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giovedì 17 ottobre 2013

Il CAVALIERE DELL'IMMACOLATA: SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE, OFMConv.



GAUDETE IN DOMINO
di Paolo VI

   ...noi vogliamo ricordare in modo più marcato tre figure, che ancora oggi attirano moltissimo l'insieme del popolo cristiano. E anzitutto il Poverello d'Assisi, sulle cui tracce si sforzano di mettersi numerosi pellegrini dell'Anno Santo. Avendo abbandonato tutto per il Signore, egli, grazie a madonna povertà, ricupera qualcosa, si può dire, della beatitudine primordiale, quando il mondo uscì, intatto, dalle mani del Creatore. Nella spogliazione estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della gloria divina, e perfino la gioia davanti alla venuta di «sora nostra morte corporale»: «Beati quilli ke se trovarà ne le tue sanctissime voluntati». 

In tempi più vicini a noi, santa Teresa di Lisieux ci mostra la via coraggiosa dell'abbandono nelle mani di Dio, al quale essa affida la propria piccolezza. Ma non per questo essa ignora il sentimento dell'assenza di Dio, cosa di cui il nostro secolo, a suo modo, fa la dura esperienza: «Talvolta all'uccellino (a cui essa si paragona) sembra di credere che non esista altra cosa all'infuori delle nuvole che l'avvolgono . . . È quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino . . . Che gioia per lui restarsene là malgrado tutto, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede» (53). 



Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l'esempio del beato Massimiliano Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto; e i testimoni ci riferiscono che il luogo di sofferenze, ch'era di solito come un'immagine dell'inferno, fu in qualche modo cambiato, per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell'anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia. 


Nella vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov'essi sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. 


SAN MAXIMILIAN MARIA KOLBE
PREGA PER NOI.



martedì 14 agosto 2012

Conosciamo San Massimiliano Maria Kolbe e la sua amabilissima ... 'idea fissa' : l'Immacolata!



San Massimiliano Maria Kolbe , Martire dell'odio ... contro Cristo e la Sua Chiesa !


14 Agosto SAN MASSIMILIANO MARIA KOLBE SACERDOTE E MARTIRE 

Zdunska-Wola, Polonia, 8 gennaio 1894 
- Auschwitz, 14 agosto 1941 
Martirologio Romano: Memoria di san Massimiliano Maria (Raimondo) Kolbe, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e Martire, che, fondatore della Milizia di Maria Immacolata, fu deportato in diversi luoghi di prigionia e, giunto infine nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia, si consegnò ai carnefici al posto di un compagno di prigionia, offrendo il suo ministero come olocausto di carità e modello di fedeltà a Dio e agli uomini. 
Se non è il primo è senz’altro fra i primi ad essere stato beatificato e poi canonizzato fra le vittime dei campi di concentramento tedeschi. Il papa Giovanni Paolo II ha detto di lui, che con il suo martirio egli ha riportato “la vittoria mediante l’amore e la fede, in un luogo costruito per la negazione della fede in Dio e nell’uomo”.

San Massimiliano Maria Kolbe nacque l'8 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in Polonia, da genitori ferventi cristiani; fu battezzato lo stesso giorno col nome di Raimondo. 
Papà Giulio, operaio tessile era un patriota che non sopportava la divisione della Polonia di allora in tre parti, dominate da Russia, Germania ed Austria; dei cinque figli avuti, rimasero in vita ai Kolbe solo tre, Francesco, Raimondo e Giuseppe. 
A causa delle scarse risorse finanziarie solo il primogenito poté frequentare la scuola, mentre Raimondo cercò di imparare qualcosa tramite un prete e poi con il farmacista del paese; nella zona austriaca, a Leopoli, si stabilirono i francescani, i quali conosciuti i Kolbe, proposero ai genitori di accogliere nel loro collegio i primi due fratelli più grandi; essi consci che nella zona russa dove risiedevano non avrebbero potuto dare un indirizzo e una formazione intellettuale e cristiana ai propri figli, a causa del regime imperante, accondiscesero; anzi liberi ormai della cura dei figli, il 9 luglio 1908, decisero di entrare loro stessi in convento, Giulio nei Terziari francescani di Cracovia, ma morì ucciso non si sa bene se dai tedeschi o dai russi, per il suo patriottismo, mentre la madre Maria divenne francescana a Leopoli. 

Anche il terzo figlio Giuseppe dopo un periodo in un pensionamento benedettino, entrò fra i francescani. 
I due fratelli Francesco e Raimondo dal collegio passarono entrambi nel noviziato francescano, ma il primo, in seguito ne uscì dedicandosi alla carriera militare, prendendo parte alla Prima Guerra Mondiale e scomparendo in un campo di concentramento. 

Raimondo divenuto Massimiliano, dopo il noviziato fu inviato a Roma, dove restò sei anni, laureandosi in filosofia all’Università Gregoriana e in teologia al Collegio Serafico, venendo ordinato sacerdote il 28 aprile 1918.

Nel suo soggiorno romano avvennero due fatti particolari, uno riguardo la sua salute, un giorno mentre giocava a palla in aperta campagna, cominciò a perdere sangue dalla bocca, fu l’inizio di una malattia che con alti e bassi l’accompagnò per tutta la vita.
Poi in quei tempi influenzati dal Modernismo e forieri di totalitarismi sia di destra che di sinistra, che avanzavano a grandi passi, mentre l’Europa si avviava ad un secondo conflitto mondiale, Massimiliano Kolbe non ancora sacerdote, fondava con il permesso dei superiori la “Milizia dell’Immacolata”, associazione religiosa per la conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria. 

Ritornato in Polonia a Cracovia, pur essendo laureato a pieni voti, a causa della malferma salute, era praticamente inutilizzabile nell’insegnamento o nella predicazione, non potendo parlare a lungo; per cui con i permessi dei superiori e del vescovo, si dedicò a quella sua invenzione di devozione mariana, la “Milizia dell’Immacolata”, raccogliendo numerose adesioni fra i religiosi del suo Ordine, professori e studenti dell’Università, professionisti e contadini. 

Alternando periodi di riposo a causa della tubercolosi che avanzava, padre Kolbe fondò a Cracovia verso il Natale del 1921, un giornale di poche pagine “Il Cavaliere dell’Immacolata” per alimentare lo spirito e la diffusione della “Milizia”. 

A Grodno a 600 km da Cracovia, dove era stato trasferito, impiantò l’officina per la stampa del giornale, con vecchi macchinari, ma che con stupore attirava molti giovani, desiderosi di condividere quella vita francescana e nel contempo la tiratura della stampa aumentava sempre più.
A Varsavia con la donazione di un terreno da parte del conte Lubecki, fondò Niepokalanow, la ‘Città di Maria’; quello che avvenne negli anni successivi, ha del miracoloso, dalle prime capanne si passò ad edifici in mattoni, dalla vecchia stampatrice, si passò alle moderne tecniche di stampa e composizione, dai pochi operai ai 762 religiosi di dieci anni dopo, il “Cavaliere dell’Immacolata” raggiunse la tiratura di milioni di copie, a cui si aggiunsero altri sette periodici. 
Con il suo ardente desiderio di espandere il suo Movimento mariano oltre i confini polacchi, sempre con il permesso dei superiori si recò in Giappone, dove dopo le prime incertezze, poté fondare la Città di Maria a Nagasaki; il 24 maggio 1930 aveva già una tipografia e si spedivano le prime diecimila copie de “Il Cavaliere” in lingua giapponese. 

In questa città si rifugeranno gli orfani di Nagasaki, dopo l’esplosione della prima bomba atomica; collaborando con ebrei, protestanti, buddisti, era alla ricerca del fondo di verità esistente in ogni religione; 
aprì una Casa anche ad Ernakulam in India sulla costa occidentale.

Per poterlo curare della malattia, fu richiamato in Polonia a Niepokalanow, che era diventata nel frattempo una vera cittadina operosa intorno alla stampa dei vari periodici, tutti di elevata tiratura, con i 762 religiosi, vi erano anche 127 seminaristi. 

Ma ormai la Seconda Guerra Mondiale era alle porte e padre Kolbe, presagiva la sua fine e quella della sua Opera, preparando per questo i suoi confratelli; infatti dopo l’invasione del 1° settembre 1939, i nazisti ordinarono lo scioglimento di Niepokalanow; a tutti i religiosi che partivano spargendosi per il mondo, egli raccomandava “Non dimenticate l’Amore”; rimasero circa 40 frati, che trasformarono la ‘Città’ in un luogo di accoglienza per feriti, ammalati e profughi. 

Il 19 settembre 1939, i tedeschi prelevarono padre Kolbe e gli altri frati, portandoli in un campo di concentramento, da dove furono inaspettatamente liberati l’8 dicembre; ritornati a Niepokalanow, ripresero la loro attività di assistenza per circa 3500 rifugiati di cui 1500 erano ebrei, ma durò solo qualche mese, poi i rifugiati furono dispersi o catturati e lo stesso Kolbe, dopo un rifiuto di prendere la cittadinanza tedesca per salvarsi, visto l’origine del suo cognome, il 17 febbraio 1941 insieme a quattro frati, venne imprigionato. 

Dopo aver subito maltrattamenti dalle guardie del carcere, indossò un abito civile, perché il saio francescano li adirava moltissimo. 
Il 28 maggio fu trasferito ad Auschwitz, tristemente famoso come campo di sterminio, i suoi quattro confratelli l’avevano preceduto un mese prima; fu messo insieme agli ebrei perché sacerdote, con il numero 16670 e addetto ai lavori più umilianti come il trasporto dei cadaveri al crematorio. 
La sua dignità di sacerdote e uomo retto primeggiava fra i prigionieri, un testimone disse: “Kolbe era un principe in mezzo a noi”. 

Alla fine di luglio fu trasferito al Blocco 14, dove i prigionieri erano addetti alla mietitura nei campi; uno di loro riuscì a fuggire e secondo l’inesorabile legge del campo, dieci prigionieri vennero destinati al bunker della morte. Padre Kolbe si offrì in cambio di uno dei prescelti, un padre di famiglia, suo compagno di prigionia. 
La disperazione che s’impadronì di quei poveri disgraziati, venne attenuata e trasformata in preghiera comune, guidata da padre Kolbe e un po’ alla volta essi si rassegnarono alla loro sorte; morirono man mano e le loro voci oranti si ridussero ad un sussurro; dopo 14 giorni non tutti erano morti, rimanevano solo quattro ancora in vita, fra cui padre Massimiliano, allora le SS decisero, che giacché la cosa andava troppo per le lunghe, di abbreviare la loro fine con una iniezione di acido fenico; il francescano martire volontario, tese il braccio dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole, era il 14 agosto 1941. 
Le sue ceneri si mescolarono insieme a quelle di tanti altri condannati, nel forno crematorio; così finiva la vita terrena di una delle più belle figure del francescanesimo della Chiesa polacca. 
Il suo fulgido martirio gli ha aperto la strada della beatificazione, avvenuta il 17 ottobre 1971 con papa Paolo VI e poi è stato canonizzato il 10 ottobre 1982 da papa Giovanni Paolo II, suo concittadino. 


Memoria di San Massimiliano Kolbe. Il Papa: l’amore vince le tenebre dell’odio e dell’egoismo 

Oggi la Chiesa celebra la memoria di San Massimiliano Kolbe, sacerdote francescano polacco morto nel lager nazista di Auschwitz per salvare un padre di famiglia. Il Papa lo ha definito una “luce” che “ha incoraggiato altri a donarsi” per essere vicini ai sofferenti e agli oppressi. Ce ne parla Sergio Centofanti. 

Vincere il male con il bene, l’odio con l’amore: è ciò che ci ricorda il Vangelo odierno dedicato al “comandamento nuovo” di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Parole che padre Kolbe ha vissuto fino in fondo e che – come dice il Papa – invitano tutti noi a seguire l’amore senza misura del nostro Signore:

“Quelle parole di Gesù, ‘come io vi ho amati’, ci invitano e insieme ci inquietano; sono una meta cristologica che può apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso sono uno stimolo che non ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto realizzare”. (Udienza generale, 9 agosto 2006)

L’amore verso Gesù passa attraverso il sì di Maria. E padre Kolbe, sacerdote mariano nel suo dna, ha continuato a dare speranza e consolazione a quanti erano con lui nel bunker della fame di Auschwitz, totalmente affidato alla Madre di Dio fino alla fine. Era il 14 agosto 1941: 

“'Ave Maria!': fu l’ultima invocazione sulle labbra di san Massimiliano Maria Kolbe mentre porgeva il braccio a colui che lo uccideva con un’iniezione di acido fenico. È commovente costatare come il ricorso umile e fiducioso alla Madonna sia sempre sorgente di coraggio e di serenità”. (Udienza generale, 13 agosto 2008)

I martiri non si scoraggiano nel fare il bene anche quando il male sembra distruggere tutto:

“Apparentemente le loro esistenze potrebbero essere ritenute una sconfitta, ma proprio nel loro martirio risplende il fulgore dell’Amore che vince le tenebre dell’egoismo e dell’odio. A San Massimiliano Kolbe vengono attribuite le seguenti parole che egli avrebbe pronunciato nel pieno furore della persecuzione nazista: ‘L’odio non è una forza creativa: lo è solo l’amore’”. (Udienza generale, 13 agosto 2008)

<<AVE MARIA!
IMMACOLATA MIA E MIO TUTTO>>