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giovedì 17 luglio 2014

Festa Humilitatis B. Mariæ V.


Die 17 Julii
Humilitatis B. Mariæ V.

Introitus. Sedulius
Salve, sancta Parens, eníxa
puérpera Regem:
qui cælum terrámque
regit in sǽcula sæculórum. (T.P.
Allelúja, allelúja.) Ps. 44, 2. Eructávit
cor meum verbum bonum:
dico ego ópera mea Regi. ℣. Glória
Patri.

Oratio. Deus, qui humilia réspicis et
alta a longe cognóscis: da
fámulis tuis humilitátem beátæ
Maríæ semper Vírginis puro
corde sectári; quæ virginitáte
placuit, humilitáte concépit
Dóminum nostrum Jesum Christum,
Fílium tuum: Qui tecum
vivit et regnat.

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli. 24, 11-13 et 15-20. In ómnibus requiem quæsívi,
et in hereditáte Dómini
morábor. Tunc præcépit et dixit
mihi Creátor ómnium: et qui
creávit me, requiévit in tabernáculo
meo, et dixit mihi: In Jacob
inhábita, et in Israël hereditáre,
et in eléctis meis mitte radíces.
Et sic in Sion firmáta sum, et
in civitáte sanctificáta simíliter
requiévi, et in Jerúsalem potéstas
mea. Et radicávi in pópulo
honorificáto, et in parte Dei mei
heréditas illíus, et in plenitúdine
sanctórum deténtio mea. Quasi
cedrus exaltáta sum in Líbano,
et quasi cypréssus in monte Sion;
quasi palma exaltáta sum in
Cades, et quasi plantátio rosæ
in Jéricho; quasi olíva speciósa
in campis, et quasi plátanus
exaltáta sum juxta aquam in
platéis. Sicut cinnamómum et
bálsamum aromatízans odórem
dedi: quasi myrrha elécta dedi
suavitátem odóris.

Graduale. Benedícta et venerábilis
es, Virgo María: quæ sine
tactu pudóris invénta es Mater
Salvatóris. ℣. Virgo, Dei Génetrix,
quem totus non capit orbis,
in tua se clausit víscera factus
homo.

Allelúja, allelúja. ℣. Post partum,
Virgo, invioláta permansísti:
Dei Génetrix, intercéde pro
nobis. Allelúja.

Tempore Adventus, loco Versus præcedentis,
dicitur:
Allelúja, allelúja. ℣. Luc. 1, 28.
Ave, María, grátia plena; Dóminus
tecum: benedícta tu in
muliéribus. Allelúja.

Post Septuagesimam, omissis Allelúja et
Versu sequenti, dicitur:
Tractus. Gaude, María Virgo,
cunctas hǽreses sola interemísti.
℣. Quæ Gabriélis Archángeli
dictis credidísti. ℣. Dum Virgo
Deum et hóminem genuísti:
et post partum, Virgo, invioláta
permansísti. ℣. Dei Génetrix,
intercéde pro nobis.

Tempore autem Paschali omittitur Graduale,
et ejus loco dicitur:
Allelúja, allelúja. ℣. Virgo. Dei
Génetrix, quem totus non capit
orbis, in tua se clausit víscera
factus homo. Allelúja. ℣. Post
partum, Virgo, invioláta permansísti:
Dei Génetrix, intercéde
pro nobis. Allelúja.

✠ Sequéntia sancti Evangélii
secúndum Lucam. 
Luc. 1, 26-38. In illo témpore: Missus est
Angelus Gábriël a Deo in
civitátem Galilǽæ, cui nomen
Názareth, ad Vírginem desponsátam
viro, cui nomen erat Joseph,
de domo David, et nomen
Vírginis María. Et ingréssus
Angelus ad eam, dixit: Ave,
grátia plena; Dóminus tecum:
benedícta tu in muliéribus. Quæ
cum audísset, turbáta est in sermóne
ejus: et cogitábat, qualis
esset ista salutátio. Et ait Angelus
ei: Ne tímeas, María, invenísti
enim grátiam apud Deum:
ecce, concípies in útero et páries
fílium, et vocábis nomen ejus Jesum.
Hic erit magnus, et Fílius
Altíssimi vocábitur, et dabit illi
Dóminus Deus sedem David,
patris ejus: et regnábit in do-
mo Jacob in ætérnum, et regni
ejus non erit finis. Dixit autem
María ad Angelum: Quómodo
fiet istud, quóniam virum non
cognósco? Et respóndens Angelus,
dixit ei: Spíritus Sanctus
supervéniet in te, et virtus Altíssimi
obumbrábit tibi. Ideóque
et quod nascétur ex te Sanctum,
vocábitur Fílius Dei. Et ecce,
Elísabeth, cognáta tua, et ipsa
concépit fílium in senectúte
sua: et hic mensis sextus est
illi, quæ vocátur stérilis: quia
non erit impossíbile apud Deum
omne verbum. Dixit autem
María: Ecce ancílla Dómini, fiat
mihi secúndum verbum tuum.

Credo.

Offertorium. Luc. 1, 28 et 42. Ave,
María, grátia plena; Dóminus
tecum: benedícta tu in muliéribus,
et benedíctus fructus ventris
tui. (T.P. Allelúja.)

Secreta. Hæc oblátio, quǽsumus, Dómine,
intercedénte beáta
Vírgine Dei Genetríce María,
veræ nobis humilitátis grátiam
obtíneat: simúlque a córdibus
nostris concupiscéntiam carnis
et oculórum atque ambitiónem
sǽculi áuferat; quaténus sóbrie,
juste piéque vivéntes, prǽmia
consequámur ætérna. Per eúndem
Dóminum nostrum.

Præfatio de B. Maria Virg. Et te in Festivitáte.

Communio. Beáta víscera Maríæ
Vírginis, quæ portavérunt
ætérni Patris Fílium. (T.P. Allelúja.)

Postcommunio. Hujus, Dómine, sacraménti
percéptio peccatórum nostrórum
máculas abstérgat: et,
gloriósæ beátæ Maríæ semper
Vírginis intercessióne, per humilitátis
viam ad supérna nos regna
perdúcat. Per Dóminum.
____________
<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

sabato 21 dicembre 2013

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A : San Matteo 1,18-24.

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto. 
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore. 
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino. 
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto. 
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino. 

Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.” 
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora. 
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?” 
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce. 
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.” 
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...” 
“Oh! no! Non hai mancato!” 
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.” 
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.” 
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?” 
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.” 

Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe. 
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?” 
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.” 
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...” 
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”. 
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...” 

“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”. 
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui. 


Dice Maria SS.ma
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo. 
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo. 
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore. 
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto? 
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole. 
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui. 
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende. 
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

giovedì 5 dicembre 2013

LA « TEOLOGIA » DI MARIA - 6 -


LA « TEOLOGIA » DI MARIA È VERA CONOSCENZA DI SÉ 
PERCHÉ VERA CONOSCENZA DI DIO

Secondo Agostino tutta la teologia si riduce a due conoscenze, la conoscenza di Dio e la conoscenza di se stessi: Noverim te, noverìm me (Solil., II, 1) Una conoscenza unica che verte su due oggetti tra loro complementari e relativi: causa ed effetto, Creatore e creatura, principio d'azione e atto, seme della pianta e pianta, radice e albero, albero e frutto, eccetera. 

Ogni vera teologia deve portare alla conoscenza di questi due poli dell'essere. Solo quando una teologia non è vera — e nel corso dei tempi (non esclusi i nostri) esempi di teologia non vera si ebbero a iosa — questi due poli dell'essere, o in alto riguardo a Dio, causa dell'essere, o in basso riguardo all'uomo, si presentano in una ambiguità e confusione talmente vaste da addirittura scoraggiare chiunque volesse affrontarne lo studio e la conoscenza.

Maria ha avuto il privilegio di conoscere Dio e di conoscere se stessa più di chiunque altro sulla terra.
Essa conosce Dio per fede, e conosce se stessa per l'umiltà. Anzi, conosce Dio con una fede umile, quindi autentica, quindi ferma come una roccia, quindi totale, senza crepe, senza scosse, assoluta.

E nella conoscenza di Dio vede se stessa. Maria procede per fede, non per visioni vere o presunte. Essa conosce il timore, soffre per la comprensione limitata, sente la deficienza umana in sé e intorno a sé. Quello che separa Maria da tanti teologi di ieri e di oggi è la fede umile, la prontezza del sì alla volontà di Dio e la costanza nel rendere questo sì efficiente e vero: cioè la conoscenza e la vita, la teoria sempre sposata alla pratica.

Il sì di Maria, sgorgato dalla fede, era stato il perno della svolta nella storia della salvezza. Tutti i cieli e tutta la terra germogliarono di bellezza per la nascita di un Bambino. Per quel Bambino fu possibile il rinnovamento del mondo. Per quel Bambino la Chiesa divenne una realtà e il Regno di Dio sulla terra una speranza per l'umanità peccatrice.

Tutto questo perché Maria, scientemente e volontariamente, era entrata a collaborare ai piani di Dio come serva e agente dello Spirito Santo.
Eppure nessuno più di Maria ebbe la scienza concreta e pratica del proprio nulla.

Ella sa bene che tutto il suo essere, sia naturale che soprannaturale, ricadrebbe nel nulla se Dio non lo sostenesse istante per istante. Sa che tutto ciò che è, tutto ciò che ha, tutto ciò che sa, non è suo ma di Dio, puro frutto della sua liberalità. La grande missione, i grandi privilegi ricevuti dall'Altissimo non Le impediscono di vedere e di sentire la sua « bassezza ».

Ma ciò, lungi dallo sgomentarla o scoraggiarla, come spesso accade a chi considera e conosce la propria nullità e miseria, le serve di punto d'appoggio per slanciarsi in Dio con un rapido movimento di speranza. Anzi, quanto più è consapevole del suo nulla e della sua impotenza, tanto più la sua anima s'innalza nella speranza. Proprio perché Essa è vera povera di spirito, non ha alcuna fiducia nelle sue risorse, nelle sue capacità, nei suoi meriti. Maria ripone in Dio solo la sua fiducia. E Dio che « ricolma di beni gli affamati e rimanda vuoti i ricchi », ha saziato e sazia anche la sua « fame »; ha esaudito la sua speranza non solo riempiendola dei suoi doni, ma donandosi a Lei nel modo più pieno

(GABRIELE DI S. MARIA MADDALENA, Intimità divina, Roma 1964, 608).


DIGNARE ME LAUDARE TE VIRGO SACRATA 
DA MIHI VIRTUTEM CONTRA HOSTES TUOS
Cantare Te, Vergine Santa, è per me un onore. Fa che le mie
labbra impure non siano troppo indegne di questo canto.
Dammi forza contro i Tuoi e i miei nemici.

venerdì 18 gennaio 2013

1. L'umiltà di Maria


Fondamento e custode delle virtù 


1. L'umiltà di Maria


« L'umiltà è fondamento e custode delle virtù », dice san Bernardo, e con ragione. Senza umiltà, infatti, non vi può essere alcun'altra virtù in un'anima. Anche se essa possiede tutte le virtù, tutte verranno meno se viene meno l'umiltà. 
Al contrario, come san Francesco di Sales scrisse alla beata suor Giovanna di Chantal, Dio ama tanto l'umiltà, che subito accorre dove la vede. Questa bella virtù così necessaria era sconosciuta nel mondo, ma il Figlio stesso di Dio venne ad insegnarla sulla terra con il suo esempio e volle che specialmente in essa noi cercassimo d'imitarlo: « Imparate da me che sono mite ed umile di cuore » (Mt 11,29). 

Come fu la prima e più perfetta discepola di Gesù Cristo in tutte le virtù, così Maria lo fu anche nell'umiltà, per cui meritò di essere esaltata sopra tutte le creature. 
Fu rivelato a santa Metilde che la prima virtù esercitata dalla Vergine fin dalla fanciullezza fu l'umiltà. Il primo atto dell'umiltà di cuore è avere un basso concetto di sé. Maria ebbe sempre un così basso concetto di se stessa, come fu ugualmente rivelato a santa Metilde, che, pur vedendosi arricchita di grazie più degli altri, non si mise mai al di sopra di nessuno.

 Spiegando quel passo del Cantico dei cantici: « Mi hai ferito il cuore, sorella mia sposa... con un solo capello del tuo collo » (Ct 4,9 Volg.), l'abate Ruperto dice che questo capello del collo della sposa fu appunto l'umile concetto che Maria ebbe di sé, con cui ferì il cuore di Dio; « che cosa c’è infatti più sottile di un capello? ». Non già che la santa Vergine si stimasse peccatrice, perché l'umiltà è verità, come dice santa Teresa, e Maria sapeva di non aver mai offeso Dio. Non che non confessasse di aver ricevuto da Dio maggiori grazie di tutte le altre creature, perché un cuore umile ben riconosce i favori speciali del Signore per umiliarsi ancor più; ma la divina Madre, alla luce più grande che aveva per conoscere l'infinita grandezza e bontà del suo Dio, conosceva meglio la sua piccolezza. Perciò si umiliava più di ogni altro e con la sposa del Cantico dei cantici diceva: « Non guardate che io sono bruna, perché mi ha abbronzato il sole » (Ct 1,5). San Bernardo commenta: « In confronto al suo splendore, mi trovo nera ». Infatti, dice san Bernardino, « la Vergine aveva sempre un rapporto attuale con la divina maestà e con il proprio niente ». 
Come una mendicante, se indossa una ricca veste che le è stata donata, non se ne insuperbisce, ma nel vederla tanto più si umilia davanti al suo donatore perché più si ricorda della sua povertà, così Maria, quanto più si vedeva arricchita, tanto più si umiliava, ricordandosi che tutto era dono di Dio. La Vergine stessa disse alla benedettina santa Elisabetta: « Sappi che io mi ritenevo la creatura più spregevole e indegna della grazia 
di Dio ». 

San Bernardino afferma: « Come nessuna creatura, dopo il Figlio di Dio, s'innalzò sulle vette della grazia quanto Maria, così nessuna creatura scese più in basso nell'abisso dell'umiltà » Inoltre è atto di umiltà nascondere i doni celesti. Maria volle tacere a san Giuseppe la grazia di essere divenuta Madre di Dio, anche se pareva necessario informarlo, per dissipare i sospetti che lo sposo poteva avere sulla sua onestà vedendola incinta, o almeno per liberarlo dal turbamento. San Giuseppe infatti, non potendo dubitare della castità di Maria e d'altra parte ignorando il mistero, « decise di rimandarla in segreto » (Mt 1,19); e, se l'angelo non gli avesse rivelato che la sposa aveva concepito per opera dello Spirito Santo, l'avrebbe lasciata.

Inoltre l'umile rifiuta le lodi per sé e le riferisce tutte a Dio. Maria si turbò nel sentirsi lodare dall'angelo Gabriele e quando santa Elisabetta le disse: « Benedetta tu fra le donne... A che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?... Te beata che hai creduto... » (Lc 1), la Vergine, attribuendo tutte quelle lodi a Dio, rispose con l'umile cantico: « L'anima mia magnifica il Signore ». Come se dicesse: Elisabetta, tu lodi me, ma io lodo il Signore a cui solo è dovuto l'onore. Tu ammiri che io venga a te; io ammiro la divina bontà: « il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore ». Tu mi lodi perché ho creduto; io lodo il mio Dio che ha voluto esaltare il mio niente: « perché ha considerato la bassezza della sua serva » (Lc 1,46-48). 
Maria disse a santa Brigida: « Perché mi umiliavo tanto e ho meritato tanta grazia, se non perché ho saputo e pensavo di non essere e di non avere niente? Perciò non volli la mia lode, ma soltanto quella del donatore e del creatore». 
Parlando dell'umiltà di Maria, sant'Agostino esclama: « O beata umiltà, che donò Dio agli uomini, aprì il paradiso e liberò le anime dagli 
inferi ». 
E’ proprio degli umili il servire, e Maria non esitò ad andare a servire Elisabetta per tre mesi. Dice dunque san Bernardo: « Elisabetta si meravigliava che Maria fosse venuta, ma ancor più si stupisca che sia venuta non per essere servita, ma per servire ». 

Gli umili se ne stanno in disparte e si scelgono il posto peggiore. Perciò Maria, osserva san Bernardo, quella volta che Gesù stava predicando in una casa (Mt 12), desiderava parlargli ma non volle « interrompere il discorso di suo Figlio con la sua autorità di madre e non entrò nella casa in cui egli parlava ». Per la stessa ragione, stando nel cenacolo con gli apostoli, Maria volle mettersi all'ultimo posto. Leggiamo in san Luca: 
« Tutti questi perseveravano concordi nella preghiera, assieme con le donne e con Maria, madre di Gesù » (At 1,14). Non che san Luca non conoscesse i meriti della divina Madre, per cui avrebbe dovuto nominarla in primo luogo; ma poiché Maria si era messa all'ultimo posto nel cenacolo, dopo gli apostoli e le altre donne, san Luca menziona tutti i presenti secondo l'ordine in cui stavano collocati. E’ questo il pensiero di un autore. Dice san Bernardo: « Giustamente l'ultima è diventata la prima perché, pur essendo la prima di tutti, si comportava come se fosse 
l'ultima »
Infine gli umili amano le manifestazioni di disprezzo. Perciò non si legge che Maria fosse presente in Gerusalemme quando nella Domenica delle palme il Figlio fu ricevuto dal popolo con tanti onori. Invece al momento della morte di Gesù la Vergine non si astenne dal comparire in pubblico sul Calvario, affrontando il disonore di essere riconosciuta come madre del condannato, che moriva da infame con una morte infame. Maria disse a santa Bngida: « Che cosa c'è di più spregevole di essere considerata incapace, di avere bisogno di tutto e di credersi la più indegna di tutti? Tale, o figlia, fu la mia umiltà, questa la mia gioia e questa la mia volontà, perché non avevo altro pensiero che di piacere unicamente a mio Figlio ».

Alla venerabile suor Paola da Foligno fu dato in un'estasi di comprendere quanto fu grande l'umiltà della santa Vergine. Parlandone al suo confessore, la religiosa, piena di stupore, diceva: « Ah padre, l'umiltà della Madonna! Nel mondo non vi è neppure un minimo grado di umiltà in confronto a quella di Maria ». 

Una volta, il Signore fece vedere a santa Brigida due dame, una tutta fasto e vanità. « Questa, le disse, è la superbia. L'altra che vedi, con atteggiamento modesto, rispettosa verso tutti, con il pensiero rivolto unicamente a Dio e che si considera come un niente, è l'umiltà e si chiama Maria ». Dio volle in tal modo manifestarci che la sua beata Madre era così umile, che era l'umiltà stessa. E certo che per la nostra natura corrotta dal peccato non c'è forse, dice san Gregorio Nisseno, nessuna virtù più difficile da praticare che l'umiltà. Ma non c’è altra via: non potremo mai essere veri figli di Maria se non siamo umili. Dice san Bernardo: « Se non puoi imitare la verginità dell'umile, imita l'umiltà della Vergine ». Ella aborrisce i superbi, chiama a sé soltanto gli umili: « Chi è fanciullo venga a me » (Pro 9,4). 
Riccardo di san Lorenzo afferma: « Maria ci protegge sotto il mantello dell'umiltà ». 
La Madre di Dio stessa così parlò a santa Brigida: « Anche tu, figlia mia, vieni e nasconditi sotto il mio mantello; questo mantello è la mia 
umiltà ». Poi disse che la considerazione della sua umiltà è un buon mantello che riscalda. Ma come il mantello non riscalda se non chi lo porta, non solo con il pensiero, ma anche in opera, così, aggiunse, « la mia umiltà non giova, se non ci si sforza di imitarla. Perciò, figlia mia, rivestiti di questa umiltà ».

Quanto sono care a Maria le anime umili! San Bernardo scrive: « La Vergine riconosce e ama quelli che la amano ed è vicina a coloro che la invocano, specialmente a quelli che vede conformi a sé nella castità e nell'umiltà ». Perciò il santo esorta tutti coloro che amano Maria ad essere umili: « Sforzatevi di emulare questa virtù, se amate Maria ». Martino d'Alberro della Compagnia di Gesù per amore della Vergine era solito scopare il convento e raccoglierne le immondizie. Un volta, riferisce il padre Nieremberg, gli apparve la divina Madre e ringraziandolo gli disse: « Quanto mi è cara quest'azione fatta per amor mio!». 

Dunque, mia Regina, non potrò mai essere tuo vero figlio se non sono umile. Non vedi che i miei peccati dopo avermi reso ingrato verso il mio Signore mi hanno fatto diventare anche superbo? Madre mia, poni tu rimedio alla mia situazione: per i meriti della tua umiltà ottienimi di essere umile, divenendo così figlio tuo. Amen.

Maria Mater gratiæ,
Dulcis Parens clementiæ,
Tu nos ab hoste protege,
Et mortis hora suscipe.