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lunedì 17 agosto 2015

Chiesa e post concilio: Roberto De Mattei. Nella vita si tratta di sceglie...

Chiesa e post concilio: Roberto De Mattei. Nella vita si tratta di sceglie...: Un doveroso ricordo di un grande testimone del nostro tempo ed anche un interessante e puntuale excursus sulla sofferta e vexata quaestio ...

HAEC QUOTIESCUMQUE FECERITIS 
IN MEI MEMORIAM FACIETIS. 

martedì 7 luglio 2015

Non fu mai abolita.


Editoriale di "Radicati nella fede", foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell'Ospedale di Domodossola dove si celebra la Messa tradizionale.
[Radicati nella fede, n° 8 agosto 2012]

 "Il Summorum Pontificum, un'arma a 

doppio taglio. 

 Non vogliamo fare una critica al documento del Santo Padre, state tranquilli, vogliamo solo dire che può essere usato differentemente, a seconda delle intenzioni che si hanno. 
  Di fatto abbiamo assistito a un fenomeno strano, in questi cinque anni: alSummorum Pontificum si sono richiamati tutti o quasi, sia quelli che volevano il ritorno della Tradizione nelle chiese della cattolicità, sia quelli che volevano arginarla, perché non desse fastidio al nuovo corso di violenta modernizzazione, ormai introdotto da quasi mezzo secolo. 

 Tutto questo noi lo constatammo già nel luglio del 2007. Entusiasti iniziammo a celebrare nel Vetus Ordo (la messa tradizionale), lieti della liberalizzazione miracolosamente operata da Benedetto XVI, e le curie intervennero per dire che quello che facevamo non era l'intenzione vera del Santo Padre. Vi risparmiamo tutti i “tira e molla” di quel tempo, con le diatribe su cosa fosse “messa privata” e su cosa non lo fosse: si arrivò a pretendere che i sacerdoti avessero la libertà di celebrare la messa “antica”, da soli, a porte chiuse, con al massimo un inserviente ben preparato... più “privata” di così si muore, è il caso di dirlo!... si arrivò ad esigere i dati di tutti i richiedenti e assistenti alla messa tradizionale, alla faccia della “privacy”, si tentò di vietare catechismo e predicazione. Tutto questo veniva fatto richiamandosi ai vari cavilli giuridici del documento papale, ai cavilli giuridici, non alla sostanza. 

 Poi ci si risolse a screditare dietro le quinte i fedeli della tradizione, con le parole magiche... ”sono dei disobbedienti”, senza specificare oltre. 

 In una Chiesa dove regna il caos su tutto, dove pochissimi accettano ancora tutte le verità del Credo senza esclusione, dove i comandamenti sono accolti o rifiutati a piacimento, dove i parroci non possono chiedere quasi più nulla ai fedeli, pena l'essere sottoposti al giudizio pubblico, dove il Papa è criticato per gusti personali (simpatico-antipatico), dove anche nei confessionali la legge morale è sovente inventata dal sacerdote di turno, più o meno “aperto” alle nuove esigenze umane, è molto strano che gli unici “disobbedienti” siano i sacerdoti e i fedeli amanti della Tradizione! 

 Non è che la questione dell'obbedienza la si tiri fuori solo per fermare il ritorno alla Tradizione? Quanti fedeli sono stati spaventati così, sibilando loro “attento, sono dei disobbedienti”? Ma quelli che così hanno sibilato, si sono poi curati delle loro anime? ...temiamo di no, l'unico desiderio loro era quello di staccarli dalla Tradizione. 

 C'è una cosa che resta il punto centrale del motu proprio Summorum Pontificum, la sostanza: “La messa tradizionale non fu mai abolita” questo è il punto chiaro. Da qui bisogna partire per capirci. Non è una concessione, la messa tradizionale, è una realtà, fa parte della vita della Chiesa. È quindi questione di giustizia non fermarla, la messa di sempre, non impedirne i frutti, né con i mezzi espliciti dei divieti, né con quelli subdoli dell'instillare i dubbi. 

 Non fu mai abolita. E allora, lasciatela libera di operare il bene di sempre in tutti i campi della vita. Non fu mai abolita, è stata la messa di secoli e secoli di cristianità, ha fatto i santi della Chiesa... ma allora di cosa avete paura? Sì, di cosa avete paura? Se la fede della Chiesa è quella di sempre, perché avere paura della messa di sempre? A meno che qualcuno pensi che la fede cambi a seconda delle epoche, ma questa è un'altra storia, si chiama modernismo, è un'eresia bella e buona, anzi è l'insieme di tutte le eresie. 

 E allora, disobbediente è chi pensa che bisogna modernizzare la fede: e questa è la disobbedienza, la sola gravissima, quella non contro le leggi umane, ma contro la fede."

AVE MARIA!

sabato 11 gennaio 2014

Per crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione



Ci preoccupiamo di crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione


Valida non è buona

Se avessimo ritenuto che la Messa com'è celebrata nella quasi totalità delle chiese andasse bene, non avremmo deciso di passare totalmente al rito antico.

Sia ben chiaro: non stiamo dicendo che la Messa nel Novus ordo (la Messa di Paolo VI, riformata dopo il Concilio Vaticano II) non sia valida! Ci mancherebbe! Affermare questo sarebbe non ragionare più in modo cattolico!

Certo che la Messa di Paolo VI è valida, certo che è una vera Messa, solo che è così ridotta nel suo esprimere il senso cattolico del Santo Sacrifico di Cristo, da non educare compiutamente i fedeli ed anche i sacerdoti che la celebrano.

Molti diranno: “Ma se è una vera Messa, se è valida, di che cosa vi preoccupate?”.

Ci preoccupiamo di crescere in un senso cattolico della vita, vogliamo vivere integralmente una vita cristiana, per questo vogliamo vivere con la Messa della Tradizione.

Non c'è niente da fare: la crisi impressionante del Cattolicesimo nel nostro mondo, la confusione dottrinale e spirituale nella quale siamo immersi da troppi anni, l'abbandono imponente della pratica cristiana nei nostri paesi e città, ha la sua causa centrale in una riforma liturgica che ha stravolto il baluardo della fede e della vita cristiana.

Il nuovo rito della Messa, fatto per piacere anche ai fratelli separati delle altre confessioni cristiane (innanzitutto ai Protestanti e agli Anglicani), tacendo sugli aspetti principali della concezione cattolica della Messa, ha fatto sì che la liturgia non sia più la roccia sicura su cui fondare la vita cristiana, personale e sociale.

Il nuovo rito ha indebolito nei fedeli il senso di Dio, l'adorazione di Cristo presente nelle specie eucaristiche, la centralità del sacrificio espiatorio, la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Non vogliamo fare un elenco dei “vuoti” del nuovo rito della Messa, ci basta sottolinearne gli effetti devastanti.

Solo degli ideologizzati del post-concilio o della modernità a tutti i costi possono non vedere
l'esito penoso, drammaticamente penoso, della riforma liturgica.
Esito penoso che coinvolge tutti, sacerdoti e fedeli.

Nel migliore dei casi la nuova Messa, quando è celebrata con rispetto e dignità, lascia i fedeli che vi assistono così come sono: se questi sono già profondamente cattolici, probabilmente lo resteranno, ma se sono deboli nella fede e in uno sguardo cattolico sulla vita, in questa nuova Messa non troveranno una provocazione alla conversione profonda, anche culturale; saranno invece “cullati” nel loro modo ridotto di considerare il Cristianesimo.

La Messa tradizionale no! Non è così! È una Messa “difficile”, non per il latino, ma per le provocazioni che lancia.

Sul subito, per un cristiano “piccino” nella mente e nel cuore, può risultare un pugno nello stomaco, ma un pugno salutare. Ti mette in crisi, mette in crisi le false certezze di un cristianesimo troppo umanizzato che mette l'uomo al centro e dimentica Dio. Mette in crisi un cristianesimo che si è imbevuto della mentalità dominante e che è sempre più una scuola di agnosticismo.

La Messa tradizionale mette in crisi, ma dopo la crisi costruisce, edifica. In chi vi assiste con fedeltà, la Messa di sempre inizia un'opera di educazione alla fede profonda, totale, solida.

Se un fedele non si scandalizza delle difficoltà iniziali, nel tempo scopre tutta la ricchezza della liturgia secondo la Tradizione, e grazie ad essa vede edificare nella santità e nell'intelligenza della fede tutta la propria vita. Per questo abbiamo voluto vivere solo con la Messa tradizionale. Per questo pensiamo che sia il ritorno ad essa il migliore sostegno alla Missione urgente di riportare il Cattolicesimo nella vita normale del popolo.

Chissà che, dopo le polemiche, si possa riaprire una proficua riflessione su questi punti.

tratto da: http://radicatinellafede.blogspot.com/

Maria , Madre dolcissima,
di grazia alma sorgente,
Deh! Tu assisti e libera
dall’infernal serpente.

giovedì 28 novembre 2013

Una novità, una invenzione di Martin Lutero.


giovedì 28 novembre 2013

'Versus populum' non è neppure archeologismo liturgico

L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […] Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […] Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazioneversus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […]. Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio. Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero. (Mons. Klaus Gamber, in "Instaurare omnia in Christo", 2/1990)
[FonteCordialiter]

martedì 21 febbraio 2012

Motu Proprio "SUMMORUN PONTIFICUM" e LETTERA AI VESCOVI - 7 Luglio 2007 + Istruzione "Universae Ecclesiae" sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto P.P. XVI 30 aprile 2011


Motu Proprio 

SUMMORUM PONTIFICUM e 

LETTERA AI VESCOVI - 7 Luglio 2007


LETTERA APOSTOLICA DI
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
MOTU PROPRIO DATA

[Latino, Ungherese, Italiano, Inglese]

SUMMORUM PONTIFICUM


I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”[1].

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale”[2]. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X[3], Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII.

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia”[4].

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.

Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.

Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa.

§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.

§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.

§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.

§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.

§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.

§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988[5], continua ad esercitare il suo compito.

Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.

Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.



BENEDICTUS PP. XVI



[1] Ordinamento generale del Messale Romano, 3a ed., 2002, n. 397.

[2] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.

[3] Ibid.

[4] S. Pio X, Lett. ap. Motu propio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr Giovanni Paolo II, lett. ap. Vicesimus quintus annus, n. 3: AAS 81 (1989), 899.

[5] Cfr Ioannes Paulus II, Lett. ap. Motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

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Ecclesia Dei

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LETTERA DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE
DELLA LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO DATA"
SUMMORUM PONTIFICUM
SULL'USO DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE ALLA RIFORMA EFFETTUATA NEL 1970

[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]



Cari Fratelli nell’Episcopato,

con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica “Motu Proprio data” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.

Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.

A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.

In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l'approvazione di Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio “Ecclesia Dei” del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le “giuste aspirazioni” di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.

In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.

E’ vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione “Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior” studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.

Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.

Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.

In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: “Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum”).

Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.

Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.

Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue” (Atti 20,28).

Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007


BENEDICTUS PP. XVI


© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana


Pontificia Commissione Ecclesia Dei

Istruzione
Universae Ecclesiae
sull’applicazione della
Lettera Apostolica Motu Proprio data
"Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto P.P. XVI
30 aprile 2011
[Inglese, Italiano, Latino, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]


NOTA REDAZIONALE SULL'ISTRUZIONE UNIVERSAE ECCLESIAE
Con il Motu Proprio Summorum Pontificum, emanato il 7 luglio 2007 ed entrato in vigore il 14 settembre di quello stesso anno (AAS 99 [2007] 777-781), il Santo Padre ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di regolamentazione dell’uso della Liturgia Romana in vigore nell’anno 1962, illustrando autorevolmente le ragioni della sua decisione nella Lettera ai Vescovi che accompagnava la pubblicazione del Motu Proprio sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970 (AAS 99 [2007] 795-799).
Nella suddetta Lettera il Santo Padre ha chiesto ai Confratelli nell’Episcopato di far pervenire alla Santa Sede un rapporto a tre anni dall’entrata in vigore del Motu Proprio (cfr cpv. 11). Tenendo conto delle osservazioni dei Pastori della Chiesa di tutto il mondo, e avendo raccolto domande di chiarificazione e richieste di indicazioni specifiche, viene ora pubblicata la seguente Istruzione dall’incipit latino: Universae Ecclesiae. L’Istruzione è stata approvata dallo stesso Pontefice nell’Udienza concessa al Cardinale Presidente l’8 aprile 2011, e porta la data del 30 aprile 2011, memoria liturgica di San Pio V, Papa.
Nel testo dell’Istruzione, dopo alcune osservazioni introduttive e di tipo storico (Parte I, nn. 1-8), si esplicitano innanzitutto i compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei (Parte II, nn. 9-11), stabilendo in seguito, in ottemperanza al Motu Proprio pontificio, alcune specifiche norme e disposizioni (Parte III, nn. 12-35), prima di tutto quelle relative alla competenza propria del Vescovo diocesano (nn. 13-14). Si illustrano poi i diritti e i doveri dei fedeli che compongono un coetus fidelium interessato (nn. 15-19), nonché del sacerdote ritenuto idoneo a celebrare la forma extraordinaria del Rito Romano (sacerdos idoneus, nn. 20-23). Si regolano alcune questioni pertinenti alla disciplina liturgica ed ecclesiastica (nn. 24-28), specificando in particolare le norme relative alla celebrazione della Cresima e dell’Ordine sacro (nn. 29-31), all’uso del Breviarium Romanum (n. 32), dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi (n. 34), del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum (n. 35), che erano in vigore nell’anno 1962, nonché alla celebrazione del Triduo sacro (n. 33).
È viva speranza della Pontificia Commissione Ecclesia Dei che l’osservanza delle norme e disposizioni dell’Istruzione, che regolano l’Usus Antiquior del Rito Romano e sono affidate alla carità pastorale e alla prudente vigilanza dei Pastori della Chiesa, contribuirà, quale stimolo e guida, alla riconciliazione e all’unità, come auspicate dal Santo Padre (cfr Lettera ai Vescovi del 7 luglio 2007, cpvv. 7-8).



PONTIFICIA COMMISSIO ECCLESIA DEI

INSTRUCTIO
Ad exsequendas Litteras Apostolicas Summorum Pontificuma S. S. BENEDICTO PP. XVI Motu Proprio datas
I.
Prooemium

1. Universae Ecclesiae Litterae Apostolicae Summorum Pontificum Benedicti PP. XVI, die 7 iulii a. D. 2007 motu proprio datae atque inde a die 14 septembris a. D. 2007 vigentes, Romanae Liturgiae divitias reddiderunt propiores.
2. Hisce Litteris Motu Proprio datis Summus Pontifex Benedictus XVI legem universalem Ecclesiae tulit ut regulis nostris temporibus aptioribus quoad usum Romanae Liturgiae anno 1962 vigentem provideret.
3. Sedula Summorum Pontificum sollicitudine hac in Sacrae Liturgiae cura necnon et in recognoscendis liturgicis libris memorata, Sanctitas Sua antiquum principium in mentem revocavit, ab immemorabilibus receptum et in futurum servandum: "unaquaeque Ecclesia particularis concordare debet cum universali Ecclesia non solum quoad fidei doctrinam et signa sacramentalia, sed etiam quoad usus universaliter acceptos ab apostolica et continua traditione, qui servandi sunt non solum ut errores vitentur, verum etiam ad fidei integritatem tradendam, quia Ecclesiae lex orandi eius legi credendi respondet"1.
4. Insuper, Apostolicus Dominus et Romanos Pontifices commemorat, qui hac in cura maximopere meriti sunt, praesertim S. Gregorium Magnum et S. Pium V. Summus Pontifex etiam recolit inter liturgicos libros, Missale Romanum semper eminuisse, prolabentibusque saeculis incrementa novisse, usque ad beatum Papam Ioannem XXIII. Deinde, cum instauratio liturgica post Concilium Vaticanum II ageretur, Paulus VI anno 1970 novum Missale usui Ecclesiae Ritus Latini destinatum adprobavit, quod postea in plures linguas translatum fuit cuiusque editio tertia anno 2000 a Ioanne Paulo II est promulgata.
5. Nonnulli vero Christifideles, spiritu rituum liturgicorum Concilio Vaticano II anteriorum imbuti, desiderium praecipuum patefecerant antiquam servandi traditionem. Quam ob rem Ioannes Paulus II, speciali Indulto a Sacra Congregatione pro Sacramentis et Cultu Divino anno 1984 concesso, "Quattuor abhinc annos", facultatem dedit utendi Missali Romano a beato Papa Ioanne XXIII promulgato, attentis tamen quibusdam conditionibus. Praeterea ipse Ioannes Paulus II Litteris Apostolicis Ecclesia Dei motu proprio anno 1988 datis, Episcopos ad magnanimem liberalitatem huius facultatis concedendae, ad bonum omnium christifidelium id postulantium, adhortatus est. Similiter et Papa Benedictus XVI promulgando Litteras Apostolicas Summorum Pontificum nuncupatas egit, de quibus vero quaedam principia essentialia ad Usum spectantia Antiquiorem Ritus Romani quam maxime heic recolere praestat.
6. Textus Missalis Romani a Paulo VI promulgati, et textus ad ultimam usque editionem Ioannis XXIII pertinentes, duae expressiones Liturgiae Romanae exstant, quae respective ordinaria et extraordinaria nuncupantur: agitur nempe de duobus unius Ritus Romani usibus, qui ad invicem iuxta ponuntur. Nam utraque forma est expressio unicae Ecclesiae legis orandi. Propter venerabilem et antiquum usum forma extraordinaria debito honore est servanda.
7. Litteras Apostolicas Summorum Pontificum motu proprio datas comitatur Epistola ab ipso Summo Pontifice eodem die subsignata (7. VII. 2007), in qua fuse de opportunitate necnon et de necessitate ipsarum Litterarum agitur: leges recentiores erant nempe ferendae, deficientibus regulis quae usum Liturgiae Romanae anno 1962 vigentem plane ordinarent. Insuper recentiore legislatione opus erat quia, edito novo Missali, non est visum cur regulae edendae essent quoad usum Liturgiae anni 1962. Increscentibus magis magisque in dies fidelibus expostulantibus celebrationem formae extraordinariae, leges autem erant ferendae. Inter cetera monet Benedictus XVI: "Inter duas Missalis Romani editiones nulla est contradictio. In historia liturgiae incrementum et progressus inveniuntur, nulla tamen ruptura. Id quod maioribus nostris sacrum erat, nobis manet sacrum et grande, et non licet ut repente omnino vetitum sit, neque ut plane noxium judicetur"2.
8. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum eminenter exprimunt Magisterium Romani Pontificis eiusque munus regendi atque Sacram Liturgiam ordinandi3, ipsiusque sollicitudinem utpote Christi Vicarii et Ecclesiae Universae Pastoris4. Ipsae Litterae intendunt:
a) Liturgiam Romanam in Antiquiori Usu, prout pretiosum thesaurum servandum, omnibus largire fidelibus;
b) Usum eiusdem Liturgiae iis re vera certum facere, qui id petunt, considerando ipsum Usum Liturgiae Romanae anno 1962 vigentem esse facultatem ad bonum fidelium datam, ac proinde in favorem fidelium benigne esse interpretandam, quibus praecipue destinatur;
c) Reconciliationi in sinu Ecclesiae favere.

II.
Munera Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei

9. Summus Pontifex Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei potestatem ordinariam vicariam dignatus est impertire in omnibus rebus intra eius competentiae fines, praesertim circa sedulam observantiam et vigilantiam in exsequendas dispositiones in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum contentas (cf. art. 12).
10. § 1. Praeter facultates olim a Ioanne Paulo II concessas necnon a Benedicto XVI confirmatas (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art.11 et art.12), Pontificia Commissio huiusmodi potestatem exercet etiam in decernendo de recursibus ei legitime commissis, prout hierarchicus Superior, adversus actum administrativum singularem a quolibet Ordinario emissum, qui Litteris Apostolicis videatur contrarius.
§ 2. Decreta quae Pontificia Commissio de recursibus emanat, apud Supremum Tribunal Signaturae Apostolicae oppugnari possunt ad normam iuris.
11. Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei, praevia adprobatione Congregationis pro Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, est curare de edendis libris liturgicis ad formam extraordinariam Ritus Romani pertinentibus.

III.
Normae Praecipuae

12. Pontifícia haec Commissio, vigore auctoritatis sibi commissae et facultatum quibus gaudet, peracta inquisitione apud Episcopos totius orbis, rectam interpretationem et fidelem exsecutionem Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum pro certo habere volens, hanc Instructionem edit, ad normam canonis 34 Codicis Iuris Canonici.


De Episcoporum Dioecesanorum Competentia


13. Episcoporum Dioecesanorum, iuxta Codicem Iuris Canonici, est vigilare circa rem liturgicam, ut bonum commune servetur et ut omnia digne, pacifice et aequo animo in eorum Dioecesibus fiant5, iuxta mentem Romani Pontificis in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum palam expressam6. Si quae controversia oriatur vel dubium fundatum quoad celebrationem formae extraordinariae, iudicium Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei reservatur.
14. Episcopo Dioecesano munus incumbit necessaria suppeditandi subsidia ut fidelis erga formam extraordinariam Ritus Romani habeatur observantia, ad normam Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum.

De coetu fidelium (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Coetus fidelium dicitur "stabiliter exsistens" ad sensum art. 5 § 1 Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum, quando ab aliquibus personis cuiusdam paroeciae constituitur, etsi post publicationem Litterarum Apostolicarum coniunctis, ratione venerationis Liturgiae in Antiquiore Usu, poscentibus ut in ecclesia paroeciali vel in aliquo oratorio vel sacello Antiquior Usus celebretur: hic coetus constitui potest a personis ex pluribus paroeciis aut dioecesibus convenientibus et qui una concurrunt ad ecclesiam paroecialem aut oratorium ad finem, de quo supra, assequendum.
16. Si quidam sacerdos obiter in quandam ecclesiam paroecialem vel oratorium cum aliquibus personis incidens, Sacrum in forma extraordinaria facere velit, ad normam artt. 2 et 4 Litterarum Apostolicarum, parochus aut rector ecclesiae, vel sacerdos qui de ea curam gerit, ad celebrandum admittat, attento tamen ordine celebrationum liturgicarum ipsius ecclesiae.
17. § 1. Ut de singulis casibus iudicium feratur, parochus aut rector, aut sacerdos qui ecclesiae curam habet, prudenti mente agat, pastorali zelo, caritate et urbanitate suffultus.
§ 2. Si coetus paucis constet fidelibus, ad Ordinarium loci adeundum est ut designet ecclesiam in quam ad huiusmodi celebrationes fideles se conferre possint, ita ut actuosa participatio facilior et Sanctae Missae celebratio dignior reddi valeant.
18. In sanctuariis et in peregrinationum locis possibilitas celebrandi secundum extraordinariam formam coetibus peregrinorum id petentibus praebeatur (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 3), si sacerdos adest idoneus.
19. Christifideles celebrationem secundum formam extraordinariam postulantes, auxilium ne ferant neque nomen dent consociationibus, quae validitatem vel legitimitatem Sanctae Missae Sacrificii et Sacramentorum secundum formam ordinariam impugnent, vel Romano Pontifici, Universae Ecclesiae Pastori quoquo modo sint infensae.

De Sacerdotibus idoneis (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 5 § 4)

20. Quoad ea quae necessaria sunt ut sacerdos quidam idoneus habeatur ad celebrandum secundum formam extraordinariam, statuitur:
a) Quivis sacerdos, ad normam Iuris Canonici7, non impeditus, idoneus censetur ad celebrandam Sanctam Missam secundum formam extraordinariam;
b) ad usum Latini sermonis quod attinet, necesse est ut sacerdos celebraturus scientia polleat ad verba recte proferenda eorumque intelligendam significationem;
c) quoad peritiam vero ritus exsequendi, idonei habentur sacerdotes qui ad Sacrum faciendum secundum extraordinariam formam sponte adeunt et qui antea hoc fecerant.
21. Ordinarii enixe rogantur ut clericis instituendis occasionem praebeant accommodatam artem celebrandi in forma extraordinaria acquirendi, quod potissimum pro Seminariis valet, in quibus providebitur ut sacrorum alumni convenienter instituantur, Latinum discendo sermonem8 et, adiunctis id postulantibus, ipsam Ritus Romani formam extraordinariam.
22. In Dioecesibus ubi desint sacerdotes idonei, fas est Episcopis dioecesanis iuvamen a sacerdotibus Institutorum a Pontificia Commissione Ecclesia Dei erectorum exposcere, sive ut celebrent, sive ut ipsam artem celebrandi doceant.

23. Facultas celebrandi Missam sine populo seu uno tantum ministro participante, secundum formam extraordinariam Ritus Romani concessa est cuivis presbytero, tum saeculari, cum religioso (cf. Litterae Apostolicae Summorum Pontificum, art. 2). Ergo, in huiusmodi celebrationibus, sacerdotes, ad normam Litterarum Apostolicarum, nulla speciali licentia Ordinariorum vel superiorum indigent.


De disciplina liturgica et ecclesiastica


24. Libri liturgici formae extraordinariae adhibeantur ut prostant. Omnes qui secundum extraordinariam formam Ritus Romani celebrare exoptant, tenentur rubricas relativas scire easque in celebrationibus recte exsequi.
25. In antiquo Missali recentiores sancti et aliquae ex novis praefationibus inseri possunt immo debent9, secundum quod quam primum statutum erit.

26. Ad ea quae constabilita sunt in Litteris Apostolicis Summorum Pontificum, ad articulum 6, dicendum est quod lectiones Sanctae Missae, quae in Missali anni 1962 continentur, proferri possunt aut solum Latine, aut Latine, vernacula sequente versione, aut in Missis lectis etiam solum vernacule.

27. Quoad regulas disciplinares ad celebrationem formae extraordinariae pertinentes, applicetur disciplina ecclesiastica Codicis Iuris Canonici anno 1983 promulgati.
28. Praeterea, cum sane de lege speciali agitur, quoad materiam propriam, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum derogant omnibus legibus liturgicis, sacrorum rituum propriis, exinde ab anno 1962 promulgatis, et cum rubricis librorum liturgicorum anni 1962 non congruentibus.


De Confirmatione et de Ordine

29. Facultas adhibendi formulam antiquam ad Confirmationem impertiendam, confirmata est a Litteris Apostolicis Summorum Pontificum (cf. art. 9, § 2), proinde non necessario adhibenda est pro forma extraordinaria formula recentior, quae in Ordine Confirmationis Pauli PP. VI invenitur.
30. Quoad primam Tonsuram, Ordines Minores et Subdiaconatum, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum nullam obmutationem in disciplina Codicis Iuris Canonici anno 1983 introduxerunt: hac de causa, pro Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei subditis, sodalis votis perpetuis professus aut societati clericali vitae apostolicae definitive incorporatus, per receptum diaconatum incardinatur tamquam clericus eidem instituto aut societati, ad normam canonis 266 § 2 Codicis Iuris Canonici.
31. Dumtaxat Institutis Vitae Consecratae et Societatibus Vitae Apostolicae Pontificiae Commissioni Ecclesia Dei subditis, et his ubi servatur usus librorum liturgicorum formae extraordinariae, licet Pontificali Romano anni 1962 uti ad Ordines maiores et minores conferendos.


De Breviario Romano

32. Omnibus clericis conceditur facultas recitandi Breviarium Romanum anni 1962, de quo art. 9, § 3 Litterarum Apostolicarum Summorum Pontificum, et quidem integre et Latino sermone.


De Triduo Sacro

33. Coetus fidelium, anteriori traditioni liturgicae adhaerens, iure gaudet, si sacerdos idoneus adest, celebrandi et ipsum Sacrum Triduum iuxta extraordinariam formam. Deficiente autem ecclesia vel oratorio ad huiusmodi celebrationes exsequendas exclusive deputatis, parochus aut Ordinarius, communi de consilio cum idoneo sacerdote, favorabiliores praebeant occasiones pro bono animarum assequendo, haud exclusa possibilitate reiterandi Sacri Tridui celebrationes in ipsa ecclesia.


De Ritibus Religiosorum Ordinum

34. Sodalibus Ordinum Religiosorum licet uti propriis libris liturgicis anno 1962 vigentibus.


De Pontificali Romano et de Rituali Romano

35. Salvo quod sub n. 31 huius Instructionis praescriptum est, ad mentem n. 28 ipsius Instructionis licet Pontificale Romanum, Rituale Romanum et Caeremoniale Episcoporum anno 1962 vigentia adhibere.


Summus Pontifex Benedictus PP. XVI, in Audientia die 8 aprilis a. d. MMXI subscripto Cardinali Praesidi Pontificiae Commissionis "Ecclesia Dei" concessa, hanc Instructionem ratam habuit et publici iuris fieri iussit.
Datum Romae, ex Aedibus Pontificiae Commissionis Ecclesia Dei, die 30 aprilis a. D. MMXI, in memoria S. Pii V.
Gulielmus Cardinalis Levada
Praeses
Vido Pozzo
A Secretis
______________
1 BENEDICTUS XVI, Litterae Apostolicae Summorum Pontificum Motu Proprio datae, I, AAS 99 (2007) 777; cf. Institutio Generalis Missalis Romani, tertia editio 2002, n. 397.
2 BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. CIC, can. 838 § 1 et § 2.
4 Cf. CIC, can. 331.
5 Cf. CIC, cann. 223, § 2; 838 § 1 et § 4.
6 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. CIC, can. 900, § 2.
8 Cf. CIC, can. 249; cf. Conc. Vat. II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Decl. Optatam totius n. 13.
9 Cf. BENEDICTUS XVI, Epistola ad Episcopos ad producendas Litteras Apostolicas Motu Proprio datas, de Usu Liturgiae Romanae Instaurationi anni 1970 praecedentis, AAS 99 (2007) 797.



PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica
Motu Proprio data Summorum Pontificum di
S.S. BENEDETTO PP. XVI
I.
Introduzione

1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.
2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.
3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede"1.
4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione.
5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.
6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.
7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia.
Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso"2.
8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale4.
Esso si propone l’obiettivo di:
a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;
b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;
c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.

II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).
10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.
§ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.

III.
Norme specifiche

12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.
La competenza dei Vescovi diocesani
13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum6. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.
Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)
15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.
16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.
17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.
§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.
18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.
19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.
Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)
20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto "idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:
a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria7.
b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.
c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.
21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino8 e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.
22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.
23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.
La disciplina liturgica ed ecclesiastica
24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.
25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in seguito.
26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.
27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.
28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.
Cresima e Ordine sacro
29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.
30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.

Breviarium Romanum

32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.
Il Triduo sacro
33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.
I Riti degli Ordini Religiosi
34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.
Pontificale Romanum e Rituale Romanum
35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.
William Cardinale Levada

Presidente

Mons. Guido Pozzo

Segretario

_______________
1 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397.
2 BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.
3 Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.
4 Cf. C.I.C. can. 331.
5 Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.
6 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.
7 Cf. C.I.C. can. 900 § 2.
8 Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius n. 13.
9 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica"Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.

NOTA DEL DIRETTORE DELLA STAMPA, P. FEDERICO LOMBARDI
L’Istruzione sull’applicazione del Motu proprio "Summorum Pontificum" (del 7 luglio 2007, entrato in vigore il 14 settembre 2007) è stata approvata dal Papa Benedetto XVI l’8 aprile scorso e porta la data del 30 aprile, memoria liturgica di San Pio V, Papa.
L’Istruzione, in base alle prime parole del testo latino, viene denominata "Universae Ecclesiae" ed è della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa aveva affidato – fra l’altro - il compito di vigilare sull’osservanza e l’applicazione del Motu proprio. Perciò essa porta la firma del suo Presidente, Card. William Levada, e del Segretario, Mons. Guido Pozzo.
Il documento è stato inviato a tutte le Conferenze Episcopali nelle settimane scorse. Ricordiamo che "le istruzioni… rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell’eseguirle" (CIC, can.34). Come viene detto al n.12, l’Istruzione è emanata "con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione" del Motu proprio "Summorum Pontificum".
Era naturale che alla legge contenuta nel Motu proprio seguisse l’Istruzione sulla sua applicazione. Il fatto che ciò avvenga ora a più di tre anni di distanza si spiega facilmente ricordando che nella Lettera con cui il Papa accompagnava il Motu proprio diceva esplicitamente ai Vescovi: "Vi invito a scrivere alla Santa Sede, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio". L’Istruzione porta quindi in sé anche il frutto della verifica triennale dell’applicazione della legge, che era stata prevista fin dall’inizio.
Il documento presenta un linguaggio semplice e di facile lettura. La sua Introduzione (nn.1-8) ricorda brevemente la storia del Messale Romano fino all’ultima edizione di Giovanni XXIII, nel 1962, e al nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970, a seguito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, e ribadisce il principio fondamentale che si tratta di "due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano, che si pongono uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore" (n.6).
Si ribadisce anche la finalità del Motu proprio, articolandola nei seguenti tre punti: a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’uso più antico, considerata tesoro prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria; c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa (cfr n.8).
Una breve Sezione del documento (nn. 9-11) ricorda i compiti e i poteri della Commissione "Ecclesia Dei", a cui il Papa "ha conferito potestà ordinaria vicaria" nella materia. Ciò comporta tra l’altro due conseguenze molto importanti. Anzitutto, essa può decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu proprio (ferma restando la possibilità di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica). Inoltre, spetta alla Commissione, con l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino, curare l’eventuale edizione dei testi liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del documento si auspica, ad esempio, l’inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi).
La parte propriamente normativa del documento (nn. 12-35) contiene 23 brevi punti su diversi argomenti.
Si ribadisce la competenza dei Vescovi diocesani per l’attuazione del Motu proprio, ricordando che in caso di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria giudicherà la Commissione "Ecclesia Dei".
Si chiarisce il concetto di coetus fidelium (cioè "gruppo di fedeli") stabiliter existens ("stabile") che desidera di poter assistere alla celebrazione in forma extraordinaria. Pur lasciando alla saggia valutazione dei pastori la valutazione del numero di persone necessario per costituirlo, si precisa che esso non deve essere necessariamente costituito da persone appartenenti a una sola parrocchia, ma può risultare da persone che confluiscono da diverse parrocchie o addirittura da diverse diocesi. Sempre tenendo conto del rispetto delle esigenze pastorali più ampie, l’Istruzione propone uno spirito di "generosa accoglienza" verso i gruppi di fedeli che richiedano la forma extraordinaria o i sacerdoti che chiedano di celebrare occasionalmente in tal forma con alcuni fedeli.
Molto importante è la precisazione (n. 19) secondo cui i fedeli che chiedono la celebrazione in forma extraordinaria "non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestino contrari alla validità o legittimità della forma ordinaria" e/o all’autorità del Papa come Pastore Supremo della Chiesa universale. Ciò sarebbe infatti in palese contraddizione con la finalità di "riconciliazione" del Motu proprio stesso.
Importanti indicazioni sono date anche circa il "sacerdote idoneo" alla celebrazione in forma extraordinaria. Naturalmente egli non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico, deve conoscere sufficientemente bene il latino e conoscere il rito da celebrare. Si incoraggiano perciò i vescovi a rendere possibile nei seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilità di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione "Ecclesia Dei" (che usano normalmente la forma extraordinaria).
L’Istruzione ribadisce come ogni sacerdote sia secolare sia religioso abbia licenza di celebrare la Messa "senza popolo" nella forma extraordinaria se lo desidera. Perciò, se non si tratta di celebrazioni con il popolo, i singoli religiosi non hanno bisogno del permesso dei superiori.
Seguono – sempre per quanto riguarda la forma extraordinaria - norme relative alle regole liturgiche e all’uso di libri liturgici (come il Rituale, il Pontificale, il Cerimoniale dei vescovi), alla possibilità di usare la lingua vernacola per le letture (a complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle "Messe lette"), alla possibilità per i chierici di usare il Breviario precedente alla riforma liturgica, alla possibilità di celebrare il Triduo Sacro nella Settimana Santa per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico. Per quanto riguarda le ordinazioni sacre, l’uso dei libri liturgici più antichi è permesso solo negli Istituti che dipendono dalla Commissione "Ecclesia Dei".
A lettura compiuta, rimane l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo il testo è animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta.

13 Maggio 2011


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
 LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!