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mercoledì 30 agosto 2017

La palabra es buena si brota del silencio.


1. Necesidad del silencio 
«Prestad oído y venid a mí; escuchad y vivirá vuestra alma» (Is 55,3) 

Presentar el silencio no es fácil. Hablar es un sin sentido porque el silencio es una práctica. Hay que ir por este camino de las no palabras sin adelantos, sin previsiones. Se puede decir, incluso, con ingenuidad, con pereza. 

Lo primero que hay que tener es una clara aceptación de la realidad del momento. Aceptar todo es lo importante para que aparezca la posibilidad del encuentro. Esto dará pie a que fluya lo que tiene que fluir. 

El silencio es una gran rebelión contra nuestro propio desorden. Es una rebelión contra el mundo interior. Se habla de rebeldía porque sospechamos que puede ser posible. Es una esperanza. Buscamos nuestra propia transformación atendiendo a nuestra propia profundidad íntima porque si Dios está dentro el reencontrarlo es nuestra tarea, nuestro derecho, nuestro deber. 

En mi propia aventura puedo advertir cómo las cosas del exterior me hipnotizan. Es posible que descubra cómo me dejo absorber por la superficie dejando la fuente interior desatendida. En el silencio se pueden romper los muros que nos separan de la vida. El silencio no es prisión. Es respirar libremente. Tengo que contactar con mi verdad interior porque todavía no sé lo que soy. En el silencio se puede disfrutar de uno mismo y gustarse. 

Pero puede ser costoso estar en rebeldía porque lo cotidiano es el constante movimiento y estar inmóvil nos resulta insoportable. Estamos llenos de gestos, de ruidos... Sólo el sospechar que se puede uno detener, sobresalta. Parar la actividad física y mental suele traer y crear un vacío insostenible. Cuando el silencio se hace presente se tiene la tentación de llenarlo cogiendo un libro, escuchando música... Todo con tal de no abrazar al silencio. Pero el silencio sólo es eso. Y es tan simple que aparece para vivirlo. 

 Por lo tanto, no es cuestión de leer ni de buscar soporte alguno que nos ayude a encontrarlo. Hay que enmudecer no solamente con la palabra. El reposo es absoluto. Una inmovilidad hasta celular. Nuestro cuerpo también tiene que permanecer quieto; así es como puede ocurrir lo impensable. 

Nuestro propio desorden ofrecerá resistencia al silencio. Tremenda resistencia. Ese sendero de nuestra agitación puede ser un camino precioso para el silencio. Es cuestión de saberlo de antemano y de no asustarse ante esta realidad porque desde ella misma encontraremos el camino. La mejor manera de pacificarse es dejar agotar nuestra agitación. 

Incorporar nuestro cuerpo al silencio es necesario porque nos llevará al reposo interior y a la paz. Muchas veces nuestro dolor físico se opondrá al silencio. Es bueno sentirlo porque este dolor puede ser el índice de nuestra falsedad, mentira, desasosiego, desamparo... 

El gesto hacia el silencio tiene que brotar cada día desde el corazón. Sin tensión, sin obligación, sin esperar ni tender a nada. Sólo así podremos ver cómo el silencio es nuestra verdad y nuestra salud. 

Cuando uno se sumerge en el silencio lo primero que, a veces, nos ocurre es que vemos desfilar sin parar las inquietudes de nuestras angustias. Nuestras complejidades, agresiones, luchas, errores...; pero no pasa nada, porque más allá estamos nosotros a salvo, puros y sin contaminación. Mi propia verdad habrá que recuperarla dentro. Estará esperándome en mi corazón. No hay nada que asuste. Todo es un sendero que se irá abriendo para llegar a nuestro corazón. Es necesario no dar marcha atrás en el silencio porque hay que llegar hasta el final. En esa tierra neutra se está bien, y ningún obstáculo me puede detener. Porque en realidad tengo que llegar a Dios y a mis propios y auténticos compromisos con la vida. Todo ello se consigue si labro mi propio corazón sin mirar atrás, sin pararme, sin detenerme
AMDG et BVM

lunedì 1 luglio 2013

San Pier Damiani

"E' importante anche per noi saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi"


CICLO DI CATECHESI SUI GRANDI SCRITTORI DELLA CHIESA DI ORIENTE ED OCCIDENTE NEL MEDIOEVO

UDIENZA GENERALE: IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Catechesi dell'udienza generale del 9 settembre 2009: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

UDIENZA DEL PAPA: SERVIZIO DI SKYTG24

Il Papa: riaffermare i principi etici alla base dell'economia

Il Papa alla Coldiretti: riaffermare i principi etici nell'economia (Radio Vaticana)

Benedetto XVI all'udienza generale: la Parola di Dio è la strada della vita (Radio Vaticana)

Il Papa: impariamo a fare silenzio, per ascoltare la voce di Dio (AsiaNews)

Il Papa: san Pier Damiani non ha temuto di denunciare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero (Sir)

Il Papa: Non lasciamoci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci di Gesù (Sir)

Il Papa: Guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo (Sir)

L’UDIENZA GENERALE, 09.09.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre - proveniente in elicottero dalla residenza estiva di Castel Gandolfo - ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del Medioevo, si è soffermato oggi su San Pier Damiani (1007-1072), monaco.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
Al termine, il Santo Padre è rientrato a Castel Gandolfo.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Pier Damiani

Cari fratelli e sorelle,

durante le catechesi di questi mercoledì sto trattando di alcune grandi figure della vita della Chiesa fin dalle sue origini.
Oggi vorrei soffermarmi su una delle più significative personalità del secolo XI, san Pier Damiani, monaco, amante della solitudine e, insieme, intrepido uomo di Chiesa, impegnato in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo. Nacque a Ravenna nel 1007 da famiglia nobile, ma disagiata. Rimasto orfano di ambedue i genitori, visse un’infanzia non priva di stenti e di sofferenze, anche se la sorella Roselinda si impegnò a fargli da mamma e il fratello maggiore Damiano lo adottò come figlio. Proprio per questo sarà poi chiamato Piero di Damiano, Pier Damiani.
La formazione gli venne impartita prima a Faenza e poi a Parma, dove, già all’età di 25 anni, lo troviamo impegnato nell’insegnamento.
Accanto ad una buona competenza nel campo del diritto, acquisì una raffinata perizia nell’arte del comporre – l’ars scribendi – e, grazie alla sua conoscenza dei grandi classici latini, diventò “uno dei migliori latinisti del suo tempo, uno dei più grandi scrittori del medioevo latino” (J. Leclercq, Pierre Damien, ermite et homme d’Église, Roma 1960, p. 172).
Si distinse nei generi letterari più diversi: dalle lettere ai sermoni, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi. La sua sensibilità per la bellezza lo portava alla contemplazione poetica del mondo.

Pier Damiani concepiva l'universo come una inesauribile “parabola” e una distesa di simboli, da cui partire per interpretare la vita interiore e la realtà divina e soprannaturale. 

In questa prospettiva, intorno all’anno 1034, la contemplazione dell’assoluto di Dio lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità. Ad edificazione dei monaci egli scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico.

Un particolare va subito sottolineato: l’eremo di Fonte Avellana era dedicato alla Santa Croce, e la Croce sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. “Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo”, afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: “Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo” (Ep, 9, 1).
Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l'intera storia della salvezza: “O beata Croce – egli esclama - ti venerano, ti predicano e ti onorano la fede dei patriarchi, i vaticini dei profeti, il senato giudicante degli apostoli, l’esercito vittorioso dei martiri e le schiere di tutti i santi” (Sermo XLVIII, 14, p. 304).

Cari fratelli e sorelle, l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza.

Per lo svolgimento della vita eremitica, questo grande monaco redige una Regola in cui sottolinea fortemente il “rigore dell’eremo”: nel silenzio del chiostro, il monaco è chiamato a trascorrere una vita di preghiera, diurna e notturna, con prolungati ed austeri digiuni; deve esercitarsi in una generosa carità fraterna e in un’obbedienza al priore sempre pronta e disponibile.
Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale.

In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come “parlatorio dove Dio conversa con gli uomini”. La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è “al culmine degli stati di vita”, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve “la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste” (Ep 18, 17; cfr Ep 28, 43 ss.). 

Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita.

San Pier Damiani, che sostanzialmente fu un uomo di preghiera, di meditazione, di contemplazione, fu anche un fine teologo: la sua riflessione sui diversi temi dottrinali lo porta a conclusioni importanti per la vita. Così, ad esempio, espone con chiarezza e vivacità la dottrina trinitaria utilizzando già, sulla scorta dei testi biblici e patristici, i tre termini fondamentali, che sono poi divenuti determinanti anche per la filosofia dell’Occidente, processio, relatio e persona (cfr Opusc. XXXVIII: PL CXLV, 633-642; e Opusc. II e III: ibid., 41ss e 58ss). Tuttavia, poiché l’analisi teologica del mistero lo conduce a contemplare la vita intima di Dio e il dialogo d’amore ineffabile tra le tre divine Persone, egli ne trae conclusioni ascetiche per la vita in comunità e per gli stessi rapporti tra cristiani latini e greci, divisi su questo tema. Pure la meditazione sulla figura di Cristo ha riflessi pratici significativi, essendo tutta la Scrittura centrata su di Lui.
Lo stesso “popolo dei giudei, - annota san Pier Damiani - attraverso le pagine della Sacra Scrittura, ha come portato Cristo sulle spalle” (Sermo XLVI, 15). Cristo pertanto, egli aggiunge, deve essere al centro della vita del monaco: “Cristo sia udito nella nostra lingua, Cristo sia veduto nella nostra vita, sia percepito nel nostro cuore” (Sermo VIII, 5). L’intima unione con Cristo impegna non solo i monaci, ma tutti i battezzati. Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita.

La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani. Nella lettera 28, che è un geniale trattato di ecclesiologia, Pier Damiani sviluppa una profonda teologia della Chiesa come comunione.

“La Chiesa di Cristo - egli scrive - è unita dal vincolo della carità a tal punto che, come è una in più membri, così è tutta intera misticamente nel singolo membro; cosicché l'intera Chiesa universale si denomina giustamente unica Sposa di Cristo al singolare, e ciascuna anima eletta, per il mistero sacramentale, viene considerata pienamente Chiesa”. 

E’ importante questo: non solo che l’intera Chiesa universale sia unita, ma in ognuno di noi dovrebbe essere presente la Chiesa nella sua totalità. Così il servizio del singolo diventa “espressione dell’universalità” (Ep 28, 9-23). 

Tuttavia l’immagine ideale della “santa Chiesa” illustrata da Pier Damiani non corrisponde – lo sapeva bene - alla realtà del suo tempo. 

Per questo non teme di denunziare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo, soprattutto, della prassi del conferimento, da parte delle Autorità laiche, dell’investitura degli uffici ecclesiastici: diversi vescovi e abati si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da pastori d’anime. Non di rado la loro vita morale lasciava molto a desiderare. 

Per questo, con grande dolore e tristezza, nel 1057 Pier Damiani lascia il monastero e accetta, pur con difficoltà, la nomina a Cardinale Vescovo di Ostia, entrando così pienamente in collaborazione con i Papi nella non facile impresa della riforma della Chiesa.

Ha visto che non era sufficiente contemplare e ha dovuto rinunciare alla bellezza della contemplazione per portare il proprio aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa. Ha rinunciato così alla bellezza dell’eremo e con coraggio ha intrapreso numerosi viaggi e missioni.
Per il suo amore alla vita monastica, dieci anni dopo, nel 1067, ottiene il permesso di tornare a Fonte Avellana, rinunciando alla diocesi di Ostia. Ma la sospirata quiete dura poco: già due anni dopo viene inviato a Francoforte nel tentativo di evitare il divorzio di Enrico IV dalla moglie Berta; e di nuovo due anni dopo, nel 1071, va a Montecassino per la consacrazione della chiesa abbaziale e agli inizi del 1072 si reca a Ravenna per ristabilire la pace con l’Arcivescovo locale, che aveva appoggiato l'antipapa provocando l'interdetto sulla città. Durante il viaggio di ritorno al suo eremo, un’improvvisa malattia lo costringe a fermarsi a Faenza nel monastero benedettino di Santa Maria Vecchia fuori porta, e lì muore nella notte tra il 22 e il 23 febbraio del 1072.

Cari fratelli e sorelle, è una grande grazia che nella vita della Chiesa il Signore abbia suscitato una personalità così esuberante, ricca e complessa, come quella di san Pier Damiani e non è comune trovare opere di teologia e di spiritualità così acute e vive come quelle dell’eremita di Fonte Avellana. 

Fu monaco fino in fondo, con forme di austerità, che oggi potrebbero sembrarci persino eccessive. In tal modo, però, egli ha fatto della vita monastica una testimonianza eloquente del primato di Dio e un richiamo per tutti a camminare verso la santità, liberi da ogni compromesso col male.

Egli si consumò, con lucida coerenza e grande severità, per la riforma della Chiesa del suo tempo. Donò tutte le sue energie spirituali e fisiche a Cristo e alla Chiesa, restando però sempre, come amava definirsi, Petrus ultimus monachorum servus, Pietro, ultimo servo dei monaci.



Saluti:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, consiglieri ecclesiastici, dirigenti e rappresentanti tutti della Coldiretti, e vi incoraggio a proseguire con impegno il vostro servizio sociale e spirituale nel mondo dell’agricoltura. Le tematiche del vostro convegno vi siano di stimolo a riaffermare i principi etici nell’economia per rianimare la speranza con la solidarietà. Saluto gli esponenti dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro, come pure quelli dell’Associazione Invalidi Civili auspicando che nei confronti di questi nostri fratelli ci sia un’attenzione sempre più viva da parte della società e delle Istituzioni. Saluto con affetto i soci del Lyons Club Nardò ed assicuro per ciascuno e per le rispettive famiglie la mia fervida preghiera.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la memoria liturgica della Natività della Beata Vergine Maria. Il Concilio Vaticano II dice che Maria ci precede nel cammino della fede perché "ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45). Chiedo alla Vergine Santa il dono di una fede sempre più matura per voi giovani; una speranza sempre più salda per voi ammalati; un amore sempre più profondo e duraturo e per voi sposi novelli.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

sabato 13 aprile 2013

La virtud del silencio



Decía  Padre M. Nadal, padre muy espiritual y  muy docto, que “para reformar una casa y toda una Religiòn [Congragaciòn] no es menester màs  de reformarla en el silencio. Haya silencio en casa, y yo os la doy por reformada”.
La razón de esto es porque cuando hay silencio en casa, cada uno atiende a su negocio a que vino a la Religiòn, que es a tratar de su aprovechamiento espiritual.


Pero cuando no hay silencio, entonces son las quejas, los corrillos, las murmuraciones, las amistades particulares que se fomentan con esas conversaciones y familiaridades; entonces es el perder tiempo y hacerlo perder a los otros; y otros muchos inconvenientes que de esto se siguen.
Y asì vemos,  que cuando no hay  silencio en casa, no parece casa de Religiòn, si no de seglares.
Y al contrario, cuando hay silencio, luego parece casa de Religiòn y un paraiso, luego en entrando por la puerta, huele todo a santidad; aquella soledad y silencio levanta el espiritu y mueve a devociòn a los que entran: (Gen. 28, 16-17): Verdaderamente el Señor mora aquì: esta es casa de Dios.
*
De la misma manera digo de cualquier particular; refòrmese uno en el silencio, y yo le doy por reformado. Por experiencia vemos que cuando hablamos mucho, entonces hallamos en el examen haber caìdo en muchas culpas (Prov. 14, 23) [Donde hay mucho hablar, entonces hay pobreza y miseria y qué llorar]. Y cuando habemos guardado bien el silencio, apenas hallamos de que hacer examen. Dice el Sabio (Prov. 13, 3): El que guarda su boca, guarda su ànima.
Este es la causa porqué todas las Religiones  pusieron entre sus observancias, por una de las principales, esta del silencio. Y por eso dice Dionisio Cartusiano que dijo el Apostol Santiago (Jac. 3, 2): El que no peca con la lengua, ése es varòn perfecto. Si alguno piensa que es religioso y no refrena su lengua, engase, que es vana su religiòn.

Pues considere aquì cada uno atentamente cuàn poco le pedimos para ser perfecto, y cuan facil medio le damos papa ello. Si quereis aprovechar mucho en virtud y alcanzar la perfecciòn, guardad silencio, que con eso dice el Apostol Santiago que la alcanzareis.
Si quereis ser espiritual y hombre de oraciòn, guardad silencio, que de esa manera dicen los Santos que la alcanzareis.


Pero, tengan cuidado: la virtud del silencio no està en no hablar. Asì como la virtud de la templanza no està en no comer, sino en comer cuando es menester y lo que es menester, y en lo demàs abstenerse; asì la virtud del silencio no està en no hablar, sino en saber callar a su tiempo y en saber hablar a su tiempo. Y traen para esto aquello del Eclesiastés (3, 7): Hay tiempo de callar y tiempo de hablar. Y asì es menester mucha discreciòn para acertar a hacer cada cosa de éstas a su tiempo. Poned, Senor, guarda en mi boca. Una puerta con que se cierren mis labios  (cfr. Sir. 22, 23)

IL SILENZIO E' D'ORO
LA PAROLA D'ARGENTO

venerdì 31 agosto 2012

EL TESORO DEL SILENCIO



Decía  Padre M. Nadal, padre muy espiritual y  muy docto, que “para reformar una casa y toda una Religiòn [Congragaciòn] no es menester màs  de reformarla en el silencio. Haya silencio en casa, y yo os la doy por reformada”.

La razón de esto es porque cuando hay silencio en casa, cada uno atiende a su negocio a que vino a la Religiòn, que es a tratar de su aprovechamiento espiritual.

Pero cuando no hay silencio, entonces son las quejas, los corrillos, las murmuraciones, las amistades particulares que se fomentan con esas conversaciones y familiaridades; entonces es el perder tiempo y hacerlo perder a los otros; y otros muchos inconvenientes que de esto se siguen.

Y asì vemos,  que cuando no hay  silencio en casa, no parece casa de Religiòn, si no de seglares.
Y al contrario, cuando hay silencio, luego parece casa de Religiòn y un paraiso, luego en entrando por la puerta, huele todo a santidad; aquella soledad y silencio levanta el espiritu y mueve a devociòn a los que entran: (Gen. 28, 16-17): Verdaderamente el Señor mora aquì: esta es casa de Dios.
*
De la misma manera digo de cualquier particular; refòrmese uno en el silencio, y yo le doy por reformado. Por experiencia vemos que cuando hablamos mucho, entonces hallamos en el examen haber caìdo en muchas culpas (Prov. 14, 23) [Donde hay mucho hablar, entonces hay pobreza y miseria y qué llorar]. Y cuando habemos guardado bien el silencio, apenas hallamos de que hacer examen. Dice el Sabio (Prov. 13, 3): El que guarda su boca, guarda su ànima.

Este es la causa porqué todas las Religiones  pusieron entre sus observancias, por una de las principales, esta del silencio. Y por eso dice Dionisio Cartusiano que dijo el Apostol Santiago (Jac. 3, 2): El que no peca con la lengua, ése es varòn perfecto. Si alguno piensa que es religioso y no refrena su lengua, engase, que es vana su religiòn.

Pues considere aquì cada uno atentamente cuàn poco le pedimos para ser perfecto, y cuan facil medio le damos papa ello. Si quereis aprovechar mucho en virtud y alcanzar la perfecciòn, guardad silencio, que con eso dice el Apostol Santiago que la alcanzareis.
Si quereis ser espiritual y hombre de oraciòn, guardad silencio, que de esa manera dicen los Santos que la alcanzareis.

Pero, tengan cuidado: la virtud del silencio no està en no hablar. Asì como la virtud de la templanza no està en no comer, sino en comer cuando es menester y lo que es menester, y en lo demàs abstenerse; asì la virtud del silencio no està en no hablar, sino en saber callar a su tiempo y en saber hablar a su tiempo. Y traen para esto aquello del Eclesiastés (3, 7): Hay tiempo de callar y tiempo de hablar. Y asì es menester mucha discreciòn para acertar a hacer cada cosa de éstas a su tiempo. Poned, Senor, guarda en mi boca. Una puerta con que se cierren mis labios  (cfr. Sir. 22, 23)

AVE AVE AVE MARIA PURISIMA!