studi e apprendevano con maggior perfezione la lingua. Anche a Parigi partecipavano a pubbliche dispute scientifiche, con interventi rivelatori di vasto sapere e provocatori di vera stima. Quando s'arrivò a concludere il lungo viaggio, a malincuore la comitiva si staccò da Marco: era stato una guida sicura, uno splendido compagno, dal quale aveva imparato il godimento del bello, l'amore alla cultura, il dialogo con altri popoli, e, soprattutto, il comportamento cristiano, dotato di serena disinvoltura e di esemplare compostezza. Davvero, erano stati sei anni di scuola, di quella scuola autentica che insegna a vivere. 

AVVOCATO 

Rientrato in patria, nella natale Sigmaringa, Marco Roy riprese gli studi. Il 7 maggio 1611, a Willingen, consegue la laurea in legge: dottore in «utroque iure», cioè nel diritto ecclesiastico e in quello civile. Il suo nome (dott. Marco Roy) è registrato nell'albo degli avvocati. Il suo nuovo mondo è, ora, quello forense, fra cause e liti, a servizio del diritto, a difesa della legge. A Esisheim, cittadina dell'Alta Alsazia, il dott. Roy dà il via alla sua carriera legale. Si fanno subito palesi la sua perizia, la nitidezza d'espressione, a forza delle argomentazioni, la logica stringente, e (dote strana in un avvocato) la sollecitudine nel portare a termine le cause. Bravura e onestà, prudenza e lealtà orientano un grandissimo numero di clienti allo studio dell'avvocato Roy. Uomo di riflessione e di lavoro, si guadagna stima, ammirazione, inviti. Ha delle preferenze: le cause dei più bisognosi, dei più indifesi, dei più meritevoli di assistenza. Comprende, presto, i pericoli della carriera, le nascoste insidie della vita forense. Il suo sforzo resta sempre quello: fedeltà al dovere, dirittura morale. Nonostante tutto e tutti. Un brutto giorno, un suo avversario gli buttò una sfida: sospendere la difesa di una causa, che per lui, avvocato Roy, era una causa giusta; o, almeno, tirarla per le lunghe, e così guadagnarci di più. Marco sentì vera paura del mondo in cui viveva. Decise di piantare tutto e di ritirarsi da quell’inferno. Chiuse il suo studio di avvocato, si ritirò nel silenzio a pregare, a domandare a Dio di veder chiaro il proprio domani. Decise di chiudersi in un convento. Tanto più che, dinanzi a sé, aveva l'esempio del fratello Giorgio, lui pure laureato a Friburgo, fattosi cappuccino nel 1604, con il nome di Fra Apollinare. Nel 1612, l'avvocato Roy, anni 34, chiede al superiore provinciale dei cappuccini della Svizzera di essere ricevuto come frate. Il superiore non ne resta convinto, prospettandosi l'impossibilità che lui, avvocato già celebre, ormai con i suoi anni, si prepari e si adatti alle esigenze di una vita in convento. Gli consiglia di rifletterci di rifletterci meglio, perché nell'Ordine dei cappuccini tale è la vita, nella penitenza e nel lavoro, che c'è poco da scherzare. L'avvocato Roy ci ripensa, ma la decisione resta sempre quella: consacrarsi più strettamente a Dio, tra i cappuccini. Nell'attesa, si staccò da tutte le convenienze sociali, chiese e ottenne l'abito clericale, deciso nel frattempo di farsi sacerdote. In pochi giorni, con speciale concessione della Santa Sede, si preparò a ricevere gli ordini sacri. Nel settembre 1612, il vescovo suffraganeo di Costanza, Mons. Giacomo Murgel, lo consacrò prete, ministro dell’altare. Il mondo, che il dott. Roy s’era lasciato alle spalle, non tardò a fare i suoi commenti: giudicò vera pazzia che un giovane del genere avesse chiuso in tal modo una brillante promettente carriera. Altri, i buoni, ne lodavano Dio ed esaltavano il coraggio del Roy. Fatto sacerdote, Marco Roy si ripresentò ai cappuccini e rinnovò domanda di farsi frate, costi quello che costi. Dinanzi a tanta decisione, ai cappuccini non restò che aprire la porta del convento. Il sacerdote Roy divenne cappuccino. 

PADRE FEDELE 

Il 30 settembre 1612, il neo sacerdote Roy viene ammesso nel convento cappuccino di Friburgo. I1 4 ottobre, festa di S. Francesco d'Assisi, il sacerdote Roy celebra la messa, a cui segue il rito della vestizione religiosa. Il dottor sacerdote Marco Roy diventa Fra Fedele da Sigmaringa. Padre Angelo Visconti da Milano, superiore del convento e maestro dei novizi, gli commenta l'affermazione scritturale: «Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita». Il novizio Fra Fedele inizia l'anno di prova. Lui, trentaquattrenne, convive con novizi quindicenni. Lui, avvocato, aiuta negli umili lavori del convento i confratelli meno istruiti e si sforza d'essere più umile di loro. Non si trova affatto in disagio. Preferisce alla toga il povero saio, allo studio d'avvocato la squallida cella, ai clienti di ieri i nuovi fratelli, figli, come lui, di S. Francesco. La virtù, che più decisamente s'impegnò ad acquistare, fu quella dell'umiltà. Un suo compagno di noviziato, padre Candido da Zug, ricorda come Fra Fedele s'impegnasse specialmente negli uffici bassi e penosi: «Andava in cucina a lavare le stoviglie, nell'orto a raccogliere insetti o a fare altri lavori manuali». Con tale virtù s'acquistò l'amore di tutti. Non è detto però che tutto gli corresse liscio. Non fu esente da tentazioni. Ebbe pur lui il dubbio se la strada intrapresa fosse proprio quella voluta da Dio, se i suoi talenti fossero sfruttati o buttati al vuoto nel nuovo genere di vita. Si sentì fortemente tentato di piantare tutto e tornarsene al mondo. Un teste oculare, padre Giovanni da Kruwangen, afferma: «Resistette con animo virile alla tentazione, e la durò con zelo ed entusiasmo sino alla fine dell'anno di prova». Ci permette di guardare entro la sua anima uno scritto, da lui incominciato il 1° ottobre 1612 e continuato durante l'anno di noviziato. Steso in latino, fu edito a Roma, nel 1746, sotto il titolo «Exercitia spiritualia», e, in successive edizioni, sotto il titolo «Exercitia seraphicae devotionis». E' un «vade mecum», compilato per uso proprio. Padre Fedele si stabilisce un ordine e un metodo negli esercizi della sua vita interiore e della sua devozione. Nelle prima parte, si prospetta l'esercizio delle preghiera e delle varie virtù: verità, umiltà, obbedienza, pazienza, austerità, carità fraterna. Nella seconda parte, si propone una virtù per ogni giorno della settimana. Nella terza parte, stende preparazione e ringraziamento alla santa messa, domandandosi: «Chi viene? A chi viene? Perché viene?» e proponendosi, quale spunto per ogni giorno della settimana, una delle sette petizioni del Padre nostro. Il fascicolo si chiude con una supplica alla Madonna e con un patto tra Dio e l'anima. Le rapide pagine, che nelle divisioni e sottodivisioni svelano un giurisperito, rivelano, oltre alle sue caratteristiche e predilezioni spirituali, con quale decisa volontà Fra Fedele abbia iniziato e percorso il cammino della perfezione: con eroica fedeltà, dal primo giorno di noviziato sino alla morte. Prima di emettere i voti, Fra Fedele fece testamento, lasciando tutto per amore di Dio, distribuendo quanto aveva tra parenti e studenti poveri di Sigmaringa. A conclusione del testamento, scrisse: «Né solamente lascio le cose mie, ma di più lascio tutto me stesso al mio Signore Gesù Cristo nella mia perpetua e irrevocabile professione di sempre vivere in un'altissima povertà, in una costantissima obbedienza ed in una inviolabile castità di corpo e di cuore... Al mio amabilissimo Redentore con piena deliberazione, offro, dono e consacro per sempre, il corpo e l'anima mia come vivo olocausto in questo santo Ordine». Il 4 ottobre 1613, Fra Fedele emise i suoi voti di obbedienza, povertà, castità, «con volto raggiante ed insolita devozione» ricorda un teste oculare. Rinnovò il proposito di far onore e di essere coerente al proprio nome: di essere Fedele di nome e fedele di fatto. Quel «Sii fedele sino alla morte», dettogli dal maestro di noviziato, lo si impresse talmente nell'anima, che se lo ripeteva di continuo, se lo scriveva sui libri, lo prepose al suo «vade mecum», lo ricordava come programma d'ogni giorno, d'ogni ora. Fedele, sino alla fine! 

EVANGELIZZATORE 

Dopo l'anno di noviziato, padre Fedele riprese in mano i libri e si sedette sui banchi di scuola, per lo studio della teologia. Prima a Frauenfeld, poi a Costanza: 1614-1618. Voleva immagazzinare più luce possibile, per poi distribuirla in abbondanza alle anime, verso le quali lo spingevano la sua identità e responsabilità sacerdotali. Terminata la scuola, si donò al mondo: non più come avvocato per cause umane, ma come ministro di grazia per la causa di Dio. Erano tempi difficili per la fede cattolica, nella Svizzera e nel territorio austriaco di confine. Calvino, con le sue eresie, era penetrato dovunque. Allettati al libertinaggio, non pochi cattolici avevano apostatato dalla fede e dell'eresia accettata se ne facevano propagandisti. Predicanti si muovevano per ogni dove, diffondendo le malsane dottrine e favorendo così libertinaggio, vizi e malcostume, in alto e in basso. Padre Fedele si sentì chiamato ad arginare questa alluvione calvinista, a richiamare i traviati, a sostenere i cattolici ancora fedeli. Con rilevanti doti oratorie, padre Fedele predica ottenendo successi insperati. Voce sonora, parola fluida, sguardo e modo avvincenti: sono doti assicuratrici di successo. Conosce, inoltre, la lingua italiana e francese. Ha un sistema tutto suo per riuscire nella predica: prima e dopo, trascorre un'ora prostrato dinanzi al Santissimo Sacramento. Essendo i calvinisti sempre in movimento, pure lui non resta fermo: raggiunge città e paesi, controbatte errori, presenta la verità, richiama la legge del Signore, risponde con amabilità a soprusi e a invadenze. Il primo magistrato di Feldkirch attesta che nessun abitante della città ricorda di aver mai udito un predicatore così potente ed efficace. I protestanti, trovando buon giuoco nella corruzione, s'infiltrano anche nel Prattigau, una vallata della Rezia, vicina e parallela al Voralberg, trascinando nelle proprie idee quei rozzi montanari. Per gli stessi viottoli scoscesi passa pure il padre Fedele, predicatore della verità. I poveri lo salutano come il loro difensore. Gli onesti lo proclamano portatore della pace e padre della patria. I benpensanti lo sostengono. Qualche calvinista si arrende e fa l'abiura nelle sue mani. Le conversioni non mancano, grazie a Dio e grazie ai sudori del padre Fedele. Le autorità lasciano libertà. I calvinisti guardano torvi il cappuccino di Sigmaringa troppo audace: gli si oppongono, lo minacciano, lo biasimano pubblicamente, lo tacciano come imprudente. Ricchi e nobili lo definiscono un retrogrado, che attenta invano alla libertà finalmente proclamata, Padre Fedele continua la sua predicazione, senza paura. Affronta incredibili sacrifici, sfida più volte imboscate e tranelli. Percorre strade impervie, anche per raggiungere un solo uomo da aiutare nella fede. La fama di questo predicatore, dalla robusta eloquenza e dalla logica stringata, si diffonde per i vari Cantoni della Svizzera. Molte città e villaggi desiderano d'udire i suoi discorsi, brevi, ben preparati, densi di contenuto, arricchiti di citazioni scritturistiche, pronunciati con fervore. Predica ad Altdorf, e vi corregge abusi assai gravi. A Wiltkirch inveisce contro il lusso eccessivo delle donne. A Feldkirch infastidisce degli uditori per l'annuncio di graffianti verità. Dal 1618, padre Fedele è scelto quale superiore di conventi, in diverse città della Svizzera: Rheinfelden, Feldkirch, Friburgo, ancora Feldkirch. Nei suoi religiosi trasfonde il proprio zelo per le anime, l'amore ad austera penitenza, l'esempio di preghiera di giorno e di notte. Segue tutti con dolcezza. Coltiva particolarmente la povertà. E' sollecito al tribunale della penitenza, a rassicurare i pentiti sul perdono e amore di Dio. S'inframmette tra nemici, tra famiglie in discordia, e convince alla pace. Capisce la sofferenza degli oppressi, dei tribolati, dei condannati, e trasmette loro fiducia in Dio e coraggio nella prova. Contro troppo facili esecuzioni, rivendica ed esalta il valore prezioso della vita umana. Accorre fra le truppe austriache, decimate dalla pestilenza, la «febbre ungherese», e si fa soccorritore materiale e spirituale, ottenendo dall'arciduca d'Austria alimentari, medicine, vesti, e donando assoluzione ai pentiti e pace ai moribondi. Competente, sostiene le cause dei poveri, rimprovera ingiustizie, sventa oppressioni. E', in poche parole, un apostolo: senza stanchezza, tutto amore per i buoni e per i cattivi. 

PREFETTO DELLA MISSIONE DEI GRIGIONI 

Quello dei Grigioni è uno dei molti stati o Cantoni, di cui era composta la Svizzera. Era la regione più orientale, confinante con il Tirolo, la Lombardia, il Ticino, Uri, Glarona e S. Gallo. Anticamente era chiamata Rezia. Il paese era aspro e montuoso, il più impervio di tutti gli altri, solcato da valli. Ci viveva una popolazione rude, bellicosa, ostinata, che parlava il romancio. Ignoranza e corruzione avevano lasciato via libera alla riforma protestante, predicata da Zwinglio e Calvino, che infierì contro i cattolici, il clero, le chiese, i conventi. Il Canton Grigioni era, allora, scisso in due partiti. Ogni partito era sostenuto da una potenza straniera: l'Austria cattolica, che resisteva al protestantesimo; la Francia che, per ragioni politiche, appoggiava i protestanti. Le due fazioni erano capeggiate da due ragguardevoli famiglie: quella cattolica, dalla famiglia di Rodolfo Planta; quella eretica, dal casato di Ercole de Salis. Le lotte vicendevoli non avevano sosta. La maggioranza dei cittadini si schierò, per maggior sicurezza, dalla parte dei più potenti, i protestanti. I pochi rimasti fedeli alla Chiesa ebbero la peggio, bersagliati da una vera e propria persecuzione, che riuscì perfino a bandire il vescovo di Coira, al quale tutto il Cantone era soggetto. Si arrivò persino a scontri armati, a guerre intestine, che si placarono, per un po', con il Trattato di Milano del 15 gennaio 1622. I Grigioniesi rinunziarono alla Valtellina, in favore della Spagna; fu data libertà al culto cattolico, in tutta la regione della Rezia; vennero abrogate le leggi anticattoliche; gli apostati stranieri, rifugiatisi nella Rezia, che erano i più rabbiosi contro i cattolici, erano messi al bando. Ma questi non disarmarono. Anzi, con astuzia, attesero tempi propizi alla loro vendetta. Per ricristianizzare un campo così difficile, si pensò ai cappuccini. Il vescovo di Coira ricorse al Papa e il Papa Paolo V, accettò l'idea di una missione di cappuccini. La provincia cappuccina di Milano-Brescia inviò un drappello di missionari alla guida di padre Ignazio da Casnigo, che arrivò nei Grigioni nel gennaio 1621. 

Tra i cappuccini, inviati a sostenere la missione della Rezia, fu scelto anche padre Fedele, predicatore infaticabile e conoscitore di molte lingue. A lui e ad altri suoi due compagni di evangelizzazione fu affidato, come campo di lavoro, la Prattigau (Prettigovia), o Valle dei Prati. Qui l'eresia aveva fatto più devastazioni, tra gente ostinatamente restia e fanatica, sostenitrice delle nuove idee luterane. Il clima era estremamente rigido e Padre Fedele vi arrivò proprio d'inverno, 1622. L'arrivo dei cappuccini impegnò i calvinisti a rabbiosa difesa. Ad un amico di infanzia padre Fedele confidò che nei Grigioni avrebbe trovato sicuramente la morte. Ad altri dichiarò di sentirsi pronto alla morte. Pronto senz'altro ad impegnare zelo, parola, scritti, vita, tutto, per salvare quanto era possibile salvare, tra quella gente refrattaria alla verità cattolica. In quell'anno, Gregorio XV istituì la Congregazione di Propaganda Fide, tanto sostenuta, anzi secondo alcuni studiosi ideata, dal cappuccino padre Girolamo da Narrai. Tale Congregazione si proponeva un duplice compito: evangelizzare tutti i popoli e arginare i progressi dell'eresia. Dalla Congregazione fu stabilita, quale prima missione, quella della Rezia. Venuti a conoscenza del mirabile apostolato che già vi svolgeva padre Fedele, il nunzio apostolico Alessandro Scappi e i superiori della provincia cappuccina svizzera decisero che padre Fedele venisse nominato Prefetto della missione dei Grigioni e gli inviarono un documento di nomina, datato 21 aprile 1622. Tale documento e le facoltà, concessegli dal nunzio apostolico, non pervennero tra le mani del destinatario, già in piena azione nella Prattigau e alla vigilia del martirio. La valle della Prattigau, tutta rocce, dirupi, precipizi, era in fermento. I protestanti, i predicanti eretici, avevano accumulate spade e mazze, tenendole nascoste nelle cascine, sotto la paglia e il fieno: attendevano il momento opportuno per togliere di mezzo quell'apostolo troppo convincente. Intanto si sforzavano di screditarlo presso gran parte del popolo, che sinceramente lo ammirava e amava. Due motivi principalmente avevano esasperato l'odio degli eretici contro di lui: la conversione del conte Rodolfo de Salis e la promulgazione di un editto favorevole ai cattolici, da parte del governatore Baldirone, convinto da padre Fedele. 
Il giorno di Sabato, 23 aprile 1622, padre Fedele celebra la Messa a Grusch. Subito dopo, alcuni eretici di Seewis lo invitano, all'indomani, a predicare nella loro chiesa. Ma Padre Fedele si accorge del tranello. Domenica, 24 aprile, celebrata la messa, con predica, a Grusch, padre Fedele, conscio del serio rischio, parte verso Seewis. E' accompagnato dal capitano Gioacchino Colonna e da alcuni ufficiali e soldati. Verso le ore 9, raggiunge Seewis. Entra nella chiesa per proclamare la verità, insegnata da Cristo e affidata alla sua Chiesa. Sono queste sue parole che fanno scoppiare il tumulto, già precedentemente organizzato, che si conclude, fuori della chiesa, con il suo martirio. Era il 24 aprile 1622, vigilia della festa di S. Marco Evangelista, del quale il cappuccino portava il nome e della cui missione evangelizzatrice era stato continuatore. Deciso di essere fedele, padre Fedele lo fu sino alla morte. Cadendo, ucciso, testimoniò con il proprio sangue l'amore a Dio, al suo Vangelo, alla sua Chiesa. 

IL MARTIRE SANTO 

Il corpo straziato di padre Fedele restò sul prato del martirio per un giorno e una notte. Poi il sacrista di Seewis, Giovanni Johanni, lo seppellì in una fossa, vicino alla chiesa. La sommossa s'allargò sull'intera Rezia. Cattolici e protestanti si scontrarono, armati. Un giorno, il martire padre Fedele apparve nel cielo con una spada sguainata contro gli eretici: tale visione incoraggiò i cattolici, che ebbero la meglio sui protestanti. Ritornata la calma, i cappuccini di Feldkirch si portarono in convento la testa e la mano sinistra del martire. In una seconda esumazione, furono raccolti i resti del frate ucciso e si conservano, sino ad oggi, nella cattedrale di Coira. Ad una voce, cattolici ed eretici, a Coira, a Costanza, in Germania, in Baviera, in Italia, acclamarono santo il martire di Seewis, che, invocato, elargiva ovunque guarigioni miracolose. Nel 1626, furono avviati processi per esaminarne le virtù. Fra i testimoni, fu interrogato padre Apollinare Roy, il fratello del martire. Risultarono virtù vissute in grado eroico. Perciò la Chiesa esaudì l'attesa di tanti fedeli e il desiderio della Congregazione di Propaganda Fide, che padre Fedele venisse dichiarato martire santo. Il 12 marzo 1729, padre Fedele fu dichiarato Beato. Se ne stabilì la festa al 24 aprile, il suo «dies natalis», il giorno del martirio. Il 29 giugno 1746, Benedetto XIV lo dichiarò Santo. Più città conservano reliquie del santo martire Fedele. Sigmaringa conserva ancora la sua casa natale, la culla su cui visse i primi mesi di vita, il pulpito di Seewis sul quale predicò per l'ultima volta. Coira, nella cattedrale, custodisce la maggior parte delle sue ossa. I cappuccini di Feldkirch conservano, nella loro chiesa e nella cella del Santo, la testa del martire, la spada del martirio, il cilicio, paramenti liturgici, il mantello ancora foracchiato dal tridente da fieno, i sandali, il cingolo insanguinato. La memoria più cara resta (specialmente tra i cappuccini) quella delle sue virtù, della sua santità, della sua eroica fedeltà a Dio e alla Chiesa. 

Il Santo da Sigmaringa è considerato dalla Congregazione di Propaganda Fide il suo protomartire e dall'Ordine cappuccino modello e patrono dei suoi missionari, evangelizzatori in ogni parte del mondo. Il Papa Pio XI, il 7 marzo 1922, scriveva al superiore generale dei cappuccini: «E’ degno certo di somma lode S. Fedele da Sigmaringa non solo perché con la sua morte preziosa sostenuta per Cristo aprì la lunga serie dei Martiri, che hanno illustrato le Missioni cattoliche dopo l'istituzione di Propaganda; ma ancora perché con l'innocenza della vita si rese esemplare perfetto ai nostri Missionari del come si debbano degnamente preparare al ministero apostolico». 
L'iconografia presenta S. Fedele in due atteggiamenti: in atto di calpestare l'eresia, simboleggiata in una donna discinta (ad esempio, il dipinto di Giovan Battista Tiepolo, nella pinacoteca di Parma); in atto di stringere tra le braccia la generica palma del martire, una spada e una mazza, strumenti del suo martirio. San Fedele, martire cappuccino, insegna che la verità va amata e difesa con coraggio, e che a Dio si deve restare fedeli. Fedeli, sino alla morte.


AVE MARIA PURISSIMA!

domenica 24 aprile 2016

SAN FEDELE DA SIGMARINGA


S. Fedele da Sigmaringa (24 aprile)
Il nostro Istituto [della Consolata] dev'essere divoto di S. Fedele da Sigmaringa e considerarlo come speciale Protettore, insieme con S. Francesco Zaverio e S. Pietro Claver. Egli è il primo missionario mandato da Propaganda Fide contro gli eretici nella Rezia; e voi sapete che anche noi ci proponiamo di evangelizzare solo quelle Missioni che la Propaganda Fide ci assegna.
Fu ancora il primo martire di Propaganda. Un missionario deve sempre essere disposto al martirio, altrimenti non è un buon missionario; deve offrirsi vittima al Signore, disposto a qualsiasi sacrificio. La stessa S. C. di Propaganda Fide lo scelse a suo protettore. 
Pio XI, in una Lettera al Generale dei Cappuccini, nel terzo centenario della morte di S. Fedele (24 aprile 1622), dichiarò che questo Santo si rese esemplare perfetto dei Missionari e del come essi debbano prepararsi al ministero apostolico.
Per noi c'è un motivo speciale di esserne divoti; ed è che in questo giorno s'incominciò l'Istituto (fondazione morale). Fu infatti nel giorno della sua festa, 24 aprile 1900, che a Rivoli, celebrando la Messa in suo onore, deposi sull'altare una lettera indirizzata al nostro Arcivescovo, in cui domandavo la parola definitiva per la fondazione dell'Istituto, e l'ebbi.
Se volete, aggiungete la speciale predilezione che ebbi per questo Santo fin da chierico; predilezione certamente infusami da Dio in previsione del futuro. Se andate al monte dei Cappuccini, vedrete una statua del Santo. Alla Madonna diCampagna (Torino) nell'orto, c'è un quadro che lo rappresenta da chierico. Quand'io ero chierico, mi dilettavo di rimirare questo quadro.
Per tutti questi motivi egli è nostro Protettore, come religiosi e come missionari. Leggetene la Vita per ricopiare in voi le sue virtù; ricorrete alla sua intercessione per ottenere, come dice il Papa, di arricchire la vostra mente con lo studio delle varie discipline, ed allenare l'animo nella pratica costante di tutte le virtù.
Egli servirà ai probandi e ai novizi di esempio nel vincere le tentazioni di scoraggiamento, anche sotto la specie di maggior bene; e ci farà raffrenare la troppo giovanile avidità del ministero, mentre egli, fatto Sacerdote e professo, credé essere meglio attendere per altri quattro anni allo studio della sacra Teologia.
" L'esempio di S. Fedele - diceva il P. Melchiorre da Benisa, Procuratore dei Cappuccini - infervorerà in noi lo zelo per l'apostolato ". Per essere degli apostoli, occorre prepararvisi seriamente e lungamente; occorre quel corredo di cognizioni divine ed umane richieste dai tempi e dalle popolazioni che dobbiamo evangelizzare; occorre avere virtù non comuni ed un eccellente spirito di immolazione.
Noi dobbiamo dunque pregarlo e prenderlo a modello per riuscire degni missionari. Ma in che imitarlo in modo speciale? Nella virtù che formò la sua caratteristica, cioè la fedeltà alla vocazione. Il Signore suole applicare i nomi secondo la natura dei soggetti e la loro missione. Come dal Cielo venne il nome di Gesù al Divin Redentore, così ben a proposito il nostro Santo ebbe in Religione il nome di Fedele, perché fu in tutta la vita fedele alla voce di Dio e vi corrispose con tutta fedeltà.
Da giovane studente fu fedele a tutti i doveri cristiani; ugualmente lo fu dopo aver conseguito la laurea di avvocato, nonché nel viaggio di due anni fatto attraverso l'Italia e poi nell'ufficio della sua professione di avvocato: era un avvocato di grido. In tal modo si dimostrò preparato ad ascoltare la voce di Dio che lo chiamava alla Religione e vi si mantenne fedele, vincendo tutti gli ostacoli e scegliendo l'umile saio dei Cappuccini.
Osservò con somma fedeltà le regole del suo Ordine, prima come semplice frate, poi come superiore. 
Proposto dai Superiori a Propaganda Fide per la difficile missione di Rezia in Germania, obbedì con fedeltà e portò seco tre sole cose: il breviario, il crocifisso e la corona del rosario; assolvendo poi con fedeltà il suo incarico fino alla morte, fino al martirio.
Ecco perché questo Santo viene proposto a voi come modello di vita religiosa ed apostolica. Dovete imitarlo nella fedeltà ai vostri doveri presenti e futuri, nelle cose grandi e nelle cose piccole. Fedeltà a corrispondere alle grazie di Dio, a lasciarvi formare; fedeltà alla regola che è il mezzo datovi da Dio per riuscire degni missionari; fedeltà ai vostri proponimenti, fedeltà in tutto; cosicché, come dice la Chiesa nell'Oremus, anche noi siamo trovati fedeli fino alla morte: fideles usque ad mortem inveniri mereamur.
Siamo divoti di questo Santo, non solo nel giorno della festa, ma sempre. Pregatelo che vi ottenga questa costante fedeltà alla vocazione e alla corrispondenza alla medesima. E questa fedeltà sia universale, cordiale e semplice. 
Nella vestizione religiosa del nostro Santo il predicatore prese per testo del suo discorso d'occasione le parole dell'Apocalisse: Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita (1092). Anche voi siate fedeli in tutto e riceverete il premio promesso da Nostro Signore al servo buono e fedele. Bravo, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nel gaudio del tuo Signore (1093). Ci esaudisca il nostro Protettore!