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domenica 31 maggio 2015

"Vi invito a vivere nella fiducia e in una grande speranza del mio vicino e straordinario intervento"


Rubbio (Vicenza), 8 dicembre 1987. Festa della Immacolata Concezione.

Non lasciatevi illudere.


«Il mio candore di Cielo scende oggi su di voi e vuole avvolgere tutto il mondo.

Camminate nella mia Luce se volete giungere alla pace.

La luce della grazia divina, della purezza, della santità, della preghiera, di una sempre più
perfetta carità deve penetrare la vostra esistenza, figli consacrati al mio Cuore Immacolato.

Vivete i tempi dolorosi del castigo.

Vivete l'ora tenebrosa della vittoria del mio Avversario, che è il Principe della notte.

Vivete i momenti più difficili della purificazione.

Allora vi invito a rifugiarvi dentro la dimora sicura del mio Cuore Immacolato ed a lasciarvi
avvolgere dal manto celeste della mia purissima Luce.

Camminate sulla strada, che in questi anni vi ho tracciato, per diventare oggi gli strumenti
della mia pace.

Non lasciatevi illudere.

La pace non verrà al mondo dagli incontri di coloro che voi chiamate i grandi di questa terra,
né dai loro reciproci patteggiamenti.

La pace può giungere a voi solo dal ritorno dell'umanità al suo Dio per mezzo della conversione, alla quale in questo mio giorno ancora vi chiamo, e per mezzo della preghiera, del digiuno e della penitenza.

Altrimenti, nel momento in cui si griderà da tutti alla pace ed alla sicurezza, piomberà
all'improvviso la sciagura.

Per questo vi domando di assecondare i miei pressanti richiami a camminare sulla strada del
bene, dell'amore, della preghiera, della mortificazione dei sensi, del disprezzo del mondo e di
voi stessi.

Oggi accolgo con gioia il vostro omaggio di amore, lo associo al canto di gloria del Paradiso, alle
invocazioni delle anime purganti, al coro di lode della Chiesa militante e pellegrina, vi invito a
vivere nella fiducia e in una grande speranza del mio vicino e straordinario intervento».

lunedì 4 novembre 2013

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI









MESSAGGIO DEL SANTO PADRE ALL’ARCIVESCOVO DI MILANO IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN CARLO BORROMEO, 04.11.2010



Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Arcivescovo di Milano, Em.mo Card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della celebrazione del IV Centenario della Canonizzazione di San Carlo Borromeo:


MESSAGGIO DEL 
SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Al venerato Fratello
Cardinale DIONIGI TETTAMANZI
Arcivescovo di Milano

Lumen caritatis. La luce della carità di san Carlo Borromeo ha illuminato tutta la Chiesa e, rinnovando i prodigi dell’amore di Cristo, nostro Sommo ed Eterno Pastore, ha portato nuova vita e nuova giovinezza al gregge di Dio, che attraversava tempi dolorosi e difficili. Per questo mi unisco con tutto il cuore alla gioia dell’Arcidiocesi ambrosiana nel commemorare il quarto centenario della canonizzazione di questo grande Pastore, avvenuta il 1° novembre 1610.

1. L’epoca in cui visse Carlo Borromeo fu assai delicata per la Cristianità. In essa l’Arcivescovo di Milano diede un esempio splendido di che cosa significhi operare per la riforma della Chiesa. Molti erano i disordini da sanzionare, molti gli errori da correggere, molte le strutture da rinnovare; e tuttavia san Carlo si adoperò per una profonda riforma della Chiesa, iniziando dalla propria vita. È nei confronti di se stesso, infatti, che il giovane Borromeo promosse la prima e più radicale opera di rinnovamento. La sua carriera era avviata in modo promettente secondo i canoni di allora: per il figlio cadetto della nobile famiglia Borromeo si prospettava un futuro di agi e di successi, una vita ecclesiastica ricca di onori, ma priva di incombenze ministeriali; a ciò si aggiungeva anche la possibilità di assumere la guida della famiglia dopo la morte improvvisa del fratello Federico.

Eppure, Carlo Borromeo, illuminato dalla Grazia, fu attento alla chiamata con cui il Signore lo attirava a sé e lo voleva consacrare al servizio del suo popolo. Così fu capace di operare un distacco netto ed eroico dagli stili di vita che erano caratteristici della sua dignità mondana, e di dedicare tutto se stesso al servizio di Dio e della Chiesa. In tempi oscurati da numerose prove per la Comunità cristiana, con divisioni e confusioni dottrinali, con l’annebbiamento della purezza della fede e dei costumi e con il cattivo esempio di vari sacri ministri, Carlo Borromeo non si limitò a deplorare o a condannare, né semplicemente ad auspicare l’altrui cambiamento, ma iniziò a riformare la sua propria vita, che, abbandonate le ricchezze e le comodità, divenne ricolma di preghiera, di penitenza e di amorevole dedizione al suo popolo. San Carlo visse in maniera eroica le virtù evangeliche della povertà, dell’umiltà e della castità, in un continuo cammino di purificazione ascetica e di perfezione cristiana.

Egli era consapevole che una seria e credibile riforma doveva cominciare proprio dai Pastori, affinché avesse effetti benefici e duraturi sull’intero Popolo di Dio. In tale azione di riforma seppe attingere alle sorgenti tradizionali e sempre vive della santità della Chiesa cattolica: la centralità dell’Eucaristia, nella quale riconobbe e ripropose la presenza adorabile del Signore Gesù e del suo Sacrificio d’amore per la nostra salvezza; la spiritualità della Croce, come forza rinnovatrice, capace di ispirare l’esercizio quotidiano delle virtù evangeliche; l’assidua frequenza ai Sacramenti, nei quali accogliere con fede l’azione stessa di Cristo che salva e purifica la sua Chiesa; la Parola di Dio, meditata, letta e interpretata nell’alveo della Tradizione; l’amore e la devozione per il Sommo Pontefice, nell’obbedienza pronta e filiale alle sue indicazioni, come garanzia di vera e piena comunione ecclesiale.

Dalla sua vita santa e conformata sempre più a Cristo nasce anche la straordinaria opera di riforma che san Carlo attuò nelle strutture della Chiesa, in totale fedeltà al mandato del Concilio di Trento. Mirabile fu la sua opera di guida del Popolo di Dio, di meticoloso legislatore, di geniale organizzatore. Tutto questo, però, traeva forza e fecondità dall’impegno personale di penitenza e di santità. In ogni tempo, infatti, è questa l’esigenza primaria e più urgente nella Chiesa: che ogni suo membro si converta a Dio. 

Anche ai nostri giorni non mancano alla Comunità ecclesiale prove e sofferenze, ed essa si mostra bisognosa di purificazione e di riforma. L’esempio di san Carlo ci sproni a partire sempre da un serio impegno di conversione personale e comunitaria, a trasformare i cuori, credendo con ferma certezza nella potenza della preghiera e della penitenza. 

Incoraggio in modo particolare i sacri ministri, presbiteri e diaconi, a fare della loro vita un coraggioso cammino di santità, a non temere l’ebbrezza di quell’amore fiducioso a Cristo per cui il Vescovo Carlo fu disposto a dimenticare se stesso e a lasciare ogni cosa. Cari fratelli nel ministero, la Chiesa ambrosiana possa trovare sempre in voi una fede limpida e una vita sobria e pura, che rinnovino l’ardore apostolico che fu di sant’Ambrogio, di san Carlo e di tanti vostri santi Pastori!

2. Durante l’episcopato di san Carlo, tutta la sua vasta Diocesi si sentì contagiata da una corrente di santità che si propagò al popolo intero. In che modo questo Vescovo, così esigente e rigoroso, riuscì ad affascinare e conquistare il popolo cristiano? È facile rispondere: san Carlo lo illuminò e lo trascinò con l’ardore della sua carità. "Deus caritas est", e dove c’è l’esperienza viva dell’amore, lì si rivela il volto profondo di Dio che ci attira e ci fa suoi.

Quella di san Carlo Borromeo fu anzitutto la carità del Buon Pastore, che è disposto a donare totalmente la propria vita per il gregge affidato alle sue cure, anteponendo le esigenze e i doveri del ministero ad ogni forma di interesse personale, comodità o tornaconto. Così l’Arcivescovo di Milano, fedele alle indicazioni tridentine, visitò più volte l’immensa Diocesi fin nei luoghi più remoti, si prese cura del suo popolo nutrendolo continuamente con i Sacramenti e con la Parola di Dio, mediante una ricca ed efficace predicazione; non ebbe mai timore di affrontare avversità e pericoli per difendere la fede dei semplici e i diritti dei poveri.

San Carlo fu riconosciuto, poi, come vero padre amorevole dei poveri. La carità lo spinse a spogliare la sua stessa casa e a donare i suoi stessi beni per provvedere agli indigenti, per sostenere gli affamati, per vestire e dare sollievo ai malati. Fondò istituzioni finalizzate all’assistenza e al recupero delle persone bisognose; ma la sua carità verso i poveri e i sofferenti rifulse in modo straordinario durante la peste del 1576, quando il santo Arcivescovo volle rimanere in mezzo al suo popolo, per incoraggiarlo, per servirlo e per difenderlo con le armi della preghiera, della penitenza e dell’amore.

La carità, inoltre, spinse il Borromeo a farsi autentico e intraprendente educatore. Lo fu per il suo popolo con le scuole della dottrina cristiana. Lo fu per il clero con l’istituzione dei seminari. Lo fu per i bambini e i giovani con particolari iniziative loro rivolte e con l’incoraggiamento a fondare congregazioni religiose e confraternite laicali dedite alla formazione dell’infanzia e della gioventù.

Sempre la carità fu la motivazione profonda delle asprezze con cui san Carlo viveva il digiuno, la penitenza e la mortificazione. Per il santo Vescovo non si trattava solo di pratiche ascetiche rivolte alla propria perfezione spirituale, ma di un vero strumento di ministero per espiare le colpe, invocare la conversione dei peccatori e intercedere per i bisogni dei suoi figli.

In tutta la sua esistenza possiamo dunque contemplare la luce della carità evangelica, la carità longanime, paziente e forte che "tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13,7). Rendo grazie a Dio perché la Chiesa di Milano è sempre stata ricca di vocazioni particolarmente consacrate alla carità; lodo il Signore per gli splendidi frutti di amore ai poveri, di servizio ai sofferenti e di attenzione ai giovani di cui può andare fiera. L’esempio e la preghiera di san Carlo vi ottengano di essere fedeli a questa eredità, così che ogni battezzato sappia vivere nella società odierna quella profezia affascinante che è, in ogni epoca, la carità di Cristo vivente in noi.

3. Non si potrebbe comprendere, però, la carità di san Carlo Borromeo se non si conoscesse il suo rapporto di amore appassionato con il Signore Gesù. Questo amore egli lo ha contemplato nei santi misteri dell’Eucaristia e della Croce, venerati in strettissima unione con il mistero della Chiesa. L’Eucaristia e il Crocifisso hanno immerso san Carlo nella carità di Cristo, e questa ha trasfigurato e acceso di ardore tutta la sua vita, ha riempito le notti passate in preghiera, ha animato ogni sua azione, ha ispirato le solenni liturgie celebrate con il popolo, ha commosso il suo animo fino a indurlo sovente alle lacrime.

Lo sguardo contemplativo al santo Mistero dell’Altare e al Crocifisso risvegliava in lui sentimenti di compassione per le miserie degli uomini e accendeva nel suo cuore l’ansia apostolica di portare a tutti l’annuncio evangelico. D’altra parte, ben sappiamo che non c’è missione nella Chiesa che non sgorghi dal "rimanere" nell’amore del Signore Gesù, reso presente a noi nel Sacrificio eucaristico. Mettiamoci alla scuola di questo grande Mistero! Facciamo dell’Eucaristia il vero centro delle nostre comunità e lasciamoci educare e plasmare da questo abisso di carità! Ogni opera apostolica e caritativa prenderà vigore e fecondità da questa sorgente!

4. La splendida figura di san Carlo mi suggerisce un’ultima riflessione rivolta, in particolare, ai giovani. La storia di questo grande Vescovo, infatti, è tutta decisa da alcuni coraggiosi "sì" pronunciati quando era ancora molto giovane. A soli 24 anni egli prese la decisione di rinunciare a guidare la famiglia per rispondere con generosità alla chiamata del Signore; l’anno successivo accolse come una vera missione divina l’ordinazione sacerdotale e quella episcopale. A 27 anni prese possesso della Diocesi ambrosiana e dedicò tutto se stesso al ministero pastorale. Negli anni della sua giovinezza, san Carlo comprese che la santità era possibile e che la conversione della sua vita poteva vincere ogni abitudine avversa. Così egli fece della sua giovinezza un dono d’amore a Cristo e alla Chiesa, diventando un gigante della santità di tutti i tempi.

Cari giovani, lasciate che vi rinnovi questo appello che mi sta molto a cuore: Dio vi vuole santi, perché vi conosce nel profondo e vi ama di un amore che supera ogni umana comprensione. Dio sa che cosa c’è nel vostro cuore e attende di vedere fiorire e fruttificare quel meraviglioso dono che ha posto in voi. Come san Carlo, anche voi potete fare della vostra giovinezza un’offerta a Cristo e ai fratelli. Come lui, potete decidere, in questa stagione della vostra vita, di "scommettere" su Dio e sul Vangelo. Voi, cari giovani, non siete solo la speranza della Chiesa; voi fate già parte del suo presente! E se avrete l’audacia di credere alla santità, sarete il tesoro più grande della vostra Chiesa ambrosiana, che si è edificata sui Santi.

Con gioia Le affido, venerato Fratello, queste riflessioni, e, mentre invoco la celeste intercessione di san Carlo Borromeo e la costante protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a Lei e all’intera Arcidiocesi una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 1° novembre 2010, IV Centenario della Canonizzazione di san Carlo Borromeo.

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana


venerdì 21 giugno 2013

SAN LUIS GONZAGA, San Luigi Gonzaga


SAN LUIS GONZAGA,
DE LA COMPAÑÍA DE JESÚS
Día 21 de junio


P. Juan Croisset, S.J.

Este glorioso Santo, príncipe de la casa de Mantua,
tan ilustre por el desprecio que hizo de las
grandezas del mundo como por la inocencia de su
vida, fue hijo de Fernando, marqués de Castellón, y de
Marta de Tana, de las mejores familias de Quiers en el
Piamonte. Hallóse ésta tan apurada en el parto de
nuestro Santo que llegaron á desahuciarla los médicos;
pero apenas ofreció á la Virgen el fruto que tenía en sus
entrañas, cuando le dio á luz con toda felicidad el día 9
de Marzo de 1568. Bautizáronle de socorro luego que
nació, y pocos días después se le puso el nombre de Luis
por su padrino y deudo muy cercano Guillermo, duque de
Mantua, cabeza de la casa de Gonzaga.
Persuadida la piadosa marquesa de Castellón á que
la primera obligación de una madre es dar á su hijo la
mejor educación, luego que vio á Luis capaz de alguna,
tomó de su cuenta el darle ella misma la más piadosa y
la más cristiana. Desde luego se conoció que no
necesitaba de muchas instrucciones la bella índole del
niño, cuyo aire, cuyas inclinaciones, y cuya natural
propensión á la virtud, desde entonces le merecieron el
renombre de ángel.
El marqués, soldado de profesión y de genio,
observando la viveza de su hijo, se persuadió que se
inclinaba á las armas, y á los cinco años de edad le llevó
consigo á Casal. Mostraba Luis grande gusto en los
ejercicios militares, y en esto lisonjeaba mucho el de su
padre; pero al niño le hubo de costar cara aquella
marcial inclinación; porque habiendo cargado él mismo
una pieza de campaña que estaba en la muralla, y
habiéndola dado fuego incautamente, faltó poco para
que, al retroceder la cureña, no le hubiese hecho
pedazos la violencia de las ruedas. Ni fue éste el único
peligro que corrió. Con el trato de los soldados se le
pegaron algunas palabras demasiadamente libres; pero
apenas fue reprendido por su ayo, cuando las miró con
mayor horror; y, aunque las había dicho sin entender su
significado, ésta fue la mayor culpa que cometió en toda
la vida, llorándola amargamente en toda ella, y haciendo
rigurosa penitencia.

Al paso que Luis crecía en edad, iba también
creciendo en juicio y en virtud. Entregóse tan totalmente
á Dios desde la edad de siete años, que asegura el
cardenal Belarmino era ya su vida perfecta en aquella
tierna edad. Tenía ya desde entonces sus devociones
arregladas, en cuyo cumplimiento era tan exacto, que se
observó no haber faltado ni una sola vez á ellas, aun en
tiempo que por espacio de diez y ocho meses le
debilitaron unas molestas cuartanas. Enamorado el
marqués del juicio y de las grandes prendas de su hijo,
no omitió medio alguno de cuantos pudiesen conducir á
cultivarlas y á darle una educación digna de su
nacimiento. Llevóle á la corte del gran duque de Toscana,
estrecho amigo suyo; y aunque el aire de la corte suele
ser tan contagioso, singularmente para la juventud, nada
alteró la inocencia de nuestro Luis. Hizo en Florencia
asombrosos progresos en el camino de la perfección
reduciéndose todas sus diversiones á la oración y al
estudio. Desde entonces hizo propósito de no jugar en su
vida á juego alguno, y jamás le quebrantó. Creció tanto
su fervorosa devoción á la Santísima Virgen, que á los
nueve años hizo voto de perpetua castidad. En la
observancia de esta virtud era excesiva su delicadeza.
Nunca permitió que le vistiese ni le desnudase su ayuda
de cámara, y desde aquella edad se impuso la ley de no
mirar jamás á la cara á mujer alguna.


Desde la corte de Florencia pasó á la del duque de
Mantua, su cercano pariente; y, en vez de deslumbrarle
aquel nuevo teatro del esplendor y de la grandeza de su
casa, allí fue donde resolvió dejar al mundo. Sirvióle de
pretexto la falta de salud para salir de la corte y
restituirse á casa de sus padres. Pasando por ella San
Carlos Borromeo, descubrió y admiró los tesoros de
gracia y de perfección que encerraba el alma de aquel
santo niño; exhortóle á que cuanto antes comulgase por
la primera vez; encargóle que después lo repitiese con
frecuencia, y le dio otros muchos consejos espirituales
que el joven príncipe tuvo gran cuidado de poner en
práctica. No es fácil explicar la tierna devoción y los
fervorosos afectos con que aquella inocente alma recibió
por primera vez á Jesucristo; inflamado el semblante, y
bañados sus ojos en dulces lágrimas, daban testimonio
del divino fuego que abrasaba aquel tierno corazón. Por
toda su vida fue la devoción al Santísimo Sacramento la
más sobresaliente de todas sus devociones, pasando
horas enteras en su presencia al pie de los altares.
Aplicábase ya entonces al estudio de las letras; pero éste
no debilitaba ni distraía el espíritu interior, que tenía
cuidado de fomentar con el rigor de la penitencia. No
parece podía subir más de punto el santo odio que se
tenía á sí mismo, ni que podía juntarse mayor inocencia
con mayor austeridad. Ayunaba tres días á la semana, y
muchos á pan y agua. Sus penitencias pudieran
acobardar á los religiosos más austeros. Muchas veces se
notaba salpicado de su inocente sangre hasta el techo de
su cuarto; no pocas era su cama la desnuda tierra; por no
tener cilicios se aplicaba á sus delicadas carnes un cinto
cuajado de estrellitas de espuelas; nunca se arrimaba al
fuego, ni aun en el mayor rigor del invierno, y algunas
noches se levantaba medio desnudo, pasando así muchas
horas en oración.


Enviáronle á la corte de Felipe II, donde desde luego
se hizo admirar su anticipada madurez y su elevada
santidad tanto como en todas partes. Parece que el
Señor como que se complacía en irle mostrando á varias
cortes de Europa, para convencer con su ejemplo que la
virtud no está reñida con alguna condición, y que la
inocencia puede y debe acompañarse con todas las
edades. Hallándose en España, tomó la resolución de
abrazar el estado religioso. Los grandes ejemplos de
virtud, de observancia, de desprendimiento del mundo
que había notado en los PP. Capuchinos y en los
Barnabitas, durante su residencia en Casal, y aquel
espíritu de penitencia y de recogimiento interior que
admiraba en los Carmelitas Descalzos, le inclinaron algo
al principio á entrar en alguna de estas sagradas
religiones; pero al fin se resolvió á entrar en la Compañía
de Jesús, por cuatro ó cinco razones que él mismo
declaró. Primera: Porque, siendo más reciente su
instituto, por precisión se había de conservar en su
primitivo fervor. Segunda: Por el voto que en él se hace
de no admitir dignidades eclesiásticas. Tercera: Porque
en él se enseña á la juventud virtud y letras. Cuarta:
Porque los jesuitas se dedican, por su instituto, á la
conversión de los herejes y de los gentiles en todas las
partes del mundo. A estas cuatro razones añadía otra, y
era la particular devoción que había observado se
profesaba á la Santísima Virgen en la Compañía; lo que
confesaba no haber contribuido poco á determinar esta
elección. Juntóse á todo esto, que un día de la Asunción
de esta gloriosa Reina á los Cielos, después de haber
comulgado, le pareció haber percibido clara y
distintamente una voz, articulada por el hermoso
simulacro de la Soberana Reina que con el título del Buen
Consejo se venera en el colegio imperial de Madrid, que
le intimaba entrase en la Compañía. Pero la gran
dificultad era conseguir la licencia y el consentimiento de
sus padres.


No hubo acaso vocación más examinada, ni mejor
probada. Pusiéronse en ejecución, para desviar á Luis de
su piadosa resolución, cuantos medios pudo sugerir la
reflexión á su elevado nacimiento, la circunstancia de
primogénito, la ternura de sus padres y las lágrimas de
sus vasallos. Lleváronle de propósito por las cortes de los
príncipes de Italia; dispúsose que le hablasen personas
constituidas en dignidad para disuadirle de que se
hiciese religioso; pero todo fue en vano, hasta que el
mismo marqués, su padre, después de una repulsa
demasiadamente seca y desabrida que le dio,
encontrándole un día postrado á los pies de un Crucifijo,
con unas crueles disciplinas en la mano, bañado en
lágrimas y sangre, para conseguir de Dios lo que los
hombres se obstinaban en negarle, atónito y enternecido,
no menos que temeroso de resistir más tiempo á una
vocación tan descubierta, se rindió en fin á los santos
deseos de su hijo, aunque quiso que, antes de ponerlos
en ejecución, pasase á Milán á terminar algunos
negocios de familia. Mostró en el manejo de ellos su gran
capacidad, y faltó poco para que esto mismo le
perjudicase, sirviendo de nuevo embarazo á sus intentos;
porque, prendado el marqués de la destreza con que
había dado dichoso fin á unas dependencias tan graves
como espinosas, no se pudo resolver á dejarle partir, y
así le dijo á su vuelta de Milán: Mucho te engañaste si
creíste que yo consentiría en tu determinación; pensarás
en eso cuando tengas veinticinco años, y en este
supuesto puedes tomar tus medidas. Sobrecogido Luis al
oír una resolución tan inesperada, se arrojó á los pies del
marqués, y con aquella ingenuidad que siempre le
ganaba los corazones de todos, le dijo: No permita Dios,
amado padre y señor, que yo me aparte jamás de vuestra
voluntad; en todo y por todo seréis siempre obedecido.
Sólo os suplico tengáis á bien os represente que
Jesucristo me llama á su compañía; si vos no me permitís
entrar en ella, ciertamente os oponéis á la voluntad de
Dios. Hicieron impresión estas palabras en el corazón del
marqués; echóle los brazos al cuello, bañóle con sus
lágrimas, y teniéndole abrazado por un rato, sin poder
articular palabra, al cabo rompió en estas voces: Hasme
abierto, hijo mío, una herida en mi corazón, que manará
sangre por mucho tiempo; yo te amo y tú lo mereces;
tenía fundadas en ti todas las esperanzas de la familia;
pero, pues estás tan cierto de que Dios te llama á su
compañía, ya no te detengo: ve, hijo mío, donde te llama
el Señor. Acabando de decir estas palabras, se retiró el
marqués, deshaciéndose en amargo llanto. Tampoco dejó
de enternecerse un poco nuestro Luis; pero inundado, por
otra parte, de gozo, se postró delante de un Crucifijo, y
renovó su sacrificio. Partió luego á Mantua, donde hizo la
renuncia del marquesado en favor de su hermano
Rodulfo, con licencia del Emperador, y, despedido de sus
padres y parientes, se encaminó á Loreto. En aquella
santa capilla corrió, por decirlo así, libremente su
devoción y su ternura á la Santísima Virgen,
desahogándose el corazón en inflamados afectos y en
lágrimas de amor. Allí renovó el voto de castidad,
después de haber comulgado; y consagrándose de nuevo
á la Madre de Dios, partió para Roma donde recibida la
bendición del Sumo Pontífice, y habiendo visitado á los
cardenales parientes suyos, entró en el noviciado el año
de 1585, no habiendo aún cumplido los diez y ocho de su
edad, y habiendo arribado ya á una elevada perfección.
Los rápidos y extraordinarios progresos que hizo en
aquella escuela de virtud asombraron á los más
perfectos. 

Desde luego se impuso una inviolable ley de
observar con la última exactitud y puntualidad hasta las
más menudas reglas. No era difícil, ni apenas posible,
que subiese más de punto la observancia. Nada tuvieron
que hacer los superiores, sino moderar su fervor, y poner
límites á los deseos de hacer grandes penitencias. La
mayor falta que cometió en los dos años de noviciado fue
haber levantado los ojos y mirado á su hermano, que
estaba comiendo junto á él en la misma mesa. Ninguno
olvidó más perfectamente que él á su pueblo y á la casa
de sus padres. Vino un vasallo suyo á empeñarle en cierto
negocio, y le respondió que, como había dos años que
estaba muerto al mundo, ya no tenía en él ni crédito ni
poder. El santo odio y desprecio de sí mismo no podía ser
mayor. Cualquiera señal de distinción que se hiciese con
él, era para Luis una verdadera pesadumbre. Jamás se
excusó ni se disculpó, aunque tuviese mil razones, para
hacerlo; y llegó á tener escrúpulo de que sentía
demasiada complacencia en ser reprendido. Era
exquisito el gusto que experimentaba en los ejercicios
más humildes y más repugnantes; tanto, que juzgó se
debía acusar de lo mucho que había contentado á su
amor propio, yendo por las calles de Roma con un vestido
vil y pidiendo limosna.

Del mismo principio nacía aquel perfecto
desasimiento de todas las cosas, y aquel espíritu de
pobreza que le hizo verdadero discípulo de Jesucristo. Un
libro encuadernado con alguna curiosidad, un rosario
menos común, y dos sillas en su aposento, eran alhajas
que lastimaban su delicadeza; ni jamás fue posible
hacerle admitir un mueble de bien poca consideración
que le envió su madre, la marquesa, juzgando que tenía
mucha necesidad de él; y costó gran trabajo reducirle á
que recibiese dos estampas de papel, una de Santo
Tomás de Aquino, y otra de Santa Catalina, por la
particular devoción que profesaba á estos Santos.

Notábase siempre en él una igualdad y una tranquilidad
inalterable; la que singularmente se reconoció en la
muerte de su padre, que sucedió poco tiempo después
que entró en la Compañía. Sabíase el tierno amor que le
profesaba, y con todo eso apenas mostró otro sentimiento
que levantar los ojos al Cielo y dar gracias á Nuestro
Señor de que en adelante podría decir sin estorbo y á
boca llena: Padre nuestro, que estás en los Cielos.
Como tenía tan puro el corazón, continuamente
estaba en la presencia de Dios, sin perderle jamás de
vista. Dando cuenta de su conciencia, dijo con ingenuidad
que en el espacio de seis meses sólo se había distraído, á
su parecer, como por el tiempo de un Avemaria.
Temiendo el superior que los grandes dolores de cabeza
que padeció toda la vida fuesen efecto de su intensa
aplicación á la oración, le suspendió este ejercicio por
algún tiempo; pero fue peor el remedio que la
enfermedad. No sé qué hacer, decía el Santo con gracia;
mandadme que no piense en Dios, por que no me haga
daño á la cabeza, y me lo hace mucho mayor el trabajo
que me cuesta el no pensar. Casi desde la cuna tuvo un
don de oración muy elevado, siendo Dios su principal y
aun su único Maestro. Cuando el célebre cardenal
Belarmino daba el ejercicio á los hermanos estudiantes
del colegio, en tocando ciertos preceptos ó reglas de
meditación, solía decir: Ésto lo aprendí de nuestro Luis.
Tenía tan mortificados todos sus sentidos, que
parecía haber casi perdido el uso de ellos. Frecuentaba
muchas veces alguna pieza ó algún sitio, y no podía dar
señas de él; sólo hacía reflexión á lo que comía, para
escoger lo que era más ingrato al paladar; dé manera,
que la mortificación era siempre la salsa de su comida.
Era tan detenido en el hablar, que tocaba la raya de
escrúpulo su circunspección; mas no por eso dejaba de
ser muy divertida su conversación, ni le faltaba una sal
muy delicada para sazonarla. Juzgando los superiores
que diría bien á su salud el aire de Nápoles, le enviaron
allá para acabar los estudios, cuya aplicación en nada
entibió su fervor. 

Como era de un ingenio pronto,
delicado y perspicaz, sobresalió mucho en ellos; y
obligado á defender conclusiones públicas al fin de sus
estudios, le persuadía su humildad á que de propósito se
mostrase ignorante, y hubo menester toda su docilidad y
rendimiento para sujetarse en esto á su director y á su
maestro. Mereció en aquella función los aplausos de todo
el Colegio Romano, y no tuvo poco que padecer su
modestia.


Pocos meses después que volvió á Roma, se suscitó
cierta diferencia entre su hermano Rodulfo y el duque de
Mantua sobre la sucesión al señorío de Solferino, con
cuya ocasión se vio precisado el Padre general á enviarle
á Castellón. Recibíanle en todas partes como á un ángel
venido del Cielo, y la marquesa su madre, luego que le
vio, se sintió movida de cierta especie de veneración, que
sin libertad la hizo poner las rodillas en tierra; tanto fue
el respeto y tan grande el concepto que formó de la
santidad de su hijo. Siempre que salía de palacio se
encontraba con una multitud de gente, formada en dos
alas, que le llenaba de bendiciones y se deshacía en
tiernas lágrimas; y cuando se retiraban todos á su casa,
decían: Ya hemos visto al Santo. No obstante lo irritado
que estaba el duque de Mantua con el marqués de
Castellón, y en medio de hallarse los ánimos
sobradamente encendidos, apenas los habló este ángel
de paz cuando se compusieron las diferencias;
restituyesele al marqués el señorío de Solferino, y quedó
más sólida y estrechamente arraigada que nunca la
amistad entre los dos príncipes. Nunca se vio
reconciliación más sincera, y desde luego se calificó por
uno de los primeros milagros de San Luis.
Ni fue éste el único que obró durante su estancia en
Mantua y en Castellón. Fueron pocos los señores de las
dos cortes que no se moviesen y no se reformasen con la
conversación del joven jesuíta. Obligóle el rector del
colegio de Mantua á que hiciese una plática doméstica á
la comunidad; y él la hizo sobre la caridad, con tanto
fervor y con tanta emoción, que todos quedaron muy
edificados. Antes de salir de Castellón pidió la marquesa
á los superiores que obligasen á Luis á que predicase á
sus vasallos; hízolo, con un prodigioso concurso y con
fruto tan copioso, que al acabarse el sermón se
confesaron más de setecientas personas, y se
consideraron como otros tantos milagros las muchas
conversiones que se siguieron.

No teniendo ya que hacer en Castellón, recibió
orden de pasar á Milán para continuar sus estudios; pero,
luego que llegó, se halló con otra del General en que se
le mandaba restituirse á Roma. Obedecióle con el mayor
gusto, y más habiéndosele dado á entender en la
oración, con no sé qué cierta seguridad, que se acercaba
el fin de su vida. Aunque toda ella había sido una
continua preparación para la muerte, en este último año
redobló su fervor. Hízose tan tierno y tan encendido su
amor á Dios, que, sólo con oírle nombrar, sensiblemente
se le alteraba é inflamaba el semblante. Cualquiera
rasgo, cualquiera expresión afectuosa que oyese en la
lectura del refectorio, bastaba para obligarle á
interrumpir la comida, haciendo tal impresión en su
pecho, que no la podía contener sin que se explicase en
dulces lágrimas por los ojos. Con sólo ver una estrella ó
una flor crecían sus incendios. Teníase gran cuidado en
las conversaciones de evitar ciertas voces algo más
afectuosas y expresivas, por excusarle una alteración que
podía perjudicar gravemente á su salud. Los mismos
efectos producía su tierna devoción á la Santísima
Virgen; y siempre que comulgaba se quedaba como
extáticamente arrebatado.

Afligida por este tiempo toda la Italia con una
enfermedad popular, se refugiaron á Roma todos los
pobres de las cercanías, y fue aquella ciudad doloroso
teatro de la misma triste miseria. Distinguióse mucho en
aquella ocasión la caridad de los Padres de la Compañía;
porque, además de su asistencia á todos los hospitales
de la ciudad, erigió ella uno á su costa, en el cual el
mismo Padre general servía á los enfermos. Imitaron este
ejemplo todos los jesuitas del Colegio Romano y de la
casa profesa; pero se hizo distinguir entre todos el fervor
de nuestro Luis. No fue posible moderar su caridad y su
celo; pero aunque se le procuró contener y libertar,
destinándole á un hospital donde sólo se recogían los
enfermos que estaban fuera de peligro, quiso la Divina
Providencia que la caridad consumiese aquella preciosa
víctima. Habíase llevado el contagio á muchos jesuitas, y
no perdonó á nuestro Santo. Apenas se sintió tocado,
cuando no pudo disimular su alegría; tanto, que hizo
escrúpulo de ella y consultó al Padre San Roberto
Belarmino si habría alguna culpa en regocijarse tanto con
la muerte, ó si en esto se podría esconder algún artificio
del amor propio. Como desde luego se descubrió violenta
la enfermedad, pidió con instancia se le administrasen
los sacramentos, y los recibió con tanta serenidad y con
tanta devoción, que sacó las lágrimas á todos los
circunstantes. Acordóse entonces de que varías veces le
habían dicho que á la hora de la muerte había de tener
escrúpulo de sus excesivas penitencias, y suplicó al Padre
rector asegurase á todos que este punto no le daba el
más mínimo cuidado, y que sólo sentía no haber podido
conseguir licencia de los superiores para hacer muchas
más. Declinó después su enfermedad en una calentura
ética, que parece sólo le dilató algo más de vida para
que nos dejase más ejemplos de virtud, y para que con
los nuevos trabajos acaudalase mayores merecimientos.
Oyendo decir que las enfermedades epidémicas que
reinaban iban degenerando en peste, pidió licencia al
Padre general para hacer voto de asistir á los apestados,
si Dios le diese salud; y, obtenido el permiso, hizo el voto
con nuevo fervor.


Los cardenales de la Rovera y Gonzaga, sus
parientes, que le visitaban con frecuencia, no acertaban
á separarse de él, y salían siempre con el corazón
penetrado de dolor, y sensiblemente movidos con la
devota impresión que hacían en todos sus palabras. No
pudiendo disimular el consuelo que sentía su alma de
verse morir jesuita, todas las veces que le visitaba el
cardenal Gonzaga le repetía las gracias por los buenos
oficios que le había hecho para allanar las dificultades
que se oponían á su vocación. Tenía siempre en la mano
un crucifijo, y una imagen de la Santísima Virgen delante
de los ojos. Habiendo recibido un expreso de la
marquesa, su madre, la escribió despidiéndose de ella en
términos tan tiernos y tan fervorosos, que se deshacían
en lágrimas cuantos leyeron la carta. Dijéronle después
que los médicos sólo le daban ocho días de vida, y fue
tanto su gozo, que rogó á los que se hallaban en su
aposento le ayudasen á rezar el Te Deum en acción de
gracias al Señor por una noticia tan alegre. Vínole á
visitar un Padre, y luego que le vio exclamó como
transportado: Marchamos, Padre mío, y marchamos con
alegría. Tres días antes de morir se puso sobre el pecho
un crucifijo, y con semblante risueño repetía sin cesar
aquellas palabras del Apóstol: Deseo ser desatado, y
estar con Jesucristo. Aunque no se reconocía novedad
alguna en su enfermedad, dijo positivamente, con su
acostumbrada y natural alegría, que aquella noche
moriría. Recibió la bendición apostólica in artículo mortis,
que le envió Su Santidad, y quiso también que le
volviesen á administrar los sacramentos, después de los
cuales pidió le leyesen la recomendación del alma con
las últimas oraciones de la Iglesia, cuya postrera función
enterneció y movió tanto á los circunstantes, que todos se
querían recomendar en las del mismo moribundo. En fin,
el jueves por la noche, 21 de Junio de 1591, en que aquel
año cayó la octava del Corpus, entregó dulcemente su
dichoso espíritu en manos del Criador, á los veintitrés
años, tres meses y once días de su edad, y á los seis de
su entrada en la Compañia.

Cuando se divulgó por Roma que había muerto San
Luis Gonzaga, excitó esta noticia en los ánimos de todos
aquellas impresiones de admiración, de devoción y de
respeto que de ordinario suele causar la muerte de los
justos. Resonaba en todas partes de la ciudad esta voz
general: Murió el Santo. Concurrían todos á besarle los
pies y las manos, solicitando alguna reliquia suya. Fue
tan grande el concurso á su entierro, y tanto el tropel de
los que se abalanzaban á besarle los pies ó á tocar por lo
menos el féretro, que fue preciso interrumpir muchas
veces el Oficio. En fin, enterróse el santo cuerpo en la
iglesia del Colegio Romano, dedicada á la Anunciación, y
desde luego comenzó Dios á manifestar la santidad de su
siervo por los muchos milagros que obró por su
intercesión, haciendo célebre y gloriosa su sepultura.
Siete años después, con aprobación del Sumo Pontífice,
fue su santo cuerpo sacado de la tierra; y, colocado en
una caja de plomo, se metió en el grueso de la pared de
la misma capilla de la Virgen. Treinta años después, el de
1621, le beatificó el papa Gregorio XV, permitiendo á los
religiosos de la Compañía que rezasen de él el día 21 de
Junio, que fue el de su muerte. El de 1691 fueron
trasladadas con gran solemnidad sus preciosas reliquias
á la magnífica capilla, de la misma iglesia, que el
marqués de Escipion Lanceloto hizo fabricar en honor del
Santo, y es reputada por una de las más ricas y más
brillantes de Roma. 

Finalmente, el último día del año de
1727, el papa Benedicto XIII le canonizó poniéndole en el
catálogo de los santos.

El autor de la Vida de Santa Magdalena de Pazzis
asegura que el día 4 de Abril del año 1600, estando la
Santa en uno de sus acostumbrados éxtasis, comenzó á
exclamar de repente, con uno como especie de
entusiasmo: «¡Oh qué gloria es la de Luis, hijo de Ignacio!
Nunca la hubiera creído, si no me la hubiera mostrado el
Señor. Digo que Luis es un gran Santo. Tenemos muchos
Santos en la Iglesia que no creo estén tan elevados.
Quisiera poder ir por todo el mundo para decir que Luis,
hijo de Ignacio, es un gran Santo; y quisiera poder
mostrar la gloria de que goza, que fuese glorificado el
mismo Dios fue elevado á grado tan sublime, porque trajo
una vida interior. ¿Quién pudiera explicar el valor y el
precio de la vida interior? No hay comparación de la vida
interior á la exterior. Mientras Luis vivió acá abajo,
siempre tuvo fijos los ojos en el divino Verbo. Luis fue
mártir oculto; porque el que os conoce, Dios mío, os
conoce tan grande y tan amable, que es un verdadero
martirio ver que no os ama tanto como desea amaros, y
que, lejos de ser amado de las criaturas, seáis ofendido.
Fue también mártir, porque él mismo se atormentó
mucho. ¡ Oh cuánto amó Luis en el mundo! Por eso goza
ahora de Dios en el Cielo con una plenitud de amor.
Cuando estaba en esta vida mortal, continuamente
lanzaba flechas de amor al corazón del Verbo; ahora que
está en el Cielo, vuelven estas flechas hacia el mismo
corazón, y se mantienen clavadas en él, porque los actos
de amor y caridad que hacía entonces le causan una
extremada alegría». Dichas estas palabras enmudeció la
Santa por un rato, teniendo fijos los ojos en el Cielo, y
después exclamó: «Yo quiero aplicarme á ayudar a las
almas, para que, si alguna de las que ayudare fuere al
Cielo, ruegue á Dios por mí, como lo hace Luis por todos
aquellos que le hicieron este beneficio».

La Misa es en honra de San Luis Gonzaga, y la
oración la siguiente:

¡ Oh Dios, repartidor de los dones celestiales, que
juntaste en el angelical joven Luis una grande inocencia
de alma con una maravillosa mortificación de su cuerpo!
Concédenos, por su intercesión y por sus merecimientos,
que imitemos en la penitencia por nuestras culpas al que
no hemos imitado en la inocencia de la vida. Por Nuestro
Señor, etc.

La Epístola es del cap. 31 de la Sabiduría, 

REFLEXIONES

Bienaventurado aquel que no corrió tras el oro ni
esperó en los tesoros del dinero. Hasta la felicidad de
esta vida es herencia únicamente de los pobres
evangélicos, porque de los ricos que ponen su confianza
en sus tesoros nunca se apartan los cuidados, los
desasosiegos, los temores, los sustos, las inquietudes y
las zozobras. ¡Qué mayor prueba que la avaricia! Ella
hace vivir y morir, como si se padeciera la mayor
necesidad. El avariento parece pobre, y efectivamente lo
es; porque, ó ya le hurte sus bienes un ladrón, ó ya le
prive el uso de ellos su insaciable pasión, aunque los
principios de la pobreza sean diferentes, los efectos
siempre son los mismos. Al avariento no le aprovechan
más sus tesoros que al pobre su indigencia. Se puede
decir que el avariento tiene el dominio de sus bienes sin
gozar el usufructo. ¡Qué digno de compasión es el que
está tiranizado de tan vergonzosa pasión! Parece que hay
en eso cierta especie de fascinación ó de encanto. ¡Tan
irracional y tan servil es el ciego amor que el avariento
profesa á su tesoro, y el furioso apego de su corazón á él!
Es menester que la muerte arranque el alma del cuerpo
para que su corazón se desprenda del dinero. ¡ Qué vicio
tan vergonzoso para un hombre que tenga no más que un
poco de honor, cuanto más para un cristiano que por su
misma religión está obligado á no tener más apego á los
bienes de la tierra que si no los poseyese! Pero si, á lo
menos, abriese los ojos un avariento y se hiciese más
racional, considerando el ridículo papel que representa
en el mundo, no sería sin remedio su enfermedad; pero
enfermos de esta especie, pocas esperanzas dan de
sanar. No hay pasión menos dócil; como se cría en la
oscuridad, envilece el corazón y abate el espíritu;
acostumbrada á ser objeto del desprecio, se la da poco
de las risibles escenas que representa.


El Evangelio es del cap. 22 de San Mateo.

En aquel tiempo, respondiendo Jesús, dijo á los
saduceos: Erráis no entendiendo las Escrituras ni el poder
de Dios. Porque, en la resurrección, ni los hombres ni las
mujeres se casarán, sino que serán como los ángeles de
Dios en el Cielo. Y en orden a la resurrección de los
muertos, no habéis leído lo que Dios afirmó, diciéndoos:
Yo soy el Dios de Abraham, y el Dios de Isaac, y el Dios
de Jacob? No es Dios de los muertos, sino de los que
viven. Oyendo esto las turbas, admiraban su doctrina.
Pero los fariseos, sabiendo cómo había hecho callar á los
saduceos, se juntaron; y uno de ellos, doctor en la ley, le
preguntó para tentarle: Maestro, ¿cuál es el grande
mandamiento en la ley? Respondióle Jesús: Amarás al
Señor tu Dios con todo tu corazón, con toda tu alma y con
todo tu espíritu. Este es el mandamiento máximo y el
primero. El segundo es semejante á éste: Amarás á tu
prójimo como á ti mismo. De estos dos mandamientos
pende toda la ley y los profetas.


MEDITACIÓN
De la inocencia.

PUNTO PRIMERO.—Considera que no hay cosa más
preciosa que la inocencia; en ningún tiempo la hay más
delicada, en ninguno más frágil, y se puede añadir que
tampoco la hay más rara en nuestros días. Nada hay que
se deba conservar con mayor cuidado y vigilancia, y nada
á que se apliquen menos precauciones para conservarse.
Tenemos este tesoro en vasos de tierra; es una luz que un
leve soplo la apaga; sin ella nos quedamos en tinieblas.
La inocencia es la que da lustre y valor á todos los demás
talentos. La hermosura y el mérito de la inocencia se ha
de conocer por los tristes efectos y por la fealdad del
pecado. ¿Qué es el nacimiento ilustre? ¿Qué son las
riquezas? Todas las conveniencias del mundo, todas las
prendas imaginables del alma y cuerpo, nada son sin
aquel bello realce. Los grandes nombres, los títulos
pomposos, las altas dignidades, los empleos elevados,
las clases distinguidas; considera todo esto en un ataúd ó
en un nombre que ya murió. Más vale un perro vivo que
un león muerto, dice el Eclesiástico. El alma inocente y
pura, no comoquiera es grata á los ojos de Dios, sino que
la quiere, la ama, la admite á que tenga parte en sus
gracias y favores; y como la ennoblece la gracia
santificante, el precio de la sangre y de los méritos de
Jesucristo es verdaderamente estimable, enriqueciéndola
aquel mismo fondo que colma de bienes y de alegrías á
los bienaventurados en la Gloria.


PUNTO SEGUNDO.—Considera lo poco que se estima
este precioso tesoro, cuando se le arriesga tan sin temor,
y se pierde tan sin dolor. ¿Considérase hoy la inocencia
como una gala de mucho valor? ¿Consérvase con mucho
cuidado esta piedra preciosa? Y si alguna vez se pierde,
¿se hacen prontas y exquisitas diligencias para
recobrarla? ¡ Ah, todos convienen, todos asientan que
ninguna cosa corre más peligro en el mundo que la
inocencia. ¿Pero qué se hace para conservarla? O por
mejor decir, ¿qué no se hace para perderla? No se ignora
que el mundo está lleno de enemigos de la inocencia;
que en él todo es escollos, todo lazos; y, en medio de eso,
á todo se expone el alma sin defensa ni precauciones.
Sábese que no hay cosa más delicada; confiésase que el
aire del mundo es contagioso; pero ¿qué preservativos se
aplican contra el contagio? Expónense todos á las
concurrencias mundanas: córrese á los espectáculos;
pero ¿se vuelve á casa con la inocencia que se sacó de
ella? A vista de objetos á cual más tentadores; en medio
de tantos peligros, entre golpes de viento tan furiosos,
ninguna caída! ¡ningún tropiezo! ¡ningún naufragio! ¡Ah,
Señor, qué ceguedad, qué desdicha! ¡Y luego nos
admiraremos de que sea tan rara la inocencia, de que
sea tan universal la corrupción de las costumbres, de que
el número de los escogidos sea tan corto!
¡Dios mío, qué digno de compasión es el que no
conoce su infelicidad ! Pero ¡ cuánto más infeliz será el
que está mirando con ojos serenos su misma perdición!
Esta ha sido hasta aquí mi suerte, divino Salvador mío;
dignaos de olvidar mis maldades, perdonadme mis
pecados; restituidme por vuestra misericordia la preciosa
estola de la inocencia, y no permitáis que jamás la vuelva
á perder.


JACULATORIAS

Borrad, Señor, mis pecados, restituidme la
inocencia, y purificadme cada día más y más.—Ps. 50.
Criad, Señor, en mí un nuevo corazón limpio y puro, y
renovad aquel espíritu recto con que caminaba á Vos en
otro tiempo.—Ibid.

PROPÓSITOS

1. No hay cosa más preciosa que la inocencia, pero
tampoco la hay más frágil ni más delicada. Es un tesoro
en vasos de tierra, como dice el Apóstol; una flor que el
aire marchita, un espejo que le empaña un vapor. Nunca
fue el mundo abrigo de la inocencia; es su aire
contagioso. Presto desaparece una piedra preciosa que
no está bien guardada. Luego se marchita una flor que no
se defiende del aire; dura poco un espejo que anda en
manos de todos. Guarda bien este tesoro; ten gran
cuidado de que no te le hurten; consérvale con diligencia;
tenle bien encerrado. Es decir, vela continuamente, está
siempre alerta contra las sorpresas de los sentidos. La
inocencia sólo se conserva huyendo de las ocasiones, con
la oración y con la vigilancia. Desengañémonos; es
presunción, es locura querer conservar la inocencia en
medio del contagio y de los peligros.


2. De cualquiera condición y de cualquiera edad
que seas, te es indispensablemente necesaria la
mortificación si has de conservar la inocencia. Sin esta
sal, se puede decir que se corrompe el corazón. Todos los
santos practicaron el ayuno, y es indispensable á todos
los fieles. La primera y la más necesaria mortificación de
todas son los ayunos que prescribe la Iglesia; nunca te
dispenses en ellos sino con clara necesidad. El ayunar los
sábados en honor de la Santísima Virgen es una devoción
muy saludable, y ninguna penitencia considerable hagas
sin su consejo. No dejes pasar día alguno sin alguna
mortificación corporal.