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domenica 5 marzo 2017

Perfetta letizia!

*
GESU’ disse:
“Beati voi, quando sarete odiati e perseguitati; 
non resterà 
alcun luogo, 
dove sarete stati perseguitati”
Tommaso (68)

AMDG et BVM

martedì 1 novembre 2016

Il dono della Grazia e le Beatitudini

170. Secondo discorso della Montagna: 
il dono della Grazia e le beatitudini.

Gesù parla agli apostoli mettendoli ognuno al loro posto per dirigere e sorvegliare la folla, che sale fin dalle prime ore del mattino con malati portati a braccio o in barella o trascinantisi sulle grucce. Fra la gente è Stefano ed Erma. L'aria è tersa e un poco freschetta, ma il sole tempera presto questo frizzare di aria montanina che, rendendo mite il sole, se ne avvantaggia però, facendosi di una purezza fresca ma non rigida. La gente si siede sui sassi e pietroni che sono sparsi nella valletta fra le due cime, altri attendono che il sole asciughi l'erba rugiadosa per sedersi sul suolo. E’ molta la gente e di tutte le plaghe palestinesi e di tutte le condizioni. Gli apostoli si sperdono nella moltitudine ma, come api che vanno e vengono dai prati all'alveare, ogni tanto tornano presso il Maestro per riferire, per chiedere, per il piacere di essere guardati da vicino dal Maestro. Gesù sale un poco più in alto del prato che è il fondo della valletta, addossandosi alla parete, e inizia a parlare. 

«Molti mi hanno chiesto, durante un'annata di predicazione: "Ma Tu, che ti dici il Figlio di Dio, dicci cosa è il Cielo, cosa il Regno, cosa è Dio. Perché noi abbiamo idee confuse. Sappiamo che vi è il Cielo con Dio e con gli angeli. Ma nessuno è mai venuto a dirci come è, essendo chiuso ai giusti". 

Mi hanno chiesto anche cosa è il Regno e cosa è Dio. Ed Io mi sono sforzato di spiegarvi cosa è il Regno e cosa è Dio. Sforzato non perché mi fosse difficile a spiegarmi, ma perché è difficile, per un complesso di cose, farvi accettare la verità che urta, per quanto è il Regno, contro tutto un edificio di idee venute nei secoli e, per quanto è Dio, contro la sublimità della sua Natura. 
Altri ancora mi hanno chiesto: "Va bene. Questo è il Regno e questo è Dio. Ma come si conquistano questo e quello?". Anche qui Io ho cercato di spiegarvi, senza stanchezze, l'anima vera della Legge del Sinai. Chi fa sua quell'anima fa suo il Cielo. 
Ma per spiegarvi la Legge del Sinai bisogna anche far sentire il tuono forte del Legislatore e del suo Profeta, i quali, se promettono benedizioni agli osservanti, minacciano tremende pene e maledizioni ai disubbidienti. La epifania del Sinai fu tremenda e la sua terribilità si riflette in tutta la Legge, si riflette su tutti i secoli, si riflette su tutte le anime. 
Ma Dio non è solo Legislatore. Dio è Padre. E Padre di immensa bontà. Forse, e senza forse, le vostre anime, indebolite dal peccato d'origine, dalle passioni, dai peccati, da molti egoismi vostri e altrui - facendovi gli altrui un'anima irritata, i vostri un'anima chiusa - non possono elevarsi a contemplare le infinite perfezioni di Dio, meno di ogni altra la bontà, perché è la virtù che con l'amore è meno dote dei mortali. 

La bontà! Oh! dolce essere buoni, senza odio, senza invidie, senza superbie! Avere occhi che solo guardano per amare, e mani che si tendono a gesto d'amore, e labbra che non profferiscono che parole d'amore, e cuore, cuore soprattutto che colmo unicamente d'amore sforza occhi, mani e labbra ad atti d'amore! I più dotti fra voi sanno di quali doni Dio aveva fatto ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli d'Israele sanno che in noi vi è lo spirito. 

Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo soffio vitale, questa luce celeste che santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano stati dati all'uomo, allo spirito dell'uomo. Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della creatura da Lui fatta con poco fango e col suo alito. 

E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di intelligenza e di volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del senso alla ragione, di modo che nella libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato Adamo, non si insinuava la malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero il volere, libero il godere in giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di questo veleno che Satana sparse e che rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrefacenti stagni, dove fermentano le febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. 

Perché sappiate che è senso anche la concupiscenza del pensiero. Ed ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore, la visione di Dio. La Grazia santificante: la vita dell'anima. Quella spiritualissima cosa deposta nella spirituale anima nostra. La Grazia che ci fa figli di Dio perché ci preserva dalla morte del peccato, e chi morto non è "vive" nella casa del Padre: il Paradiso; nel regno mio: il Cielo. 
Cosa è questa Grazia che santifica e che dà Vita e Regno? Oh! non usate molte parole! La Grazia è amore. La Grazia è, perciò, Dio. E Dio che ammirando Se stesso nella creatura creata perfetta si ama, si contempla, si desidera, si dà ciò che è suo per moltiplicare questo suo avere, per bearsi di questo moltiplicarsi, per amarsi per quanti sono altri Se stesso. Oh! figli! Non defraudate Dio di questo suo diritto! Non derubate Dio di questo suo avere! Non deludete Dio in questo suo desiderio! Pensate che Egli opera per amore. Se anche voi non foste, Egli sarebbe sempre l'Infinito, né sarebbe sminuita la sua potenza. Ma Egli, pur essendo completo nella sua misura infinita, immisurabile, vuole non per Sé e in Sé - non lo potrebbe perché è già l'Infinito - ma per il Creato, sua creatura, Egli vuole aumentare l'amore per quanto esso Creato di creature contiene, onde vi dà la Grazia: l'Amore, perché voi in voi lo portiate alla perfezione dei santi, e riversiate questo tesoro, tratto dal tesoro che Dio vi ha dato con la sua Grazia e aumentato di tutte le vostre opere sante, di tutta la vostra vita eroica di santi, nell'Oceano infinito dove Dio è: nel Cielo. Divine, divine, divine cisterne dell'Amore! 
Voi siete, né vi è data al vostro essere morte, perché siete eterne come Dio, dio essendo. 
Voi sarete, né vi sarà data al vostro essere termine, perché immortali come gli spiriti santi che vi hanno supernutrite, tornando in voi arricchiti dei propri meriti. 
Voi vivete e nutrite, voi vivete e arricchite, voi vivete e formate quella santissima cosa che è la Comunione degli spiriti, da Dio, Spirito perfettissimo, al piccolo pargolo testé nato, che poppa per la prima volta il materno seno. 
Non criticatemi in cuor vostro, o dotti! Non dite: "Costui è folle, Costui è menzognero! Perché come folle parla dicendo la Grazia in noi, privi di essa per la Colpa. Perché mente dicendoci già uni con Dio". Sì, la Colpa è; sì, la separazione è. Ma davanti al potere del Redentore, la Colpa, separazione crudele sorta fra il Padre e i figli, crollerà come muraglia scossa dal nuovo Sansone; già Io l'ho afferrata e la scrollo ed essa vacilla, e Satana trema d'ira e di impotenza non potendo nulla contro il mio potere e sentendosi strappare tanta preda e farsi più difficile il trascinare l'uomo al peccato. 
Perché quando Io vi avrò, attraverso di Me, portato al Padre mio, e nel filtrare dal mio Sangue e dal mio dolore voi sarete divenuti mondi e forti, tornerà viva, desta, potente la Grazia in voi, e voi sarete i trionfatori, se lo vorrete. Non vi violenta Iddio nel pensiero e neppure nella santificazione. Voi siete liberi. Ma vi rende la forza. Vi rende la libertà sull'impero di Satana. A voi riporvi il giogo infernale o mettere all'anima le ali angeliche. Tutto a voi, con Me a fratello per guidarvi e nutrirvi del cibo immortale.

"Come si conquista Iddio e il suo Regno attraverso altra più dolce via che non la severa del Sinai?" voi dite. Non vi è altra via. Quella è. Ma però guardiamola non attraverso il colore della minaccia, ma attraverso il colore dell'amore. Non diciamo: "Guai se non farò questo!" rimanendo tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: "Beato me se farò questo!" e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste beatitudini, nate dall'osservanza della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine. 

1-Beato me se sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!
2-Beato me se sarò mansueto perché erediterò la Terra!
3-Beato me se sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
4-Beato me se più del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete di giustizia. La Giustizia mi sazierà! Beato me se sarò misericordioso perché mi sarà usata divina misericordia!
5-Beato me se sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore puro ed io lo vedrò!
6-Beato me se avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo figlio, perché nella pace è l'amore, e Dio è Amore che ama chi è simile a Lui!
7-Beato me se per fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a compensarmi delle terrene persecuzioni Dio, mio Padre, mi darà il Regno dei Cieli!
8-Beato me se sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per saper essere tuo figlio, o Dio! Non desolazione ma gioia mi deve venire da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti, per la stessa ragione perseguitati, e coi quali io credo fermamente di condividere la stessa ricompensa grande, eterna, nel Cielo che è mio!
 Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.
(1) Beato me se sarò povero di spirito Oh! delle ricchezze, arsura satanica, a quanti deliri tu porti! Nei ricchi, nei poveri. Il ricco che vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato. Il povero che vive dell'odio al ricco perché egli ha l'oro, e se anche non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul capo dei ricchi, desiderando loro male d'ogni sorta. Il male non basta non farlo, bisogna anche non desiderare di farlo. Colui che maledice augurando sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente uccide, poiché ha in lui il desiderio di veder perire colui che odia. In verità vi dico che il desiderio non è che un atto trattenuto, come un concepito da ventre già formato ma non ancora espulso. Il desiderio malvagio avvelena e guasta, poiché permane più a lungo dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso. Il povero di spirito se è ricco non pecca per l'oro, ma del suo oro fa la sua santificazione poiché ne fa amore. Amato e benedetto, egli è simile a quelle sorgive che salvano nei deserti e che si danno, senza avarizia, liete di potersi dare per sollevare le disperazioni. Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della ilarità del libero dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro da incubi, e sorge riposato al suo sereno lavoro che pare sempre leggero se viene fatto senza avidità e invidia. Le cose che fanno ricco l'uomo sono l'oro come materia, gli affetti come morale. Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le case, i campi, i gioielli, i mobili, le mandre, tutto quanto insomma fa materialmente doviziosa la vita. Nelle affezioni: i legami di sangue o di coniugio, le amicizie, le dovizie intellettuali, le cariche pubbliche. Come vedete, se per la prima categoria il povero può dire: " Oh! per me! Basta che io non invidi chi ha e poi sono a posto perché io sono povero e perciò a posto per forza ", per la seconda anche il povero ha da sorvegliarsi, potendo, anche il più miserabile fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. Colui che si affeziona smoderatamente ad una cosa, ecco che pecca. Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene che Dio ci ha concesso? Ma allora perché comanda di amare il padre e la madre, la sposa, i figli, e dice: 'Amerai il tuo prossimo come te stesso? Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il prossimo, ma nella misura che Dio ha dato: " come noi stessi ". Mentre Dio va amato sopra ogni cosa e con tutti noi stessi. Non amare Dio come amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, l'altra perché dorme sul nostro petto e ci procrea i figli, ma amarlo con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di amare che è nell'uomo: amore di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! non vi scandalizzate! e amore di padre. Sì, per l'interesse di Dio dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, per la quale con amore tutela le sostanze e le accresce, e si occupa e preoccupa della sua crescita fisica e culturale e della sua riuscita nel mondo. L'amore non è un male e non lo deve divenire. Le grazie che Dio ci concede non sono un male e non lo devono divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore usarne di queste ricchezze che Dio ci concede in affetti e in bene. E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi per servire in santità Dio, mostra di non avere un attaccamento peccaminoso ad esse. Pratica allora la santa povertà dello spirito, che di tutto si spoglia per essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza. Conquistare Dio, ossia avere il Regno dei Cieli.
 
(2) Beato me se sarò mansueto. Ciò può parere in contrasto con gli esempi della vita giornaliera. I non mansueti sembrano trionfare nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni. Ma è vero trionfo? No. E’ paura che tiene apparentemente proni i soverchiati dal despota, ma che in realtà non è che velo messo sul ribollire di ribellione contro il tiranno. Non possiedono i cuori dei famigliari, né dei concittadini, né dei sudditi, coloro che sono iracondi e prepotenti. Non piegano intelletti e spiriti alle loro dottrine quei maestri del "ho detto e ho detto". Ma solo creano degli autodidatti, dei ricercatori di una chiave atta ad aprire le porte chiuse di una sapienza o di una scienza che essi sentono essere e che è opposta a quella che viene loro imposta. Non portano a Dio quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza paziente, umile, amorosa, ma sembrano guerrieri armati che si lancino ad un assalto feroce tanto marciano con irruenza e intransigenza contro le anime... Oh! povere anime! Se fossero sante non avrebbero bisogno di voi, sacerdoti, per raggiungere la Luce. L'avrebbero già in sé. Se fossero giusti non avrebbero bisogno di voi giudici per essere tenuti nel freno della giustizia, l'avrebbero già in se. Se fossero sani non avrebbero bisogno di chi cura. Siate dunque mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l'amore. Perché la mansuetudine è amore, così come lo è la povertà di spirito. Se tali sarete erediterete la Terra e porterete a Dio questo luogo, già prima di Satana, perché la vostra mansuetudine, che oltre che amore è umiltà, avrà vinto l'odio e la superbia uccidendo negli animi il re abbietto della superbia e dell'odio, e il mondo sarà vostro, ossia di Dio, perché voi sarete giusti che riconoscerete Dio come Padrone assoluto del creato, al Quale va dato lode e benedizione e reso tutto quanto è suo. 
(3) Beato me se saprò piangere senza ribellione. Il dolore è sulla terra. E il dolore strappa lacrime all'uomo. Il dolore non era. Ma l'uomo lo mise sulla terra e per una depravazione del suo intelletto si studia di sempre più aumentarlo, con tutti i modi. Oltre le malattie e le sventure conseguenti da fulmini, tempeste, valanghe, terremoti, ecco che l'uomo per soffrire, e per far soffrire soprattutto - perché vorremmo solo che gli altri soffrissero, e non noi, dei mezzi studiati per far soffrire - ecco che l'uomo escogita le armi micidiali sempre più tremende e le durezze morali sempre più astute. Quante lacrime l'uomo trae all'uomo per istigazione del suo segreto re che è Satana! Eppure in verità vi dico che queste lacrime non sono una menomazione ma una perfezione dell'uomo. L'uomo è uno svagato bambino, è uno spensierato superficiale, è un nato di tardivo intelletto finché il pianto non lo fa adulto, riflessivo, intelligente. Solo coloro che piangono, o che hanno pianto, sanno amare e capire. Amare i fratelli ugualmente piangenti, capirli nei loro dolori, aiutarli colla loro bontà, esperta di come fa male essere soli nel pianto. E sanno amare Dio perché hanno compreso che tutto è dolore fuorché Dio, perché hanno compreso che il dolore si placa se pianto sul cuore di Dio, perché hanno compreso che il pianto rassegnato che non spezza la fede, che non inaridisce la preghiera, che è vergine di ribellione, muta natura, e da dolore diviene consolazione. Sì. Coloro che piangono amando il Signore saranno consolati. 
(4) Beato me se avrò fame e sete di giustizia. Dal momento che nasce al momento che muore l'uomo tende avido al cibo. Apre la bocca alla nascita per afferrare il capezzolo, apre le labbra per inghiottire ristoro nelle strette dell'agonia. Lavora per nutrirsi. Fa della terra un enorme capezzolo dal quale insaziabilmente succhia, succhia per ciò che muore. Ma che è l'uomo? Un animale? No, è un figlio di Dio. In esilio per pochi o molti anni. Ma non cessa la sua vita col mutare della sua dimora. Vi è una vita nella vita così come in una noce vi è il gheriglio. Non è il guscio la noce, ma è l'interno gheriglio che è la noce. Se seminate un guscio di noce non nasce nulla, ma se seminate il guscio con la polpa nasce grande albero. Così è l'uomo. Non è la carne che diviene immortale, è l'anima. E va nutrita per portarla all'immortalità, alla quale, per amore, essa poi porterà la carne nella risurrezione beata. Nutrimento dell'anima è la Sapienza, è la Giustizia. Come liquido e cibo esse vengono aspirate e corroborano, e più se ne gusta e più cresce la santa avidità del possedere la Sapienza e di conoscere la Giustizia. Ma verrà pure un giorno in cui l'anima insaziabile di questa santa fame sarà saziata. Verrà. Dio si darà al suo nato, se lo attaccherà direttamente al seno e il nato al Paradiso si sazierà della Madre ammirabile che è Dio stesso, e non conoscerà mai più fame, ma si riposerà beato sul seno divino. Nessuna scienza umana equivale a questa divina. La curiosità della mente può essere appagata, ma la necessità dello spirito no. Anzi nella diversità del sapore lo spirito prova disgusto e torce la bocca dall'amaro capezzolo, preferendo soffrire la fame all'empirsi di un cibo che non sia venuto da Dio. Non abbiate timore, o sitibondi, o affamati di Dio! Siate fedeli e sarete saziati da Colui che vi ama. 
(5) Beato me se sarò misericordioso. Chi fra gli uomini può dire: "Io non ho bisogno di misericordia "? Nessuno. Ora se anche nell'antica Legge è detto: "Occhio per occhio e dente per dente ", perché non deve dirsi nella nuova: " Chi sarà stato misericordioso troverà misericordia"? Tutti hanno bisogno di perdono. Ebbene, non è la formula e la forma di un rito, figure esterne concesse per la opaca mentalità umana, quelle che ottengono perdono. Ma è il rito interno dell'amore, ossia ancora della misericordia. Che se fu imposto il sacrificio di un capro o di un agnello e l'offerta di qualche moneta, ciò fu fatto perché a base di ogni male ancora si trovano sempre due radici: l'avidità e la superbia. L'avidità è punita con la spesa dell'acquisto dell'offerta, la superbia con la palese confessione di quel rito: "Io celebro questo sacrificio perché ho peccato". E fatto anche per precorrere i tempi e i segni dei tempi, e nel sangue che si sparge è la figura del Sangue che sarà sparso per cancellare i peccati degli uomini. Beato dunque colui che sa essere misericordioso agli affamati, ai nudi, ai senza tetto, ai miseri delle ancor più grandi miserie che sono quelle del possedere cattivi caratteri che fanno soffrire chi li ha e chi con loro convive. Abbiate misericordia. Perdonate, compatite, soccorrete, istruite, sorreggete. Non chiudetevi in una torre di cristallo dicendo: "Io sono puro e non scendo fra i peccatori" Non dite: "Io sono ricco e felice, e non voglio udire le miserie altrui". Badate che più rapido di fumo dissipato da gran vento può dileguarsi la vostra ricchezza, la vostra salute, il vostro benessere famigliare. E ricordate che il cristallo fa da lente, e ciò che mescolandovi fra la folla sarebbe passato inosservato, mettendovi in una torre di cristallo, unici, separati, illuminati da ogni parte, non potete più tenerlo nascosto. Misericordia per compiere un segreto, continuo, santo sacrificio di espiazione e ottenere misericordia. 
(6) Beato me se sarò puro di cuore. Dio è Purezza. Il Paradiso è regno di Purezza. Niente di impuro può entrare in Cielo dove è Dio. Perciò se sarete impuri non potrete entrare nel Regno di Dio. Ma, oh! gioia! Anticipata gioia che il Padre concede ai figli! Colui che è puro ha dalla terra un principio di Cielo, perché Dio si curva sul puro e l'uomo dalla terra vede il suo Dio. Non conosce sapore di amori umani, ma gusta, fino all'estasi, il sapore dell'amore divino, e può dire: "Io sono con Te e Tu in me, onde io ti possiedo e conosco come sposo amabilissimo dell'anima mia". E, credetelo, che chi ha Dio ha inspiegabili, anche a se stesso, mutamenti sostanziali per cui diviene santo, sapiente, forte, e sul suo labbro fioriscono parole, e i suoi atti assumono potenze che non sono, no, della creatura, ma di Dio che vive in essa. Cosa è la vita di colui che vede Dio? Beatitudine. E vorreste privarvi di simile dono per fetide impurità? 
(7) Beato me se avrò spirito di pace. La pace è una delle caratteristiche di Dio. Dio non è che nella pace. Perché la pace è amore, mentre la guerra è odio. Satana è Odio. Dio è Pace. Non può uno dirsi figlio di Dio, né può Dio dire figlio suo un uomo se costui ha spirito irascibile sempre pronto a scatenare tempeste. Non solo. Ma neppure può dirsi figlio di Dio colui che, pur non essendo di proprio scatenatore delle stesse, non contribuisce con la sua grande pace a calmare le tempeste suscitate da altri. Colui che è pacifico effonde la pace anche senza parole. Padrone di sé e, oso dire, padrone di Dio, egli lo porta come una lampada porta il suo lume, come un incensiere sprigiona il suo profumo, come un otre porta il suo liquido, e si fa luce fra le nebbie fumiganti dei rancori, e si purifica l'aria dai miasmi dei livori e si calmano le onde infuriate delle liti, per quest'olio soave che è lo spirito di pace emanato dai figli di Dio. Fate che Dio e gli uomini vi possano chiamare così. 
(8) Beato me se sarò perseguitato per amore della giustizia. L'uomo è tanto insatanassato che odia il bene ovunque si trovi, che odia il buono, quasi che chi è buono, anche se tace, lo accusi e rampogni. Infatti la bontà di uno fa apparire ancor più nera la malvagità del malvagio. Infatti la fede del credente vero fa apparire ancora più viva la ipocrisia del falso credente. Infatti non può non essere odiato dagli ingiusti colui che col suo modo di vivere è un continuo testimoniare la giustizia. E allora, ecco, che si infierisce sugli amanti della giustizia. Anche qui è come per le guerre. L'uomo progredisce nell'arte satanica del perseguitare più che non progredisca nell'arte santa dell'amare. Ma non può che perseguitare ciò che ha breve vita. L'eterno che è nell'uomo sfugge all'insidia, e anzi acquista una vitalità ancor più vigorosa dalla persecuzione. La vita fugge dalle ferite che aprono le vene o per gli stenti che consumano il perseguitato. Ma il sangue fa la porpora del re futuro e gli stenti sono tanti scalini per montare sui troni che il Padre ha preparato per i suoi martiri, ai quali sono serbati i seggi regali del Regno dei Cieli. 
(9) Beato se sarò oltraggiato e calunniato. Fate solo che di voi possa essere scritto il nome nei libri celesti, là dove non sono segnati i nomi secondo le menzogne umane nel lodare i meno meritevoli di lode. Ma dove però, con giustizia e amore, sono scritte le opere dei buoni per dare ad essi il premio promesso ai benedetti da Dio. Prima di ora furono calunniati ed oltraggiati i Profeti. Ma quando si apriranno le porte dei Cieli, come imponenti re, essi entreranno nella Città di Dio, e li inchineranno gli angeli, cantando di gioia. Pure voi, pure voi, oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio, avrete il trionfo celeste, e quando il tempo sarà finito e completo sarà il Paradiso, ecco che allora ogni lacrima vi sarà cara, perché per essa avrete conquistato questa gloria eterna che in nome del Padre Io vi prometto.

Andate. Domani vi parlerò ancora. Restino ora solo i malati acciò li soccorra nelle loro pene. La pace sia con voi e la meditazione della salvezza, attraverso all'amore, vi instradi sulla via la cui fine è il Cielo».




mercoledì 5 agosto 2015

IL CUORE DEL VANGELO


...b. Beatitudini. (inizio) 

Con le b., Gesù è sceso al centro di questa nostra umanità per dare un senso a tutto ciò che tormenta l'uomo e lo riempie di paura. Perché le sue parole non fossero vane, egli stesso ha assunto la condizione di povertà, fame, dolore, persecuzione: è l'itinerario di abbassamento e di totale " svuotamento " descritto da Paolo (cf Fil 2,4ss.). 

Le b. poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (cf Lc 6,20-26). 
Le otto (o nove) b. di Matteo sono una catechesi di vita nuova nello Spirito, che egli descriverà nei capitoli 5-7 (Discorso della Montagna): una pagina che evidenzia sia gli atteggiamenti sia le disposizioni interiori richieste dal Vangelo del regno. 
Luca, invece, riporta solo quattro b. nel suo " discorso della pianura " (6,20-47) annunciando la felicità a coloro che vivono in particolari situazioni dolorose. Gesù è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sì alle promesse dell'AT. 
Le b. sono un sì detto da Dio in Gesù, il quale si presenta come colui che porta a compimento l'aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto incarnare le b. vivendole perfettamente, mostrandosi " mite ed umile di cuore " (Mt 11,29). 

Con Gesù i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati. Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore. Le b. vogliono essere il ritratto dell'uomo progettuale, verso cui dobbiamo tendere, che non è ancora realizzato, ma che noi speriamo di poter attuare in pienezza; sono la carta d'identità del cittadino del regno di Dio, così come lo sogna Cristo e come vuole che noi lo incarniamo, perché il regno di Dio è già in mezzo a noi!


Lo spirito delle b. è sintetizzato in una frase che Matteo colloca alla fine del discorso della montagna: " Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48). La perfezione è qualcosa che non possediamo, è una meta a cui arrivare, un monte da salire, ma nello stesso tempo è qualcosa di dinamico, che si va facendo. Questo il nucleo portante delle b. Esse sono lo specchio di un atteggiamento evangelico radicale, non la descrizione di un comportamento di alcune ore o di alcuni momenti; sono l'appello alla struttura di fondo che deve per sempre permanere e tutto abbracciare. 
Con le b. e tutto il Discorso della Montagna, Gesù ci invita all'" amore totale ", ci richiama allo " spirito ", cioè alla radice dell'essere; esse sono l'eco della legge dell'amore al fratello e al nemico in quanto fratello in Cristo. 
Dando " carne " alle b., la vita cristiana diviene slancio evangelico inedito, misteriosa corrente di radicalità profetica in continuo dialogo con il mutare dei tempi e l'emergere di nuove sfide. La vita cristiana deve reinventare la contestazione evangelica e vivere con fedeltà dinamica e creativa la fede, deve saper raccontare la fedeltà e le meraviglie del Dio-con-noi, sapendo " mostrare Dio " e " dire la fede " in termini innovativi e significativi, facendosi carico di una nuova cultura della speranza. 

Le b. sono la trasparenza di Dio nella vita del mistico che si manifesta in segni immediatamente percepibili come maturità umana, solidarietà fattiva, compassione e tenerezza, fraternità e pace, fede che sa rischiare. Il mistico, che vive in pienezza le singole b., manifesta la felicità possibile già qui ed ora posseduta da chi ormai vive nel cuore di Dio e l'impegno costruttivo a favore di un'umanità nuova.

III. Lo spirito delle b. 

a. Felicità dei poveri di spirito. Nel testo greco di Mt 5,3 viene usato il termine ptochos: mendicante, misero, incapace di provvedere alle proprie necessità per indicare colui che attende dagli altri i mezzi di sussistenza e manca del necessario. In ebraico abbiamo due termini quasi simili: 'anî e 'anaw
Il primo indica colui che cede, si piega, l'uomo che si abbassa, si curva, si sottomette: è l'oppresso. 
Il secondo, quasi sempre usato al plurale, indica persone discrete, umili, sottomesse, miti, la cui umile sottomissione si trasforma spontaneamente in atteggiamento di fiduciosa adesione a Dio. Per l'ebraico dunque il " povero " è l'uomo senza difesa. 

La prima b. rimanda all'oracolo di Is 61,1-3, ripreso anche da Luca nel discorso inaugurale di Gesù alla sinagoga di Nazaret e offerto quale risposta ai discepoli del Battista: " ...Ai poveri è predicata la buona novella " (Mt 11,5). Con l'avvento definitivo del regno di Dio i poveri godranno veramente e pienamente degli effetti della sollecitudine di Dio, che colmerà di beni gli affamati e rimanderà i ricchi a mani vuote (cf Lc 1,52-53). 
Ecco perché l'annuncio dell'imminenza del regno di Dio non può che riempire di gioia i poveri: Dio stesso sta per prendersi cura di loro, facendone l'oggetto della sua regale sollecitudine. Colui che ha uno spirito da poveri [ossia: il vero povero di spirito] vive la sua totale adesione a Cristo con uno stile di vita umile: " Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti " (Mc 9,35). Avere uno spirito da poveri, essere un povero di spirito significa avere il coraggio di piegarsi con umiltà nel servizio, sull'esempio di Cristo che non è venuto per essere servito, ma per servire e che " da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà " (2 Cor 8,9). Significa, altresì, diventare sacramento della sollecitudine di Dio, segno eloquente di speranza verso tutti coloro che vivono nell'oppressione e nell'ignoranza della Verità

b. Felicità degli afflitti. Secondo il testo di Is 61,1-3 l'inviato del Signore viene anche per " fasciare le piaghe dei cuori spezzati... per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion... ". Gesù proclama beati oi penthountes: quelli che si affliggono. Panthein, infatti, significa " affliggersi-addolorarsi ". Questo verbo, molte volte, è connesso con klaiein (piangere) perché l'afflizione interna spesso si mostra esternamente nelle lacrime. In Lc 6,21 si legge: " Beati voi che ora piangete, perché riderete " e in Lc 6,25: " Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete ".
Nell'AT, l'afflizione è causata dalla partecipazione alle disgrazie altrui (cf Gn 23,2; 50,3). Nel Sal 35,13ss. si descrive la solidarietà con la malattia altrui, solidarietà espressa con il dolore paragonato al lutto che si porta per la morte della propria madre: l'esperienza dell'impotenza umana di fronte alla necessità e il desiderio di aiutare il prossimo sofferente conducono alla preghiera, alla richiesta dell'aiuto di Dio, richiesta che viene intensificata con la penitenza e il digiuno. Nell'elenco delle opere di misericordia in Sir 7,31-36 troviamo anche la partecipazione al dolore altrui: " Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti mostrati afflitto " (cf Rm 12,15). 
Anche il peccato altrui è causa di afflizione (cf Esd 10,6; Ne 9,1). Ebbene, coloro che sanno affliggersi partecipando al dolore altrui saranno consolati da Dio, Padre di ogni consolazione. S. Paolo usa frequentemente il verbo " consolare ". Il testo più esplicito è 2 Cor 1,1-7: " Dio... Padre di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio... ". Il verbo si trova venti volte in Isaia (40-66) e quasi sempre riferito a JHWH. 
Dio è il vero consolatore; questo è il suo nome: " Io, Io sono il tuo consolatore " (Is 51,12-13); " Come una madre consola un figlio... " (Is 66,13): in Dio potenza e tenerezza " materna " sono un tutt'uno. Il cristiano fa esperienza della consolazione divina ed è chiamato ad essere portatore di speranza e di consolazione; pur facendosi carico delle situazioni di afflizioni, non si lascia abbattere da esse, ma le trasforma con la tenerezza protesa verso il prossimo. La sua felicità sta nel partecipare al dolore altrui, nel vivere in intima comunione con gli uomini suoi contemporanei, non ignaro del carico di sofferenze che questo comporta. Dio lo chiama alla solidarietà con l'umanità peccatrice, ammalata, sofferente, facendosi portavoce della gioiosa consolazione divina. Sperimentando nel quotidiano la consolazione di Dio deve a sua volta farsi consolazione.

c. Felicità dei miti. Nel Sal 37,1-11 i miti sono confrontati con le azioni e il successo dei malvagi contro i quali sarebbero portati a reagire negativamente. Essi però devono evitare quattro cose: non adirarsi, non invidiare, desistere dall'ira, deporre lo sdegno. Con otto imperativi i miti sono chiamati a porre la loro speranza nel Signore: confidare, fare il bene, abitare la terra, cercare la gioia nel Signore, manifestare al Signore la propria via, confidare in lui, stare in silenzio davanti al Signore, sperare in lui! Ne segue che solo una forte e globale direzione verso Dio rende possibile la mitezza. L'uomo che non si pone in direzione di Dio, da solo, di fronte ai malfattori e alle ingiustizie, non riesce ad evitare l'ira e l'invidia. Il mite sa dominare le emozioni negative, come l'ira, e ne evita le manifestazioni che, in realtà, provocano altrettante opposte reazioni e creano divisioni. Anche la correzione fraterna richiede mitezza (cf 1 Cor 4,21; 2 Cor 10,1; Gal 6,1; 1 Tm 2,25). 
Il mite, consapevole della propria debolezza, non si sente e non si presenta come migliore e superiore rispetto agli altri e corregge colui che ha mancato da pari a pari, da fratello a fratello. Secondo Gc 1,19-21 la mitezza sembra essere la libertà da " ogni impurità ed ogni resto di malizia ", ovvero la libertà da ogni emozione e tendenza oscura e sbagliata che disturba l'ascolto della Parola di Dio. Secondo Matteo la mitezza è un tratto particolarmente caratteristico di Gesù e, infatti, nessun'altra sua qualità viene così rimarcata. Gesù non è un Maestro duro e presuntuoso, ma mite ed umile di cuore (cf Mt 11,29; 21,5). 
La mitezza di cui parla Mt 5,5 qualifica un atteggiamento e un comportamento molto importante per le relazioni con gli altri. Tale mitezza è caratterizzata dal dominio dei propri impulsi e delle proprie emozioni nonché dal pieno rispetto per la persona dell'altro; è un presupposto essenziale per un agire giusto e sapiente. Soltanto su questa base è possibile una conoscenza serena e indisturbata della volontà di Dio come anche un trattamento rispettoso e amorevole del prossimo. La mitezza comprende e determina le tre relazioni essenziali: con se stessi, con Dio, con il prossimo. E una disposizione interiore che non può essere realizzata solo con uno sforzo umano; richiede dunque una profonda relazione filiale con Dio.

d. Felicità dei giusti. Mt 5,6 dice che della giustizia bisogna avere fame-avere sete. Nel NT questi due verbi, quando sono collegati, esprimono un bisogno naturale ed un desiderio elementare che afferra e penetra la totalità dell'uomo. I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: " L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente... " (Sal 41,3); " O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia... " (Sal 62,2); " Ecco verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, nè sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore " (Am 8,11). Giustizia indica l'atteggiamento e l'agire secondo una norma retta e valida. Dio viene chiamato " giusto " specialmente in quanto, nella sua misericordia, è fedele alla sua volontà salvifica, adempie le sue promesse, realizza la salvezza degli uomini. 
L'uomo è " giusto " in quanto agisce secondo le norme stabilite dalla volontà di Dio. " Adempiere la giustizia " (cf Mt 3,15) significa agire perfettamente secondo la volontà di Dio. La b. di Mt 5,10, ripresa e applicata all'uditorio di Gesù in Mt 5,11, parla di " persecuzione " non solo " per causa della giustizia ", ma " per causa mia ": la " giustizia " e Gesù sono strettamente connessi. La superiorità della giustizia dei discepoli (cf Mt 5,20) consiste nel loro agire fedelmente non secondo le norme dei farisei, ma secondo quelle di Gesù; e questo è causa di persecuzione. 
Fare la giustizia - fare la volontà del Padre (cf Mt 7,21) - fare queste mie parole (cf Mt 7,24), nel Discorso della Montagna, designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel regno dei cieli: " Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta " (Mt 6,33): si oppone alla cura ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito. La preoccupazione necessaria ed essenziale è il Regno di Dio! Secondo il Sal 16,15 la giustizia è il presupposto della sazietà. A causa della giustizia, il salmista spera di poter vedere il volto di Dio, di essere saziato da questa contemplazione. Coloro che hanno fame e sete della giustizia possono rinunciare ad ogni affanno nella loro vita perché essa è garantita, in modo assoluto, da Dio (cf Gv 6,35; Ap 7,16-17). 
Amare Dio e giungere alla piena b. esige il fare la sua volontà e il coraggio di passare attraverso prove e tribolazioni per " causa di Gesù Cristo ". Ma Dio e la sua volontà coincidono, per cui camminare nella divina volontà è camminare in Dio.

e. Felicità dei misericordiosi. La Lettera agli Ebrei (2,17-18) presenta Gesù sommo sacerdote, misericordioso e degno di fede. La sua misericordia è radicata nella sua propria esperienza di sofferenza e di prova e si mostra nell'aiuto effettivo agli uomini che vengono provati (cf Eb 4,15-16). Nell'AT Dio stesso si presenta a Mosè come il " misericordioso e pietoso " (Es 34,6-7). I due termini sono sinonimi (cf Lc 6,36). Misericordia (in ebraico rahamîm da rehem, che significa " grembo materno ") è il legame di grazia, di tenerezza e di amore che c'è fra Dio e l'umanità sua creatura. La b. di Mt 5,7 dichiara felice colui che si fa sacramento della divina misericordia nei confronti del prossimo (cf Mt 9,13; 12,7; 23,23). Anzi, alla luce della parabola di Lc 10,30-37, il samaritano definito come " colui che ebbe misericordia " richiama il cristiano al dovere di " farsi prossimo " di chiunque è nel bisogno. Elementi essenziali della misericordia sono dunque la necessità del prossimo e del farsi prossimo, la compassione e l'aiuto efficace. 
Per Giacomo (3,17) la misericordia appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone. Matteo 18,33 è un prezioso commento alla quinta b., in quanto opera il collegamento fra la misericordia divina e la misericordia umana: la relazione con gli uomini determina la relazione con Dio. Misericordia indica il giusto comportamento dell'uomo nei confronti del suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado di offrire. La beatitudine di Mt 5,7, con cui inizia la seconda metà delle b. riprende e precisa il tema della prima b. La " povertà di spirito " significa il riconoscimento della propria totale dipendenza da Dio. A tale dipendenza appartiene il fatto che noi peccatori, per la nostra salvezza e vita, dipendiamo dalla misericordia di Dio. A questa si aggiunge la dipendenza del prossimo da noi. Se l'aiuto decisivo di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci raggiunge, esso diviene definitivamente efficace solo quando ci siamo sforzati di aiutare i nostri fratelli in necessità. Questa b. pone in risalto gli aspetti positivi della fisionomia del discepolo, cioè come egli deve agire. La misericordia è la passione di Dio per l'uomo, e la stessa passione nel dono dell'amore viene richiesta da Dio all'uomo nei confronti del prossimo.

f. Felicità dei puri di cuore. Per la Bibbia il termine cuore indica la sede dei pensieri (cf Mt 9,4; 24,28), della comprensione (cf Mt 13,15), del riconoscimento dei valori (cf Mt 6,21), delle aspirazioni e delle attività (cf Mt 15,19), degli atteggiamenti verso gli altri (cf Mt 11,29; 18,35) e del rapporto con Dio (cf Mt 15,8; 22,37). E il centro della vita intellettiva, volitiva ed emozionale dell'uomo, il luogo di origine, di riferimento e di unità di tutti i suoi rapporti con Dio e con gli altri. E felice, secondo Mt 5,8, colui che mantiene il cuore - così inteso - puro. Puro è ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio. Il cuore è decisivo per la purezza dell'uomo; dal cuore dipende se l'uomo appartiene alla sfera di Dio e piace a Dio. Il cuore puro è quello conforme alla parola di Dio, libero da tendenze ed impulsi che spingono ad azioni contrarie alla volontà di Dio (cf Es 20,13-16). I puri di cuore sono coloro che, proprio a partire da tale centro interno, sono conformi alla volontà di Dio. Secondo il Sal 24, si può avvicinare a Dio " chi ha mani innocenti e cuore puro ": le mani indicano l'agire esterno, il cuore i movimenti interni (pensieri, intenzioni, emozioni). All'innocenza delle mani e alla purezza del cuore è collegato il desiderio della presenza di Dio, desiderio saziato con la visione escatologica (cf Mt 5,8). Anche l'orante del Sal 51, dopo il riconoscimento della misericordia divina e del proprio peccato, chiede un cuore puro perchè non sia respinto dalla presenza di Dio; anche in Is 6,5-6 la purezza appare come la condizione per " vedere " Dio. Chi ha un " cuore puro " è anche capace di amore fraterno (cf 1 Tm 1,5). Il cuore puro, infatti, è la fonte da cui proviene la carità (cf 1 Pt 1,22).

g. Felicità degli operatori di pace. La b. di Mt 5,9 pone nuovamente, come le prime tre, l'attenzione sull'agire esterno. Secondo il testo di Mt 10,12ss., essere " operatori di pace " significa mettere sempre Gesù al primo posto, anche a costo di " perdere la pace " con le persone più care. La pace ama la franchezza e la schiettezza, la mormorazione invece distrugge la pace e causa dolore. Per s. Paolo, Gesù Figlio del Padre è l'operatore di pace per eccellenza, avendoci liberati dal peccato e ristabilito la pace con Dio (cf Col 1,20). Cristo è talmente operatore di pace da venire chiamato in Ef 2,14-17 " nostra pace ". Lo spirito di servizio (cf Mc 9,35) deve dare sostanza e sostenere nei discepoli sia il loro comportamento che i loro rapporti i quali devono avere, come misura e punto di orientamento, la pace. La pace fra i membri della comunità designa lo stato perfetto delle loro mutue relazioni (cf 2 Cor 13,11). La pace è frutto dell'amore di Dio e presuppone l'amore (cf Gal 5,22). Gli operatori di pace sono coloro che fanno la pace e, per essa, s'impegnano. L'impegno per la pace racchiude in sé tutti gli atteggiamenti delle b. precedenti e si esprime anche con un atteggiamento " sereno ". A questo punto, pace assume anche il significato di riappacificazione con il creato, con se stesso e con Dio, pacificazione interiore interrotta dal peccato, ma ora recuperata da e in Gesù Cristo (cf Ef 2,14ss.).

IV. Conclusione. 

Le b. esprimono la promessa di un futuro che manifesta l'avvenuto regno di Dio in ogni uomo che vive il Vangelo di Gesù Cristo come lui, unito indissolubilmente alla volontà del Padre. Tale testimonianza è tipica del mistico che esprime in sé il cammino della storia nel segno di una positività verso la realtà ultima, ove ogni uomo di buona volontà raggiungerà la sua pienezza in Dio.

Bibl. Aa.Vv., Alle fonti della spiritualità cristiana. Le otto Beatitudini, Assisi (PG) 1981; Aa.Vv., Il mondo dell'uomo nascosto. Le Beatitudini, Roma 1991; D. Buzy, s.v., in DSAM I, 1298-1310; J. Castellano, Beatitudine, in DES I, 292-294; G. Ciravegna, Le Beatitudini del Vangelo, Milano 1992; G. Colzani, Beatitudine, in DTI I, 491-503; J. Dupont, Beatitudine-Beatitudini, in NDTB, 155-161; Id., Le Beatitudini, Roma 1979; G. Helewa, Beatitudini evangeliche, in DES I, 294-333; M.J. Le Guillou, Quale felicità? Riflessioni sulle Beatitudini, Padova 1992; G. Lohfink, Per chi vale il Discorso della Montagna?, Brescia 1990; C.M. Martini, Le Beatitudini, Milano 1990; S.A. Panimolle, Il Discorso della Montagna, Milano 1986; M. Russotto, Le Beatitudini evangeliche, Città del Vaticano 1991; L. Serenthà, Il regno di Dio è qui. Il Discorso della Montagna, Milano 1988; C. Stock, Gesù annuncia la beatitudine, Roma 1989.


M. Russotto

sabato 17 gennaio 2015

Che gran tesoro è l' "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 18 Gennaio 2015, II Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,35-42.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato 
rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 47 pagina 295.

Vedo Gesù che cammina lungo la striscia verde che costeggia il Giordano. E’ tornato su per giù al posto che ha visto il suo battesimo. Presso il guado che pare fosse molto conosciuto e frequentato, per passare all’altra sponda, verso la Parea. Ma il luogo, dianzi tanto affollato di gente, ora appare spopolato. Solo qualche viandante, a piedi o a cavallo di asini o cavalli, lo percorre. Gesù pare non accorgersene neppure. Procede per la sua strada risalendo a nord, come assorto nei suoi pensieri. Quando giunge all’altezza del guado, incrocia un gruppo di uomini di età diverse che discutono animatamente fra loro e che poi si separano, parte andando verso sud e parte risalendo a nord. Fra quelli che si dirigono a nord vedo esservi Giovanni e Giacomo. Giovanni vede per primo Gesù e lo indica al fratello e ai compagni. Parlano fra loro un poco, e poi Giovanni si dà a camminare velocemente per raggiungere Gesù. Giacomo lo segue più piano. Gli altri non se ne occupano. 


Camminano lentamente, discutendo. Quando Giovanni è presso a Gesù, alle sue spalle, lontano appena un due o tre metri, grida: “Agnello di Dio che levi i peccati del mondo!” Gesù si volge e lo guarda. I due sono a pochi passi l’uno dall’altro. Si osservano. Gesù col suo aspetto serio e indagatore. Giovanni col suo occhio puro e ridente nel bel viso giovanile che pare una fanciulla. Gli si danno sì e no vent’anni, e sulla gota rosata non vi è altro segno che quello di una peluria bionda, che pare una velatura d’oro. “Chi cerchi?” chiede Gesù. “Te, Maestro.” “Come sai che sono maestro?” “Me lo ha detto il Battista.” “E allora perché mi chiami Agnello?” “Perché ti ho udito indicare così da lui un giorno che Tu passavi, poco più di un mese fa.” “Che vuoi da Me?” “Che Tu ci dica le parole di vita eterna e che ci consoli.” “Ma chi sei?” “Giovanni di Zebedeo sono, e questo è Giacomo mio fratello. Siamo di Galilea. Pescatori siamo. Ma siamo pure discepoli di Giovanni. Egli ci diceva parole di vita e noi lo ascoltavamo perché vogliamo seguire Dio e con la penitenza meritare il suo perdono, preparando le vie del cuore alla venuta del Messia. Tu lo sei. Giovanni l’ha detto, perché ha visto il segno della colomba posarsi su di Te. A noi l’ha detto: “ Ecco l’Agnello di Dio”. Io ti dico: Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dacci la pace, perché non abbiamo più chi ci guidi e l’anima è turbata.” 

“Dove è Giovanni?” “Erode l’ha preso. In prigione è, a Macheronte. I più fedeli fra i suoi hanno tentato di liberarlo. Ma non si può. Torniamo di là. Lasciaci venire con Te, Maestro. Mostraci dove abiti.” “Venite. Ma sapete cosa chiedete? Chi mi segue dovrà tutto lasciare: e casa, e parenti, e modo di pensare, e vita, anche. Io vi farò miei discepoli e miei amici, se volete. Ma Io non ho ricchezze e protezioni. Sono, e più lo sarò, povero sino a non avere dove posare il capo, e perseguitato più di sperduta pecora dai lupi. La mia dottrina è ancora più severa di quella di Giovanni, perché interdice anche il risentimento. Non tanto all’esterno si volge, quanto allo spirito. Rinascere dovete se volete essere miei. Lo volete voi fare?” “Sì, Maestro. Tu solo ai parole che ci dànno luce. Esse scendono e, dove era tenebra di desolazione perché privi di guida, mettono chiarore di sole.” “Venite, dunque, e andiamo. Vi ammaestrerò per via.”

Dice Gesù: “Il gruppo che mi aveva incontrato era numeroso. Ma uno solo mi riconobbe. Colui che aveva anima, pensiero e carne limpida da ogni lussuria. Insisto sul valore della purezza. La castità è sempre fonte di lucidità di pensiero. La verginità affina, poi, e conserva la sensibilità intellettiva ed affettiva a perfezione, che solo chi è vergine prova.Vergine si è in molti modi. Forzatamente, e questo specie per le donne, quando non si è stati scelti per nozze di sorta. Dovrebbe esserlo anche per gli uomini. Ma non lo è. E ciò è male, perché da una gioventù anzitempo sporcata dalla libidine non potrà che venire un capo famiglia malato nel sentimento e sovente anche nella carne. 

Vi è la verginità voluta, ossia quella di coloro che si consacrano al Signore in uno slancio dell’animo. Bella verginità! Sacrificio gradito a Dio! Ma non tutti sanno poi permanere in quel loro candore di giglio che sta rigido sullo stelo, teso al cielo, ignaro del fango del suolo, aperto solo al bacio del sole di Dio e delle sue rugiade. Tanti restano fedeli materialmente al solo fatto. Ma infedeli col pensiero che rimpiange e desidera ciò che ha sacrificato. Questi non sono vergini che a metà. Se la carne è intatta, il cuore non lo è. Fermenta, questo cuore, ribolle, sprigiona fumi di sensualità, tanto più raffinata e riprovata quanto più è creazione del pensiero che accarezza, pasce, e aumenta continuamente immagini di appagamenti illeciti anche a chi è libero, più che illeciti a chi è votato.Viene allora l’ipocrisia del voto. L’apparenza c’è, ma la sostanza manca. 

Ed in verità vi dico che fra chi viene a Me col giglio spezzato dall’imposizione di un tiranno e chi vi viene col giglio non materialmente spezzato, ma sbavato dal rigurgito di una sensualità accarezzata e coltivata per empire di essa le ore di solitudine, Io chiamo ‘vergine’ il primo, e ‘non vergine’ il secondo. E al primo dò corona di vergine e duplice corona di martirio per la carne ferita e per il cuore piagato dalla non voluta mutilazione. Il valore della purezza è tale che, tu lo hai visto, Satana si preoccupa per prima cosa di convincermi dell’impurità. Esso lo sa bene che la colpa sensuale smantella l’anima e la fa facile preda alle altre colpe. La cura di Satana si è vòlta a questo punto capitale per vincermi.Il pane, la fame, sono le forme materiali per l’allegoria dell’appetito, degli appetiti, che Satana sfrutta ai suoi fini. Ben altro è il cibo che esso mi offriva per farmi cadere come ebbro ai suoi piedi! Dopo sarebbe venuta la gola, il denaro, il potere, l’idolatria, la bestemmia, l’abiura alla legge divina. Ma il primo passo per avermi, era questo. Lo stesso che usò per ferire Adamo. Il mondo schernisce i puri. I colpevoli di impudicizia li colpiscono. Giovanni Battista è una vittima della lussuria di due osceni. Ma se il mondo ha ancora un poco di luce, ciò si deve ai puri del mondo. Sono essi i servi di Dio e sanno capire Dio e ripetere le parole di Dio. 

Io ho detto: “ Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. Anche dalla terra. Essi, ai quali il fumo del senso non turba il pensiero, ‘vedono’ Dio, e l’odono e lo seguono, e l’additano agli altri.Giovanni di Zebedeo è un puro. E’ il Puro fra i miei discepoli. Che anima di fiore in un corpo di angelo! Egli mi chiama con le parole del suo primo maestro e mi chiede di dargli la pace. Ma la pace l’ha in sé per la sua vita pura, ed Io l’ho amato per questa sua purezza, alla quale ho affidato gli insegnamenti, i segreti, la Creatura più cara che avessi.E’ stato il mio primo discepolo, il mio amante dal primo momento che m’aveva visto passare lungo il Giordano e m’aveva visto indicare dal Battista. Se anche non mi avesse incontrato poi, al mio ritorno dal deserto, m’avrebbe cercato tanto da riuscire a trovarmi, perché chi è puro, è umile e desideroso di istruirsi nella scienza di Dio e viene, come va l’acqua al mare, verso quelli che riconosce maestri nella dottrina celeste.”

Dice ancora Gesù: “Non ho voluto che tu parlassi sulla tentazione sensuale del tuo Gesù. Anche se la tua interna voce ti aveva fatto comprendere il movente di Satana per attirarmi al senso, ho preferito parlare Io. E non vi pensare oltre. Era necessario parlarne. Ora passa avanti. Il fiore di Satana lascialo sulle sue sabbie. Vieni dietro a Gesù come Giovanni. Camminerai fra le spine, ma troverai per rose le stille di sangue di Chi le sparse per te, per vincere anche in te la carne. 

Prevengo anche un’osservazione. 

Dice Giovanni nel suo Vangelo parlando del suo incontro con Me: “E il giorno seguente” Sembra perciò che il Battista mi indicasse il giorno seguente al battesimo e subito Giovanni e Giacomo mi seguissero. Cosa che contrasta con quanto dissero gli altri Evangelisti circa i quaranta giorni passati nel deserto. Ma leggete così: “(Avvenuto ormai l’arresto di Giovanni) un giorno in seguito i due discepoli di Giovanni Battista, ai quali egli mi aveva indicato dicendo: ‘Ecco l’Agnello di Dio’, rivedendomi mi chiamarono e mi seguirono.” Dopo il mio ritorno dal deserto.E insieme tornammo sulle rive del lago di Galilea, dove Io avevo preso rifugio per iniziare da lì la mia evangelizzazione, e i due parlarono di Me -dopo esser stai con Me per tutto il cammino e per un’intera giornata nella casa ospitale di un amico di casa mia, del parentado- agli altri pescatori. Ma l’iniziativa fu di Giovanni, al quale la volontà di penitenza aveva reso l’anima, già tanto limpida per la sua purezza, un capolavoro di limpidità su cui la Verità si rifletteva nitidamente, dandogli anche la santa audacia dei puri e dei generosi, che non temono mai di farsi avanti dove vedono che vi è Dio, e verità e dottrina e via di Dio. Quanto l’ho amato per questa sua semplice ed eroica caratteristica!”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

sabato 4 ottobre 2014

BEATI I POVERI DI SPIRITO!



<<"Come si conquista Iddio e il suo Regno attraverso altra più dolce

via che non la severa del Sinai?" voi dite. 
Non vi è altra via. Quella è. Ma però guardiamola non attraverso il
colore della minaccia, ma attraverso il colore dell'amore. Non diciamo: 
"Guai se non farò questo!" rimanendo tremanti in attesa di peccare, 
di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: "Beato me se farò
questo!" e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci 
verso queste beatitudini, nate dall'osservanza della Legge come corolle di 
rose da un cespuglio di spine.


1-Beato me se sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!

2-Beato me se sarò mansueto perché erediterò la Terra!
3-Beato me se sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
4-Beato me se più del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete 
di giustizia. La Giustizia mi sazierà! Beato me se sarò misericordioso perché 
mi sarà usata divina misericordia!
5-Beato me se sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore 
puro ed io lo vedrò!
6-Beato me se avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo 
figlio, perché nella pace è l'amore, e Dio è Amore che ama chi è simile a Lui!
7-Beato me se per fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a 
compensarmi delle terrene persecuzioni Dio, mio Padre, mi darà il 
Regno dei Cieli!
8-Beato me se sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per 
saper essere tuo figlio, o Dio! Non desolazione ma gioia mi deve venire 
da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti, 
per la stessa ragione perseguitati, e coi quali io credo fermamente di 
condividere la stessa ricompensa grande, eterna, nel Cielo che è mio! 


Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.



(1) Beato me se sarò povero di spirito Oh! delle ricchezze, arsura 

satanica, a quanti deliri tu porti! Nei ricchi, nei poveri. Il ricco che 
vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato. 
Il povero che vive dell'odio al ricco perché egli ha l'oro, e se anche 
non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul capo dei ricchi,
desiderando loro male d'ogni sorta. 

Il male non basta non farlo, 
bisogna anche non desiderare di farlo. Colui che maledice augurando 
sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente 
uccide, poiché ha in lui il desiderio di veder perire colui che odia. 

In verità vi dico che il desiderio non è che un atto trattenuto,
come un concepito da ventre già formato ma non ancora espulso
Il desiderio malvagio avvelena e guasta, poiché permane più a lungo 
dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso

Il povero di spirito se è ricco non pecca per l'oro, ma del suo oro fa la sua 
santificazione poiché ne fa amore. Amato e benedetto, egli è
simile a quelle sorgive che salvano nei deserti e che si danno, 
senza avarizia, liete di potersi dare per sollevare le disperazioni. 

Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della 
ilarità del libero dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro 
da incubi, e sorge riposato al suo sereno lavoro che pare sempre 
leggero se viene fatto senza avidità e invidia. 

Le cose che fanno ricco l'uomo sono l'oro come materia, gli affetti come morale. 
Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le case, i campi, i
gioielli, i mobili, le mandrie, tutto quanto insomma fa materialmente 
doviziosa la vita. 
Nelle affezioni: i legami di sangue o di coniugio, le amicizie, le dovizie 
intellettuali, le cariche pubbliche. 

Come vedete, se per la prima categoria il povero può dire: " Oh! per me! 
Basta che io non invidi chi ha e poi sono a posto perché
io sono povero e perciò a posto per forza ", per la seconda anche 
il povero ha da sorvegliarsi, potendo, anche
il più miserabile fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. 

Colui che si affeziona smoderatamente ad una cosa, 
ecco che pecca. Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene che 
Dio ci ha concesso? Ma allora perché comanda di amare il padre e 
la madre, la sposa, i figli, e dice: 'Amerai il tuo prossimo come te stesso? 
Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il 
prossimo, ma nella misura che Dio ha dato: " come noi stessi ". Mentre 
Dio va amato sopra ogni cosa e con tutti noi stessi. Non amare Dio come 
amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, 
l'altra perché dorme sul nostro petto e ci procrea i figli, ma amarlo 
con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di amare che è
nell'uomo: amore di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! 
non vi scandalizzate! e amore di padre. 

Sì, per l'interesse di Dio 
dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, 
per la quale con amore tutela le sostanze e le accresce, e si 
occupa e preoccupa della sua crescita fisica e culturale e della sua riuscita
nel mondo. L'amore non è un male e non lo deve divenire. 

Le grazie che Dio ci concede non sono un male e non lo devono 
divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore 
usarne di queste ricchezze che Dio ci concede in affetti e in bene. 
E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi per servire in santità
Dio, mostra di non avere un attaccamento peccaminoso ad esse. 
Pratica allora la santa povertà dello spirito, che di tutto si spoglia per 
essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza. 
Conquistare Dio, ossia avere il Regno dei Cieli. >>