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martedì 29 ottobre 2013

STRAVINCIAMO


SURSUM CORDA! IN ALTO I CUORI!


31 Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32 Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. 34 Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? 35 Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36 Proprio come sta scritto:

Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo trattati come pecore da macello.
37 Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori (= stravinciamo!per virtù di colui che ci ha amati. 38 Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, 39 né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Romani 8)



martedì 22 gennaio 2013

Diomede parla: «Fratelli, comprendo che è giunta l’ora del circo e della vittoria eterna. Per Agapito è già venuta. Per voi sarà domani. Siate forti, fratelli. Il tormento sarà un attimo. La beatitudine non conoscerà sosta. Gesù è con voi. Non vi lascerà neppure quando le Specie saranno consumate in voi. Egli non abbandona i suoi confessori. Ma con essi resta per riceverne senza un indugio l’anima lavata dall’amore e dal sangue. Andate. Pregate nell’ora della morte per i carnefici e per il vostro prete. Il Signore per mia mano vi dà l’ultima assoluzione. Non abbiate timore. Le anime vostre sono più candide di un fiocco di neve che scenda dal cielo.»


Sera dell’11 febbraio, ore 20.

<<Fra i miei spasimi vedo questi altri spasimi.
Una specie di pozzo circolare di una larghezza di pochi metri quadri. Avrà un
diametro di quattro, cinque metri al massimo, alto quasi altrettanto, senza
finestre. Una porta stretta, piccola, di ferro, è incassata nel muraglione di
quasi un metro di spessore. Al centro del soffitto un buco tondo, di un diametro
di un mezzo metro al massimo, serve per l’aerazione di questo pozzo che nel suo
pavimento, di suolo battuto, ha un altro buco dal quale sale fetore e gorgoglìo
d’acque profonde, come se vicino ci fosse un fiume o sotto passasse una cloaca
diretta al fiume.
Il luogo è malsano, umido, fetido. Le muraglie trasudano
acqua, il suolo è impregnato di materie schifose, perché comprendo che il buco
del soffitto fa da scolo ai rifiuti della cella soprastante.

In questo orrido carcere, in cui è una penombra folta che appena permette di
intravvedere l’essenziale, sono due persone. Una è coricata al suolo,
nell’umido, presso la parete, è incatenata per un piede. Ma non fa moto alcuno.
L’altro è seduto lì presso, col capo fra le mani. È vecchio, perché vedo il
sommo della testa calvo affatto.

Al di sopra, nell’altra cella, vi devono essere più persone, perché odo voci e
tramestìo. Voci di uomo e di donna. Voci di bimbi e di vecchi commiste a voci
fresche di giovinette e forti di adulti.
Cantano dentro per dentro (Espressione ricorrente e che signific: ogni tanto, di tanto in tanto) dei mesti inni che pur nella loro mestizia hanno un
che di tanta pace. Le voci risuonano contro le pareti spesse come in una sala
armonica. È molto bello l’inno che dice:

“Conducici alle tue fresche acque.
Portaci negli orti tuoi fioriti.
Dài la tua pace ai martiri
che sperano, che sperano in Te.

Sulla tua promessa santa
abbiam fondato la nostra fede.
Non deluderci, Gesù Salvatore,
perché abbiamo sperato in Te.

Ai martirî noi gioiosi andiamo
per seguirti nel bel Paradiso.
Per quella Patria tutto lasciamo
e non vogliamo, non vogliam che Te”.

Quando quest’ultimo canto si spegne lento, una luce si affaccia al buco e un
braccio si spenzola con una piccola lampadetta. Un volto d’uomo pure si
affaccia. Guarda. Vede che l’uomo coricato non fa moto e l’altro col capo fra le
mani non vede il lume, e chiama: “Diomede! Diomede! È l’ora”.
Il seduto sorge in piedi e trascinando la sua lunga catena viene sotto la
botola. “Pace a te, Alessandro”.
“Pace, Diomede”.
“Hai tutto?”.
“Tutto. Priscilla osò venire, travestita da uomo. Si è rasi i capelli per parere
un fossore. Ci ha portato di che celebrare il Mistero. Agapito che fa?”.
“Non si lamenta più. Non so se dorma o se sia spirato. E vorrei vedere... Per
dire su lui le preci dei martiri”.
“Ti caliamo la lampada. Attendi. Sarà gioia per lui avere il Mistero”.
Con un cordone di cinture annodate calano il fanaletto sino alle mani di Diomede
che, ora lo vedo bene, è un vecchio dal volto affilato e austero. Pallidissimo,
con pochi capelli, ha due occhi ancor splendidi di espressione. Nella sua
miseria di incatenato in quella fetida tana ha dignità di re.
Stacca il fanaletto dal cordone e va verso il compagno. Si china. Lo osserva. Lo
tocca. E apre le braccia, dopo aver posato la lampada al suolo, in un largo
gesto di commiserazione. Poi raccoglie le mani del cadavere, già quasi
irrigidite, e le incrocia sul petto. Povere mani gialle e scheletrite di vecchio
morto di stenti.
Si volge a chi attende presso il foro e dice:
Agapito è morto. Gloria sia al
martire della putrida fossa!”.
“Gloria! Gloria! Gloria al fedele al Cristo” rispondono quelli della cella
superiore.
“Calate per il Mistero. Non manca l’altare. Non più le sue mani, tese a far da
sostegno. Ma l’immoto petto che sino all’ultima ora ebbe palpiti per il Signore
nostro, Gesù”.

Viene calata una borsa di preziosa stoffa a da questa Diomede estrae un piccolo
lino, un pane largo e basso, un’anfora ed un piccolo calice. Prepara tutto sul
petto del morto, celebra e consacra dicendo le orazioni a memoria mentre quelli
di sopra rispondono. Deve essere nei primi tempi della Chiesa, perché la Messa è
su per giù come quella di Paolo nel Tullianum.
Quando la consacrazione è avvenuta, Diomede rimette nell’anfora il vino del
calice che è lievemente a brocca, forse scelto per questa funzione così, ripone
le Specie nella borsa e riporta tutto là dove il cordone attende di riportare di
sopra la borsa. Mentre questa sale, sollevata con precauzione, 
Diomede assolve i compagni. Il canto, quasi tutto di fanciulle, riprende dolcemente mentre i cristiani si comunicano.

Quando cessa, Diomede parla:

«Fratelli, comprendo che è giunta l’ora del circo e della vittoria eterna. Per
Agapito è già venuta. Per voi sarà domani. Siate forti, fratelli. Il tormento
sarà un attimo. La beatitudine non conoscerà sosta. Gesù è con voi. Non vi
lascerà neppure quando le Specie saranno consumate in voi. Egli non abbandona i suoi confessori. Ma con essi resta per riceverne senza un indugio l’anima lavata dall’amore e dal sangue. Andate. Pregate nell’ora della morte per i carnefici e per il vostro prete. Il Signore per mia mano vi dà l’ultima assoluzione. Non abbiate timore. Le anime vostre sono più candide di un fiocco di neve che scenda dal cielo.»

“Addio, Diomede!”, “Assistici, tu, santo, col tuo orare”, “Diremo a Gesù di
venire a prenderti”, “Ti precediamo per prepararti la via”, “Prega per noi”. I
cristiani si affacciano a turno al foro, salutano, sono salutati e scompaiono...
Per ultimo viene fatto risalire il fanaletto, e l’oscurità torna ancor più cupa
nell’antro in cui uno muore lentamente presso il già morto, fra il fetore e il
profondo fruscio delle acque sotterranee. Di sopra riprendono i canti lenti e
soavi.
Di mio non so dove avviene la scena. Direi a Roma, in tempi di persecuzione. Ma
quale sia la carcere non lo so. Come non so chi sia questo prete Diomede, dalla
figura tanto venerabile. Ma la visione per la sua tristezza mi colpisce ancora
di più di quella del Tullianum.>>

Domine Iesu,
Voca me, ut videam Te
Et in æternum fruar Te.
Amen.

giovedì 6 dicembre 2012

* NOVENA DELL'IMMACOLATA - 8 - : L'IMMACOLATA fu 'la ragione del perdono' concesso all'umanità colpevole.




La Mente suprema, che nulla ignora, prima che l'uomo fosse sapeva che l'uomo sarebbe stato di se stesso ladro e omicida. E poiché la Bontà eterna non ha limiti nel suo esser buona, prima che la Colpa fosse pensò il mezzo per annullare la Colpa. Il mezzo: Io. Lo strumento per fare del mezzo uno strumento operante: Maria.
E la Vergine fu creata nel Pensiero sublime di Dio.

Tutte le cose sono state create per Me, Figlio diletto del Padre. Io-Re avrei dovuto avere sotto il mio piede di Re divino tappeti e gioielli quale nessuna reggia ne ebbe, e canti e voci, e servi e ministri intorno al mio essere quanti nessun sovrano ne ebbe, e fiori e gemme, tutto il sublime, il grandioso, il gentile, il minuto è possibile trarre dal Pensiero di un Dio.

Ma Io dovevo esser Carne oltre che Spirito. Carne per salvare la carne. Carne per sublimare la carne, portandola in Cielo molti secoli avanti l'ora. Perché la carne abitata dallo spirito è il capolavoro di Dio, e per essa era stato fatto il Cielo. Per esser Carne avevo bisogno di una Madre. Per esser Dio avevo bisogno che il Padre fosse Dio.



Ecco allora Dio crearsi la Sposa e dirle: "Vieni meco. Al mio fianco vedi quanto Io faccio per il Figlio nostro. Guarda e giubila, eterna Vergine, Fanciulla eterna, ed il tuo riso empia questo empireo e dia agli angeli la nota iniziale, al Paradiso insegni l'armonia celeste. Io ti guardo. E ti vedo quale sarai, o Donna immacolata che ora sei solo spirito: lo spirito in cui Io mi beo. 



Io ti guardo e dò l'azzurro del tuo sguardo al mare e al firmamento, il colore dei tuoi capelli al grano santo, il candore al giglio e il roseo alla rosa come è la tua epidermide di seta, copio le perle dai tuoi denti minuti, faccio le dolci fragole guardando la tua bocca, agli usignoli metto in gola le tue note e alle tortore il tuo pianto. E leggendo i tuoi futuri pensieri, udendo i palpiti del tuo cuore, Io ho il motivo di guida nel creare. 

Vieni, mia Gioia, abbiti i mondi per trastullo sinché mi sarai luce danzante nel Pensiero, i mondi per tuo riso, abbiti i serti di stelle e le collane d'astri, mettiti la luna sotto i piedi gentili, fasciati nella sciarpa stellare di Galatea. Sono per te le stelle ed i pianeti. Vieni e godi vedendo i fiori, che saranno giuoco al tuo Bambino e guanciale al Figlio del tuo seno. Vieni e vedi creare le pecore e gli agnelli, le aquile e le colombe. Siimi presso mentre faccio le coppe dei mari e dei fiumi e alzo le montagne e le dipingo di neve e di selve, mentre semino le biade e gli alberi e le viti, e faccio l'ulivo per te, mia Pacifica, e la vite per te, mio Tralcio che porterai il Grappolo eucaristico. 

Scorri, vola, giubila, o mia Bella, e il mondo universo, che si crea d'ora in ora, impari ad amarmi da te, Amorosa, e si faccia più bello per il tuo riso, Madre del mio Figlio, Regina del mio Paradiso, Amore del tuo Dio".



LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!