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mercoledì 16 novembre 2016

SCRITTI DEL P. EMMANUEL ANDRÈ


CAPITOLO V
L’UTILITÀ DELLA PAROLA
C’è, dice lo Spirito Santo, un tempo per tacere e un tempo per parlare. L’uomo di Dio deve saper discernere questi tempi, e quando viene il tempo di parlare bisogna ch’egli vigili per dire ciò che Dio vuole ch’egli dica, e ciò che le anime hanno diritto di aspettarsi da un inviato di Dio.
San Pietro, ammaestrando tutti i cristiani disse: «Chi parla, lo faccia come con parole di Dio» (1 Pt. 4,11). Ma s’egli avesse scritto ai soli sacerdoti, avrebbe detto senza dubbio: «Se il sacerdote parla, lo faccia con parole di Dio». Avrebbe cioè soppressa la parola «come».
Sul pulpito il sacerdote deve parlare come Dio stesso; fuori di là, come l’uomo di Dio.
È nota l’espressione di San Bernardo riguardo alle parole buffe: «In ore saecularium nugae nugae sunt; in ore sacerdotum blasphemiae». La parola del sacerdote dev’essere sempre senza affettazione, affabile senza trivialità, dolce senza adulazioni, grave senza durezza, deve richiamare alle anime il ricordo di Nostro Signore del quale si dice: «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!» (Gv. 7,46).
CAPITOLO VI
LA CARITÀ COMPASSIONEVOLE 
VERSO TUTTI
Il sacerdote è debitore a Dio e al prossimo: a Dio deve la preghiera, al prossimo deve una tenera e compassionevole carità.
Nostro Signore che nell’Evangelo ci ha dato un si grande numero di divini insegnamenti di tenerezza verso i peccatori e ci ha insegnato le parabole si commoventi del figlio prodigo, della pecorella sperduta, la storia della donna adultera, è egli stesso il modello della tenera carità che deve avere il pastore delle anime.
«Che il pastore, scrive San Gregorio, sia avvicinato da tutti i suoi fedeli per la sua compassione: che con le viscere della sua misericordia attiri a sé e prenda su di sé per caricarle, le infermità di tutti. Che il pastore si mostri in modo tale che i fedeli non abbiano alcuna ripugnanza a rivelargli quanto hanno di più segreto, e quando i piccoli sono agitati dai flutti delle tentazioni facciano ricorso a lui, come al seno d’una madre, «quas; ad matris sinum!».
CAPITOLO VII
L’UNIONE A DIO NELLA PREGHIERA
Quando la carità compassionevole, la tenerezza paterna e anche materna deve avvicinare il pastore ai suoi fedeli, altrettanto lo zelo della preghiera deve mantenerlo unito a Dio.
Il pastore è l’uomo di Dio: non può nulla se non con l’aiuto della grazia: deve ricevere da Dio le istruzioni di Dio: da Dio deve sollecitare le grazie necessarie e a sé e al suo gregge. Come farà se prima di tutto egli non sarà uomo di preghiera?
Dice San Paolo: Noi siamo gli ambasciatori di Gesù Cristo: «Pro Christo legatione fungimur» (2 Cor. 5,20). Ora, ogni ambasciatore deve ricevere le istruzioni di colui che lo manda per farne gl’interessi: perciò come il sacerdote potrà adoperarsi per gl’interessi di Dio presso le anime se da Dio non ebbe una parola? E come avrà egli una parola da Dio se non con la preghiera?
E qui ritorna l’affermazione di San Pietro che abbiamo più volte ricordata: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Dove si vede che l’Apostolo pone prima di ogni cosa la preghiera nella quale riceverà le luci di Dio che poi trasmetterà ai fedeli con la predicazione. «Preghiera e ministero della parola». La parola che non è stata «pregata» sarà sempre un vano rumore; impotente e infeconda: invece di essere la parola di Dio sarà la parola dell’uomo. Perciò, prima di tutto e sopra tutto: bisogna pregare.
CAPITOLO VIII
L’UMILTÀ
Il sacerdote ha doppiamente bisogno della grazia di Dio: ne ha bisogno per se stesso, ne ha bisogno per il suo gregge. Siccome poi Iddio, seguendo la più che saggia legge della sua misericordia e della sua giustizia, resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili, ne consegue che il sacerdote ha una duplice necessità, una necessità più viva, di quanto ne hanno i fedeli, di essere veramente umile. Ha bisogno di conoscere le vie di Dio e i suoi segreti; ha bisogno di conciliarsi la grazia di Dio e di conciliarla alle anime delle quali è pastore. Come potrà egli essere mediatore associato a Dio se non è umile? Forse Iddio si rivelerà all’uomo che vuol penetrare nei suoi segreti per rapirgli la sua gloria e attribuirla a sé stesso? Farà Iddio canale della sua grazia l’uomo che col suo orgoglio si fa nemico della grazia? Come potrà trattare con Dio della riconciliazione delle anime colpevoli chi pone sé stesso in rivolta con Dio col suo orgoglio?
Senza umiltà non c’è ministero possibile: Dio certamente ci vuole elargire la sua grazia, ma non vuole che lo rapiniamo della sua gloria: e dal momento che un sacerdote cerca la gloria per sé, cessa di essere il mediatore della grazia: «Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia» (Giac. 4,6).
CAPITOLO IX
DELLO ZELO DELLA GIUSTIZIA
Lo zelo della giustizia è perfetta abnegazione agli interessi di Dio e negli interessi di Dio sono necessariamente compresi gl’interessi delle anime: perché Dio vuole la salvezza delle anime; è lo stesso interesse di Dio, dal momento che lì sta la sua maggior gloria.
Gl’interessi di Dio sovente sono compromessi dagli uomini: in questo caso il pastore, che sta tra Dio e gli uomini, si troverà spesse volte in lotta con gli uomini per difendere gl’interessi di Dio. Lotta che non è senza difficoltà: poiché se il pastore deve sé stesso a Dio di cui è l’uomo, deve anche sé stesso alle anime delle quali è pastore, e pastore responsabile. Se egli vede gl’interessi di Dio, per così dire con un occhio solo, si affaticherà in un modo imperfetto e comprometterà le anime: e, per altro, se mira a non compromettere le anime, potrà tuttavia mancare gl’interessi di Dio.
La difficoltà è grande, sovente estrema: vi è un pericolo d’ambo i lati. Da un lato il pastore dovrà temere di venir meno nei riguardi di Dio e dall’altro di mancare verso le anime.
In un tale modo di essere le cose, lo zelo non è un consigliere sufficiente: può, se è solo, far cadere negli eccessi e può compromettere lo stesso bene che cerca. Con lo zelo ci vuole anche la scienza; con la scienza, l’umiltà, la purezza delle vedute e dell’intenzione; cose tutte che il pastore non troverà mai se non è prima di tutto uomo di preghiera: «Orationi… instantes erimus».
CAPITOLO X
IL SACERDOTE DEV’ESSERE 
UOMO INTERIORE
La molteplicità delle cose che fanno parte delle sollecitudini di un pastore è necessariamente grandissima: le persone e le cose, i corpi e le anime, gl’interessi spirituali dei fedeli e quelli temporali della chiesa, tutto pesa insieme sul pastore.
Tutti gli avvenimenti possono avere un influsso sugli interessi delle anime e il pastore deve necessariamente vigilare su tutto. Tutte le età, tutte le condizioni, tutti i buoni e tutti gli altri devono essere per lui oggetto d’incessante sollecitudine. Pero non ci può essere lì il pericolo di lasciarsi assorbire dalle sollecitudine esterne, dalle preoccupazioni delle persone e delle cose?
La carità che il pastore deve al suo gregge non potrebbe essere per lui una causa, un pretesto e un’occasione per lasciarsi assorbire nella cura delle cose esteriori, della salute, degli interessi temporali e di qualsiasi altro interesse?
Un pastore deve pensare un po’ a tutto, tener conto di tutto, estendere la sua carità a tutto, ma questo tutto non
deve punto assorbirlo. Sopra questo tutto che è il gregge, c’è il tutto che è Dio, e il sacerdote deve applicarsi a Dio più che a tutto, e non potrà essere veramente utile a tutto a condizione che sia tutto d’Iddio. Il pastore troverà in Dio la luce, la misura, il vero zelo, la discrezione e le virtù necessarie per transitare in mezzo alle sollecitudini esterne del ministero per esser utile al gregge senza nuocere a sé stesso; per dedicarsi al prossimo senza cessare di stare unito con Dio.
CAPITOLO XI
IL SACERDOTE 
DEV’ESSERE DISINTERESSATO
«Avaro nihil est scelestius», dice lo Spirito Santo (Eccl. X,9). Noi possiamo dire anche che nulla è più contrario allo spirito del ministero quanto l’amore al denaro.
Dio non è né oro, né denaro e l’uomo del denaro non può essere l’uomo di Dio.
Il sacerdote, se fosse possibile, non dovrebbe toccare per terra, «Perché è il messaggero del Signore degli eserciti» (Ml. 2,7).
Messaggero celeste, ambasciatore di Dio, il pastore deve aspirare soltanto al cielo e volere soltanto Dio; l’eredità da lui scelta quando divenne chierico: «Il Signore è mia parte di eredità» (Sal. 16,5).
Il pastore dedito a Dio e alle anime non può essere preso dalle sollecitudini del bene e del mangiare: «Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo?» (Mt. 6,31).
Il pastore che si rimettesse semplicemente per tutte queste cose alle cure della Provvidenza, non mancherebbe di nulla.
Questo esattamente accadde per gli Apostoli. Nostro Signore li aveva inviati a predicare, e li aveva inviati con nulla, e non manco loro alcunché: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa? Risposero: nulla» (Lc. 22,35-6).
Il pastore riceverà da Dio il suo pane quotidiano, e non riceverà soltanto per sé stesso, ma anche per i suoi poveri. Riceverà con una mano e darà con l’altra; e avrà tanto più da dare quanto più si rimetterà soltanto a Dio per ciò che gli occorrerà. Testimone San Vincenzo de’ Paoli, l’uomo che in questo mondo ha dato di più.

giovedì 12 maggio 2016

ORDINE SACRO



«Se non avessimo il Sacramento dell’Ordine, noi non avremmo Nostro Signore. 

Chi l’ha messo nel tabernacolo? Il sacerdote. 

Chi ha ricevuto la vostra anima al suo ingresso a questo mondo? Il sacerdote. 

Chi la nutre per darle forza di fare il suo pellegrinaggio? Sempre il sacerdote. 

Chi la preparerà a comparire davanti a Dio, lavando l’anima per la prima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, ogni volta il sacerdote. 

Se l’anima, poi, giunge all’ora del trapasso, chi la farà risorgere, rendendole la calma e la pace? Ancora una volta il sacerdote. 

Non potete pensare a nessun beneficio di Dio senza incontrare, insieme a questo ricordo, l’immagine del sacerdote. 

Se andaste a confessarvi alla Santa Vergine o a un angelo, vi assolverebbero? No. 

Vi darebbero il Corpo e il Sangue di Gesù? No. 

La Santa Vergine non può far scendere il Suo divin Figlio nella Santa ostia. 

Anche duecento angeli non vi potrebbero assolvere. Un sacerdote, per quanto semplice sia, lo può fare, Egli può dirvi: “Va in pace, ti perdono”. 

Che cosa grande è il sacerdote!...».

(Il Santo Curato d'Ars )

*


I fedeli non possono quindi disinterressarsi del sacerdote, mediatore tra Dio e gli uomini. Il sacerdozio è la prima preoccupazione di una società che vuol rinascere! La più grande grazia che Dio fa al suo popolo è quella di suscitare degni sacerdoti secondo il Suo Cuore; il più grande castigo è la mancanza di consacrati.




Durante le Sacre Tempora cogliamo quindi l'occasione per pregare e, secondo le disposizioni della Chiesa, digiunare. Applichiamoci con più fervore e maggiore devozione non disdegnando di praticare volontariamente qualche mortificazione: "Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi". (Salmo 50)


Panem de coelo praestitisti eis

giovedì 5 maggio 2016

SACER-DOS


BENEDIZIONI!  BENEDIZIONI!
(Oh! se i fedeli fossero più... petulanti e coscienti,
e i Sacerdoti più... pensanti a  quel Dono immenso ricevuto dalla Santissima Trinità col potere impartire BENEDIZIONI ovunque!
"Vieni, Spirito Santo, Vieni...!")

  • (Sacerdote) vuol dire consacrato, vuol dire dedicato, offerto completamente al suo Dio per portare anime al suo Dio. 

  • Tutto deve perire per il sacerdote, tutto e rimanere solo Dio e solo le anime. 

  • Egli deve essere spogliato da tutto, anche della sua umanità. Deve essere immolato alla sua missione, come Cristo. 

  • Quando è così, è un operaio di Cristo. 

  • Può seminare e mietere, sicuro che non gli crescerà zizzania nel suo solco, sicuro di fare di ogni uomo un'anima, una candida anima. Az.247 - 18.8.46
*

E' VERO CHE.........
Ma Riflettiamo anche su questi detti:

1 –  “La più grande grazia che Dio possa fare ad una Famiglia è dargli un Figlio Sacerdote”. ( S. Giovanni Bosco )
2 –  “Se incontrassi un Angelo e un Sacerdote , saluterei prima il Sacerdote e poi l’Angelo” . (S. Francesco d'Assisi, S. Caterina da Siena )
3 –   “Quando una Nazione non produce i Suoi Sacerdoti , cattivo segno per quella Nazione”  (S. Giovanni Bosco)
4 –   Dai Sacerdoti in Chiesa i Vostri Figli ascolteranno:”Onora il Padre e la Madre” , fuori ascolterebbero:”chiama il telefono azzurro”.
5 –  “Nessuno è più grande di questo povero, piccolo uomo che celebra i Santi Sacramenti”  (Monsabrè)
6 –   “Lasciate per vent’anni una parrocchia senza prete, e vi si adoreranno le bestie”  ( S. Giovanni Maria Vianney )
7  –   ” Il Sacerdote non si appartiene perché è tutto e solo di Dio e dei Fratelli” .   ( Fulton Sheen )
8 –  Perché mancano le vocazioni?   Perché mancano i Figli! Per l’aborto e la moda del Figlio unico,massimo due!  E perché manca il Buon Terreno Cristiano e la preghiera in Famiglia .
9 –  Si sente dire : ‘se dovessi rinascere, mi farei prete’.  Tu sai che non rinasci !…  se si stà così bene perché non vieni ?  Qui non manca il lavoro , ma i lavoratori !  Già molti Paesi non hanno più il Sacerdote !
10 – Papà e Mamma , se Dio chiama un tuo Figlio al Sacerdozio per l’Umanità , non ti opporre , donalo ! Il Signore provvederà a Voi e non si farà vincere in generosità !
11 – Sogno il giorno in cui Tutti i Sacerdoti corrano presso una Famiglia in difficoltà e tutte le Famiglie corrano presso un Sacerdote in difficoltà .  Nelle difficoltà Famigliari o Sacerdotali non serve l’indifferenza o la condanna ma l’aiuto !…
12 – I Sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quelli che cadono , ma ce ne sono tanti che volano e fanno un prezioso servizio !!!……Molti criticano , pochissimi li aiutano e pregano per Loro…
AVE MARIA!

domenica 27 aprile 2014

I Santi sono così!


Il giorno della festa di santa Teresa, suor Maria di Gesù Crocifisso poté seguire tutti gli esercizi della comunità. Domandò di confessarsi prima della Messa, perché aveva bisogno del permesso del confessore su un punto. «II sacerdote, disse a que­sto proposito alla sua Maestra, rappresenta Dio, è Lui che io ascolterò: parola del sacerdote, parola di Dio per me. Se il sacerdote mi dice che posso raccontarglielo, lo farò. Nel sacerdote, io non vedo che Dio; non cerco la scienza del sacerdote, ma la virtù di Dio in lui».


Avendo il confessore permesso alla novizia di riferire tutto alla sua Maestra, andò subito a trovarla e le parlò così: 

«Ho visto che avevo tre montagne da supera­re: la prima, un po' nera, l'ho scalata con fatica. Giunta alla cima ho visto uscire dalla montagna un uccello bianco, che mi ha detto: Io amerò colui che ama mio Pa­dre; sarà il mio prediletto. La seconda montagna era tutta nera; ho potuto scalarla con grandissime difficoltà. Una volta sulla cima, ho visto uscire dalla montagna un grazioso agnellino tutto bianco, dagli occhi molto dolci; avrei messo questo agnel­lino nel mio cuore. Egli mi ha detto: Io domando per colui che ama mio Padre il nome del Suo amatissimo Figlio e il nome della madre dell'Amato Bene. 

La terza montagna, sebbene più scoscesa, non era così nera come le prime due; dietro la cima, vedevo degli alberi in fiore. Raggiungendo la cima, ho sentito il profumo dei fiori, che mi ha dato speranza e gioia. Dal centro della montagna è uscito un uc­cello più bianco e più bello del primo e perfino dell'agnello. Mi ha detto: vado a dire al Padre, dona ciò che l'Agnello Ti ha domandato per colui che Ti ama, il no­me del Tuo amatissimo Figlio e il nome della madre dell'Amato Bene: Maria di Ge­sù Crocifisso. Ho compreso che si trattava di me; ciò mi ha dato buone speranze ma temo che non sia altro che il demonio, per farmi cadere nell'orgoglio. Ed ho detto: Va, Satana, non sono che una povera peccatrice, e tuttavia spero, la misericordia di Dio è grande. Io non sono niente per me stessa, nient'altro che peccato; ma Dio in me può fare contro di te, Satana, grandi cose».

Spolverando documenti, spolveriamo la memoria. "E' necessario tornare al confessionale".


« È necessario tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare
il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in
cui “abitare” più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia,
consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare
la presenza della misericordia divina, accanto alla presenza reale
nell’eucaristia ».1

Con queste parole, il Santo Padre Benedetto XVI si rivolgeva ai
confessori, durante il recente Anno Sacerdotale, indicando a tutti ed
a ciascuno l’importanza e la conseguente urgenza apostolica di riscoprire
il sacramento della riconciliazione, sia come penitenti, sia come
ministri.

Accanto alla quotidiana celebrazione eucaristica, la disponibilità
all’ascolto delle confessioni sacramentali, all’accoglienza dei penitenti
e, laddove richiesto, all’accompagnamento spirituale, sono la reale
misura della carità pastorale del sacerdote e, con essa, testimoniano la
lieta e certa assunzione della propria identità, ridefinita dal sacramento
dell’ordine e mai riducibile a mera funzione.

Il sacerdote è ministro, cioè servo e insieme prudente amministratore
della divina misericordia. A lui è affidata la gravissima responsabilità
di « rimettere o ritenere i peccati » (cf. Gv 20,23); attraverso di lui, i
fedeli possono vivere, nell’oggi della Chiesa, per la forza dello Spirito,
che è Signore e dà la vita, la gioiosa esperienza del figliol prodigo, il
quale, tornato nella casa del padre per vile interesse e come schiavo,
viene accolto e ricostituito nella propria dignità filiale.

Laddove c’è un confessore disponibile, presto o tardi arriva un
penitente; e laddove persevera, persino in maniera ostinata, la disponibilità
del confessore, giungeranno molti penitenti!

e come ministri, è la misura dell’autentica fede nell’agire salvifico di
Dio, che si manifesta più efficacemente nella potenza della grazia, che
nelle umane strategie organizzative di iniziative, anche pastorali, talvolta
dimentiche dell’essenziale.

1 BENEDETTO XVI, Allocuzione ai partecipanti al XXI corso sul foro interno organizzato
dalla Penitenzieria Apostolica, 11 marzo 2010.

giovedì 17 ottobre 2013

Preghiera per i Sacerdoti





BENEDETTO XVI
PREGHIERA PER L’ANNO SACERDOTALE

<<Signore Gesù, che in san Giovanni Maria Vianney hai voluto donare alla Chiesa una toccante immagine della tua carità pastorale, fa' che, in sua compagnia e sorretti dal suo esempio, viviamo in pienezza quest'Anno Sacerdotale.

Fa' che, sostando come lui davanti all'Eucaristia, possiamo imparare quanto sia semplice e quotidiana la tua parola che ci ammaestra; tenero l'amore con cui accogli i peccatori pentiti; consolante l'abbandono confidente alla tua Madre Immacolata.

Fa', o Signore Gesù, che, per intercessione del Santo Curato d'Ars, le famiglie cristiane divengano « piccole chiese », in cui tutte le vocazioni e tutti i carismi, donati dal tuo Santo Spirito, possano essere accolti e valorizzati. Concedici, Signore Gesù, di poter ripetere con lo stesso ardore del Santo Curato le parole con cui egli soleva rivolgersi a Te:
« Ti amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio è di amarti fino all'ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, o Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandoti piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore, e l'unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.
Mio Dio, se la mia lingua non può dirti ad ogni istante che ti amo, voglio che il mio cuore te lo ripeta tante volte quante volte respiro.
Ti amo, o mio Divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me, e mi tieni quaggiù crocifisso con Te. Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti e sapendo che ti amo». Amen.>>



© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

martedì 8 ottobre 2013

La santa Comunione sulla lingua. Ragioni teologiche


La santa Comunione sulla lingua. Ragioni teologiche

di don Ivo Cisar

I sacramenti sono "segni e strumenti" o "segni pieni". Lo è soprattutto l’eucaristia, Corpo e Sangue di Gesù Cristo, "pieno di grazia" (Gv 1,14), nel quale "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9), "perché piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza" (Col 1,19). Fa parte della ratio signi anche il rito.

I sacramenti "non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali (rebus) la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono, perciò vengono chiamati sacramenti della fede - fidei sacramenta" (Conc. Vaticano II, const.Sacrosanctum concilium 59, EV I 107).

Ora, la Comunione, data e ricevuta sulla lingua, è rito significativo che esprime la fede (e deve nutrirla e irrobustirla) sia nella divinità di Gesù Cristo, realmente e sostanzialmente presente sotto le specie eucaristiche, da distinguere dal cibo comune (che si prende con le proprie mani), sia nel sacerdozio ministeriale, essenzialmente differente da quello comune dei fedeli (Conc. Vaticano II, const.Lumen gentium 10b, EV I 312), significativamente espressa nella consacrazione (unzione) delle mani del sacerdote. Il sacerdozio ministeriale e l’eucaristia sono strettamente e intimamente collegati (cfr. Conc. Vaticano II, Presb. ordinis 5a-b, EV I 1252 s.).

Il rito deve essere aderente al mysterium fidei, e non deve essere lasciato all’arbitrio individuale e alla moda collettiva. Deve esserne garante il sacerdote, ministro dell’eucaristia, responsabile tanto dell’eucaristia, quanto della fede dei battezzati; egli è l’educatore dei fedeli (Conc. Vaticano II, Presb. ordinis 6).

Come il sacerdote (sacra dans), "amico dello Sposo" (Gv 3,29), agendo in persona Christi capitis (Ecclesiae), "partecipando alla funzione dell’unico Mediatore Cristo" (Conc. Vaticano II, Lumen gentium, 28, EV I 354), offre l’eucaristia, a nome della Chiesa (cfr. Offertorio e Canone Romano), a Dio Padre, così egli, minister Christi et dispensator mysteriorum Dei (1Cor 4,1), la distribuisce, quale fidelis dispensator ac prudens, quem constituit Dominus supra familiam suam ut det illis in tempore opportuno (en kairo) tritici mensuram (cibum) (Lc 12,42; Mt 24,45), cioè la "manna celeste", "pane vivo" (Gv 6,31.51), quindi, per mantenere la ratio signi, sulla lingua (cibo!) che Cristo dà oggi come quando "spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla" (Mt 14,19; 15,36) solo agli apostoli li diede direttamente, dicendo, "prendete, mangiate": Mt 26,26).

"Nel distribuire la santa comunione, si conservi la consuetudine di deporre la particola del pane consacrato sulla lingua dei comunicandi, consuetudine che poggia su una tradizione plurisecolare", Congregazione per il Culto Divino,Eucharistiae sacramentum: De sacra communione et de cultu mysterii eucharistici extra missam, 21 giugno 1973: EV IV 2531.







lunedì 7 ottobre 2013

Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini, ministro di Cristo: è lui che offre i doni (vittima), che consacra, che compie il sacrificio



5. Un solo sacerdote

Il sacrificio della croce, e quindi quello sacramentale, per anticipazione, dell'Ultima Cena, e quello sacramentale "per commemorazione" (nel senso forte della parola) dell'eucaristia ("rendimento di grazie"), è compiuto dall'unico ed eterno Sommo Sacerdote, Gesù Cristo (Eb 7,24; 9,26).

Nella messa tridentina, celebrata da un solo sacerdote, risalta chiaramente questo aspetto cristologico della santa messa. Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini, ministro di Cristo: è lui che offre i doni (vittima), che consacra, che compie il sacrificio; solo grazie alla sua azione il sacerdozio, essenzialmente distinto (LG 10b: EV 1,312), viene attuato ed esercitato ed è reso efficace.

Pertanto, il Canone (romano) è la preghiera esclusivamente sacerdotale e viene recitato, per la maggior parte, a bassa voce, eccetto il canto (o recita ad alta voce) del Prefazio e del Pater noster.
La concelebrazione, limitata dal Concilio Vaticano II ad alcuni casi e che non può venire mai imposta ai singoli sacerdoti (SC 57: EV 1, 97-106; can. 902 CIC), non aiuta a percepire l'unicità del sacerdote il quale non è mai soltanto un "presidente" (dell'assemblea). Essa fa risaltare l'unicità del sacerdozio intorno al Vescovo, specialmente il Giovedì santo, ma non deve diventare una comoda abitudine che peraltro priva i fedeli del beneficio della santa messa distribuita in più luoghi e orari.

domenica 14 luglio 2013

Voi siete una luce.




...Ugualmente ho detto che voi siete una luce. Chi accende un lume a sera in una casa dove lo mette? Nel buco sotto il forno? Nella caverna che fa da cantina? O chiuso dentro un cassapanco? O anche semplicemente e solamente lo si opprime col moggio? No. Perché allora sarebbe inutile accenderlo. Ma si pone il lume 
sull'alto di una mensola, o lo si appende al suo portalume perché essendo alto rischiari tutta la stanza e 
illumini tutti gli abitanti in essa. 

Ma appunto perché ciò che è posto in alto ha incarico di ricordare Iddio e di 
fare luce, deve essere all'altezza del suo compito. Voi dovete ricordare il Dio vero. 

Fate allora di non avere in 
voi il paganesimo settemplice. Altrimenti diverreste alti luoghi profani con boschetti sacri a questo o quel dio 
e trascinereste nel vostro paganesimo coloro che vi guardano come templi di Dio. 
Voi dovete portare la luce di Dio. 

Un lucignolo sporco, un lucignolo non nutrito di olio, fuma e non fa luce, puzza e non illumina. 

Una 
lampada nascosta dietro un quarzo sudicio non crea la leggiadria splendida, non crea il fulgido giuoco della 
luce sul lucido minerale. Ma langue dietro il velo di nero fumo che fa opaco il diamantifero riparo. 

La luce di Dio splende là dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, coi suoi contatti, e reazioni, e delusioni, produce. La luce di Dio splende là dove il lucignolo è immerso in 
abbondante liquido di orazione e di carità. 
La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene 
netto il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. Inattaccabile quarzo. Inattaccabile! (Gesù tuona in questa chiusa e la voce rimbomba nell'anfiteatro naturale). 
Solo Dio ha il diritto e il potere di rigare quel cristallo, di scriverci sopra col diamante del suo volere il suo santissimo Nome. 
Allora quel Nome diviene ornamento che segna un più vivo sfaccettare di soprannaturali 
bellezze sul quarzo purissimo. 

Ma se lo stolto servo del Signore, perdendo il controllo di sé e la vista della 
sua missione, tutta e unicamente soprannaturale, si lascia incidere falsi ornamenti, sgraffi e non incisioni, 
misteriose e sataniche cifre fatte dall'artiglio di fuoco di Satana, allora no, che la lampada mirabile non 
splende più bella e sempre integra, ma si crepa e rovina, soffocando sotto i detriti del cristallo scheggiato la 
fiamma, o se non si crepa fa un groviglio di segni di inequivocabile natura nei quali si deposita la fuligine e si insinua e corrompe. 

Guai, tre volte guai ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere 
giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesi per ascendere. 

Io li percuoterò abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo. 
Guai, tre volte guai ai maestri 
che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li 
fa uomini mentre - udite e ritenete - mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la 
santificazione che fa dell'uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere già l'aspetto dalla 
terra, e questo solo, di figlio di Dio. 
Di creatura tutt'anima e perfezione dovrebbe avere aspetto. Dovrebbe avere, 
per aspirare a Dio i suoi discepoli. 

Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere. 
Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, 
col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e trino, 
pieno di calcoli di tutto ciò che è fuorché soprumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio, vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli "vita". 
Maledizione di Dio sui corruttori del mio piccolo, amato gregge. Non a coloro che 
periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per 63 ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione. 
Ricordatevi queste parole. 

Ed ora andate. Io salgo sulla cima. Voi dormite pure. Domani, per il gregge, il Pastore aprirà i pascoli della 
Verità ».

martedì 9 luglio 2013

Massime

Massime di spirito tutta sapienza
Immacolata mia, mio tutto!
Cuore Immacolato di Maria, fiducia, salvezza, vittoria e gioia mia!
O Cuore Immacolato, beato chi Ti conosce e confida in Te.
Gesù mio Bene, Ti amo sopra ogno bene.
Si perda tutto e non si perda Dio.
Si disgustino tutti e non si disgusti Dio.
Solo il peccato si ha da temere e ci ha da affliggere.
Prima morire che commettere un peccato, anche veniale, ad occhi aperti.
Ogni cosa finisce.
Il mondo è una scena che presto termina.
Ogni momento vale un tesoro per l'eternità.
Tutto è buono quel che piace a Dio.
Eleggi quel che vorresti aver fatto in morte.
Vivi come non vi fosse altro che tu e Dio.
Solo Dio contenta.
Non vi è altro bene che Dio, non vi è altro male che il peccato.
Non far mai niente per propria soddisfazione.
Chi più si mortifica in questa vita più godrà nell'altra.
Agli amanti di Dio l'amaro è dolce e il dolce è amaro.
Chi vuole quel che vuole Dio ha tutto quel che vuole.
La volontà di Dio rende dolce ogni amarezza.

Nell'infermità si scopre chi ha spirito.
Chi non brama niente di questo mondo non ha bisogno di niente.
Non procrastinare i buoni propositi, se non vuoi andare indietro.
Il disturbarsi per i difetti commessi non è umiltà, ma superbia.
Tanto siamo, quanto siamo davanti a Dio.
Chi ama Dio, più vuole amare che sapere.
Chi vuol farsi santo bisogna che scacci dal cuore ogni cosa che non è Dio.
Non è tutto di Dio chi cerca qualche cosa che non è Dio.
Il dolore, la povertà e il disprezzo furono i compagni di Gesù, questi siano anche i nostri.
Il disturbo, sia per qualunque buon fine, non viene mai da Dio.
L'umile si tiene per indegno d'ogni onore e per degno d'ogni disprezzo.
Chi pensa all'inferno meritato patisce con pace ogni pena.
Scordati di te e Dio penserà a te.
Ama i disprezzi e troverai Dio.
Chi si contenta del meno buono sta vicino al male.
Dio poco stima chi cerca d'essere stimato.
I santi parlano sempre di Dio; sempre male di loro e sempre bene degli altri.
I curiosi stanno sempre dissipati.
Guai a chi ama più la sanità che la santità.
Il demonio va a caccia degli oziosi.
D'un sacerdote vano il demonio si serve come d'una palla da gioco.
Chi vuol pace bisogna che mortifichi tutte le passioni, senza eccezione.
Diceva san Giuseppe da Calasanzio: Il servo di Dio poco parla, molto fatica, sopporta tutto.
I santi studiano per essere, non già per comparir santi.
Non giungerà mai a qualche buon grado di perfezione chi non ama molto l'orazione.
Bisogna esser prima conca per raccogliere, e poi canale per diffondere.
Ogni attaccamento impedisce d'esser tutto di Dio.
Il sacerdote non deve altro rimirare che Gesù Cristo, e il gusto di Gesù Cristo.
Nelle opere d'apparenza spesso si nasconde la superbia.
L'offrirsi tutto a Dio è un grande apparecchio per la comunione.
Camminando per l'abitato tieni gli occhi bassi; pensa che sei sacerdote, non pittore.
DIO CI BENEDICA
E
LA VERGINE CI PROTEGGA!