Visualizzazione post con etichetta Santo Vangelo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Santo Vangelo. Mostra tutti i post

sabato 23 novembre 2019

Il Vangelo. In esso è la Vita e la Salute.


GESU' PARLA AGLI APOSTOLI: DELLA CHIESA DEGLI ULTIMI TEMPI

Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l'abominio della desolazione entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all'apostasia per abbracciare le dottrine d'inferno. Allora sorgerà il figlio di Satana e i popoli gemeranno in un tremendo spavento, pochi restando fedeli al Signore, e allora anche, fra convulsioni d'orrore, verrà la fine dopo la vittoria di Dio e dei suoi pochi eletti, e l'ira di Dio su tutti i maledetti. (omissis)

Ora, nei secoli futuri, non potrà più essere ucciso il Figlio di Dio, ma la fede in Dio, l'idea di Dio, sì. Perciò sarà compiuto un deicidio ancor più irreparabile perchè senza risurrezione. Oh! si potrà compiere, sì. Io vedo... Si potrà compiere per troppi Giuda di Keriot dei secoli futuri. Orrore!...La mia Chiesa scardinata dai suoi stessi ministri! E Io che la sorreggo con l'aiuto delle vittime. Ed essi, i Sacerdoti, che avranno unicamente la veste e non l'anima del Sacerdote, che aiutano il ribollire delle onde agitate dal Serpente infernale contro la tua barca, o Pietro. 

In piedi! Sorgi! Trasmetti quest'ordine ai tuoi successori:"Mano al timone, sferza sui naufraghi che hanno voluto naufragare, e tentano di far naufragare la barca di Dio". Colpisci, ma salva e procedi. Sii severo, perchè sui predoni giusto è il castigo. Difendi il tesoro della fede. Tieni alto il lume come un faro sopra le onde sconvolte, perchè quelli che seguono la tua barca vedano e non periscano. Pastore e nauta per i tempi tremendi, raccogli, guida, solleva il mio Vangelo perchè in questo e non in altra scienza è la salute. Verranno i tempi nei quali, così come avvenne da noi d'Israele e ancor più profondamente, il Sacerdozio crederà d'essere classe eletta perchè sa il superfluo e non conosce più l'indispensabile, o lo conosce nella morta forma con cui ora conoscono i Sacerdoti la Legge: nella vesta essa, esageratemente aggravata di frange, ma non nel suo spirito. Verranno i tempi nei quali tutti i libri si sostituiranno al Libro, e questo sarà solo usato così come uno, che deve forzatamente usare un oggetto, lo maneggia meccanicamente, così come un contadino ara, semina, raccoglie senza meditare sulla meravigliosa provvidenza che è quel moltiplicarsi di semi che ogni anno si rinnovella: un seme gettato in terra smossa che diviene stelo, spiga, poi farina e poi pane per paterno amore di Dio. (omissis)

In verità vi dico che come il Padre e Creatore moltiplica le stelle perchè non si spopoli il cielo per quelle che, finita la loro vita, periscono, così ugualmente Io dovrò evangelizzare cento e mille volte dei discepoli che spargerò fra gli uomini e fra i secoli. E anche in verità vi dico che la sorte di questi sarà simile alla mia: la sinagoga e i superbi li perseguiteranno come mi hanno perseguitato.

Ma tanto Io che essi abbiamo la nostra ricompensa: quella di fare la Volontà di Dio e di servirlo sino alla morte di croce perché la sua gloria risplenda e la sua conoscenza non perisca. Ma tu, Pontefice, e voi, Pastori, in voi e nei vostri successori vegliate perchè non si perda lo spirito del Vangelo e instancabilmente pregate lo Spirito Santo perchè in voi si rinnovelli una continua Pentecoste - voi non sapete ciò che voglio dire, ma presto lo saprete - onde possiate comprendere tutti gli idiomi e discernere  e scegliere le mie voci da quelle della Scimmia di Dio: Satana.

E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future. Ognuna di esse è una misericordia mia in vostro aiuto, e tanto più numerose saranno quanto più per ragioni divine Io vedrò che il Cristianesimo ha bisogno di esse per superare le burrasche dei tempi.
Pastore e nauta, Pietro! Pastore e nauta. Non ti basterà un giorno esser pastore se non sarai nauta, ed esser nauta se non sarai pastore. Questo e quello dovrai essere per tenere radunati gli agnelli che tentacoli infernali e artigli feroci cercheranno di strapparti o menzognere musiche di promesse impossibili ti sedurranno, e per portare avanti la barca presa da tutti i venti del settentrione e del mezzogiorno e dell'oriente e dell'occidente, schiaffeggiata e sbattuta dalle forze del profondo, saettata dagli arcieri della Bestia, sbruciacchiata dall'alito del dragone, e spezzata sui bordi dalla sua coda, di modo che gli imprudenti saranno arsi e periranno precipitando nell'onda sconvolta.

Pastore e nauta nei tempi tremendi...E tua bussola il Vangelo. In esso è la Vita e la Salute. E tutto è detto in esso. Ogni articolo del Codice santo, ogni risposta per i casi molteplici delle anime, sono in esso. E fa che da esso non si scostino Sacerdoti e fedeli. Fa che non vengano dubbi su esso. Alterazioni di esso. Sostituzioni e sofisticazioni di esso. Il Vangelo è Me stesso. Dalla nascita alla morte. Nel Vangelo è Dio. Perché in esso sono manifeste le opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Il Vangelo è amore. "La mia Parola è Vita". Ho detto:"Dio è carità".

Conoscano dunque i popoli la mia Parola e abbiano l'amore in loro, ossia Dio. Per avere il Regno di Dio. Perché chi non è in Dio non ha in se la Vita. Perché quelli che non accoglieranno la Parola del Padre non potranno essere una sola cosa col Padre, con Me e con lo Spirito Santo in Cielo, e non potranno essere del solo Ovile che è santo così come Io voglio. Non saranno tralci uniti alla Vite perché chi respinge in tutto o parte al mia Parola è un membro nel quale più non scorre la linfa della Vite. La mia Parola è succo che nutre, fa crescere e portare frutto.
Tutto questo farete in memoria di Me che ve l' ho insegnato. Molto ancora avrei da dirvi su quanto ho detto ora. Ma Io ho soltanto gettato il seme. Lo Spirito Santo ve lo farà germogliare. Ho voluto darvi Io il seme perché conosco i vostri cuori e so come titubereste di paura per comandi spirituali, immateriali. La paura di un inganno vi paralizzerebbe ogni volontà. Perciò Io per il primo vi ho parlato di tutte le cose. Poi il Paraclito vi ricorderà le mie parole e ve le amplificherà nei particolari. E voi non temerete perché ricorderete che il primo seme ve l' ho dato Io.

Lasciatevi condurre dallo Spirito Santo. Se la mia Mano era dolce nel guidarvi, la Sua Luce è dolcissima. Egli è Amore di Dio. Così Io me ne vado contento perché so che Egli prenderà il mio posto e vi condurrà alla conoscenza di Dio. Ancora  non lo conoscete nonostante tanto vi abbia detto di Lui. Ma non è colpa vostra. Voi avete fatto di tutto per per comprendermi e perciò siete giustificati se anche per tre anni avete capito poco. La mancanza della Grazia vi ottundeva lo spirito. Anche ora capite poco benché la Grazia di Dio sia scesa su di voi dalla mia croce. Avete bisogno del Fuoco.
Un giorno ho parlato di questo a un di voi, andando lungo le vie del Giordano. 
L'ora è venuta. Io me ne torno al Padre mio, ma non vi lascio soli perché lascio a voi l'Eucarestia ossia il vostro Gesù fatto cibo agli uomini. E vi lascio l'Amico: il Paraclito. Esso vi condurrà. Passo le vostre anime dalla mia luce alla sua Luce ed Egli compirà la vostra formazione.


 

venerdì 10 ottobre 2014

Sempre attuale!!!



Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati :

Fratelli, mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo voi passiate a un altro vangelo. Però non ce n’è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.

Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! 

Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!

Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.


sabato 30 agosto 2014

Leggiamo il Vangelo o Scrittura Sacra

 
Vangelo o Scrittura Sacra
1. Che cosa è la Sacra Scrittura?
2. Differenza tra l'antica e la nuova Legge. ­
3. Necessità della Scrittura o della Rivelazione.
4. I quattro Evangelisti. ­
5. Diversi sensi della Scrittura.
6. Antichità del Vangelo.
7. Eccellenza della Sacra Scrittura.
8. La Sacra Scrittura contiene la vera scienza.
9. Il Vangelo dà la vera libertà.
10. Santità del Vangelo.
11.Vantaggi della Sacra Scrittura.
12. Come bisogna leggere e studiare la Sacra Scrittura. ­
13. Mezzi per profittare della Sacra Scrittura.

1. CHE COSA È LA SACRA SCRITTURA? - Ci dicono S. Atanasio e S. Agostino, che S. Antonio chiamava la Sacra Scrittura «una lettera in­viata dal cielo agli uomini (August. in Psalm. XC)». Non altrimenti si esprime S. Gregorio Magno, che la chiama «un'epistola dell'Onnipotente alla sua creatura (Lib. IV, epist. LXXXIV)». 
E infatti, dice S. Cipriano, «lo Spirito Santo è colui che dettò e scrisse la Sacra Scrittura; i Profeti (gli Evangelisti, gli Apostoli) non erano che la mano, o meglio, la penna che vergava quello che lo Spirito Santo dettava (Serm. de Eleem)». Che cosa è il Vangelo? È il libro di Gesù Cristo; la filosofia di Gesù Cristo; la teologia di Gesù Cristo; è la preziosa, la buona novella della redenzione; è la grazia, la salute eterna del genere umano, arrecata al mondo da Gesù e concessa ai credenti.


2. DIFFERENZA TRA L'ANTICA E LA NUOVA LEGGE. - 


L'Antico Testamento è il Nuovo Testamento nascosto sotto figura; il Nuovo è l'Antico svelato e dichiarato. «Il Nuovo Testamento, dice S. Wilibaldo, è in confronto all'Antico, quello che è la luce in confronto dell'ombra, quello che è la verità in confronto della figura, l'anima in confronto del corpo, la vita in confronto di ciò che essa vivifica. Infatti, come il corpo riceve vita dall'anima, così le promesse dell'antico Testamento ricevettero la loro dichiarazione e il loro avveramento dalla verità manifestataci da Gesù Cristo nel Nuovo (in eius vita a Philipp. Episc.)».

La differenza fra l'antica e la nuova legge, consiste, 
1° nel loro autore; quella fu promulgata da Mosè e poi dai Profeti; questa fu dettata da Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo... 2° L'antica è meno perfetta della nuova... 3° L'antica non è che un'ombra della nuova; il Vangelo è la verità nel suo chiarore...4° La prima era legge di timore, la seconda è legge di amore... 5° La legge prometteva beni terreni e perituri; il Vangelo promette la grazia, il cielo e vi ci conduce... 6° La legge era giogo pesante e grave; il Vangelo è giogo dolce e leggero... 7° La legge era la via verso Gesù e il Vangelo; il Vangelo e Gesù Cristo sono il termine della legge (Rom. X, 4)... 8° La legge fu data ai soli Giudei; il Vangelo, a tutte le nazioni... 9° La legge era temporanea; il Vangelo durerà in eterno... 10° Quella era imperfetta; questo è perfetto, sia in ordine al dogma, sia in ordine alla morale... 11° L'antica legge era come una legge di schiavitù; la nuova è legge di libertà, di beneficenza universale, di carità... 12° La legge imponeva solamente dei comandi e non oltrepassava ciò che è conforme alla natura; il Vangelo dà precetti e consigli, insegna e insinua cose soprannaturali e divine... 13° La legge propone all'intelligenza il precetto puro e semplice; il Vangelo offre la grazia insieme con i precetti e i consigli, affinché si adempiano e gli uni e gli altri... 14° La legge non ha fatto nessun apostolo; il Vangelo ne ha prodotto moltissimi...


3. NECESSITÀ DELLA SCRITTURA o DELLA RIVELAZIONE. - 


«Oltre gli insegnamenti della filosofia è necessaria, dice S. Tommaso, alla sa­lute del genere umano, una certa dottrina insegnata da Dio (1.a l.ae q. art. 1)». Quest'insegnamento o rivelazione è necessaria per conoscere le cose che superano l'intelletto umano e le forze della natura. La rivelazione è anche necessaria, dice lo stesso Dottore, nelle cose stesse che la filosofia può scoprire con la luce naturale; poiché queste verità intravvedute dalla filosofia non si manifestano che ad un piccolo numero di uomini e solo dopo lunghi studi, e non mai scevre affatto di errori. Ci bisogna dunque una verità rivelata che diriga la filosofia, corregga gli errori e sia facilmente conosciuta da tutti, in modo positivo e certo. Ora, per questo, non è sufficiente la luce naturale.


4. I QUATTRO EVANGELISTI. - 


Con diversi simboli sono raffigurati i quattro Evangelisti, secondo la diversa indole della loro narrazione. 
S. Matteo viene rappresentato con accanto una testa d'uomo, perché racconta in modo speciale la vita di Gesù Cristo come uomo. 
Vicino a S. Marco si dipinge un leone, perché quest’Evangelista mette particolarmente in mostra la potenza e la sovranità di Gesù Cristo. 
S. Luca si appoggia a un bue, perché nel suo Vangelo Gesù ci compare sotto lo speciale titolo di vittima destinata a surrogare tutte le vittime antiche. 
S. Giovanni finalmente ha per emblema l'aquila, per dinotare che carattere suo speciale fu di penetrare fino nel seno del Padre, e di qui svelarci la divina origine di Gesù Cristo. S. Matteo dunque ci espone l'umanità del Salvatore; S. Marco, la sua sovranità; S. Luca, il suo sacerdozio; S. Giovanni, la divinità.


5. DIVERSI SENSI DELLA SCRITTURA. - 


Quattro sono i principali sensi contenuti nella Bibbia; il senso letterale che narra i fatti; l'allegorico che indica quello che si deve credere; il tropologico, o morale; che indica quello che si deve fare; l'anagogico che accenna quel che s'ha da sperare (*).

[ * Il Lirano ha compreso questi sensi nel seguente distico: - Littera gesta docet; quid credas, allegoria; - Moralis, quid agas; quid speres, anagogia]


La città di Gerusalemme, per esempio, nel significato letterale mostra la capitale della Giudea; nell'allegorico, figura la Chiesa di Gesù Cristo; nel morale, rappresenta l'anima fedele; nell’anagogico simboleggia la patria celeste. Si aggiunge comunemente un quinto senso che è l'accomodatizio o interpretativo. Si è liberi di servirsi di tutti questi sensi, purché non si offenda né il dogma, né la morale, né il culto approvati dalla Chiesa. Gravissimo delitto è poi sempre torcere a sensi nefandi o peggio, falsificare le Sacre Scritture. «Conserva, o Timoteo, scriveva S. Paolo, il buon deposito, per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi, schivando la profana novità dei vocaboli, e i cavilli di una scienza che non merita questo nome» (II, I, 14 - I, VI, 20).


6. ANTICHITÀ DEL VANGELO. - 


S. Paolo scrive: «Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato all'apostolato, eletto ad annunziare il Vangelo, già prima promesso da Dio per mezzo dei profeti nelle Sacre Scritture» (Rom. I, 1-2). Queste parole vogliono dire: Il Vangelo che io vi annunzio non è cosa nuova, né trovata da poco tempo, né inven­tata da me o da altri, ma è l'opera decretata da Dio fin dall'eternità. Perciò esso fu altre volte promesso da tutti i santi profeti, come cosa preziosa, salutare, certa, verissima, divina, annunziata, confermata e consolidata nel corso dei secoli; e in questo senso si deve intendere il detto di Cicerone: «La verità è figlia del tempo» - Temporis mia veritas (Offic.). E poi non è forse vero che l'antica legge conteneva in germe la nuova?...


7. ECCELLENZA DELLA SACRA SCRITTURA. - 


S. Paolo dice che il nostro Salvatore Gesù Cristo distrusse la morte e fece splendere la vita e l'incorruttibilità per mezzo del Vangelo... Infatti ogni scrittura inspi­rata da Dio è utile a insegnare, a riprendere, a correggere, ad istruir nella giustizia; affinché l'uomo di Di,o sia perfetto, e atto ad ogni opera buona (II Tim. I, 10), (Ibid. III, 16-17)... La Sacra Scrittura è un largo fiume, su le cui sponde verdeggiano alberi vigorosi ed altissimi, che sono i Santi.

Di lei, e particolarmente del Vangelo, Dio dice: «Ascolta, o po­polo, la legge uscirà dalla mia bocca; la mia giustizia illuminerà i popoli e si poserà in mezzo a loro» (ISAI. XLI, 4). La legge evangelica è chiamata giustizia, perché offre agli uomini la giustificazione, affinché vivano nella giustizia, nella pietà, nella santità. E chiamata giustizia, perché chi la riceve è giudicato degno del cielo e chi la ri­getta è da lei condannato all'inferno... Così ricca, così preziosa, così ben diretta è dallo Spirito Santo la Sacra Scrittura, che si confà a tutti i luoghi, a tutti i tempi, a tutte le persone; aiuta a superare le difficoltà, i pericoli, le malattie; a scacciare i mali, a procacciare i beni, a spegnere gli errori, a distruggere i vizi, a far fiorire ogni sorta di virtù.


Perciò non vi è da stupire se S. Giovanni Crisostomo scriveva: «La Sacra Scrittura è il regno dei cieli, ossia la beatitudine alla quale conduce; Gesù Cristo, nostra ragione e nostro verbo, ne è la porta; i sacerdoti ne sono i portinai; la chiave è parola della scienza; l'a­pertura è l'interpretazione fedele della medesima (In Catena)». Ugo da S. Vit­tore la celebra come il libro della vita, la cui origine viene dall'es­senza eterna e spirituale; scrittura indelebile, vista desiderabile, dot­trina facile, scienza dolce, profondità incommensurabile, unione di tutte le verità, le quali però ne formano fra tutte una sola (Tract. de Arca Noe). Anche l'abate Ruperto osserva che questo libro della Sacra Scrittura è uno solo, ed è per ciò che porta tal nome; è un solo ed unico libro, perché scritto da un solo Spirito; perché è il tesoro, il tabernacolo della parola di Dio che è una (In Etich.)».


8. LA SACRA SCRITTURA CONTIENE LA VERA SCIENZA. -


La Sacra Scrittura è di tutti i libri il più perfetto, di tutte le scienze la più certa, la più augusta, la più efficace, la più saggia, la più utile, la pIù solida, 1a più necessaria, la più estesa, la più sublime. È la sola necessaria, perché è la parola di Dio. Non è Mosè che parla, ma Dio: non sono i patriarchi e i profeti che parlano, ma è Dio. Non sono gli Evangelisti, gli Apostoli che parlano, ma è Dio. Ora Dio possiede ogni scienza e la possiede immune da ogni errore... 
La verità del Vangelo consiste principalmente in tre cose: 1° nella sincera conoscenza di Dio; 2° nella conoscenza della incarnazione e della redenzione; 3° nella conoscenza della vera felicità.

Il grande Apostolo, dopo di aver detto che Dio ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo (I Timoth. I, 10), esorta Timoteo a stare saldo nelle cose che aveva appreso e che gli erano state confidate, ben sapendo da chi le avesse imparate; e gli ricorda come fin da ragazzo avesse conosciuto le sacre lettere che possono istruirlo a sa­lute, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù (II Id. III, 14-15). «Il giudizio di Dio illuminerà i popoli», pro­fetava Isaia (LI, 4). La legge evangelica, a cui alludono queste parole, è chiamata giudizio, perché ci insegna quali siano i pensieri e i giudizi di Dio; ci manifesta quello che piace o dispiace a Dio, quello che approva o che condanna.


«Come bambini neonati, cercate il latte spirituale, dice S. Pietro, affinché vi faccia crescere a salute» (1 PETR. II, 2). L'Apo­stolo ci ordina di succhiare del continuo, dalle mammelle della Chiesa nostra santa madre, il latte della dottrina evangelica per istruirei e nutrirci e crescere nella sapienza e nella sanità spirituale. E sapete voi perché questa dottrina è chiamata tale? 1° per indicarne la soavità e la dolcezza...; 2° perché nutre e ingrassa l'anima, come il latte materiale nutre e ingrassa il corpo...; 3° perché purifica l'anima e la rende candida come il latte...; 4° perché è schietta, semplice e naturale come il latte...; 5° il latte è il cibo più appetitoso per i bambini; toglie loro la voglia di altri cibi e procura un dolce sonno; cosi la dottrina di Gesù Cristo forma le delizie dell'anima, la, calma, l'acquieta, e la rende felice nella verità... Sapere e conoscere la Sacra Scrittura, è dunque lo stesso che possedere la scienza della verità e della felicità, la scienza delle scienze.


Ma se a tutti i fedeli importa essere ammaestrati delle sacre carte, è debito tutto speciale di coloro che hanno l'ufficio di dispensarla, l'esserne istruiti a fondo. A loro dice il Signore: «Amate la luce della sapienza, voi tutti che presiedete ai popoli» (Sap. VI, 23). Scorrete i campi deliziosi della Scrittura e come l'ape, cogliete e riponete nell'alveare della vostra memoria i vari odorosissimi fiori del Vecchio e Nuovo Testamento; il giglio della castità, l'oliva della carità, la rosa della pazienza, i grappoli della perfezione spirituale... Tutta la teologia è fondata su la Santa Scrittura; poiché la teologia non è altro che la scienza delle conclusioni ricavate dai principi certi della fede. Da ciò si vede chiaramente che la Sacra Scrittura getta le basi della teo­logia; basi e principi sui quali il teologo forma e dispone le sue dimostrazioni per mezzo del ragionamento.


La Sacra Scrittura contiene in certo qual senso tutto lo scibile umano; abbraccia le scienze naturali e soprannaturali; fa conoscere l'essenza divina medesima con i suoi attributi... La Sacra Scrittura parla del principio delle cose, dell'ordine della natura, di Dio e dei suoi attributi, dell'immortalità dell'anima, della vera uguaglianza, della fraternità, delle pene, delle ricompense, di tutto ciò che esiste; e ne discorre in modo più esatto, più solido, più sublime di quello che non saprebbero fare tutti gli scienziati uniti insieme. S. Basilio dà per regola, che qualunque cosa facciamo o diciamo, procuriamo di appoggiarla su la testimonianza delle divine Scritture, a confor­mazione della fede dei buoni e a confusione dei malvagi (In Etich. Reg. XXVI, c. I).


S. Vincenzo Ferreri, che tante strepitose conversioni ottenne in Francia, in Italia, in Ispagna, in Germania, con le sublimi e commoventi sue prediche, non portava con sé altro libro che la Bibbia, e nient'altro predicava che la Bibbia (In Vita). S. Antonio da Padova citava così spesso e spiegava così bene la Sacra Scrittura, la insegnava e predicava con tanta eloquenza e forza, che il Sommo Pontefice lo chiamò col nome di Arca del Testamento (In Vita).


La Sacra Scrittura è l'arca del Testamento; in essa stanno chiuse tutte le meraviglie, tutte le scienze, tutte le perfezioni. Dobbiamo portare questo libro con gran rispetto, cioè leggerlo, studiarlo, ascol­tarlo con molto desiderio e profonda riverenza. «La continua medita­zione della Sacra Scrittura, fa dell'anima l'arca del Testamento ­», dice Cassiano (Collat.); e S. Gerolamo ci esorta ad avere in noi l’arca del Testamento; ad essere i custodi della legge di Dio, i cherubini della scienza; cosicché il nostro spirito meriti il nome di oracolo (Epist.).


9. IL VANGELO DÀ LA VERA LIBERTÀ. - «Chi mirerà addentro nella legge perfetta della libertà, scrive S. Giacomo, e in essa persevererà, non essendo uditore smemorato, ma fattore di opere, questi nel suo fare sarà beato » (IAC. I, 25). 

1° La legge evangelica è la legge perfetta, la legge di libertà e non di servitù qual era la legge antica. La libertà della legge evangelica dataci da Cristo ci libera dai precetti legali e cerimoniali, ma non dai morali, cioè dal Deca­logo; poiché questa legge non obbliga in quanto è legge promulgata da Mosè, ma in quanto è legge di natura, sanzionata da Dio e rinno­vata da Gesù Cristo... 
2° Essa libera dal peccato e dalla potestà del demonio e dell'inferno... «La sola vera libertà agli occhi di Dio, è la libertà dal peccato», dice S. Gerolamo (Lib. sup. Matth.). 3° Questa legge libera dalla corruzione e dal timore; di modo che possiamo adempire la legge evangelica, non per timore della vendetta, ma per amore della giu­stizia. I Cristiani non sono schiavi come i Giudei, ma sono figli di Dio..


10. SANTITÀ DEL VANGELO. -

La santità del Vangelo consiste: 1° nell'esenzione da ogni errore...; 2° nel culto del vero Dio...; 3° nell’amore e non nel timore servile...; 4° nella dottrina di salute che contiene...; 5° il Vangelo conduce egli medesimo alla santità ed alla perfezione... Nessuno diventa e nessuno è veramente santo, se non a proporzione dell'esattezza con cui osserva il Vangelo; più si osserva, e più si cresce in santità.


11. VANTAGGI DELLA SACRA SCRITTURA. - 


Secondo la bella osservazione di S. Agostino, quando preghiamo, noi parliamo a Dio; ma quando leggiamo le divine Scritture, Iddio medesimo parla con noi (Serm. XCII, de Temp.); per­ ciò il medesimo Santo diceva: «Le tue sacre pagine, o Signore, for­mano le mie caste delizie; seguendo loro, né posso ingannarmi, né
ingannare (Confess. lib. II, c. II)». Che prezioso vantaggio non è quello di aver sem­pre tra le mani i Libri sacri, di leggere e rileggere a nostro piaci­mento quelle lettere divine che Dio medesimo ci ha consegnato e che sono i testimoni incorruttibili e certi della volontà divina! O dolce e salutare cosa è mai quella di consultare Dio, e consultarlo sovente!... Per la pratica del Vangelo, gli uomini diventano re; acquistare una sovranità non effimera, non terrena, non faticosa, ma durevole, ce­leste, piena di soavità e di consolazioni.


S. Agostino ci assicura che ogni malattia dell'anima trova nella Sacra Scrittura il farmaco conveniente (Epistad Votusian.); S. Basilio la chiama una farmacia aperta a tutti e provvista di ogni genere di rimedi effica­cissimi per qualunque sorta di mali (Homil. in Psalm. I). 
Si, la Bibbia è un tesoro immenso, una farmacia fornitissima di tutto ciò che conviene ai vari tempi, e luoghi, e bisogni, e malori della gente. Essa infuse il coraggio e diede la costanza ai martiri; essa formò i dottori istruendoli e ren­dendoli atti ad istruire gli altri. Essa è la luce della sapienza, il fiume dell'eloquenza, il martello dell'eresia; essa insegna a stare bassi e umili nella prosperità, grandi nell'avversità, laboriosi e vigilanti nelle tentazioni; essa riforma i costumi e li conserva intatti; dà vita e nu­trimento alle virtù; arresta, sradica, distrugge, ogni radice di vizio; essa è, in una parola, via, verità e vita.


12. COME BISOGNA LEGGERE E STUDIARE LA SACRA SCRITTURA. - 


S. Giovanni Evangelista racconta che vide nella destra di colui che stava assiso sul trono, un libro scritto dentro e fuori, e chiuso con sette sigilli (Apoc. V, l). Qual è questo libro chiuso da sette sigilli? Moltissimi Dottori insegnano che esso è la Sa­cra Scrittura; e nel primo sigillo vedono la profondità della Scrittura in se stessa; nel secondo, la molteplicità dei sensi che racchiude; nel terzo, la varietà delle figure; nel quarto, la sublimità della dottrina; nel quinto, l'oscurità dei misteri; nel sesto, la soavità del senso tropologico; nel settimo, l'ineffabile e trasparente verità mescolata alle cose misteriose... Gesù Cristo ha aperto questo libro suggellato, quan­do, prima di salire al cielo, diede ai suoi Apostoli l'intelligenza delle Scritture (Luc. XXIV, 45). Li confermò in quest'intelligenza e l'accrebbe in loro quan­do mandò sopra di loro lo Spirito Santo.

La Sacra Scrittura è un oceano senza fondo; sublimi, profondi, impenetrabili all'ingegno umano sono i suoi molteplici sensi; di ma­niera che S. Agostino esclamava: Mirabile è la profondità delle vostre Scritture, o Signore; esse non si possono considerare senza timore: timore di rispetto e timore di amore. Altrove confessava essere nella Sacra Scrittura molte più le cose ch'egli ignorava, che non quelle che sapeva (Epist. CXIX). Perciò con grande diffidenza di noi medesimi, e non senza la scorta di eruditi e provati interpreti, dobbiamo imprendere la lettura e lo studio dei libri divini. «Nella Sacra Scrittura, l'umile agnello, secondo la frase di S, Gregorio, nuota; il superbo elefante si annega (Praefat. in lib. mor., c. VI)». 

S. Gerolamo attesta di se medesimo che fin da fan­ciullo non aveva mai cessato dal leggere e dal consultare i dotti, e non si era mai fidato ai suoi lumi. E' alla fine si era recato in Ales­sandria a trovare Didimo, perché lo illuminasse e gli sciogliesse tutte le difficoltà che trovava nelle Sacre Scritture (praefat. in Epl, ad Eph.). Altrove, cioè nella lettera a Paolino, il medesimo santo Dottore ricorda come Paolo Apo­stolo si riteneva onorato di avere imparato la legge di Mosè e i Pro­feti ai piedi di Gamaliele.

Ruffino cosi parla dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno: Questi due nobili giovani, i più eruditi di Atene, e stretti in amicizia da tre­dici anni, messi da parte tutti i libri profani dei Greci, fecero loro unica occupazione lo studio delle Sacre Scritture, e ne cercavano l'intelligenza non nel loro ingegno, ma negli autori più dotti e più accreditati, e da quelli che discendevano dagli Apostoli (Histor. 1. II, c. IX). Dimostravano così in se medesimi il contegno del vero saggio il quale, come dice l'Ecclesiastico, interroga la sapienza di tutti gli antichi, studia continuamente nei Profeti; fa tesoro dei detti degli uomini; cerca di penetrare il senso delle parabole e di scoprire il senso occulto dei Proverbi (Eccli. XXXIX, 1-3). Fra gli interpreti poi della Sacra Scrittura si devono preferire quelli che alla dottrina accoppiano la santità, perché, come dice S. Gerolamo, «la vita dei Santi è interpreta­zione vivente della Scrittura» (Ep. ad Paulin.). L'esempio degli eretici ci sta dinanzi a mostrarci in quali scogli rompe e in quali errori precipita chi, non secondo l'interpretazione approvata dalla Chiesa, ma a proprio talento, si mette a studiare i Sacri Libri.


La Sacra Scrittura si deve leggere con profondo rispetto: vi erano anticamente nelle chiese due tabernacoli, l'uno dirimpetto all'altro: in uno si conservava la santissima Eucaristia, nell'altro la Bibbia. Prova palpabile ed evidente della riverenza grandissima ed infinita in cui la Chiesa ha sempre tenuto e l'Eucaristia e i Libri Sacri. San Carlo Borromeo non leggeva mai la Sacra Scrittura se non in ginoc­chio e a capo scoperto (In Vita).


13. MEZZI PER PROFITTARE DELLA SACRA SCRITTURA. - l° Bisogna leggere la Sacra Scrittura spessissimo...; 2° leggerla con umiltà...; 3° con purità di cuore...; 4° accompagnare la lettura con la preghiera...; 5° consultare uomini di scienza e di pratica, svolgere buoni commentari. Ecco i mezzi necessari per raccogliere abbondanti frutti dalla lettura e dalla meditazione dei Libri Sacri... Senza la scienza della Bibbia, acquistata per questa via, non si possono dare buoni e zelanti predicatori, veri apostoli.


Lo studio, l'amore al lavoro, il ricorso a Dio sono mezzi indispen­sabili a chi vuol trarre dalla lettura della Sacra Scrittura il profitto che se ne deve aspettare. «Se piacerà al Signore, dice l'Ecclesiastico, egli lo riempirà dello spirito d'intelligenza; e allora questi ti spargerà come pioggia le parole della sua sapienza e confesserà il Signore con la preghiera. Iddio ne dirigerà i consigli e le determinazioni, ed esso indagherà i segreti del Signore. Pubblicherà le lezioni che ha rice­vuto, ed avrà gloria nella legge dell'alleanza di Dio. Il popolo encomierà la sua sapienza; e questa sua sapienza non cadrà mai in oblio (Eccli. XXXIII, 8-9). Quindi la meditazione, la preghiera, la lettura, il lavoro, l'umiltà, la purità, lo studio dei Padri, una condotta pia, sono le chiavi della Sacra Scrittura. Queste chiavi sono un dono del cielo; esse ci vengono da Dio, e a Dio ci conducono aprendoci il cielo (CHRYS. In Psalm.).


Non dimentichiamo poi quella massima di S. Gerolamo, che male si confanno alla spiegazione dei testi sacri le ricercatezze dell'elo­quenza mondana e i fiori di una rettorica tutta profana, ma a loro conviene soltanto l'erudizione e la semplicità del vero (proem. in lib. IIIComment. in Amos.), In questo argomento più che mai convengono quelle parole di Manilio: «Il tema non chiede, anzi sdegna ogni ornamento; di altro non ha bisogno che di essere messo in luce»; e quelle altre di Fabio: «Le grandi cose sono di lustro a se stesse; non si devono imbellettare per renderle amabili» (De Philos.).

venerdì 4 ottobre 2013

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C (da Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.)


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17, 5-10.

Gli apostoli dissero al Signore:
«Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?
Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?
Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.

1Il greto biancheggia infatti nella notte illune ma chiarissima di migliaia di stelle, di larghe, inverosimilmente larghe stelle di cielo d’Oriente. Non è il lume intenso come quello della luna, ma è già una fosforescenza dolce che permette, a chi ha l’occhio assuefatto al buio, di vedere dove cammina e ciò che lo circonda. Qui, alla destra dei viandanti che risalgono verso nord costeggiando il fiume, la mite luminosità stellare mostra il limite vegetale fatto di canneti, salici e poi alberi alti e, poiché è lume molto lieve, essi sembrano fare una muraglia compatta, continua, senza interruzione, senza possibilità di penetrazione, appena rotta là dove il letto di un ruscello o di un torrente, completamente disseccati, mette una riga bianca che si addentra verso oriente e scompare alla prima curva del minuscolo affluente ora asciutto. Alla sinistra, invece, i camminatori discernono il luccichio delle acque che scendono verso il mar Morto borbottando, sospirando, frusciando, quiete e serene. E fra la linea lucente delle acque d’indaco, nella notte, e la massa nero-opaca delle erbe, arbusti e alberi, la striscia chiara del greto, dove più larga, dove più stretta, talora interrotta da un minuscolo stagno, residuo della passata piena, ancora dotato di un poco d’acqua in via di riassorbimento e nel quale fanno ciuffo ancor verde le erbe che altrove sono disseccate nell’asciuttore del greto, certo ardente nelle ore di sole.

Gli apostoli sono costretti da questi piccoli stagni, oppure da grovigli di falaschi secchi ma pericolosi come lame al piede seminudo nei sandali, a separarsi ogni tanto per poi riunirsi in gruppo intorno al Maestro loro, che va col suo passo lungo, sempre maestoso, tacendo per lo più, con lo sguardo levato alle stelle più che curvato al suolo. Gli apostoli no, non tacciono. Parlano fra di loro, riepilogando gli avvenimenti della giornata, traendone conclusioni oppure prevedendone gli svolgimenti futuri. Qualche rara parola di Gesù, sovente detta per rispondere a una diretta domanda oppure per correggere qualche ragione storta o non caritativa, punteggia il chiacchiericcio dei dodici. E il cammino procede nella notte, ritmando il silenzio notturno di un elemento nuovo su quelle rive deserte: le voci umane e lo scalpiccio dei passi. E tacciono gli usignoli fra le fronde, stupiti che suoni discordi e aspri si mescolino, turbando, all’abituale rumore delle acque e delle brezze, soliti accompagnamenti ai loro a-soli virtuosi. 


2Ma una domanda diretta, non concernente ciò che è stato ma ciò che deve avvenire, rompe con la violenza di una ribellione, oltre che col tono più acuto delle voci agitate da sdegno o da ira, la pace non solo della notte ma quella più intima dei cuori. Filippo domanda se e fra quanti giorni saranno alle loro case. Un latente bisogno di riposo, un non detto ma sottinteso desiderio di affetti famigliari è nella semplice domanda dell’apostolo già anzianotto, che è marito e padre oltre che apostolo, che ha degli interessi da curare… 
Gesù sente tutto questo e si volge a guardare Filippo, si ferma per attenderlo, essendo Filippo un poco indietro con Matteo e Natanaele, e avutolo vicino lo cinge con un braccio dicendogli: «Presto, amico mio. Però chiedo alla tua bontà un altro piccolo sacrificio, sempre che* tu non ti voglia separare prima da Me…».

 
«Io? Separarmi? Mai!». 
«E allora… ti allontano di ancor qualche tempo da Betsaida. Io voglio andare a Cesarea Marittima passando per la Samaria. Al ritorno andremo a Nazaret e resteranno con Me quelli che sono senza famiglia in Galilea. Poi, dopo qualche tempo, vi raggiungerò a Cafarnao… E là vi evangelizzerò per farvi più ancora capaci. Ma se tu credi che la tua presenza a Betsaida sia necessaria… va’ pure, Filippo. Ci ritroveremo là…». 
«No, Maestro. È più necessario stare con Te! Ma sai… È dolce la casa… e le figlie… Penso che non le avrò molto con me in futuro… e vorrei godere un poco della loro casta dolcezza. Ma se devo scegliere fra loro e Te, scelgo Te… e per più motivi…» termina sospirando Filippo. 
«E bene fai, amico. Perché Io ti sarò tolto prima delle figlie tue…». 
«Oh! Maestro!…» dice con pena l’apostolo. 
«Così è, Filippo» termina Gesù baciando sulla tempia l’apostolo. 



3Giuda Iscariota, che ha borbottato fra i denti da quando Gesù ha nominato Cesarea, alza la voce come se vedere il bacio dato a Filippo gli facesse perdere il controllo delle sue azioni. E dice: «Quante cose inutili! Io non so proprio che necessità ci sia di andare a Cesarea!», e lo dice con un’irruenza piena di bile; pare voglia sottintendere: «e Tu che ci vai sei uno stolto». 
«Non sei tu che devi giudicare delle necessità delle cose che facciamo, ma il Maestro» gli risponde Bartolomeo. 
«Sì, eh? Quasi che Lui vedesse chiare le necessità naturali!». 
«Ohè! Sei folle o sei sano? Sai di chi parli?» gli chiede Pietro scuotendolo per un braccio. 
«Non sono folle. Sono l’unico che ho il cervello sano. E so ciò che mi dico». 
«Belle cose che dici!», «Prega Dio che non te le calcoli!», «La modestia non ti è amica!», «Si direbbe che hai paura che ti si possa conoscere per quel che sei, andando a Cesarea» dicono insieme e rispettivamente Giacomo di Zebedeo, Simone Zelote, Tommaso e Giuda d’Alfeo. 
L’Iscariota si rivolta verso quest’ultimo: «Non ho nulla da temere e voi non avete nulla da conoscere. Ma io sono stanco di vedere che si passa di errore in errore e ci si rovina. Urti coi sinedristi, dispute coi farisei. Ora ci mancano i romani…». 

«Come? Ma se non sono due lune che tu eri esaltato di gioia, eri sicuro, eri, eri, eri… tutto eri perché avevi amica Claudia!» osserva ironico Bartolomeo che, essendo il più… intransigente, è quello che solo per ubbidienza al Maestro non si ribella a contatti con i romani. 
Giuda resta per un momento ammutolito perché la logica della ironica domanda è evidente e, a meno di non apparire illogici, non si può smentire ciò che si era detto prima. Ma poi si riprende: «Non è per i romani che dico questo. Voglio dire per i romani come nemici. Esse, perché in fondo non sono che quattro donne romane, quattro, cinque, sei al massimo, esse ci hanno promesso aiuto e lo daranno. 4Ma è perché ciò aumenterà l’astio dei nemici suoi, e Lui non lo capisce e…». 

«Il loro astio è completo, Giuda. E tu lo sai come Me e anche meglio di Me» dice calmo Gesù, calcando sul «meglio». 
«Io? Io? Che vuoi dire? Chi sa le cose meglio di Te?». 
«Or ora hai detto che tu solo conosci le necessità e il come usare in esse…» gli ribatte Gesù. 
«Ma per le cose naturali, sì. Io dico che Tu conosci le cose spirituali meglio di tutti». 
«Ciò è vero. Ma appunto ti dicevo che tu conosci meglio di Me le cose, brutte se vuoi, avvilenti se vuoi, naturali, quali l’astio dei miei nemici, quali i loro propositi…». 
«Io non so nulla! Nulla so io. Lo giuro sulla mia anima, su mia madre, su Jeové…». 


«Basta! È detto di non giurare» intima Gesù con una severità che pare indurirgli persino i tratti del volto in una perfezione di statua. 
«Ebbene non giurerò. Ma mi sarà lecito dire, perché non sono uno schiavo, che non è necessario, che non è utile, che è anzi pericoloso andare a Cesarea, parlare con le romane…». 
«E chi ti dice che ciò avverrà?» chiede Gesù. 
«Chi? Ma tutto! Tu hai bisogno di sincerarti di una cosa. Tu sei sulle peste di una…», si ferma comprendendo che l’ira lo fa troppo parlare. 

5Poi riprende: «Ed io ti dico che Tu dovresti pensare anche ai nostri interessi. Tu ci hai levato tutto. Casa, guadagni, affetti, tranquillità. Siamo dei perseguitati in causa tua e lo saremo anche dopo. Perché Tu, lo dici in tutti i modi, un bel momento te ne andrai. Ma noi restiamo. Ma noi resteremo rovinati, ma noi…».
 
«Tu non sarai perseguitato dopo che Io non sarò fra voi. Te lo dico Io, che sono la Verità. E ti dico che Io ho preso ciò che spontaneamente, insistentemente mi avete dato. Dunque non mi puoi accusare di avervi levato con prepotenza uno solo dei capelli che vi cadono quando li ravviate. Perché mi accusi?». Gesù è già meno severo, è adesso di una mestizia che vuoI ricondurre con dolcezza alla ragione, e credo che questa sua misericordia, così piena, così divina, sia freno agli altri che non l’avrebbero, no, per il colpevole. 
Anche Giuda sente questo e, con uno di quei bruschi trapassi della sua anima presa da due forze contrarie, si getta a terra colpendosi al capo, al petto e urlando: «Perché sono un demonio. Un demonio io sono. Salvami, Maestro, come salvi tanti indemoniati, Salvami! Salvami!». 
«Non sia inerte la tua volontà di esser salvato». 
«C’è. Lo vedi. Io voglio essere salvato». 
«Da Me. Pretendi che Io faccia tutto. Ma Io sono Dio e rispetto il tuo libero arbitrio. Ti darò le forze per giungere a “volere”. Ma volere non essere schiavo deve venire da te». 
«Lo voglio! Lo voglio! Ma non andare a Cesarea! Non andare! 

6Ascolta me come* hai ascoltato Giovanni quando volevi andare ad Acor. Abbiamo tutti gli stessi diritti. Ti serviamo tutti ugualmente. Tu hai l’obbligo di accontentarci per quello che facciamo… Trattami come Giovanni! Lo voglio! Che c’è di diverso fra me e lui?». 
«L’animo c’è! Mio fratello non avrebbe mai parlato come tu parli. Mio fratello non…». 
«Silenzio, Giacomo. Parlo Io. E a tutti. E tu alzati e procedi da uomo, quale Io ti tratto, non da schiavo gemente ai piedi del padrone. Sii uomo, posto che tanto ci tieni ad essere trattato come Giovanni, il quale, in verità, è da più di un uomo, perché è casto ed è saturo di Carità. Andiamo. È tardi. E all’alba voglio passare il fiume. A quell’ora rientrano i pescatori che hanno ritirato le nasse ed è facile trovare un traghetto. La luna nei suoi ultimi giorni alza sempre più il suo arco sottile. Possiamo, alla sua aumentata luce, andare più spediti. 

7Udite. In verità vi dico che nessuno deve vantarsi di fare il proprio dovere ed esigere per questo, che è un obbligo, speciali favori. 
Giuda ha ricordato che tutto mi avete dato. E mi ha detto che per questo Io ho il dovere di accontentarvi per quello che fate. Ma sentite un po’. Fra voi sono dei pescatori, dei possidenti di terra, più d’uno che ha un’officina, e lo Zelote che aveva un servo. Orbene. Quando i garzoni della barca, o gli uomini che come servi vi aiutavano nell’uliveto, vigneto, o fra i campi, o gli apprendisti dell’officina, o semplicemente il servo fedele che curava la casa e la mensa, finivano i loro lavori, voi vi mettevate forse a servirli? E così non è in tutte le case e le incombenze? Chi degli uomini, avendo un servo ad arare o a pascere, o un operaio nell’officina, gli dice quando finisce il lavoro: “Va’ subito a tavola”? Nessuno. Ma, sia che torni dai campi, come che abbia deposto gli arnesi del lavoro, ogni padrone dice: “Fammi da mangiare, ripulisciti, e con veste pulita e cinta servimi mentre io mangio e bevo. Dopo mangerai e berrai tu”. Né si può dire che ciò sia durezza di cuore. Perché il servo deve servire il padrone, né il padrone gli resta obbligato perché il servo ha fatto ciò che al mattino il padrone aveva ordinato. Perché, se è vero che il padrone ha il dovere di essere umano col proprio servo, così il servo ha il dovere di non essere infingardo e dilapidatore, ma di cooperare al benessere del padrone che lo veste e lo sfama. Sopportereste voi che i vostri garzoni di barca, i contadini, gli operai, il servo di casa, vi dicessero: “Servimi perché io ho lavorato”? Non credo. 
Così anche voi, guardando ciò che avete fatto e che fate per Me - e, in futuro, guardando ciò che farete per continuare la mia opera e continuare a servire il Maestro vostro - dovete sempre dire, perché vedrete anche che avete sempre fatto 
molto meno di quanto era giusto fare per essere a pari col molto avuto da Dio: “Siamo servi inutili, perché non abbiamo fatto che il nostro dovere”. Se così ragionerete, vedrete che non sentirete più pretese e malumori sorgere in voi, e agirete con giustizia». 
Gesù tace. Tutti riflettono.

 
8Pietro urta col gomito Giovanni, che riflette tenendo gli occhi celesti fissi sulle acque che dal color indaco passano ad un argento azzurro per la luna che le tocca, e gli dice: «Chiedigli quando è che uno fa più che il suo dovere. Vorrei giungere a fare di più del mio dovere, io…». 
«Io pure, Simone. Pensavo proprio a questo» gli risponde Giovanni col suo bel sorriso sulle labbra, e chiede forte: «Maestro, dimmi: l’uomo tuo servo non potrà mai fare più del suo dovere, per dirti con questo “più” che ti ama completamente?». 
«Fanciullo, Dio ti ha dato tanto che, per giustizia, ogni tuo eroismo sarebbe sempre poco. Ma il Signore è così buono che misura ciò che gli date non con la sua misura infinita. Lo misura con la misura limitata della capacità umana. E quando vede che avete dato senza parsimonia, con una misura colma, traboccante, generosa, allora dice: “Questo mio servo mi ha dato più di quanto era suo dovere. Perciò Io gli darò la superabbondanza dei miei premi”». 
«Oh! come sono contento! Io allora ti darò misura straripante per avere questa sovrabbondanza!» esclama Pietro. 
«Sì. Tu me la darai. Voi me la darete. Tutti quelli che sono amanti della Verità, della Luce, me la daranno. E con Me saranno soprannaturalmente felici».

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Recordare nostri, Domina. Succurre nobis in fine

giovedì 3 ottobre 2013

4 ottobre: SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO D'ASSISI, Patrono d'Italia



4 OTTOBRE
SAN FRANCESCO D'ASSISI,  CONFESSORE


La conformazione a Cristo.
Nella lettera ai Romani l'Apostolo san Paolo ci dà la regola di ogni santità con le parole: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagines Filii sui..." (Rom 8,29). Conformarci al divino modello, che si chiama Gesù.. È la conformità al Figlio di Dio, acquistata con la virtù, che fa i santi.

Celebriamo oggi un Santo, che fu copia ammirabile di Cristo Gesù, che il Sommo Pontefice Leone XIII chiama il più bello dei santi, che Papa Pio XI ci presenta come il santo che pare aver meglio compreso il Vangelo e conformata la vita al divino modello.
San Francesco infatti è un altro Cristo. Ha cercato Cristo, lo ha seguito, lo ha amato, lo ha dato agli altri, Cristo Gesù è tutta la sua vita. Non ci fermiamo sulle tradizioni graziose che vogliono che Francesco sia nato in una stalla, come Gesù, e su un poco di paglia; noi lo vediamo, giovane, arrestarsi improvvisamente in mezzo ai suoi sogni di piaceri e di feste, mentre pensa ad imprese cavalleresche, perché il Cristo di S. Damiano gli parla: "Francesco, che cosa vale di più? Servire il padrone o il servitore?". Francesco è affascinato da queste parole, comincia una vita nuova, apre il Vangelo e vi cerca Cristo cui consacrarsi interamente.
 
Amore del Vangelo.
Egli fa del Vangelo il suo nutrimento e, trovandovi una celeste soavità, esclama: "Ecco quello che da molto tempo cercavo!". Il Vangelo è suo sostegno, sua consolazione, rimedio a tutte le sofferenze, nelle prove non vuole altro conforto e un giorno dirà ai suoi frati: "Sono saturo di Vangelo, sono pieno di Vangelo". Il Vangelo diventa sua vita e quando vuole dare ai suoi frati una regola, scrive nelle prime pagine: "La regola e la vita dei Frati Minori è questa: osservare il santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo".
Povertà.
Ma il Vangelo è la storia dell'abbassamento del Figlio di Dio fino a noi e del suo amore per le nostre anime, è il Cristo povero, umile, piccolo, compassionevole e misericordioso, il Cristo Apostolo, il Cristo che ci ama e muore per noi. San Francesco, che lo ha scelto come regola di vita, lo vive alla lettera. Sull’esempio di Gesù, egli abbraccia la povertà e, davanti al Vescovo di Assisi si spoglia delle sue vesti, le restituisce al padre dicendo: "Adesso potrò veramente dire: Padre nostro, che sei nei cieli". E comincia la sua vita di povertà, povertà gioiosa e tutta piena di sole, non la povertà gelosa e afflitta, che troppo spesso vediamo nel mondo, povertà volontaria e amata. Va a tendere la sua mano delicata per le vie di Assisi ed è respinto come se fosse un pazzo, ma resta l'amante della povertà e, al momento della morte, è sua consolazione suprema essere stato fedele a "Madonna Povertà".
 
Umiltà.
Il Vangelo è Gesù Cristo umile e piccolo: parvus Dominus, il Grande piccolo Gesù, come lo chiama san Francesco. Egli medita questo insegnamento e si fa "l’umile Francesco", come lo chiamo l'autore dell'Imitazione. Si considera l'ultimo degli uomini, il più vile peccatore, e soffrire, essere disprezzato è per lui gioia perfetta e dà ai suoi figli il nome di Minori, cioè piccoli.
 
Misericordia.
Il Vangelo è Gesù Cristo compassionevole e misericordioso e, sul suo esempio, il cuore di Francesco è tutto pieno di misericordia. San Bonaventura, scrivendo la sua vita, ci dice: "La benignità, la bontà del nostro Salvatore Gesù Cristo è apparsa nel suo servo Francesco". Egli stesso, all'inizio del suo testamento, scrive: "Il Signore mi fece la grazia di cominciare a fare penitenza, perché quando ero nel peccato mi sembrava troppo amaro vedere dei lebbrosi, ma fui verso di loro misericordioso e quello che mi pareva amaro diventò per me dolcezza dell'anima e del corpo".
Francesco era misericordioso verso tutti i miseri e alla Tribuna del Parlamento italiano gli fu resa questa testimonianza: "Se san Francesco di Assisi non ha fondato istituzioni di carità, ha versato nel mondo tale una corrente di carità, che dopo sette secoli, nessuna opera di carità è stata fondata senza che egli ne sia stato ispiratore".
 
Apostolato.
Il Vangelo è Gesù Cristo apostolo. Egli è venuto perché gli uomini sentissero la parola di vita e con quale amore lascia cadere dal suo labbro le sue intenzioni divine! E Francesco, sulle orme di Cristo, si fa apostolo, traccia nell'aria il segno della Croce e manda i suoi discepoli ai quattro angoli del mondo. Egli ha capito bene le parole di Gesù: "Andate e insegnate a tutte le nazioni". Primo fra tutti i fondatori di Ordini moderni, manda i suoi figli nelle regioni infedeli e quando, dopo qualche mese, viene a sapere che cinque di essi hanno colto, nel Marocco, la palma del martirio, esclama con gioia: "Finalmente ho dei Vescovi!" I suoi vescovi erano i martiri. Dopo aver fondata l'opera sua, non sogna per sé che di offrire a Gesù la testimonianza del sangue e tre volte passa i mari, va a predicare Cristo fino alla presenza del Sultano infedele, ma Dio gli riserva un altro martirio per il giorno in cui gli manderà un Angelo a incidergli nelle sue carni le piaghe del divino Crocifisso.
 
Il dono di sé.
Il Vangelo è Gesù, che si dona e si immola e, come Gesù, Francesco si dona a sua volta. "Questo povero, piccolo uomo, dice san Bonaventura, non aveva che due cosa da offrire: il suo corpo e la sua anima". Dona a Dio il suo corpo con la penitenza e sappiamo come egli trattasse il suo corpo. Aveva diviso l'anno in nove quaresime successive, si contentava di pane secco e si rifiutava anche l'acqua necessaria alla sua sete, per non cedere alla sua sensualità. Era suo letto la terra nuda, suo cuscino un tronco di quercia e, tormentato spesso da malattie, ringraziava il Signore perché non lo risparmiava. Chiedeva a Dio di soffrire cento volte di più, se era sua volontà. Dava poi a Dio la sua anima con la preghiera e con lo zelo.
Ma san Francesco non è soltanto discepolo fedele di Cristo, perché copia la vita e le virtù del Maestro, ma è soprattutto il Santo dell'amore serafico. Egli è entrato nel Cuore di Gesù, ha compreso il Cuore di Gesù e gli rende amore per amore.
 
Amore dell’Eucaristia.
Con l'amore del Vangelo, un altro amore consuma il cuore di Francesco: l'amore dell'Eucaristia! Il mistero eucaristico era fatto apposta per  attirare la sua anima serafica! Un Dio disceso dal cielo per salvarci, fattosi carne in forma umana e morto sul Calvario come un delinquente, si abbassa ancora fino a prendere la forma di una piccola ostia, per unirsi a noi e farsi nostro cibo; un Dio, che, dopo la follia della Croce, giunge alla follia dell'Eucaristia e sta imprigionato nel tabernacolo, per attenderci e per riceverci, è un mistero ineffabile, che desta l'ammirazione delle anime amanti. Francesco, il grande amante del Vangelo, in cui trovava la parola vivente ed eterna di Gesù, il grande amante della Croce, in cui vede l'amore sacrificato, ama pure l'ostia dove è l'amore vivente, l'amore che si dona, l'amore che attira e trasforma le anime generose e pure! Per l'ostia egli corre a riparare i tabernacoli, per l'ostia va per le campagne a ripulire e ornare le chiese povere e abbandonate, per l'ostia dimentica la povertà e manda i frati a disporre sugli altari vasi d'oro e d'argento, per l'ostia si prostra lungo la via, quando vede spuntare la guglia di un campanile e passa ore davanti al tabernacolo, tremante per il freddo, in adorazione e in amore. Fa celebrare la Messa tutti i giorni e con fervore si comunica tutti i giorni.
In un'epoca in cui spesso il sacerdozio è avvilito, ricorda ai sacerdoti la loro grandezza. "Il vedo in essi il Figlio di Dio" e si mette in ginocchio davanti al sacerdote, e gli bacia le mani. Egli, il piccolo diacono, che si giudica indegno di salire l'altare, scrive a cardinali, a vescovi, a principi: "Vi prego, miei signori, baciando le vostre mani, fate in modo che il Corpo di Gesù sia trattato degnamente e da tutti debitamente rispettato". E Francesco prepara all'ostia anime adoratrici, circonda di anime vergini il tabernacolo con le Clarisse e ciborio, giglio, corona di spine diventano le armi di S. Damiano.
Vangelo, Croce, Eucaristia sono i grandi amori, che formano l'anima di Francesco, il segreto della sua azione nella Chiesa. Dopo aver cercato Gesù, dopo aver vissuto di Lui, dopo averlo amato, Francesco poteva attendere la morte, senza averne paura,. La grande Teresa d'Avila, mentre stava per morire esclamava: "È tempo di vederci, Gesù mio!". Francesco, nelle stese circostanze, si mette a cantare: "Voce mea ad Dominum clamavi, ad Dominum deprecatus sum. Chiamo il Signore con tutta la mia voce e prego il mio Signore". "Me exspectant iusti... I giusti mi attendono, essi vogliono essere testimoni della ricompensa che Dio mi darà" (Sal 140,1).
Quale incontro sarà quello dell'anima di Francesco con il Signore! Ricordiamo il quadro del Murillo, che ci presenta Cristo mentre stacca un braccio dalla croce e attirà a sé l'umile Francesco, per stringerlo al cuore. È questa la morte di Francesco. Con uno slancio sublime l'anima sua si getta tra le braccia di Dio e va a godere l'amore, che non ha fine.

VITA. - Francesco nacque ad Assisi nel 1182 e fin dalla giovinezza si mostrò caritatevole verso i poveri. Una malattia fu l'inizio di una vita di perfezione e risolvette di dare tutto quanto possedeva. Suo padre pretese la rinuncia all'eredità e Francesco rinunciò volentieri, spogliandosi tosto anche degli abiti che indossava. Fondò con alcuni compagni l'Ordine dei Frati Minori, che ebbe l'approvazione di Papa Innocenzo III. Francesco mandò i suoi religiosi a predicare dappertutto ed egli stesso, desideroso del martirio, partì per la Siria, ma avendo raccolto soltanto onori, tornò in Italia dove fondò presso la Chiesa di S. Damiano un Ordine di vergini, sotto la direzione di santa Chiara, e il Terz'Ordine, per dare anche alle persone viventi nel mondo un mezzo efficace di santificazione nella pratica delle virtù religiose. Nel 1224, mentre pregava sul monte Alvernia, gli apparve un serafino, che impresse nel suo corpo le piaghe di Crocifisso, in segno dell'amore che il santo nutriva per il Signore. Due anni dopo Francesco, molto ammalato, si fece portare alla chiesa di S. Maria degli Angeli e vi morì dopo aver esortato i suoi frati Minore ad amare la povertà, la pazienza e a difendere la fede della Chiesa Romana. Gregorio IX, che lo aveva conosciuto profondamente, lo iscrisse poco appresso nel catalogo del Santi.

Preghiera di san Francesco.
"Grande e magnifico Dio, mio Signore Gesù Cristo! Io ti supplico di darmi luce, di rischiarare le tenebre dell'anima mia. Dammi fede retta, speranza sicura, carità perfetta. Concedimi, o Signore, di conoscerti bene, per poter in tutte le cose agire nella tua luce secondo la tua volontà".

La Chiesa in rovina.
Così tu pregavi spesso e a lungo davanti al Crocifisso della vecchia chiesa di S. Damiano. E un giorno dal Crocifisso scese una voce che solo il tuo cuore poteva percepire e diceva: "Va', Francesco, ricostruisci la mia casa, che sta per crollare". E tu, tremante e felice insieme, rispondesti: "Andrò con gioia, o Signore, a fare quanto mi chiedi!".
La casa che stava per crollare era senza dubbio la vecchia e solitaria cappella di S. Damiano, ma il Signore pensava soprattutto alle rovine, accumulatesi nel corso degli ultimi secoli nella sua Chiesa.

L'Ordine dei Minori.
Il Papa, che lo aveva compreso, approvò l'Ordine dei Minori, che con il suo fervore, il suo amore per la povertà, lo zelo apostolico, non solo avrebbe riparato le rovine della Chiesa di Cristo, ma sarebbe andato a  costruire nuove cristianità nelle terre infedeli, col sangue dei migliori suoi figli.
Dalla gloria del cielo, dove il Signore ti concede ora così grande e gloriosa ricompensa, degnati, o san Francesco, di non dimenticare la Chiesa per cui non hai risparmiato fatiche.
Aiuta i tuoi figli, che proseguono l'opera tua nel mondo intero, e possano essi crescere in numero e in santità, prodigandosi sempre nell'insegnamento con la parola e con l'esempio.
Prega per tutto lo stato religioso, che acclama in te uno dei suoi Patriarchi illustri e tu, amico di san Domenico, mantieni tra le due famiglie quella fraternità, che non venne mai a mancare, conserva per l'Ordine Benedettino i sentimenti, che sono in questo giorno la tua gioia, stringendo ancora e legami, che il dono della Porziuncola ha annodato per l'eternità con i tuoi benefici (Porziuncola era una piccola proprietà dei Benedettini del Monte Subasio, ceduta a san Francesco, per essere la culla del suo Ordine).

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, Alba, 1959, p. 1138-1144