Visualizzazione post con etichetta l'Imitazione di Cristo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta l'Imitazione di Cristo. Mostra tutti i post

mercoledì 27 maggio 2020

Mirabile cosa, degna della nostra fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato senza essere consumato.

NEL SACRAMENTO SI MANIFESTANO ALL'UOMO LA GRANDE BONTA' E L'AMORE DI DIO



Parola del discepolo
  1. O Signore, confidando nella tua bontà e nella tua grande misericordia, mi appresso infermo al Salvatore, affamato e assetato alla fonte della vita, povero al re del cielo, servo al Signore, creatura al Creatore, desolato al pietoso mio consolatore. Ma "per qual ragione mi è dato questo, che tu venga a me?" (Lc 1,43). Chi sono io, perché tu ti doni a me; come potrà osare un peccatore di apparirti dinanzi; come ti degnerai di venire ad un peccatore? Ché tu lo conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui non c'è alcunché di buono, per cui tu gli dia tutto ciò. Confesso, dunque, la mia pochezza, riconosco la tua bontà, glorifico la tua misericordia e ti ringrazio per il tuo immenso amore. Infatti non è per i miei meriti che fai questo, ma per il tuo amore: perché mi si riveli maggiormente la tua bontà, più grande mi si offra il tuo amore e l'umiltà ne risulti più perfettamente esaltata. Poiché, dunque, questo ti è caro, e così tu comandasti che si facesse, anche a me è cara questa tua degnazione. E voglia il Cielo che a questo non sia di ostacolo la mia iniquità.
  2. Gesù, pieno di dolcezza e di benignità, quanta venerazione ti dobbiamo, e gratitudine e lode incessante, per il fatto che riceviamo il tuo santo corpo, la cui grandezza nessuno può comprendere pienamente. Ma quali saranno i miei pensieri in questa comunione con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio Signore che non riesco a venerare nella misura dovuta e che tuttavia desidero accogliere devotamente? Quale pensiero più opportuno e più salutare di quello di abbassarmi totalmente di fronte a te, esaltando, su di me la tua bontà infinita? Ti glorifico, o mio Dio, e ti esalto in eterno; disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal profondo della mia pochezza. Ecco, tu sei il santo dei santi, ed io una sozzura di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me, che non sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco, tu vieni a me, vuoi stare con me, mi inviti al tuo banchetto; tu mi vuoi dare il cibo celeste, mi vuoi dare da mangiare il pane degli angeli: nient'altro, veramente, che te stesso, "pane vivo, che sei disceso dal cielo e dai la vita al mondo (Gv 6,33.51). Se consideriamo da dove parte questo amore, quale degnazione ci appare; quanto profondi ringraziamenti e quante lodi ti si debbono!
  3. Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo disegno, quando hai istituito questo sacramento; come è soave e lieto questo banchetto, nel quale hai dato in cibo te stesso! Come è ammirabile questo che tu fai; come è efficace la tua potenza e infallibile la tua verità. Infatti, hai parlato "e le cose furono" (Sal 148, 5); e fu anche questo sacramento, che tu hai comandato. Mirabile cosa, degna della nostra fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato senza essere consumato. "Tu, o Signore di tutti", che, di nessuno avendo bisogno, hai voluto, per mezzo del Sacramento, abitare fra noi (2 Mac 14,35), conserva immacolato il mio cuore e il mio corpo, affinché io possa celebrare sovente i tuoi misteri, con lieta e pura coscienza; e possa ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu hai stabilito e istituito massimamente a tua glorificazione e perenne memoria di te.
  4. Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per un dono così sublime, per un conforto così straordinario, lasciato a te in questa valle di lacrime. In verità, ogni qualvolta medito questo mistero e ricevi il corpo di Cristo, lavori alla tua redenzione e ti rendi partecipe di tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno, infatti, l'amore di Cristo; né si esaurisce la grandezza della sua intercessione. E' dunque con animo sempre rinnovato che ti devi disporre a questo Sacramento; è con attenta riflessione che devi meditare il mistero della salvezza. E quando celebri la Messa, o l'ascolti, ciò deve apparirti un fatto così grande, così straordinario e così pieno di gioia, come se, in quello stesso giorno, scendendo nel seno della Vergine, Cristo si facesse uomo, patisse e morisse pendendo dalla croce.


RIFLESSIONI E PRATICHE
Quando il fedele considera le così numerose miserie e debolezze, e le gravissime tentazioni da cui ogni istante è assalito e quando pensa che Gesù lo invita, lo sollecita e gli ordina di accostarsi alla santa Comunione nella quale lo stesso Signore si dona tutto intero a lui come nutrimento spirituale, concepisce una santa confidenza, e spera di trovarvi tutti gli aiuti necessari.
Ma se poi guarda alla distanza infinita fra Dio e l'uomo, si sente così indegno di riceverlo che ci vuole tutta la sua fede per credere ciò che si legge e s'insegna intorno a questo Sacramento. E nell'impossibilità che egli vede di degnamente prepararsi a ricevere Dio stesso nel suo cuore, piglia il partito di sprofondarsi nel proprio nulla, palesare a Gesù la più viva riconoscenza ed il desiderio di prorompere in lodi e benedizioni e di obbedire all'invito celeste ricevendo il grande Sacramento con timore ed insieme con speranza e fiducia più che figliali.
http://ora-et-labora.net/imit4.html 
AMDG et DVM 

lunedì 14 luglio 2014

LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA



LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA

  1.     Dovunque tu sia e dovunque ti volga, sei sempre misera cosa; a meno che tu non ti volga tutto a Dio. Perché resti turbato quando le cose non vanno secondo la tua volontà e il tuo desiderio? Chi è colui che tutto ha secondo il suo beneplacito? Non io, non tu, né alcun altro su questa terra. Non c'è persona al mondo, anche se è un re o un papa, che non abbia qualche tribolazione o afflizione. E chi è dunque che ha la parte migliore? Senza dubbio colui che è capace di sopportare qualche male per amore di Dio. Dice molta gente, debole e malata nello spirito: guarda che vita beata conduce quel tale; come è ricco e grande, come è potente e come è salito in alto! Ma, se poni mente ai beni eterni, vedrai che tutte queste cose passeggere sono un nulla, anzi qualcosa di molto insicuro e particolarmente gravoso, giacché le cose temporali non si possono avere senza preoccupazioni e paure. Per la felicità non occorre che l'uomo possieda beni terreni in sovrabbondanza; basta averne una modesta quantità, giacché la vita di quaggiù è veramente una misera cosa. Quanto più uno desidera elevarsi spiritualmente, tanto più la vita presente gli appare amara, perché constata pienamente le deficienze dovute alla corrotta natura umana. Invero mangiare, bere, star sveglio, dormire, riposare, lavorare, e dover soggiacere alle altre necessità che ci impone la nostra natura, tutto ciò, in realtà, è una miseria grande e un dolore per l'uomo religioso; il quale amerebbe essere sciolto e libero da ogni peccato. In effetti l'uomo che vive interiormente si sente schiacciato, come sotto un peso, dalle esigenze materiali di questo mondo; ed è perciò che il profeta prega fervorosamente di essere liberato, dicendo: "Signore, toglimi da queste necessità" (Sal 24,17).  

  2.     Guai a quelli che non riconoscono la loro miseria. Guai, ancor più, a quelli che amano questa vita miserabile e destinata a finire; una vita alla quale tuttavia certa gente - anche se, lavorando o elemosinando, mette insieme appena appena il necessario - si abbarbica, come se potesse restare quaggiù in eterno, senza darsi pensiero del regno di Dio. Gente pazza, interiormente priva di fede; gente sommersa dalle cose terrene, tanto da gustare solo ciò che è materiale. Alla fine, però, constateranno, con pena, quanto poco valessero - anzi come fossero un nulla - le cose che avevano amato. Ben diversamente, i santi di Dio, e tutti i devoti amici di Cristo; essi non andavano dietro ai piaceri del corpo o a ciò che rende fiorente questa vita mortale. La loro anelante tensione e tutta la loro speranza erano per i beni eterni; il loro desiderio - per non essere tratti al basso dall'attaccamento alle cose di quaggiù - si elevava interamente alle cose invisibili, che non vengono meno. O fratello, non perdere la speranza di progredire spiritualmente; ecco, ne hai il tempo e l'ora. Perché, dunque, vuoi rimandare a domani il tuo proposito? Alzati, e comincia all'istante, dicendo: è questo il momento di agire; è questo il momento di combattere; è questo il momento giusto per correggersi. Quando hai dolori e tribolazioni, allora è il momento per farti dei meriti. Giacché occorre che tu passi attraverso il "fuoco e l'acqua" prima di giungere nel refrigerio (Sal 65,12). E se non farai violenza a te stesso, non vincerai i tuoi vizi. Finché portiamo questo fragile corpo, non possiamo essere esenti dal peccato, né vivere senza molestie e dolori. Ben vorremmo aver tregua da ogni miseria; ma avendo perduto, a causa del peccato, la nostra innocenza, abbiamo perduto quaggiù anche la vera felicità. Perciò occorre che manteniamo in noi una ferma pazienza, nell'attesa della misericordia divina, "fino a che sia scomparsa l'iniquità di questo mondo" (Sal 56,2) e le cose mortali "siano assunte dalla vita eterna" (2Cor 5,4).  

  3.     Tanto è fragile la natura umana che essa pende sempre verso il vizio. Ti accusi oggi dei tuoi peccati e domani commetti di nuovo proprio ciò di cui ti sei accusato. Ti proponi oggi di guardarti dal male, e dopo un'ora agisci come se tu non ti fossi proposto nulla. Ben a ragione, dunque, possiamo umiliarci; né mai possiamo avere alcuna buona opinione di noi stessi, perché siamo tanto deboli e instabili. Inoltre, può andare rapidamente perduto per negligenza ciò che a stento, con molta fatica, avevamo alla fine raggiunto, per grazia di Dio. E che cosa sarà di noi alla fine, se così presto ci prende la tiepidezza? Guai a noi, se pretendessimo di riposare tranquillamente, come se già avessimo raggiunto pace e sicurezza, mentre, nella nostra vita, non si vede neppure un indizio di vera santità. Occorrerebbe che noi fossimo di nuovo plasmati, quasi in un buon noviziato, a una vita irreprensibile; in tal modo potremo sperare di raggiungere un certo miglioramento e di conseguire un maggior profitto spirituale.

mercoledì 30 ottobre 2013

De amore Iesu super omnia.



Libro II, CAPITULUM VII.

De amore Iesu super omnia.

1. Beatus qui intelligit quid sit amare Iesum: et contemnere se ipsum propter Iesum. Oportet dilectum pro dilecto relinquere: quia Iesus vult solus super omnia amari. Dilectio creaturæ fallax et instabilis: dilectio Iesu fidelis et perseverabilis. Qui adhæret creaturæ, cadet cum labili: qui amplectitur Iesum, firmabitur in aevum. Illum dilige et amicum tibi retine; qui omnibus recedentibus te non relinquet: nec patietur in fine perire. Ab omnibus oportet te aliquando separari: sive velis sive nolis.

2. Teneas te apud Iesum, vivens ac moriens et illius fidelitati te committe: qui omnibus deficientibus solus te potest iuvare. Dilectus tuus talis est naturæ, ut alienum non velit admittere; sed solus vult cor tuum habere: et tamquam rex in proprio throno sedere. Si scires te bene ab omni creatura evacuare: Iesus deberet libenter tecum habitare. Paene totum perditum invenies: quidquid extra Iesum in hominibus posueris. Non confidas nec innitaris super calamum ventosum; quia omnis caro faenum, et omnis gloria eius ut flos faeni cadet (1a Petr. 1, 24).

3. Cito decipieris: si ad externam hominum apparentiam tantum aspexeris. Si enim tuum in aliis quæris solacium et lucrum: senties saepius detrimentum. Si quæris in omnibus Iesum: invenies utique Iesum. Si autem quæris te ipsum, invenies etiam te ipsum: sed ad tuam perniciem. Plus enim homo nocivior  sibi si Iesum non quærit: quam totus mundus et omnes sui adversarii


giovedì 24 ottobre 2013

Il testimone della nostra coscienza


UTILITÀ DELLA TRIBOLAZIONE

È bene per noi avere qualche volta pene e contrarietà, poiché spesso fanno rientrare l'uomo in se stesso, gli fanno riconoscere che quaggiù si trova in esilio e che non deve riporre la sua speranza in alcuna cosa del mondo. 

Riesce anche vantaggioso che talvolta soffriamo, perché veniamo contraddetti; che gli altri abbiano di noi un concetto falso ed inadeguato, anche se le nostre opere e le nostre intenzioni sono rette. Queste cose spesso giovano a renderci umili e ci premuniscono dalla vanagloria. 

Quando all'esterno siamo disprezzati dagli uomini e non ci si presta fede, allora più facilmente noi cerchiamo Dio, perch'Egli è il testimonio della nostra coscienza. Per questo l'uomo dovrebbe ancorarsi in Dio così saldamente, da non avere alcun bisogno di cercare tante consolazioni umane. 

Quando un uomo di buona volontà è tribolato o tentato oppure è afflitto da cattivi pensieri, allora comprende d'avere maggiormente bisogno di Dio, senza del quale scopre che non può fare nulla di buono. 
Allora, anche, si rattrista, piange e prega a causa del male che patisce. 
Allora, gli rincresce di vivere più a lungo e desidera che venga la morte, per potersi sciogliere dal corpo ed essere con Cristo. 
Allora avverte anche, chiaramente, che la sicurezza perfetta e la pace piena non hanno dimora in questo mondo.


giovedì 17 ottobre 2013

La nostra curiosità ci è spesso d'ostacolo nella lettura delle Sacre Scritture...


LA LETTURA DEI LIBRI SACRI

Nei libri sacri si deve cercare la verità, non l'eloquenza. Ogni libro sacro dev'essere letto con lo spirito con il quale fu scritto. In essi dobbiamo cercare più il nostro vantaggio morale che la finezza dell'espressione stilistica. 

Dobbiamo leggere volentieri i libri devoti e scritti con semplicità, come quelli profondi e sublimi. Non t'importi l'autorevolezza dello scrittore, se, cioè, fu uomo di molta o poca cultura, ma ti trascini a leggere solo l'amore della pura verità. 

Non chiedere chi ha detto questo, ma rivolgi la tua attenzione a ciò che viene detto. 

Gli uomini passano, ma "la Verità del Signore resta in eterno" (Sal 116,2). Dio ci parla in modi diversi, senza tenere conto delle persone. 

La nostra curiosità ci è spesso d'ostacolo nella lettura delle Sacre Scritture, quando vogliamo capire a fondo e discutere dove bisognerebbe passar oltre con semplicità. 

Se tu vuoi trarne profitto, leggi con umiltà, con semplicità e con fede, e non aspirare ad avere nome d'uomo di cultura. Interroga volentieri ed ascolta in silenzio le parole dei Santi, né ti dispiacciano gli ammaestramenti dei vecchi; infatti, non vengono riportati senza un utile scopo.

Sant'Antonio Maria Claret
ora pro nobis

martedì 23 aprile 2013

Summum studium nostrum sit in vita Iesu meditari.




De imitatione Christi et contemptu mundi 
omniumque 
eius vanitatum.


1. Qui sequitur me non ambulat in tenebris, dicit Dominus. Haec
sunt verba Christi, quibus admonemur quatenus vitam eius et mores
imitemur, si volumus veraciter illuminari et ab omni caecitate cordis
liberari. Summum igitur studium nostrum sit in vita Iesu meditari.

2. Doctrina eius omnes doctrinas sanctorum praecellit, et qui spi-
ritum haberet absconditum ibi manna inveniret. Sed contingit quod
multi ex frequenti auditu evangelii parvum desiderium sentiunt, quia
spiritum Christi non habent. Qui autem vult plene et sapide verba
Christi intelligere oportet ut totam vitam suam illi studeat confor-
mare.

3. Quid prodest tibi alta de Trinitate disputare, si careas humili-
tate, unde displiceas Trinitati? Vere alta verba non faciunt sanctum
et iustum, sed virtuosa vita efficit Deo carum. Opto magis sentire
compunctionem, quam scire eius definitionem. Si scires totam Bi-
bliam et omnium philosophorum dicta, quid totum prodest sine ca-
ritate et gratia? Vanitas vanitatum et omnia vanitas, praeter amare
Deum et illi soli servire. Ista est summa sapientia, per contemptum
mundi tendere ad regna coelestia.

4. Vanitas igitur est divitias perituras quaerere et in illis sperare.
Vanitas quoque est honores ambire et in altum se extollere. Vani-
tas est carnis desideria sequi et illud desiderare unde postmodum
graviter oportet puniri. Vanitas est longam vitam optare et de bona
vita modicum curare. Vanitas est praesentem vitam solum attendere
et quae futura sunt non praevidere. Vanitas est diligere quod cum
omni celeritate transit et illuc non festinare ubi sempiternum manet
gaudium.

5. Stude ergo cor tuum ab amore visibilium abstrahere et ad in-
visibilia te transferre. Nam sequentes suam sensualitatem maculant
conscientiam et perdunt Dei gratiam.

DA NOBIS, DOMINE,
VITIORUM NOSTRORUM FLAMMAS EXTINGUERE!

venerdì 11 maggio 2012

IL PIU' BEL LIBRO USCITO DA MANI D'UOMO






Il libro dell’Imitazione di Cristo è stato certamente il testo di letteratura religiosa più diffuso da secoli nel popolo cristiano in Occidente. 
E' il libro cattolico più editato, dopo la Sacra Scrittura. 3120 edizioni fino al 1999. 

Ha formato schiere di santi (da sant’Ignazio di Loyola a san Carlo Borromeo, da santa Teresa d’Avila a santa Teresa di Lisieux, da san Giuseppe Cottolengo a san Giovanni Bosco e santa Maria Mazzarello) ed è stato raccomandato sempre dai Papi, da san Pio V a san Pio X, da Pio XI al beato Giovanni XXIII. L’hanno apprezzato anche uomini di cultura lontani dalla Chiesa (da Taine a Comte, da Michelet a Carducci e Croce) e letterati e scienziati insigni, da Corneille a Voltaire, da Ampère a Retté, da Papini a Merton. 

San Giovanni Bosco, fondatore dei Padri Salesiani narra nell'autobiografia: "Nella mia gioventù lessi l' "Imitazione di Cristo" e  ne rimasi ammirato dandomi conto che questo libro in una sola pagina contiene più insegnamenti che non i libri mondani in vari volumi. E' merito di questo prezioso libro l'aver preso gusto nella lettura dei libri spirituali lasciando da parte la lettura dei libri del mondo" (Memorie, n. 36). Ai giovani questo gran Santo diceva: "Dopo la Sacra Scrittura, il libro che più vi raccomando da leggere è l'Imitazione di Cristo" 

Ed Egli  stesso testimonia che San Domenico Savio lo leggeva ogni giorno.
Infine nel redigere i regolamenti per le "Figlie di Maria Ausiliatrice" religiose da lui fondate, in uno dei suoi articoli scrisse: "Tra i libri da leggere e meditare avranno l'Imitazione di Cristo"



Anche il grande papa del Concilio Vaticano II si ispirava regolarmente al "De imitatione Christi". Quando fu eletto Papa gli prese uno spavento. Egli cercò conforto aprendo a caso l'Imitazione di Cristo dove incontrò questo pensiero: 'Quando Dio impone una responsabilità e un compito, s'impegna altresì a dare alla persona le forze e le luci per compiere quel dovere che gli affida'. Questo lo riempì di pace e tranquillità e accettò l'incarico.  


Ben pochi avrebbero dissentito dal celebre giudizio di Fontenelle: «L’Imitation est le plus beau livre sorti de la main des hommes puisque l’Evangile n’en vient pas». "Es el màs hermoso libro salido de las manos de los hombres".

Oggi è ancora così? Malgrado le edizioni e traduzioni del libro presenti presso i librai, cattolici e non, a testimonianza di un interesse mai venuto meno del tutto, sembra che oggi la sua lettura sia sconsigliata, in Italia e in Europa, a quanti sono impegnati nella vita spirituale, laici, sacerdoti, seminaristi e religiosi. Vogliamo qui vedere i motivi di questo fenomeno. Sorvoliamo sulla questione storico-paleografica della paternità del libro. Ci basti affermare che esso è nato in ambiente monastico.

Il libro e la dottrina
Il lettore dell’Imitazione avverte fin dalle prime righe che in essa parla un uomo che ha conosciuto la società mondana e ne è rimasto deluso e, postosi nella sequela di Cristo, ha accettato rinunce e sofferenze per configurarsi al Maestro divino secondo la scienza dell’amore. Il testo non contiene una compiuta trattazione dell’ascetica cristiana. È probabile che l’Autore abbia scritto non di getto, cioè con continuità, ma seguendo, a intervalli più o meno lunghi, lo sviluppo intellettuale e affettivo della sua anima. Questo, nell’ipotesi, che sembra la più comune, che unico sia l’Autore del testo, la cui asistematicità sarebbe meglio spiegata se si ammette una pluralità di autori. La dottrina è quella della Chiesa. 

La diffusa ispirazione alla sacra Scrittura (più di mille citazioni bibliche), ai Padri della Chiesa, specialmente Agostino e Gregorio Magno, ai dottori medievali, soprattutto Bernardo, Bonaventura, Ruysbroeck e Groote, ne ha da sempre garantito l’ortodossia.

Relativamente piccolo di mole, il libro è diviso in quattro parti.
La prima («Ammonizioni utili per la vita spirituale») tocca i temi più generali della purificazione del cuore. Caratteristica di questa parte è l’accento sulla vanità sia del mondo sia della scienza umana. L’uomo interiore deve concentrarsi sulle verità della fede e liberarsi della fiducia eccessiva nelle elucubrazioni della ragione riconducibili alla superbia e all’ambizione. La seconda parte («Consigli per la vita interiore») disegna l’inizio della vita interiore con la conversione, la retta intenzione, la conoscenza di sé e la familiare amicizia con Gesù che conduce alla condivisione della sua sofferenza. In queste due parti prevale il tono meditativo, il dettato di un «direttorio spirituale».

La terza parte introduce la forma dialogica tra il discepolo e il Signore («Consolazione interna»): una forma che vuol significare l’amore del cuore umano quando Gesù lo avvolge con la sua tenerezza che dona pace. Sono pagine che condensano un trattato del cuore, le difficoltà e le tentazioni che il cuore sperimenta nella sua ascesa verso l’amore trasformante, l’abbandono e la fiducia in Gesù che neppure la colpa riesce a menomare, perché la stessa corruzione dell’uomo evoca la potenza della grazia, quando si è umili e si ama. L’Autore scrive certamente alla luce della sua esperienza sapienziale e ha qui raggiunto esiti di tale profondità che a ragione e da secoli le sue pagine sono annoverate tra le manifestazioni alte della letteratura spirituale. 

La quarta parte («Il Sacramento») può essere considerata come il coronamento delle precedenti. L’amore, che ha condotto il discepolo dalla purificazione all’unione, trova la sua realizzazione nell’Eucaristia. Non è facile imbattersi, anche in grandi autori, in pagine pari a queste che educhino il lettore al senso del Sacramento dell’altare e del sacerdozio con un dialogo tra il discepolo e l’Amato semplice e ardente.

Centro e cardine di tutta l’Imitazione è Cristo Dio e maestro. Strumento dell’imitazione di lui è la grazia alla quale l’uomo deve aprirsi se vuole ottenere l’imitazione a cui anela. Cristo, grazia, impegno radicale dell’uomo: i tre elementi che fanno dell’Imitazione un libro impregnato della pura dottrina della Chiesa e quasi un commentario della celebre esortazione benedettina a non preferire nulla all’amore di Cristo. Per questo suo fermo cristocentrismo al quale sono finalizzati tutti gli aspetti dell’ascesi, l’«Imitazione» è stata cara a tutti gli iniziatori delle spiritualità apostoliche.

Gli storici della spiritualità della Compagnia di Gesù sono concordi nell’affermare l’influenza dell’«Imitazione» sulla formazione spirituale di sant’Ignazio di Loyola: «La più importante delle influenze umane che hanno contribuito alla formazione della sua spiritualità. È certo infatti [...] che il santo ha fatto di questo libro la sua lettura abituale sin da Manresa [...], ha continuato per tutta la vita a farne il suo nutrimento preferito, se non esclusivo». La concezione ignaziana della santità personale, non l’idea del servizio apostolico, collima con quella dell’Autore dell’«Imitazione». E non è certo per caso che l’«Imitazione» sia l’unico libro di lettura consigliato, con i testi biblici, a chi fa gli Esercizi ignaziani, secondo una precisa indicazione di sant’Ignazio.

Santi e Pensatori formatisi alla scuola del "De imitatione Christi":


Santa Teresa di Lisieux 
Tra i più illustri allievi dell'autore (Tommaso de Kempis 1380-1471, agostiniano o certosino?) del "De imitatione Christi" va annoverata la mistica carmelitana e dottore della chiesa santa Teresa di Lisieux, di epoca successiva. La composizione letteraria del monaco agostiniano infatti è capitale per riuscire a comprendere a pieno la figura della carmelitana, in quanto è proprio su questo testo di mistica medioevale che si è svolta la sua prima formazione, ancor prima della sua conoscenza e frequentazione assidua dei due giganti dell'ordine carmelitano: santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce. Ella portava sempre questo libro con sé dovunque andasse durante l'epoca della sua adolescenza e avendolo meditato a lungo era giunta a conoscerne ampi stralci a memoria.
Bossuet 
Bossuet definiva questo libro "Quinto evangelo", tanta era l'importanza che gli accordava rispetto a tanti altri libri che nel loro insieme costituiscono la letteratura cristiana.

Voltaire 
Lo stesso Voltaire, non credente, riconobbe meriti singolari a quest'opera che si è imposta nei secoli come capolavoro ascetico e letterario insieme.

Questo mistico e santo francese seguì quasi alla lettera l'insegnamento del libro. Alla sua morte i suoi unici averi erano un Vangelo, un crocifisso, un breviario per le preghiere quotidiane e appunto una copia "De imitatione Christi".

MOLTI SANTI e moltissimi cristiani ebbero l'abitudine di aprire ogni giorno l'Imitazione di Cristo nella pagina che venisse loro a caso e leggerla. E spessissimo confessarono che ebbero consigli straordinariamente appropriati alle circostanze che stavano vivendo.

...

Le tre cause di un oblio
Il fenomeno della disaffezione verso l’Imitazione può essere ricondotto probabilmente a tre cause principali: sociologica, ecclesiologica, psicologica. L’ambiente socioculturale incide notevolmente sull’eduzazione religiosa. Ora, il nostro ambiente di inizio secolo resta segnato ancora dai processi convergenti che si sono venuti affermando negli ultimi secoli in Occidente. L’individualismo cerca di neutralizzare le comunità di appartenenza. La massificazione impone comportamenti e modi di vita standardizzati. La desacralizzazione lavora a imporre i presunti vantaggi di un’interpretazione soltanto scientifica del mondo. Dalla teoria della ragione strumentale si è passati alla fiducia totale nell’efficienza della tecnica. Nonostante le crisi e i reflussi, l’uomo si sente sostituto di Dio e, in larghi strati, non ne avverte più la presenza. Un tale uomo non riesce a stimare la dimensione contemplativa della vita e confonde «contemplativo» con «monastico», cioè in un’accezione per lui negativa. E allora comincia a discettare su quei pochi luoghi dell’«Imitazione» che parlano dei pericoli che l’amore alle creature comporta, della dispersione conseguente all’effusione incontrollata negli eventi e nella mentalità non evangelica del mondo. E sorvola sui tanti luoghi nei quali il libro parla di gioia e del dovere di pregare per tutti gli uomini amabili con il cuore di Cristo.

La causa ecclesiologica dipende dall’estremismo di alcuni che considerano nella Chiesa soltanto il suo pur importante aspetto missionario e dimenticano che la Chiesa è specialmente, come ha insegnato l’apostolo Paolo, la comunità di coloro che invocano il Risorto e gli rendono testimonianza con uno stile di vita nel quale svolgono un ruolo determinante la preghiera, la lode, la ricerca contemplativa del Signore. L’«Imitazione» educa a questo stile e non vuol creare una setta di «spirituali». Tutta la quarta parte del libro, che è un’adorante professione di fede nell’Eucaristia, mostra che l’Autore, attraverso l’economia sacramentale, guarda alla vita ecclesiale che a quella economia è inscindibilmente connessa e da essa trae significato e valore. La causa ecclesiologica dipende, quindi, da un’interpretazione riduttiva della natura e della missione della Chiesa che evangelizza contemplando e fa apostolato celebrando e pregando.

Similmente, la causa psicologica si regge su un equivoco anch’esso riduttivo. Lo sostengono coloro che hanno introdotto il modello freudiano nell’analisi della vita spirituale. Il bambino vive nel caldo ambiente familiare, protetto, e gli è facile, istintivo, il transfert dal papà a Dio. Divenuto adolescente, scopre il lato orizzontale della vita nel contatto con gli altri e, superate le crisi dell’età, conosce il senso dell’unione con Cristo. Divenuto infine adulto, può accedere al mistero pasquale liberamente e viverne i gravosi impegni. L’Imitazione, che insegna l’intimità con Cristo e la sicurezza nella fuga dal mondo, sarebbe, in questa prospettiva, un libro per persone ancora infantili o spiritualmente adolescenziali in via verso l’età e la sensibilità religiosa dell’uomo adulto. Ci si dimentica con troppa leggerezza che l’Imitazione, proprio perché educa all’imitazione di Cristo, chiede al lettore di mettersi sulla «via regale della croce», sa bene che ciò «non è un gioco di bambini» e soltanto chi ama il Signore può capire e camminare su quella via.
Insomma, si può essere d’accordo con quelli che dicono che l’Imitazione non contiene ogni aspetto della vita cristiana e ascetica. Ma di questa ha gli elementi essenziali: la presenza e l’azione di Cristo sui cuori, l’intimità salvifica con lui, la carità, la comunione eucaristica. Questa solida pedagogia ha educato intere generazioni cristiane verso il Signore, la sua Parola, la sua croce, il suo Sacramento. Questi elementi non sono cosa del passato. Tutto ciò che in passato ha parlato la lingua del Vangelo è un valore per sempre. In questo senso, il passato non esiste perché Cristo è l’eterno presente della Chiesa. Altri aspetti, quelli derivanti dall’esperienza spirituale ed ecclesiale contemporanea, potranno, e forse dovranno, completare i temi dell’Imitazione. Lo dirà il tempo. L’Imitazione non è certo un libro insuperabile, ma finora, nel suo genere, non è stato superato.
E c’è un’altra ragione che ce ne fa raccomandare la lettura e la meditazione. I mali che abbiamo brevemente descritto sopra a proposito della causa sociologica che induce a disistimare l’Imitazione sono profondamente radicati nell’uomo d’oggi che Christian Bobin ha definito «colui che non dorme mai». Un uomo così, lo notava già anni fa Sergio Zavoli, è tentato di costruirsi e di fingersi un «Cristo imborghesito». Quale migliore antidoto dell’uomo e di Gesù che dialogano nell’Imitazione?

(ZENIT.org).- Un articolo scritto da padre Giandomenico Mucci, S.I., e apparso sulla rivista “La Civiltà Cattolica” del 2 maggio 2009.

© La Civiltà Cattolica 2009 II 139-144   quaderno 3812


Catecismo para niños
“Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa”


sabato 17 marzo 2012

"Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza. Ricordati, figlio mio, di queste parole.


Francisco Pacheco 1624-25.jpg






 CHIEDERE L'AIUTO DI DIO, NELLA FIDUCIA DI RICEVERE LA SUA GRAZIA

1. O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della tribolazione" (Na 1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore ostacolo alla celeste consolazione è proprio questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera. Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni, tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a che tu non comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di me, non c'è aiuto efficace, utile consiglio, rimedio durevole.

Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi trovare nuovo vigore nella luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto, dice il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma.
C'è forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che dice e non fa? Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte. Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta me; aspetta: verrò e ti risanerò.

E' una tentazione quella che ti tormenta; è una vana paura quella che ti atterrisce. A che serve la preoccupazione di quel che può avvenire in futuro, se non a far sì che tu aggiunga tristezza a tristezza? "Ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Vano e inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose future, che forse non accadranno mai.

2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della nostra pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni del nemico. Il quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false; non badare se ti abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore delle cose future.

"Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia nella mia misericordia. Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono accanto; spesso, quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la possibilità di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa contraria. Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni speranza di riemergere.

Non crederti abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a suo tempo, qualche tribolazione o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così, infatti, si passa nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei servi, essere provati dalle avversità è più utile che avere tutto a comando. Io conosco i pensieri nascosti; so che, per la tua salvezza, è molto bene che tu sia lasciato talvolta privo di soddisfazione, perché tu non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti di ciò che non sei. Quel che ho dato posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi piacerà. Quando avrò dato, avrò dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa tua; poiché mio è "tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni dono perfetto" (Gc 1,17).


3. Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né si prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio. Io sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche quando opero in tal modo con te.

Se senti rettamente, se guardi alla luce della verità, non devi mai abbatterti così, e rattristarti, a causa delle avversità, ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi anzi considerare gaudio supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga delle sofferenze.

"Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza.
Ricordati, figlio mio, di queste parole.


LAUDETUR JESUS CHRISTUS!
LAUDETUR CUM MARIA!
SEMPER LAUDENTUR!