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mercoledì 12 settembre 2012

Il caso di Edgardo Pio Mortara può aiutarci a capire la serietà e l'importanza unica del sacramento del santo Battesimo


Il caso Mortara 

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi la voce Edgardo Mortara.
Nel 1858, in un caso che aveva riscosso l'attenzione internazionale, un bambino ebreo di sei anni, Edgardo Mortara, fu sottratto alla potestà dei genitori dalla polizia dello Stato pontificio. Era stato riferito che aveva ricevuto il battesimo da una serva cristiana durante una sua malattia, perché la serva temeva che potesse andare all'Inferno se fosse morto senza battesimo. Secondo la legge del tempo, i cristiani non potevano essere allevati dagli ebrei, neppure dai propri genitori. Pio IX si rifiutò con fermezza di "estradare un'anima"[5]
Quando una delegazione di notabili ebrei lo incontrò nel 1859, egli disse: "non sono interessato a cosa ne pensa il mondo". In un altro incontro fece partecipare Edgardo per mostrare che il ragazzo era felice sotto le sue cure. Nel 1865 disse: "Avevo il diritto e l'obbligo di fare ciò che ho fatto per questo ragazzo, e se dovessi farlo lo farei di nuovo".[6][7]
Appelli dal Times, da numerosi capi di stato fra cui l'imperatore Francesco Giuseppe, Napoleone III e l'ambasciatore Gramont[8] di restituire il bambino ai suoi genitori, furono declinati. Lo stesso bambino voleva stare sotto la tutela papale e scrisse a sua madre: "Sono battezzato. Mio padre è il Papa, vorrei vivere con la mia famiglia, se solo diventassero cristiani e prego che lo diventino".[9] Nel 1870 fu ordinato sacerdote, assunse il nome di don Pio Mortara, in omaggio al Papa, entrò in un monastero di Poitiers, in Francia[10] e successivamente intervenne a favore della beatificazione di papa Pio IX, chiamandolo ancora "mio padre". Durante l'infanzia, Edgardo Mortara poteva essere liberamente visitato dai suoi genitori, i quali, tuttavia, non potevano mai rimanere da soli con il figlio.

L'udienza del 1871 

Tuttavia, in un'udienza alla Pia Unione delle donne cattoliche di Roma il 24 agosto 1871, dopo la Presa di Roma che il Papa aveva vissuto come un oltraggio, si espresse così: «Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro durezza e incredulità, divennero cani. E di questi cani ce n'ha pur troppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi. Speriamo che tornino ad essere figli».[11][12]
Una biografia del 1873 cita un episodio di personale carità nei confronti di un ebreo[13]che alcuni interpretano come un implicito rifiuto dell'antigiudaismo[senza fonte].

La controversia sulla beatificazione 

La beatificazione di papa Pio IX ad opera di Giovanni Paolo II ha riportato alla ribalta il rapporto fra Pio IX e gli ebrei.
Gruppi ebraici ed altri, guidati dai discendenti della famiglia Mortara, hanno protestato presso il Vaticano per la beatificazione di Pio IX nel 2000. Nel 1997 David L. Kertzer pubblicò il libro The Kidnapping of Edgardo Mortara (Il rapimento di Edgardo Mortara, in italiano "Prigioniero del Papa Re"), che portò nuovamente all'attenzione del grande pubblico tutta la vicenda. L'interesse mostrato alla vicenda portò alla realizzazione di uno sceneggiato televisivo, andato in onda negli USA, dal titolo Edgardo Mine (Edgardo mio) a cura di Alfred Uhry, e forse ne verrà tratto anche un film.
Il padre gesuita Giacomo Martina, professore dell'Università Pontificia Gregoriana di Roma, scrisse, in una biografia di Pio IX: «in prospettiva, la storia Mortara dimostra il profondo zelo di Pio IX... [e] la sua fermezza nel perseguire quello che lui percepiva come suo compito anche a costo della sua popolarità». Egli inoltre dice che il Papa considerava i critici «non credenti... [che utilizzavano] una macchina da guerra contro la Chiesa». Inoltre bisogna ricordare che Pio IX agì nel pieno rispetto sia della legge civile sia del diritto canonico; di suo aggiunse l'affetto, ricambiato per tutta la vita, per il piccolo Edgardo, che a ventitré anni assunse il nome di Pio in suo onore. Eléna Mortara, una discendente di una delle sorelle di Edgardo e professoressa di letteratura a Roma, continua peraltro la campagna per ottenere le scuse del Vaticano per il ratto di Edgardo e contro la canonizzazione di Pio IX. Ella dice di essere «scioccata dall'idea che la Chiesa cattolica voglia far Santo un Papa che ha perpetrato un atto di intolleranza inaccettabile e un abuso di potere». Ella spiega di sentirsi «storicamente obbligata, in nome della mia generazione, di chiedere [alla Chiesa] se è questo l'esempio che vuole dare».

Nel 1912, nella sua dichiarazione a favore della beatificazione di Pio IX, Edgardo Mortara ricordava i suoi sentimenti quando fu sottratto ai genitori: "Otto giorni dopo, i miei genitori si presentarono all'Istituto dei Neofiti per iniziare le complesse procedure per riportarmi in famiglia. Poiché avevano la completa libertà di stare con me e di parlarmi, restarono a Roma per un mese e vennero ogni giorno a visitarmi. Inutile dire che tentarono ogni cosa per riavermi indietro — carezze, lacrime, lamenti e promesse. Nonostante tutto ciò, non ho mai mostrato il minimo desiderio di tornare dalla mia famiglia, un fatto che io stesso non mi spiego, se non guardando al potere della grazia sovrannaturale".[14]

Alcuni conservatori all'interno della Chiesa cattolica difendono l'operato di Pio IX nel caso Mortara. L'arcivescovo Carlo Liberati, che ha seguito la causa di canonizzazione, ha detto a questo proposito: «Nel processo di beatificazione questo non può essere considerato un problema perché era una consuetudine dei tempi battezzare i giudei e farli diventare cattolici». Liberati aggiunge anche che «non possiamo guardare la Chiesa di allora con gli occhi dell'anno 2000, con tutta la libertà religiosa che abbiamo oggi» e continua dicendo che «la giovane domestica voleva dare la grazia di Dio al bambino. Lei voleva che andasse in Paradiso... [e] a quei tempi la paternità spirituale era più importante di quella civile».

Lo scrittore Cornwell ritiene che Pio IX avrebbe abusato di Edgardo Mortara, basandosi sulla circostanza che Edgardo in alcune occasioni si nascose sotto la veste di Pio IX[15], ma omette di riferire che Edgardo, secondo le sue stesse parole, si rifugiò dietro (e non sotto) la veste del papa, quando era di fronte ai suoi genitori arrabbiati.

La controversia sulla canonizzazione 

In Italia i maggiori rappresentanti degli ebrei e alcuni cattolici hanno messo in evidenza che la canonizzazione di Pio IX può danneggiare il recente lavoro per far dimenticare i comportamenti antigiudaici della Chiesa cattolica. Anche B'nai B'rith, un importante gruppo ebraico con sede negli Stati Uniti, ha fortemente protestato contro la canonizzazione di Pio IX.

Nel 1912, Mortara aveva testimoniato in forma scritta che pensava che Pio IX dovesse essere canonizzato: "Sono fermamente convinto, non solo per la deposizione che ho fatto, ma per l'intera vita del mio augusto protettore e padre, che il Servo di Dio Pio IX è un santo. Ho la convinzione quasi istintiva che un giorno sarà elevato alla gloria degli altari. Per me sarà un'intima gioia per tutta la mia vita e un grande conforto nell'ora della mia morte avere cooperato nei limiti delle mie forze al successo di questa causa. Prego Dio per intercessione del suo Servo di avere misericordia di me e di perdonare i miei peccati e di darmi la felicità alla sua presenza in Paradiso."[14]


Elena Mortara, una trisnipote di una delle sorelle di Edgardo e un professore di letteratura di Roma, continuano la loro campagna perché il Vaticano chieda scusa per il rapimento di Edgardo e contro la canonizzazione di Pio IX. La signora Mortara ha detto che è "allibita all'idea che la Chiesa cattolica voglia far santo un papa che perpetuò un simile atto di inaccettabile intolleranza e di abuso di potere." Ha spiegato che "si sente storicamente obbligata in nome della sua generazione di chiedere [alla Chiesa] se questo è l'esempio che vuole dare."

Nel 2005, lo scrittore cattolico Vittorio Messori ha pubblicato per Oscar-Mondadori il libro Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX dove è riportato integralmente il memoriale del protagonista stesso del caso, Edgardo Mortara, scritto nel 1888 quando era in Spagna che descrive papa Pio IX come un padre affettuoso e premuroso.


Beato chi onora il Tuo Nome, o Maria, 
* la tua grazia conforterà il suo spirito.

mercoledì 20 luglio 2011

P. Alfonso Maria Ratisbonne (1814-1884)

Padre Alfonso Maria Ratisbonne (Servo di Dio)

(1814 - 1884)




L’ebreo convertito da Maria



PRESENTAZIONE

Ho scritto questo compendio biografico di Alfonso Maria Ratisbon­ne, perché da diversi anni parecchie persone me lo chiedevano. Leggendo infatti la storia meravigliosa delle apparizioni dell'im­macolata a Santa Caterina Labouré (1830), i devoti della Medaglia Miracolosa incontravano la bella figura di questo ebreo, convertito dal­l'immacolata con una apparizione tutta singolare, a Roma nel 1842. Era naturale che sorgesse il desiderio di saperne qualcosa di più, sia per la risonanza del fatto, sia perché le Comunità fondate dai fratelli Ratisbonne, continuano oggi il loro apostolato tra í figli di quel popolo che fu il prediletto, ed a cui appartennero Gesù e la Vergine Santa. Oggi le relazioni tra la Chiesa ed il popolo ebraico sono migliorate ed ogni buon cattolico considera gli Ebrei come 'fratelli maggiori , da capire, rispettare ed amare. Hanno molto sofferto, e continuano a sof­frire, come se quel "sangue divino , invocato a Gerusalemme sul loro capo e sui loro figli il primo venerdì santo, li seguisse ovunque come una maledizione. Eppure Gesù li ama, l'immacolata li considera suoi figli e la sua apparizione ad Alfonso Ratisbonne non si limita di certo ad un avve­nimento 'personale , ma si rivolge a tutto il "suo "popolo. Voglia il richiamo materno aprire i cuori e togliere dagli occhi di Israele quel velo, che gli impedisce di riconoscere in Cristo il suo Messia!             Genova, 20 gennaio 1996
P Luigi Chierotti c.m.
 
IL PIANTO DI GESU SU GERUSALEMME (dal Vangelo)
- "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte io ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali, e tu non hai voluto!..." (Mt. 23,37)
- . "Quando fu vicino alla città, la guardò e pianse su di essa dicendo: - Oh, se in questo giorno anche tu avessi conosciuto ciò che giova alla vera pace! Ma tutto questo è rimasto nascosto ai tuoi occhi. Verranno per te giorni in cui i tuoi nemici ti cingeranno da ogni parte e abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasce­ranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata!" (Lc. 19,41-44)
 
Capitolo 1

UNA FACOLTOSA FAMIGLIA EBREA

Strasburgo, città che conta oggi 300.000 abitanti circa, capitale dell'Alsazia, a due passi dal confine con la Germania, fu battezzata dai Romani col nome di Argentoratum, e ribattezzata, nel secolo VII, con quello di Stratzeburc, borgo delle strade, o Strasburgo. Posta infatti alla confluenza dell'Ill col Reno, è il più grande porto fluviale della Francia e centro importante di commercio internazionale. Per il suo carattere, che partecipa insieme del mondo latino e di quello germanico, è stata scelta come sede del Consiglio d'Europa.
I Ratisbonne giunsero in questa città dalla Baviera, dove erano perseguitati, prima della grande Rivoluzione Francese. Fu il nonno materno di Alfonso, Neftali Cerfbeer, nativo di Olanda, che otten­ne nel 1784 dal Re di Francia, Luigi XVI, la cittadinanza per sé e per i suoi correligionari, il diritto di acquistare beni mobili e immobili, e anche titoli di nobiltà.
Il decreto di vera emancipazione però, fu firmato dall'Assem­blea Costituente solo il 27 dicembre 1791.
Con la cittadinanza ed il permesso di poter esercitare la loro professione, si apriva per gli ebrei ricchi un periodo di prosperità, soprattutto finanziaria, per mezzo dell'usura e del commercio. Il basso popolo ebraico invece, continuava a giacere nella miseria, sempre emarginato, se non odiato, dai cristiani. Infatti, benché la Rivoluzione Francese avesse aperto le porte dei ghetti, gli ebrei pre­ferirono continuare a vivere insieme segregati, per meglio difender­si ed aiutarsi scambievolmente.
Dottrinalmente gli ebrei abbracciarono tutte le idee anticristia­ne, che spuntarono prima, durante e dopo la Rivoluzione.
La famiglia del nostro Alfonso era una famiglia facoltosa di banchieri, al primo posto in Alsazia, ma il senso religioso della tra­dizione ebraica, la fede nell'unico vero Dio, si erano in essa affievo­liti, cedendo il posto all'interesse per il dio quattrino.
Augusto Ratisbonne e Adelaide Cerfbeer, ebbero 10 figli, sette maschi e tre femminucce. Il nostro Alfonso fu il penultimo. Nac­que il 1 ° maggio 1814 ed ebbe anche i nomi di Carlo e di Tobia.
Restò orfano di mamma a quattro anni e di babbo a sedici. Della numerosa figliolanza si occupò lo zio Luigi Ratisbonne, ric­chissimo e senza figli, che, tra tutti, predilesse Alfonso, calcolando di associarlo un giorno nella direzione della banca.
Il giovane intraprese gli studi dapprima nel Collegio Reale di Strasburgo e poi in un Istituto protestante. Conseguì il Baccelliera­to in Lettere e poi, a Parigi, la laurea in Diritto.
A questo punto lo zio Luigi lo richiamò, per farne il suo suc­cessore, ma Alfonso non era incline alla vita sedentaria di ufficio. Amava i divertimenti e la sua meta preferita erano i Campi Elisi di Parigi. Di questo periodo egli scriverà di se stesso, nella importante lettera "autobiografica" del 12 aprile 1842 al P Dufriche-Desge­nettes, parroco di N.S. delle Vittorie in Parigi: 'Amavo solo i piace­ri; gli affari mi impazientivano e l íaria degli uffici mi soffocava: pen­savo che nel mondo si vivesse solo per godere... Non sognavo che feste e piaceri e ad essi mi abbandonavo con passione... Ero un ebreo solo di nome, poiché non credevo nemmeno in Dio! Non aprii mai un libro di religione, e, nella casa di mio zio, come presso i miei fratelli e sorelle, non si praticava la minima Prescrizione delgiudaismo".
In realtà con i suoi compagni di brigata si vantava di professare un ateismo viscerale, che tuttavia lasciava spazio ad una certa filan­tropia e onestà naturale.
Resterà sempre un uomo di grande entusiasmo, ottimista, biso­gnoso di spazio e di movimento.
Una cosa sola impegnava il suo cuore sensibile: la sorte degli ebrei poveri. Per poterli aiutare si iscrisse alla 'Società di incoraggia­mento al lavoro", fondata a Strasburgo dal fratello Teodoro, che conosceremo meglio, e si prodigò nell'opera di, emancipazione degli ebrei. Sottoscrizioni, prestiti, garanzie, tutto serviva per soc­correre i più bisognosi tra i suoi correligionari.
Nel 1841 si tenne a Strasburgo un convegno di alte personalità del mondo israelita, con l'intento di adattare il culto ebraico alla mentalità contemporanea. Intervenne anche Alfonso, il quale, più tardi, dopo la conversione, dirà di quel convegno: di tutto si parlò, meno che della legge di Dio. Si prospettarono le esigenze dei tem­pi, le convenienze sociali, ma non si trattò del problema religioso.
L'unico accenno alla religione dei Padri fu semplicemente distrutti­vo: 'Bisogna che ci affrettiamo a uscire da questo vecchio tempio, di cui cadono da ogni parte í frantumi - esclamò uno degli intervenuti -, se non vogliamo essere sepolti sotto le sue rovine!':
 

Due raggi di luce dall'alto

In mezzo ad un simile sfacelo del mondo spirituale di una gio­vinezza ricca di doti e di mezzi, Alfonso ebbe due richiami a valori più nobili e degni di essere vissuti. Il primo fu la conversione al cat­tolicesimo del fratello Teodoro (1827), più anziano di lui di 12 anni. Il secondo fu il suo fidanzamento con la nipote Flora (1841), di appena sedici anni di età, figlia del fratello Adolfo. La ragazza era fine, vivace, colta, ma ancor troppo giovane in confronto di lui che aveva 27 anni.
E' utile soffermarci brevemente su questi due avvenimenti. Maria-Teodoro Ratisbonne (1802-1884), cresciuto, come i fra­telli senza alcun principio religioso, studiò diritto e medicina, pri­ma a Strasburgo e poi a Parigi, conseguendo le rispettive lauree.
A Strasburgo ebbe la fortuna di frequentare il corso di filosofia e religione di Luigi Eugenio Maria Bautain (1796-1867), uno stu­dioso convertito al cattolicesimo e divenuto poi sacerdote (1828).
La conversione di Bautain trascinò molti dei suoi ascoltatori, tra cui vi erano ebrei, ex-cattolici, protestanti e ortodossi, alla vera fede ed anche al sacerdozio. Tra questi vi fu Teodoro Ratisbonne, battezzato segretamente nel 1827.
Il suo fervore di neofito non si fermò al Battesimo. Teodoro intraprese gli studi teologici, e, nel 1830, fu consacrato sacerdote. Dapprima fu insegnante nel seminario di Strasburgo e poi, nel 1840, fu chiamato a Parigi dal Sac. Dufriche-Desgenettes, come Vice-direttore dell'importante Arciconfraternita di Nostra Signora delle Vittorie.
A Parigi, appoggiandosi come Cappellano a un orfanotrofio delle Figlie della Carità di S. Vincenzo De Paoli, egli fondò un isti­tuto (detto anche catecumenato) per gli orfani delle famiglie ebree, che giungevano nella capitale dal Centro Europa.
Era logico che per poter continuare nel tempo questa iniziativa, occorreva una famiglia religiosa ben organizzata. Ed ecco sorgere, nel 1843, le Suore di Nostra Signora di Sion, e, più tardi, nel 1852, anche i Sacerdoti di Nostra Signora di Sion.
Nel 1847, la fondazione femminile di Teodoro Ratisbonne fu già in grado di aprire nuove case in Francia e in vari Paesi dell'O­riente, tra cui Gerusalemme (1856), che Teodoro affidò al fratello Alfonso, come vedremo.
Ritornando ora agli anni della conversione di Teodoro, tenuta nascosta per qualche tempo, debbo sottolineare la reazione ostile furibonda contro di lui, che si impadronì di tutti i membri della sua famiglia, come se avesse tradito il suo popolo. L'ostilità crebbe ancor più, quando si seppe che era stato ordinato sacerdote. Alfonso, in un primo momento, ruppe con lui ogni relazione. Teodoro invece, partendo per Parigi, nel 1840, diede a tutti un addio affettuoso, dichiarando che avrebbe pregato per la conversio­ne dei fratelli e delle sorelle. Alfonso ne rise sarcasticamente. Non immaginava mai più che, poco tempo dopo, la SS. Vergine avreb­be ottenuto da Dio anche per lui la grazia della conversione.
Flora Ratisbonne fu la giovane bella e intelligente che ammaliò il cuore di Alfonso con un amore profondo, dopo tanti amorazzi mercenari. I due si capirono meravigliosamente ed avrebbero voluto, dopo il fidanzamento ufficiale, concludere subito con il matrimonio. La fidanzata però, era ancora in età minore, e gli anziani di famiglia, per guadagnar tempo, decisero di far allonta­nare Alfonso da Strasburgo con un lungo viaggio turistico, ovun­que gli fosse gradito. Decise per l'Oriente, attraverso la Costa Azzurra, l'Italia, Malta e l'Egeo. Costantinopoli doveva essere la meta conclusiva.
Flora, timorosa per la sua salute e per la sua fede ebraica, gli aveva fatto giurare di non visitare Roma, perché la malaria vi ser­peggiava ed il centro della cattolicità era un potenziale pericolo di perversione (o di conversione).
Alfonso partì portando nel cuore e negli occhi la dolce imma­gine di quella che ormai denominava "il mio buon angelo". Il pen­siero di lei gli fece anche ritornare il pensiero di Dio; l'amore uma­no lo aveva predisposto all'amore spirituale. 'La vista della mia fidanzata - scriverà nella lettera citata sopra -, svegliava in me non so quale sentimento della dignità umana. Cominciai a credere all'im­mortalità dell ítnima e mi misi perfino istintivamente a pregare Dio... Il suo pensiero mi elevava verso quel Dio, che non conoscevo e che non avevo mai nè pregato nè invocato".
 
Capitolo II

LA MADONNA L'ATTENDEVA PROPRIO A ROMA

Partì con la diligenza da Strasburgo per Marsiglia il 17 novembre 1841, dove si imbarcò sul primo battello a vapore diretto a Napoli. Il giorno 8 dicembre giungeva a Civitavecchia, nello Stato Pon­tificio, tra il rombo delle salve di artiglieria per la festa dell'Imma­colata Concezione di Maria. Quando apprese il motivo di tanta gioia, si indignò e rifiutò bestemmiando di scendere a terra. Nel suo diario scrisse: "Gente stolta e fanatica questi cattolici! Si informi­no su chi fu quella che essi idolatrano come Immacolata. Leggano il "Toledoth Jesù " e conosceranno la vera storia e i veri titoli di Miriam ". Il "Toledoth Jesù" o "La Generazione di Gesù", è un libello che fa parte della letteratura ebraica del Talmud. Esso raccoglie quanto di più abominevole sia mai stato scritto dalla Sinagoga contro Gesù e sua Madre.
All'alba del giorno seguente apparve il pennacchio del Vesuvio e la nave giunse a Napoli, dove Alfonso si fermò per circa un mese. Egli poté così visitare a suo agio e ammirare le, cose belle della città, riversando però, nel suo diario, sulla Religione cattolica e sul clero la causa della povertà e di tutti i mali della popolazione. "Oh, quan­te bestemmie nel mio diario! - esclama nella sua lettera autobiografi­ca -. Se ne parlo ora, è per far conoscere la malvagità del mio spirito!".
Nei paesi vesuviani gustò il buon vino "Lacryma Christi". Ne fu entusiasta, ma nei suoi scritti infarcì le lodi per il vino con atroci sarcasmi al fratello Teodoro e con orrende bestemmie. 'Scrissi a Strasburgo - egli prosegue nella sua lettera -, che sul Vesuvio avevo bevuto del Lacryma Christi alla salute del Padre Ratisbonne e che simili lacrime facevano un gran bene anche a me.! Non oso ripetere gli orribili giochi di parole che mi permisi in tale circostanza':
 

A Roma, suo malgrado

Le lettere intanto che giungevano da parte di Flora, gli ricor­davano la promessa di non recarsi a Roma, ed egli in realtà non ne aveva il minimo pensiero, tanto dà respingere l'invito di due suoi amici che lo attendevano nella città eterna, il Sig. Coul­mann, protestante, ex-deputato à Strasburgo, e il barone Roth­schild cattolico.
I suoi calcoli andarono delusi il 1° gennaio 1842, quando gli fecero sapere che la nave "Mongibello" non poteva proseguire subi­to per la Sicilia. Contrariato aspramente, Alfonso volle recarsi all'A­genzia-Viaggi per Palermo, per prenotare un posto su qualche altro vapore, ma per sbaglio si trovò all'Ufficio-Diligenze per Roma e prenotò un posto per Roma.
"Credo di aver sbagliato strada!" confessa nella sua lettera, ma intanto un desiderio inspiegabile era nato nel suo cervello di visita­re Roma, nonostante la promessa fatta alla fidanzata e il pericolo della malaria.
Partì per Roma il 5 gennaio e vi giunse il giorno seguente, festa dell'Epifania. Per due giorni girovagò tra ruderi, monumenti, galle­rie, fontane e catacombe.
Grande fu la sua meraviglia, quando, transitando per via del Corso, si sentì chiamare per nome. Era un suo compagno di scuola di Strasburgo, Gustavo de Bussières, protestante pietista. Con gioia rinnovarono la loro amicizia e proseguirono insieme la visita alla città.
Alfonso volle recarsi anche nel lurido ghetto ebraico e ne rima­se profondamente e tristemente impressionato. 'Là mi vinse una commozione, mista di compassione e di sdegno! - scriverà -. Come!, dicevo, rodendomi alla vista di quello spettacolo di miseria, è dunque questa la carità di Roma, tanto decantata! Rabbrividivo di orrore e mi domandavo se, per aver ucciso un "sol uomo", diciotto secoli fa, un popolo intero meritava di essere posto al bando e trattato con tanta barbarie.! .. Ahimé! io non conoscevo allora questo "sol uomo" e ignora­vo il grido sanguinario col quale il mio popolo aveva attirato sul suo capo i castighi divini, grido che non oso ripetere qui, che non voglio pronunciare. Preferisco ricordare quest’altro grido, esalato sulla Croce: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!':
Riferendo alla mia famiglia quello che avevo visto e provato, ram­mento d íiver scritto che preferivo essere tra gli oppressi, anzi che nel campo degli oppressori!".
Era logico che Gustavo invitasse a colazione il Ratisbonne pres­so suo padre, il Conte Atanasio, e, più tardi, gli proponesse anche una visita al fratello, barone Teodoro, che abitava in Piazza Nicosia.
Il Ratisbonne non voleva accettare quest'ultimo invito, anzitut­to perché il barone si era convertito al cattolicesimo ed era un neo­fito oltremodo fervente e "pericoloso"!, e poi perché si era fatto amico di suo fratello sacerdote. Tuttavia non poté esimersi, pur adducendo impegni da assolvere e protestando che doveva ritorna­re a Napoli, come aveva promesso agli amici, per ripartire il giorno 20 gennaio per Malta.
Alla fine decise di recarsi alla casa del barone il 15 gennaio, semplicemente per presentare un biglietto di scuse e andarsene via. Caso volle che venisse ad aprire la porta un domestico, che, non comprendendo una parola di francese, lo annunciò e lo intro­dusse subito nel salotto.
Alfonso fu accolto con gentilezza e con gioia dalla famiglia de Bussières: il babbo, la giovane sposa e le due figliolette, 'graziose e dolci come gli angeli di Raffaello " dirà Ratisbonne. Era presente anche un altro ospite, il Conte De Caroli.
 
Il dono della Medaglia Miracolosa
Dopo i primi convenevoli, la conversazione fu portata sul pia­no religioso. Alfonso fu letteralmente assalito, ma seppe difendersi bene, contraccando e formulando giudizi sarcastici contro il Catto­licesimo ed il governo papale, che lasciava gli ebrei di Roma nella miseria e nel degrado. 'Meglio essere dalla parte degli oppressi che da quella degli oppressori!" ripeté più volte.
Poi vomitò veleno e bestemmie contro la Religione Cattolica, come fosse la superstizione più grande e deleteria, non badando che erano presenti anche le bambine del barone.
Protestò di essere nato ebreo e di voler morire ebreo, e terminò esclamando seccamente che era tempo perso volerlo convertire, perché sarebbero stati necessari due miracoli: uno per persuaderlo del suo errore e un altro per muoverlo.
A questo punto, con un'invadenza oggi difficilmente compren­sibile, Teodoro de Bussières intervenne, cercando di smorzare il tono della conversazione e facendo una proposta:
- Giacché lei detesta la superstizione - disse il barone -, e professa dottrine tanto liberali, e poiché è uno spirito forte e cosi illuminato, avrebbe il coraggio di sottoporsi ad una prova molto innocente?
- Quale prova?
- Sarebbe di portare su di sè un oggetto che ora le darò. Eccolo; è una medaglia della Santa Vergine. Le par cosa proprio ridicola, non è vero? Ma in guanto a me, io dò molto valore a questa medaglia.
La proposta - afferma il Ratisbonne nel suo racconto -, mi stupì per la sua puerile singolarità. Non mi aspettavo di cadere in una simile facezia. Il mio primo impulso fu di ridere stringendomi nelle spalle, ma poi mi venne in mente che quella scena poteva divenire un delizioso capitolo delle mie impressioni di viaggio e consentii a prendere la meda­glia, come una prova autentica che avrei offerto alla mia fidanzata.
Detto fatto: mi si mette la medaglia al collo non senza sforzo, per­ché il cordone era troppo corto e la testa non vi passava. Infine, tira tira, avevo la medaglia sul petto ed esclamai con uno scoppio di risa: "Ah! eccomi cattolico, apostolico, romano!".
Da altre fonti apprendiamo un particolare di tenerezza e cioé che furono le due bambine del barone a imporre la medaglia al col­lo di Alfonso.
Non era ancor tutto finito. Il de Bussières, si direbbe "santa­mente importuno", volle anche che l'amico accettasse, prima di andarsene, copia della preghiera di S. Bernardo alla Vergine: 'Ricor­dati, o Maria... in versione francese.
Secondo la "Relazione autentica" del barone, il Ratisbonne uscendo mormorò tra se: 'Ecco un individuo originale e molto„indi­screto! Vorrei vedere che cosa direbbe, se io lo tormentassi per fargli reci­tare una preghiera ebraica!".
E non aveva torto; occorre discrezione anche nello zelo più sin­cero! Tuttavia, giunto in albergo, Alfonso lesse più volte la preghie­ra, non trovandovi nulla di straordinario, e la imparò quasi a memoria.
 
Capitolo III

COME PAOLO SULLA VIA DI DAMASCO

Non so quanto sia lecito accostare la conversione di S. Paolo sulla via di Damasco e quella di Ratisbonne a Roma. Paolo era un ebreo persecutore accanito di Gesù di Nazaret e dei cristiani. Gesù stesso lo fermò e lo converti per il bene di tutta la Chiesa, facendo­lo apostolo dei pagani. Ratisbonne era un ebreo amante della bella vita, bestemmiatore pieno di odio per il cattolicesimo, ma assillato dall'amore per i suoi correligionari. Fu Maria che ottenne la grazia della sua conversione, lasciandogli in cuore tutta l'amorevole preoccupazione per il suo popolo, sia come cattolico neofito, sia, più tardi, come sacerdote.
Per questo capitolo "centrale" della biografia di Alfonso Rati­sbonne, è ottima cosa sentire come testimoni i protagonisti del fat­to e lo stesso veggente, che, nella deposizione del 18 febbraio 1842, affermò: 'Fino a 23 anni sono vissuto senza alcuna religione, perfino senza credere in Dio... Ho sempre riso delle apparizioni e ho sempre rifiutato di credere ai miracoli". Era quindi ben lontano dal pensare che proprio lui avrebbe dovuto farne esperienza, nei pochi giorni che aveva deciso di passare ancora a Roma.
Il 20 gennaio andò ad accomiatarsi dal barone Teodoro de Bus­sieres. Lo trovò per strada in carrozza. Il barone lo fece salire e lo pregò di accompagnarlo un momento alla vicina chiesa di Sant'An­drea delle Fratte, per predisporre i funerali di un amico, il Conte Augusto La Ferronay, deceduto improvvisamente il giorno 17.
La chiesa, allora come oggi, era officiata dai Padri Minimi di S. Francesco da Paola.
Erano ormai le 12,45, quando il superiore, P Giuseppe Manti­neo, fu avvertito dal sacrestano che il de Bussières voleva parlargli. L'assenza di Teodoro non durò più di 10-12 minuti ed il Rati­sbonne ingannò l'attesa gironzolando per la chiesa ed osservando distrattamente marmi e dipinti.
L'attuale cappella dell'Apparizione era allora dedicata a S. Michele Arcangelo e all'Angelo Custode, ma vi era anche un piccolo quadro che rappresentava l'Arcangelo Raffaele, guida del giovane Tobia. Tobia era uno dei nomi di Alfonso.
Terminata la sua commissione, Teodoro ritornò in chiesa, ma non vide l'amico. Solo in un secondo momento lo trovò inginoc­chiato nella cappella di S. Michele come in estasi.
'Dovetti toccarlo tre o quattro volte - affermerà nella lettera a Teodoro Ratisbonne, il fratello sacerdote di Alfonso, scritta due giorni dopo, il 22 gennaio 1842 -, e poi finalmente volse verso di me la faccia bagnata di lacrime, con le mani giunte e con un éspressione impossibile a rendersi... Poi estrasse dal petto la medaglia miracolosa, la coprì di baci e di lacrime, e proferì queste parole: - Ah, come sono feli­ce, quanto è buono Dio, che pienezza di grazia e di felicità, come sono infelici coloro che non sanno niente!".
Da parte sua Alfonso scrive nella sua lettera autobiografica quanto segue: "Ogni descrizione, sia pur sublime, non sarebbe che una profanazione dell'ineffabile verità. Ero là, prosteso, irrorato dalle mie lacrime, ed il cuore mi batteva forte quando il Signor de Bussières mi richiamò alla vita. Non potevo rispondere alle sue domande incal­zanti. Alla fine afferrai la medaglia che mi pendeva dal collo e baciai con effusione l'immagine della Vergine raggiante di grazie... Oh! era Lei, sì era Lei!"
Calmata alquanto la prima emozione, Alfonso chiede all'amico di condurlo subito da un confessore, che lo prepari a ricevere il Battesimo, protestando che avrebbe parlato soltanto dopo che il sacerdote gliene avesse dato il permesso.
Viene accampagnato prima in albergo e poi al "Gesù", dal P Filippo Villefort, il quale gli ordina di raccontare quanto aveva visto e sperimentato.
 

"Maria non ha parlato, ma io ho compreso tutto!"

Alfonso Ratisbonne stringe in mano la medaglia miracolosa e, quando la commozione gli spezza la parola, la bacia ed esclama: 'Z ho vista, l ho vista, /ho vista!".
Dominandosi a stento, riesce a fare il racconto che io desumo dalla "Relazione autentica" di Teodoro de Bussières: "Stavo da poco in chiesa, quando all'improvviso l'intero edificio è scomparso dai miei occhi e non ho visto che una sola cappella sfolgorante di luce. In quello splendore è apparsa in piedi, sull;iltare, grande, fulgida, piena di mae­stà e di dolcezza, la Vergine Maria, così come è nella Medaglia Mira­colosa. Una forza irresistibile mi ha spinto verso di Lei. La Vergine mi ha fatto segno con la mano di inginocchiarmi e sembrava volesse dir­mi: - Così va bene!-. Lei non ha parlato, ma io ho compreso tutto!".
Il barone prosegue il suo scritto dicendo: 'Per condurre a termi­ne questo breve racconto, Ratisbonne aveva dovuto interrompersi di frequente per riprendere fiato, per padroneggiare la commozione che l'opprimeva. Noi lo ascoltavamo con un santo spavento misto di gioia... ".
Nello spazio di tre minuti, commenta sempre Teodoro de Bus­sières, Alfonso aveva fatto un'esperienza in cui gli era stato dato tutto. Egli accettò di essere afferrato da Dio, con un cambiamento radicale, totale e definitivo di tutto il suo essere. Per tutta la vita Alfonso Ratisbonne vivrà di questa illuminazione di un istante, pur "conservando - dice un suo biografo - le debolezze, la vivacità e le asprezze di un carattere appassionato, impetuoso, indipendente e perfino originale"
Alfonso stesso, nella deposizione del Processo canonico del 18­19 febbraio 1842, proverà a spiegare ciò che, in quel momento di illuminazione della grazia, aveva istantaneamente capito: 'Alla pre­senza della SS. Vergine, quantunque non mi dicesse una parola, com­presi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della Religione Cattolica: in una parola capii tutto!".
 
Capitolo IV

DAL BATTESIMO AL SACERDOZIO

La notizia della conversione miracolosa dell'ebreo Alfonso Ratisbonne si diffuse subito, non solo a Roma, ma in tutta Europa. Già la sera del 23 gennaio 1842, domenica, dal pulpito di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, il fratello, Don Teodoro, narrò l'apparizione dell'Immacolata a Roma e la conversione dell'e­breo. 'E questo convertito - soggiunse tra la più viva commozione della folla che gremiva la chiesa -, è mio fratello!".
La funzione terminò con il canto del "Magnificat".
Per i cattolici fu una grande gioia, per gli ebrei una profonda amarezza. Chi aveva "tradito " il suo popolo, sarebbe stato punito, anzitutto dai suoi famigliari.
Alfonso era stato prevenuto delle sofferenze che avrebbe incon­trato, anche con un segno profetico, che manifestò in un secondo tempo al P Villefort. Nella notte dal 19 al 20 gennaio infatti, aveva sognato una croce scura, priva della figura del Cristo, che lo segui­va ovunque, e questa visione l'aveva accompagnato per gran parte della notte e del giorno seguente, benché si sforzasse di cacciarne il ricordo.
Quando esaminò più attentamente la parte posteriore della Medaglia Miracolosa, scoprì con gioia la croce che campeggia nel centro, ma capì anche che significava sofferenza e sacrificio. "Que­sta croce che avete visto - gli aveva detto il P Roothaan, Superiore Generale dei Padri Gesuiti, mostrandogli il Crocifisso del suo scrit­toio -, quando sarete battezzato, bisognerà non solo adorarla, ma anche portarla!':
 

Il martirio del cuore

La prima dura prova fu il martirio del cuore, degli affetti più cari. Egli cercò di spiegare a Flora, la fidanzata, che cosa gli era acca­duto, ma inutilmente. La ragazza gli rinfacciò di aver trovato a Roma "un'altra donna"!. Lo zio gli negò la mano di sua figlia, temendo a buon diritto un matrimonio cattolico, e gli altri parenti non ebbero che parole di maledizione. 'Dalla mia famiglia - con­fessò nella sessione del 1 ° marzo del Processo canonico -, ho ricevu­to soltanto lettere sprezzanti, nelle quali ero denominato assassino della mia fidanzata, di suo padre, di mio zio e di tutte le persone a me più care. Queste parole sarebbero state sufficienti per uccidermi di dolore, senza il conforto della Fede... ".
Si rivolse direttamente allo zio con parole commoventi, ma tut­to fu inutile: "Ti scongiuro, caro zio, non mi negare la mia Flora. Se mi si nega Flora, consacrerò tutta la mia vita a pregare per lei e per voi, e a mortificarmi in qualche austero chiostro... ".
Fu il P Villefort che si prese l'incarico di prepararlo al Battesi­mo e, nello stesso tempo, di dissuaderlo dal rinchiudersi in un chiostro.
A questo punto si constatò una nuova meraviglia, che tutti attribuirono alla SS. Vergine. Alfonso apparve inaspettatamente già ben preparato nella dottrina cattolica. "Si trovò in lui - attestò il P Roothaan -, dopo la sua conversione, il senso della fede in maniera concreta ed efficace, facendogli comprendere, penetrare e ritenere con facilità quanto gli veniva proposto, al punto che in pochissimi giorni fu istruito in modo più che sufficiente":
In particolare si manifestò in Alfonso, una fede vivissima nella presenza reale di Gesù nell'Eucaristia.
Il 29 gennaio pertanto, egli subì l'esame dal Card. Mezzofanti, a cui era commessa la cura del Catecumenato, e fu ammesso a rice­vere in forma solenne il Battesimo, nella chiesa del Gesù, il matti­no del 31 gennaio.
La chiesa era gremita di gente, tra cui spiccava il fior fiore del­la nobiltà romana. Il nome di Battesimo prescelto dall'interessato fu quello di "Maria" e il suo padrino fu il barone Teodoro de Bussiéres.
Alfonso fu battezzato dal Card. Costantino Patrizi, Vicario Generale di Sua Santità, che gli amministrò anche il sacramento della Cresima.
Subito dopo, Mons. Felice Dupanloup, oratore di fama e futu­ro vescovo di Orléans, intrattenne l'uditorio con una commovente omelia in lingua francese.
Si passò quindi alla celebrazione della S. Messa, durante la qua­le il Ratisbonne poté ricevere per la prima volta Gesù Eucaristia.
 

Il sigillo dell'approvazione ecclesiastica

Il nuovo cristiano si fermò ancora presso i Padri Gesuiti per sei settimane e fu ricevuto in udienza particolare dal Santo Padre, Gre­gozio XVI. Secondo una testimonianza della biografia di Santa Caterina Labouré, il Papa fece vedere al Ratisbonne in quella occa­sione, la Medaglia Miracolosa, che egli aveva ricevuto in dono e che teneva in capo al suo letto.
Nel frattempo il Vicariato di Roma istruì un regolare processo canonico sull'apparizione dell'Immacolata e sulla conversione subi­tanea dell'ebreo. Le 17 sessioni si svolsero dal 17 febbraio 1842 al 1° aprile. Furono chiamati a deporre nove testimoni, primo dei quali il veggente.
Dalla severa inchiesta risultò che non vi era stata traccia di allu­cinazione o di autosuggestione fanatica. La cappella di S. Michele non aveva alcuna statua o quadro della SS. Vergine, che avesse potuto colpire la fantasia del veggente.
Il Ratisbonne, secondo la testimonianza del P Villefort, ripete­va, più meravigliato degli altri: "Quale grazia! Proprio a me che, un óra prima, bestemmiavo ancora!".
Il 3 giugno 1842, con un decreto apposito il Card. Costantino Patrizi, Vicario dell'Urbe, 'udita la relazione, visto il processo, visti gli esami dei testi e i documenti, dopo matura considerazione, richie­sto il parere anche dei teologi e di altri uomini di pietà, secondo la for­mula del Concilio Tridentino... pronunciò e dichiarò definitivamente che constava pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio Ottimo Massimo, per intercessione della Beata Maria Vergine, cioé la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Maria Ratisbonne dall’ebraismo "
L'apparizione di Roma prendeva così il primo posto delle otto apparizioni riconosciute dalla Chiesa, in questi ultimi 150 anni. Noi possiamo anche considerarla una approvazione "indiretta" delle apparizioni dell'Immacolata a Santa Caterina Labouré, quan­do le portò la Medaglia Miracolosa (Parigi 1830). Quelle apparizio­ni infatti, non ebbero mai la sanzione ufficiale della Chiesa, perché Santa Caterina non volle assolutamente presentarsi alla Commissio­ne di inchiesta, forse per suggerimento della Madonna stessa. La medaglia invece era stata subito approvata dall'Arcivescovo di Parigi, Mons. Giacinto De Quelen, perché non conteneva nulla contro la fede. Anzi l'Arcivescovo fu tra i primi a diffonderla, fin dal 1832, e poi giunse anche a Roma, in mano al Papa e ai cardinali.
 

Vocazione sacerdotale e religiosa

Il soggiorno presso i Padri Gesuiti di Roma servi al Ratisbonne per studiare il suo avvenire. Egli aveva 28 anni ed era ben deciso a restare fedele alla sua fidanzata, se essa avesse abbracciato la fede cattolica. Flora non lo illuse e in una prima lettera del 14 febbraio gli scrisse: 'Non ti cullare in una inutile speranza. Nessuno di noi seguirà il tuo esempio!".
Il 6 marzo gli diede la risposta definitiva: "Ora tutto è cambia­to: Nfonso di prima è scomparso; AAffonso di oggi non posso seguir­lo... D'ora in poi ti considero e ti amo come un fratello. Un'ebrea sa perdonare!".
Flora si sposò il 27 agosto 1846 con Alessandro Singer, ma i suoi rapporti con Maria-Alfonso migliorarono, tanto che, col mari­to, divenne una delle benefattrici più generose delle sue opere, spe­cialmente in Terra Santa.
Ai primi di marzo Alfonso partì per Parigi, evitando di recarsi a Strasburgo dai famigliari, nonostante l'invito espresso del Vescovo della città, Mons. Roess. Nella capitale tutti lo vollero conoscere, per sentire da lui la storia della sua conversione. Anche l'Arcivescovo, Mons. Affre, lo colmò di attenzioni. Egli preferì nascondersi presso il fratello Teodoro, nella "Casa della Provvidenza", dove le Figlie del­la Carità di S. Vincenzo De Paoli assistevano 250 orfanelle.
Aveva in animo un grande desiderio, quello di poter conoscere e parlare alla veggente dell'Immacolata, Suor Labouré. Ne fece richiesta, attraverso il suo direttore, il P Giovanni Aladel, ma Cate­rina, che viveva nel nascondimento, non volle riceverlo, perché non fosse infranto il segreto promesso alla Madonna.
Maria Alfonso si portò allora per due mesi nel Collegio di Juil­ly, per stendere un racconto circostanziato degli avvenimenti, e lo mandò al Sac. Dufriche-Degenettes (Lett. del 12 aprile 1842).
In quel silenzio decise anche della sua vocazione. 'Le lettere del­la mia fidanzata - scrisse -, mi rendono la mia libertà. Questa libertà la consacro a Dio coll'intera mia vita, per servire la Chiesa ed i miei fratelli, sotto la protezione di Maria SS. Io credo che il sacrificio totale della mia vita a servizio di Nostro Signore Gesù Cristo sarà più utile e salutare alla mia famiglia, che tutti i miei sforzi per convertirla... " (Lett. del giugno 1842 a Mons. Roess).
Il 20 giugno 1842, dopo aver elargito all'orfanotrofio che l'ave­va accolto, un generoso aiuto finanziario, entrò in povertà nel novi­ziato dei Padri Gesuiti a Tolosa, e fece domanda al Superiore Gene­rale di essere mandato volontario nelle difficili missioni della Cina. I suoi amici lo credettero impazzito.
Intrapresi gli studi di teologia nello studentato di Laval, fu ordinato sacerdote il 24 settembre 1848. D'allora fu denominato semplicemente Padre Maria.
Fu destinato dapprima alla predicazione di "ritiri" e di "missio­ni popolari" e poi nominato cappellano delle carceri di Brest, mini­stero che preferì ad ogni altro.
Il suo chiodo fisso però, la sua vocazione naturale era quella del fratello Teodoro: lavorare e sacrificarsi per la emancipazione, con­versione e redenzione degli ebrei, del "suo popolo".
 
Capitolo V

"GERUSALEMME, CONVERTITI AL TUO SIGNORE!"

"Va,' conduci le Figlie di Sion a Gerusalemme!" così aveva escla­mato in una omelia del 19 gennaio 1881 il P Maria, come fosse stato un ordine rivoltogli dalla SS. Vergine.
Il fratello Teodoro a Parigi aveva fondato nel 1843 le Suore di Nostra Signora di Sion, per l'assistenza ed educazione degli orfani ebrei. Nel 1852 egli stava per fondare anche il ramo maschile del­l'Istituto, i Padri di Nostra Signora di Sion, e aveva bisogno di sog­getti, che sentissero ed amassero questa missione specifica. Offrì pertanto ad Alfonso la possibilità di realizzare la sua vocazione di sempre: spendere la sua vita come missionario per gli ebrei.
Col permesso del Papa Pio IX, il P Maria lasciò la Compagnia di Gesù nel dicembre del 1852, e si unì al fratello Teodoro. Le sue relazioni con i Padri Gesuiti restarono sempre ottime e di grande riconoscenza. Poco prima di morire, in una lettera del 18 marzo 1883, espresse ancora questo desiderio: 'Desidero con tutto il cuore vedere la Compagnia di Gesù a Gerusalemme, sia per il bene della Terra Santa che della Compagnia stessa. Coglierò tutte le occasioni per realizzare questa impresa.
Entrato nella nuova Famiglia religiosa, il P Maria pensò subito di realizzare il suo grande sogno: portare a Gerusalemme le Suore di Nostra Signora di Sion.
Partì per primo per la Terra Santa il 12 settembre 1855, e, otto mesi dopo, il 6 maggio 1856, lo raggiunsero le Suore.
In Terra Santa doveva vivere per 30 anni, salvo brevi assenze, ed esservi sepolto.
 

La situazione di Gerusalemme e della Palestina

Per ben comprendere e valutare l'opera del P Ratisbonne, occorre conoscere, pur sinteticamente, la situazione politica, eco­nomica e sociale della Terra Santa in quel periodo.
Gerusalemme e l'intera regione dipendevano dalla "Sublime Porta", la Turchia, e tutto era difficile da ottenere dai musulmani.
Soltanto la Custodia Francescana, sin dal 1291, provvedeva ai Luoghi Santi. I Cattolici erano pochi.
Nel 1847 fu ricostituito il Patriarcato Latino, dopo cinque secoli e mezzo, e fu affidato a Mons. Valerga, uomo di grande valo­re, ma povero di tutto. Non aveva clero, non seminario, non epi­scopio, non scuole. Vi era una sola Comunità femminile, quella delle Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, che accolsero, nel 1856, le Suore di Sion.
La povertà era enorme di tutti, ma particolarmente degli ebrei e dei cristiani.
 
Il Santuario dell' "Ecce Homo"
La prima opera a cui pose mano il P Maria fu il Santuario dell' "Ecce Homo", che ospitò le Suore di Sion e l'orfanotrofio femminile.
Là Gesù era stato flagellato, coronato di spine, condannato a morte; là era risuonato il Crucifige! ed il grido blasfemo del suo popolo: '7l suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli!". Come avrebbe voluto che quelle parole fossero state cancellate dalle altre di Gesù sul Calvario: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!':
Dopo pratiche difficili e snervanti, nel 1857, il P Ratisbonne poté comprare le rovine del Pretorio di Pilato. Erano soltanto un ammasso di cupolette sfondate e crollate sui sotterranei, dove pul­lulavano topi e immondizie. Con sette anni di duro lavoro e grandi sacrifici, poté veder sorgere su quelle rovine il Santuario dell' "Ecce Homo", come tempio di espiazione del popolo israelita.
Ne affidò la custodia alle Suore di Sion, mentre fiorivano attor­no le opere della carità cristiana: un collegio gratuito per 100 orfa­nelle e un semipensionato per 120 ragazze musulmane ed ebree. Più tardi furono accettate anche ragazze di famiglie agiate, mentre un dispensario assisteva 200 ammalati poveri di tutte le religioni. Prima che il Santuario dell' "Ecce Homo" fosse compiuto, il P Maria apri una nuova casa (1860) a S. Giovanni in Montana, oggi Ain Karem, a sei km. da Gerusalemme. Inizialmente la nuova casa era destinata alle suore sofferenti per il clima, ma dovette accogliere subito le orfanelle libanesi, sfuggite ai massacri dei Drusi.
Poi giunsero orfanelle anche dalla Samaria, da Gaza, da Naza­ret, da Betlemme e da tante altre parti, ma lo spazio era limitato e le risorse pure. "Come sarei felice - esclamava col cuore stretto P Maria -, se un giorno potessi raccogliere tutti i poveri fanciulli di Geru­salemme e della Terra Santa, così come Nostro Signore stesso desiderava radunarli come una chioccia sotto le sue ali!".
Un'Opera analoga per 100 ragazzi il P Maria iniziò a S. Pietro in Gerusalemme nel 1873 e la denominò Scuola di Arti e Mestieri. 1 giovani apprendevano i mestieri di panettiere, falegname, tornito­re, sarto, tappezziere, calzolaio, sellaio, zincatore, stagnaio e scultore. 1 posti furono subito esauriti e il Ratisbonne dovette dire di no: 'Non c eposto per voi. Per il mio cuore è una vera tortura!".
Opere siffatte richiedevano non solo collaboratori e collabora­trici, ma anche molto denaro per sfamare tante bocche. E poiché la Palestina non poteva dare un benché minimo aiuto, P Maria venne in Europa e mendicò il pane per i suoi orfanelli a tutte le porte, umile e povero pellegrino d'Oriente, lui che era stato un potente re della finanza.
 
Capitolo VI

L'ULTIMA VISITA A ROMA PRIMA DEL CIELO

Dopo molti rinvii, emozionato e timoroso, giunse a Roma il 26 gennaio 1878 in incognito.
Si precipitò a Sant'Andrea delle Fratte, per prenotare la celebra­zione della Santa Messa per il giorno seguente.
- Volete celebrare all altare della Madonna del Ratisbonne? -, gli chiese il Padre custode.
- Sì, sarei molto contento di celebrare là.
- Di dove venite?A quale missione appartenete? - Vengo da Gerusalemme.
-Allora conoscete il Ratisbonne?
- Oh sì, lo conosco molto bene. La Messa la celebrerò proprio per lui. - Va bene!
Anche alla chiesa dei Padri Gesuiti conservò l'incognito il gior­no seguente.
Ecco i suoi sentimenti espressi al fratello Teodoro, il 27 gen­naio, dopo aver celebrato a Sant'Andrea: 'Questa mattina ho cele­brato allaltare della 'Madonna del Ratisbonne"... Appressandomi all altare tremavo e ripetevo al Signore queste parole: - Non guardare ai miei peccati, ma ai frutti di carità della tua Congregazione! -. Sono unto dall emozione... ':
Il 4 febbraio celebrò in Sant'Andrea per l'ultima volta e poi scrisse al fratello sacerdote: E' stato duro allontanarmi da questo altare e da questa chiesa. Uscendo sono stato sul punto di cadere. Mi sembra che una parte dei mio cuore, della mia anima e della mia vita resta là. Avrei tanto desiderato di morirvi. L ho chiesto a Maria con insistenza, ma, dalla cappella di fronte, quella dell' 'Ecce Homo , ho udito un comando: "Va! Va!" ed ho obbedito':
Il l ° febbraio, il Papa Pio IX, benché gravemente infermo e vicino a morire, volle riceverlo in udienza privata e intrattenersi con lui per circa un'ora, informandosi delle sue attività apostoliche a Gerusalemme.
Questa visita fece cadere l'incognito della sua presenza a Roma. Fu una gara di inviti, specialmente dai religiosi, ma che egli non gradì. Compreso da profonda umiltà, affrettò la sua partenza, che avvenne il 4 febbraio. Non avrebbe più riveduto Roma e la chiesa della sua miracolosa conversione, ma quella luce che lo aveva folgo­rato il 20 gennaio 1842, lo avrebbe accompagnato fino alla morte.
 

Verso il cielo dalla terra di Gesù

Gli ultimi anni del buon Padre furono segnati dalla sofferenza, ma egli non perdette mai il brio del suo temperamento e della sua conversazione.
La Croce e Maria erano i suoi due grandi amori.
'Dal Calvario al cielo - soleva ripetere -, non vi è che un passo!". Era divenuto quasi cieco e pareva consumato più dalle fatiche che dagli anni. Sapendolo così sfinito e in uno stato di debolezza generale, i suoi religiosi di Parigi facevano pressione, perché lascias­se la Palestina e raggiungesse la Francia. Ed egli rispondeva: 'Lasciate il povero Alfonso Maria nel suo cantuccio... E' divenuto qua­si cieco e domanda una cosa sola: morire in pace sulla Via Dolorosa!': Non avrebbe lasciato Gerusalemme se non per salire al cielo. Intanto, il 10 gennaio 1884, moriva a Parigi il fratello Teodoro, a 84 anni di età. Alfonso ne ebbe notizia il 20 gennaio e pianse il fratello con molte lacrime. Era lui che gli aveva aperto la strada alla conversione col suo esempio.
Il l ° maggio anche il P Maria si ammalò di polmonite, nella sua povera residenza di Ain Karem. La sua cella a pian terreno non misurava che m. 4 per 5. L'arredamento si limitava ad uno scrit­toio, un pagliericcio, un guanciale di crine ed una catinella.
Il 6 maggio le sue condizioni si aggravarono. La Vergine Santa era sempre presente al suo spirito ed egli sembrava impaziente di raggiungerla.
Al P Estrade aveva confidato: '7o non sono che un peccatore, eppure non ho paura della morte, anzi la desidero!... Vorrei morire recitando il 'Ricordati, o Maria':
A quanti lo assistevano raccomandava: "Quando sarò alla fine, non suggeritemi le invocazioni per i moribondi; ditemi solo: Maria! Questa parola scenderà nel mio cuore!".
Poco prima di morire supplicò: 'Perché mi torturate con le vostre cure? La Santissima Vergine mi chiama e io ho bisogno di Lei. Deside­ro solo Maria; per me è tutto!".
Prima di spirare, parve rapito in estasi per qualche minuto. Ai presenti sembrò che contemplasse la SS. Vergine, come quando gli era apparsa a Roma il 20 gennaio del 1842.
Aveva 70 anni.
Gerusalemme pianse sinceramente il Padre di tanti orfani.
Alla Messa funebre nella basilica dell' "Ecce Homo", presenzia­rono più di 200 sacerdoti e il corteo che accompagnò la salma ad Ain Karem, era composto da una folla di persone di ogni religione e di ogni ceto sociale.
Forse con un po' di esagerazione retorica del momento, il Card. Simeoni, Prefetto di Propaganda, dichiarò: 'In pochi anni P. Maria ha fatto per il bene di Gerusalemme piu di tutti gli altri in due secoli!':
'Sulla mia tomba - aveva detto il Ratisbonne -, metterete soltan­to queste due parole: Padre Maria':
I suoi protetti vollero però aggiungere, sotto la statua di marmo dell'Immacolata della Medaglia Miracolosa con le braccia aperte, quest'altra invocazione: "0 Maria, ricordati del figlio tuo, che è la dolce e gloriosa conquista del tuo amore!".
Per il P Alfonso Maria Ratisbonne non si può parlare di nume­rose conquiste, come delle centinaia di conversioni operate dalla Grazia Divina, per mezzo del fratello Teodoro. Tuttavia il suo esempio e, ancor più la sua carità, ebbero un'efficacia vasta e profonda. Alla sua morte si poterono contare ben 28 membri della famiglia Ratisbonne, che si erano convertiti al cattolicesimo.
 

Chi era il P Maria come uomo e come sacerdote

Come uomo aveva sortito da natura un carattere gioviale, aper­to, ottimista. Gli piaceva scherzare e ridere. '7l mio temperamento allegro - soleva dire -, è una vera grazia di stato':
A una suora che gli chiedeva: - Come fate a cambiare la sofe­renzà in gioia? - rispondeva: - Dico tutto alla Vergine Santa, le confi­dò tutto ciò che mi può tormentare, addolorare e inquietare e poi la lascio fare. Come posso allora essere triste?".
Benché avesse conservato la sua vivacità anche da anziano come a vent'anni e fosse capace di adirarsi, era pronto a riconoscere il suo torto e a chiederne scusa.
Del resto questa allegria e vivacità si accompagnava ad una squisita bontà. Circondava di affetto e sollecitudine chi gli stava vicino, specialmente i più umili e indifesi. Fraternizzava con i domestici di Ain Karem, fino a farli mangiare alla sua stessa tavola, quando sapeva che non avevano il necessario. Vegliava i bambini gravemente malati durante la notte e invitava per turno i più pic­coli a fare colazione con lui, in onore di Gesù-Bambino.
Con grande spirito ecumenico ripeteva fin d'allora: 'Bisogna allargare il cuore; non bisogna fare alcuna distinzione tra il latino, il greco, il maomettano e l'ebreo, ma occorre abbracciar tutti con amo­re.!"
Come sacerdote si distinse per una fiducia illimitata in Maria, e non poteva essere diversamente. Con umiltà semplice e sincera riconosceva i suoi limiti, ma più si umiliava, più grande si faceva la sua fiducia in Maria. 'La mia confidenza in Maria - confessò -, rasenta la temerità!".
Eccezionalmente un 20 gennaio, anniversario della apparizione di Roma, il P Maria accettò di parlare alla sua Comunità della Madonna: "Voi desiderate che io vi parli della Vergine... Era bella, tanto bella, una luce nella luce.!..."
Dette queste parole, scoppiò in lacrime e si alzò scongiurando: 'Non chiedetemi più di parlarne!':
 

APPENDICE

La Congregazione di Nostra Signora di Sion

Nel 1843, ovviamente spinto dall'esperienza vissuta da Alfonso il 20 gennaio 1842 a Roma, Teodoro Ratisbonne fondò a Parigi la Congregazione delle Suore di Nostra Signora di Sion, approvata dalla Santa Sede nel 1863.
Lo scopo iniziale era la "santificazione dei suoi membri e dei figli di Israele" : Il Concilio Vaticano II ne ha ulteriormente ampliato il fine, chiamando­la a 'testimoniare nella Chiesa e nel mondo, la fedeltà di Dio al suo amore per il popolo ebreo, a lavorare al compimento delle promesse bibliche, da Dio rivolte ai Patriarchi e ai profeti d’Israele per tutta l’umanità" (Costituzioni delle Suore di Sion, 1984).
Le Suore di Sion devono inoltre vivere della Parola di Dio come Maria, in ascolto della tradizione ebraica, nella quale il cristianesimo riconosce le proprie radici.
La Congregazione non ha soltanto un ramo femminile (1843), ma anche uno maschile dal 1852.
Il ramo femminile conta oggi complessivamente 120 residenze e si suddi­vide in tre categorie:
1) Le suore apostoliche, che furono le prime, lavorano in 22 nazioni nella pastorale, nell'educazione della gioventù, nella catechesi, nella formazione biblica ecc.
E' loro compito specifico promuovere il dialogo con gli ebrei ed operare nelle attività sociali che favoriscono la riconciliazione.
2) Le suore contemplative, fondate nel 1926, sono chiamate ad essere dei focolari di lode e intercessione presso Dio. Attualmente hanno quattro con­venti in Brasile, Francia e Israele.
3) Le Ancelle, di più recente fondazione e forse ancora in via di esperi­mento, vestono abito civile, per poter penetrare più facilmente in ambienti scristianizzati ed ostili alla Chiesa.
Il ramo maschile è presente a Gerusalemme, in Francia ed in Brasile. Dirige a Parigi un Centro attivo di informazione e di studio dei problemi di Israele e suo compito specifico è la conversione degli Ebrei.
 
Un prodigio sulla tomba di Alfonso Maria Ratisbonne (1966)
Ain Karem, un pittoresco paesino di Israele, che oggi fa parte della peri­feria della grande Gerusalemme ebraica, secondo la tradizione, fu la patria di S. Giovanni Battista, il Precursore di Gesù, e perciò il luogo dove Maria SS. cantò il suo Magnificat.
Ad Ain Karem, nella proprietà del convento di Nostra Signora di Sion, riposa Alfonso Maria Ratisbonne, la cui pietra tombale è sormontata dalla statua dell'Immacolata della Medaglia Miracolosa.
Nel mese di aprile 1966, Suor Bernès, Superiora delle Figlie della Carità del vicino istituto per bambini handicappati ebrei, scriveva alla casa-Madre di Parigi quanto segue:
"Questa casa di Ain Karem, dove assistiamo piccoli anormali, non appartie­ne alla Comunità. Era la casa di campagna degli alunni dei Padri Bianchi, che l hanno affidata alla nostra custodia.
Un giorno, parecchi anni fa, un operaio, tagliando un ramo dellíalbero che si trova davanti alla statua dellImmacolata della piazzetta, si fermò interdetto: la sezione del ramo riproduceva esattamente la parte posteriore della Medaglia Miracolosa, con le tinte brune naturali del legno.
Egli si recò all'Ospizio e, senza dir parola, fece vedere il ramo. - Ma é la nostra Medaglia! - esclamarono le Suore.
Qualche giorno dopo io andai da Padri Bianchi e mostrai loro la sezione del ramo: stessa esclamazione!
E tanto grazioso e commovente questo ricamo naturale del legno!
I Padri Bianchi mi pregarono di lasciar loro il ramo e io non potei rifiutare, perché l ídbero, come tutto il resto, appartiene a loro.
Qualche settimana fa, le autorità israeliane ci hanno fatto richiesta della mappa della proprietà. Ci rivolgiamo ai Padri Bianchi e veniamo a sapere che il terreno, su cui è costruita la casa, era stato comprato dal P. Ratisbonne, il quale certamente aveva fatto erigere la statua dell’Immacolata. Ho ricordato allora il fatto del ramo e sono rimasta pensosa...
Non è sorprendente questo accostamento: Ratisbonne, il "veggente "di Roma, la cui conversione è attribuita alla Madonna della Medaglia Miracolosa, e que­sto ramo, nel quale il gioco della linfa ha impresso il monogramma di Maria?".
(da L Eco della Casa-Madre, Ed.C., Napoli, giugno 1966)
 

DOCUMENTI

1) Lettera di Alfonso Ratisbonne alla fidanzata Flora. (Scelta dei passi più importanti)

Roma, 21 gennaio 1842

 
Mia carissima,
Tu starai per credermi pazzo. Tre volte io ti ho annunziato la mia partenza per la Sicilia e Malta, e tre volte, senza potermi dare ragione io stesso di quel che accade in me, succede che, sul punto di partire, Roma mi attrae, Roma mi seduce, Roma mi tiene.
A Napoli uscivo per fissare il posto sulla nave a vapore, e, obbe­dendo ad una forza irresistibile, cambio improvvisamente e invo­lontariamente direzione, e corro, non so come, all'ufficio della dili­genza per Roma...
A Roma, senza maestri, senza libri, ho imparato di più in pochi giorni, anzi posso pur dire in poche ore, di quanto potessi imparare in tutta la mia vita, se non vi fossi venuto. Unisci, mia cara, le tue preghiere alle mie per renderne grazie a Dio.
Tu stupisci, mia Flora, del tono serio e religioso della mia lette­ra. Essa contrasta in modo meraviglioso e prodigioso con le bestemmie d'ogni fatta, che ho proferite nelle mie lettere preceden­ti, logica conseguenza della mia irreligiosità e dell'empia atmosfera in mezzo a cui vivevo. Ebbene, Flora mia, è un miracolo nel vero senso di questo vocabolo; è un miracolo inaudito quello a cui deb­bo un così repentino cambiamento; è per mezzo di un miracolo che si è riempito il vuoto che c'era dentro di me; è per un miracolo che io sono ora il più felice degli uomini...
Ti ripeto, mia cara Flora, che io non sono pazzo... Te lo giuro, le disposizioni improvvise nelle quali mi trovo, non sono dovute che a un miracolo.
So bene a quali motteggi mi espongo da parte di coloro che ridono di tutto (ed io ero di questi poco tempo fa), che ridono per­fino di Dio, nonostante le sue meraviglie di ogni giorno...
Questo miracolo tu lo conoscerai; io non voglio parlartene oggi, non perché ti creda indegna di conoscerlo, ma perché occorre che tu sia preparata ad aggiungervi fede...".
(Firmato) Maria Alfonso Ratisbonne
 
2) Lettera di Alfonso Ratisbonne allo zio di Strasburgo. (Scelta dei passi più importanti)

Roma, 22 gennaio 1842

 
Mio caro zio,
...Dalle mie lettere hai potuto vedere da quali sentimenti io fos­si animato. Avevo un certo senso religioso, ma anticristiano e anti­cattolico. ...Non sono forse stato io quello della famiglia, che ha maggiormente perseguitato Teodoro?
(Qui Alfonso fa una dettagliata narrazione dell ;apparizione e della sua conversione e poi soggiunge.)
Che cosa era dunque accaduto? Un miracolo! - direte voi ridendo. Ridete, ridete, poveretti, ma quando avrete riso ben bene, vi porrete a riflettere, a cercare di trovare una causa di una simile conversione... Ridete, ridete, empi! Ma verrà per ognuno di voi un'ora solenne, in cui non riderete, in cui penserete seriamente a quel che oggi io vi dico...
Io non ho affatto intenzione di entrare negli Ordini Sacri. Quella che dovrà decidere è Flora, che io amo di sincero amore, come sempre l'ho amata e amerò. Si presentano due soluzioni: o Flora crederà alla verità di quel che le dirò, o non ci crederà. Se essa ci crede, seguirà necessariamente l'esempio mio; si farà cattolica, il nostro matrimonio avverrà ai piedi dell'altare, davanti a Cristo, e la nostra casa, la nostra felicità, l'educazione morale e religiosa dei nostri figli... attirerà gli altri col nostro esempio.
Se invece Flora non crede alla verità delle mie parole, senza dif­ficoltà rinuncerà a un uomo, che, usando di simili imposture, si rende indegno di lei. Ma allora io le darò una solenne smentita, per
obbedire alla voce di Dio: rinunzierò al mondo e passerò la mia vita in uno dei chiostri più austeri del cristianesimo... per porgere, fino all'ultimo istante della mia vita, fervide preci a Dio per la vostra conversione...
Addio, mio caro zio! Allego una lettera per Flora, che conse­gnerai, se lo giudichi conveniente. Io dispongo il suo animo e poi tu le dirai la risoluzione che ho preso...
(Firmato) Maria Alfonso Ratisbonne
 
3) Seconda lettera di Alfonso alla zio di Strasburgo.
(Scelta dei passi più importanti)

Roma, 15 febbraio 1842

 
Mio caro zio,
... Se non fossi cattolico d'anima e di cuore, le vostre lettere mi avrebbero dato la morte o fatto perdere il senno... Io ho attinto il mio conforto, la mia rassegnazione nel fervore delle mie preghiere; ho pianto e sono stato consolato...
Ti giuro, zio, in nome di quanto vi ha di più sacro, che la mia conversione non ha altra causa che un fatto miracoloso...
Ti scongiuro, mio caro zio, non mi negar la mia Flora!...
Se mi si nega Flora, la mia decisione è presa: consacrerò tutta la mia vita a pregare per lei, per voi, e a mortificarmi nel fondo di qualche rigido chiostro!...
(Firmato) Maria Alfonso Ratisbonne
 
4) Lettera di Alfonso Ratisbonne al P. Francesco DAversa, Curato di SantAndrea delle Fratte, ed ai Padri Minimi.
(Passi più importanti)

Parigi, 5 marzo 1878

 
Carissimi e venerabili Padri,
Sento profondamente il bisogno di ringraziarvi delle gentilezze senza numero, che mi avete prodigato durante il mio ultimo sog­giorno a Roma. Mai il ricordo delle consolazioni avute a S. Andrea delle Fratte potrà concellarsi dal mio cuore...
La Madonna di S. Andrea, nell'attirarmi nuovamente a Roma dopo un'assenza di 36 anni, mi ha elargito un secondo favore straordinario e una consolazione inesprimibile: la mia visita a S.S. Pio IX il 1 ° febbraio. Non è stata provvidenziale? Un giorno in più e sarebbe stato ormai troppo tardi e non avrei potuto ricevere le ultime benedizioni del grande Papa per me e per la Congregazione di N.S. di Sion...
(Firmato) P Maria Alfonso Ratisbonne
(N.d R) Il Papa Pio IX morì il 7 febbraio 1878.
 
5) Decreto del Card. Patrizi sulla conversione miracolosa di Alfonso Maria Ratisbonne.
(Brano centrale)

Roma, 3 giugno 1942

 
...L'Em.mo e Rev.mo Sig. Card. Vicario dell'Urbe, udita la relazione, visto il processo, visti gli esami dei testi, e i documenti, dopo matura considerazione, richiesto il parere anche dei teologi e
di altri uomini di pietà secondo la formula del Concilio Tridenti­no, Sessione 25, sulla invocazione, venerazione, reliquie dei santi e immagini sacre, disse, pronunciò e dichiarò definitivamente che constava pienamente la verità dell'insigne miracolo operato da Dio Ottimo Massimo, per intercessione della B. Maria Vergine, cioé la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Maria Ratisbonne dal­l'ebraismo...
Costantino Patrizi Card. Vicario

la madonna del miracolo appare ad alphonse ratisbonne