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giovedì 20 giugno 2013

La vera partecipazione col cuore, con la mente, col corpo alla Santa Messa



La partecipazione attiva dei fedeli
alla Santa Messa








Per quem maiestátem tuam láudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes, ac beáta Séraphim, sócia exsultatióne concélebrant. Cum quíbus et nostras voces, ut admítti iúbeas deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus




Questa espressione del titolo è intesa generalmente come un apporto del Concilio Vaticano II e, in particolare, della cosiddetta riforma liturgica che ne è seguita. In questi quarant’anni sono migliaia gli interventi che hanno sottolineato come questa supposta novità sarebbe stata introdotta nella liturgia cattolica per incrementare la consapevolezza dei fedeli a riguardo della celebrazione liturgica. Autorevoli commentatori, chierici e laici, hanno presentato questa supposizione come uno degli elementi portanti della nuova Messa di Paolo VI, da cui sarebbe scaturito, logicamente, anche l’uso del volgare in tutta la liturgia.
I fedeli, diversamente da come accadeva “una volta”, oggi devono partecipare alla celebrazione della liturgia: è stato questo il ritornello ripetuto con tutti gli arrangiamenti possibili.
In realtà, come si sono accorti in molti in questi anni, si tratta di una vera e propria bufala. Una manipolazione del linguaggio che non esitiamo ad accostare ad una vera e propria truffa. Il guaio è che i truffatori sono tutti chierici, spesso di alto profilo, e i truffati sono i fedeli cattolici. E questo è uno dei tasselli che compone il variegato mosaico della crisi attuale della Chiesa cattolica.

Anche a voler trascurare, per il momento, i documenti del Magistero di prima del Concilio, basta riflettere seriamente con l’aiuto del semplice buon senso per rendersi conto che non è sostenibile che per duemila anni i fedeli cattolici non abbiano partecipato attivamente alle celebrazioni liturgiche, e massimamente alla celebrazione della Santa Messa.
Chiunque abbia un minimo di sale in zucca comprende senza il minimo sforzo che non è possibile che i nostri nonni si recassero in chiesa senza predisporsi mentalmente e spiritualmente ad assistere alla celebrazione dei Santi Misteri e senza partecipare per tutta la durata della celebrazione col cuore, con la mente e col corpo. Se così non fosse ne deriverebbe che per duemila anni la Chiesa sarebbe esistita solo in maniera manchevole e inefficace, per non dire fittizia; e i Martiri e i Santi sarebbero sorti “così per caso” senza alcun apporto da parte della Chiesa e della sua liturgia.

Sembra così elementare! Eppure ancora oggi ascoltiamo e leggiamo gli stessi ritornelli.

La prima considerazione che occorre fare è relativa all’uso dei termini.
In chiave moderna, quando si parla di partecipazione attiva, la mente corre subito all’azione, al fare, al concorrere a fare, al contribuire a fare. È la maledizione del mondo moderno: noi esistiamo non per essere, ma per fare. Così che se non facciamo qualcosa significa che non siamo.
La trasposizione pratico-sociale del “dover fare” è l’imperativo del “produrre”, oggi un uomo che non produce è un parassita, non è un uomo. E per produzione si intende strettissimamente la realizzazione di cose, di cose “utili”.

È questo il paradigma della concezione moderna. E quando i modernisti cattolici incominciarono ad usare l’espressione “partecipazione attiva dei fedeli”, è questo paradigma che avevano in mente, ed è a questo che hanno mirato per quarant’anni. I fedeli dovevano partecipare alla celebrazione liturgica intervenendo attivamente, di persona. Così hanno stravolto la liturgia, andando perfino oltre a quanto indicato, pure ad libitum, nello stesso Messale moderno.
E quando fu evidente a tutti che una tale “partecipazione attiva” era praticamente impossibile, perché non era possibile che tutti i fedeli presenti “facessero” qualcosa di persona, si ripiegò sulla “dimensione comunitaria”: era l’assemblea a dover fare. In pratica un trucco per nascondere che i fedeli, di fatto, non hanno niente da fare nella celebrazione, che è compito del celebrante, il solo preposto, il solo appositamente “ordinato”, il solo preventivamente e specificamente “unto”, di fatto  l’“alter Christus”, colui che presta la sua persona a Cristo, l’unico vero celebrante.

Tuttavia, “la partecipazione attiva dei fedeli”, lo dicevamo prima, è cosa vecchia come la Chiesa, per forza di cose. Bisogna allora cercare di capire che cosa debba intendersi con questa espressione, prescindendo dall’influenza del linguaggio moderno e attenendosi al senso della Chiesa e della sua divina liturgia e al significato dell’essere fedeli cattolici.

Partecipazione col cuore

In questa ottica, la partecipazione attiva del fedele è data innanzi tutto dalla consapevolezza che egli partecipa alla liturgia della Chiesa, che è la liturgia scaturita dagli insegnamenti di Cristo e attuata poi dagli Apostoli. Una liturgia che non è la sua, perché è primariamente la “divina liturgia” che si celebra in terra come in cielo per rendere grazie a Dio Onnipotente per mezzo del Suo Divino Figlio e secondo i Suoi insegnamenti.
Il primo elemento della partecipazione attiva del fedele è dunque costituito dalla sua disposizione interiore, dal suo volgersi all’altare conscio della sua piccolezza e della sua distanza, timoroso per i suoi peccati e speranzoso nella misericordia e nella grazia divina.
Il fedele si sforza per disporsi ricettivamente nei confronti della grazia santificante che scaturisce dalla riattualizzazione del Santo Sacrificio che si compie sull’altare per la salvezza sua e di tutti i presenti e gli assenti, dei vivi e dei morti. Si sforza per offrirsi con cuore contrito e con animo pieno di speranza alla grazia divina, e prega il Signore di renderlo degno della sua misericordia.
In questo lavoro interiore vi è molta più attività che in tutto il lavoro manuale e intellettivo da lui svolto nella sua vita ordinaria. Un’attività che egli svolge principalmente nei confronti di se stesso, perché nulla potrebbe offrire a Dio che non fosse purificato e mosso dalla buona e retta volontà.
In altre parole, si tratta della partecipazione attiva col suo cuore, con la sua essenza intima. Una partecipazione che non si mostra agli occhi altrui, una partecipazione così personale che solo ogni fedele per conto suo può attuare. Una partecipazione che è un rapporto diretto tra lui e Iddio, realizzato a mezzo della Santa Messa, un rapporto tra la sua anima e l’Onnisciente suo Signore: «mio Signore e mio Dio!».

Partecipazione con la mente

Una tale disposizione interiore presuppone una sorta di allenamento, un lavoro preventivo che il fedele fa ogni giorno con le sue preghiere e con la mente sempre rivolta al Signore, pur in mezzo al travaglio della sua vita quotidiana.
E questo introduce l’altra componente della partecipazione attiva del fedele. La sua mente sempre rivolta al Signore, a cui offre tutte le sue tribolazioni e tutte le sue sofferenze, a cui rivolge una continua supplica perché l’aiuti e l’assista nell’ora presente. E vengono alla mente del fedele tutti i suoi bisogni materiali e spirituali, quelli della sua famiglia, dei suoi amici, dei malati e degli afflitti, e tutti insieme li elabora, li considera e li presenta al Signore perché nella sua infinita misericordia allevii le sofferenze materiali e i tormenti spirituali che dobbiamo affrontare nel nostro breve viaggio in questa valle di lacrime. E alza gli occhi al cielo, posa lo sguardo sul Crocifisso, guarda la croce… e lì inchiodato il corpo di Gesù, … e con la mente va alle indicibili sofferenze da Lui patite fino al patibolo, e riflette… sulla incredibile azione del Figlio di Dio, incarnatosi per poi offrirsi, Agnello sacrificale, in riscatto dei peccati del mondo. Ad offrirsi per me, per aiutarmi a salire al Cielo. E riflette sul significato della S. Messa, nella quale tutto questo si riattualizza… ora, adesso, in questa chiesa, col Sacrificio dell’altare, per il tramite del sacerdote. Tutto si riattualizza per me, per me che sono qui adesso, per me che sono indegno, per me peccatore. Deo gratias… ripete la sua mente.

Partecipazione col corpo

Un tale atteggiamento mentale presuppone un dominio della volontà, una disposizione di rinuncia di sé, il bisogno di sentirsi tutto proteso verso Dio, financo col proprio corpo, dimentico di tutti, incurante della presenza degli altri, quasi col corpo che sente, e pensa, e prega insieme al cuore e alla mente. 
E questo costituisce l’altra componente della partecipazione attiva del fedele. Questa volta anche visibile. Il corpo che si conforma alla mente e al cuore. Tutto del corpo. L’abbigliamento, il movimento, la postura, i gesti, la voce. Tutto per conformare la propria presenza nella casa di Dio all’azione liturgica che si sta compiendo in essa.
E le sue mani si raccolgono in preghiera, e le sue ginocchia si piegano, e il suo capo e i suoi occhi si chinano al cospetto della Maestà Divina simboleggiata dalla croce raggiante sull’altare, e con voce chiara confessa: «mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa» … e dal cuore sale alle labbra l’invocazione: «Kyrie, eleison, Christe, eleison, Kyrie, eleison» «Signore, abbi pietà di me». E segue il sacerdote che all’altare compie il Rito, considerando e rispondendo, con la voce e con i gesti, confermando il suo assenso alle preghiere che l’“alter Christus” rivolge al Padre: «Amen». 
E con lui rende Gloria all’Altissimo, al Padre: «…Domine Deus, Rex celestis, Deus Pater omnipotens…», e al Figlio: «…Iesu Christe, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris…», e allo Spirito Santo: «… cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris.»
E con lui giura la sua fede: «Credo in unum Deum … et in unum Dominum Iesum Christum … et in Spiritum Sanctum … et in unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam … in unum baptisma … et resurrectionem mortuorum, et vitam aeternam.»
E partecipa all’offerta del Sacrificio: «Suscipiat Dominus sacrificium…»
E si prepara per la parte più importante della celebrazione: «Sursum corda!», esorta il sacerdote… e egli tutto proteso in alto, col cuore, con la mente, col corpo… «Habemus ad Dominum!», risponde.
E quando il sacerdote si concentra nella recita silenziosa del Canone, sprofonda in religioso silenzio e si raccoglie e si concentra, … il Signore sta per rendersi presente … nessun suono, nessuno sguardo, nessuna distrazione. … E il Signore si rende presente… e il fedele in cuor suo prega Iddio misericordioso perché gli conceda la sua grazia santificante: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore».
E invoca il Signore presente nelle Sacre Specie: «Agnus Dei … Agnus Dei … Agnus Dei».
«Ecce Agnus Dei», dice il celebrante, e lui cade in ginocchio davanti all’Ostia Consacrata: «Domine, non sum dignus» ripete per tre volte col cuore, con la mente e con le labbra, e si percuote il petto: «Domine, non sum dignus»… e professa la sua fede nel Redentore: «sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea».
E si accosta tremebondo allo spazio sacro, da dove, separato, l’“Alter Christus” porge ai fedeli il Corpo di Cristo, … si raccoglie in ginocchio per assumere la Specie salvifica frutto del Sacrificio dell’altare, pregando il Signore Gesù perché gli permetta di entrare in comunione con Lui, così da pregustare in terra la futura Comunione in Cielo… Non una parola… le labbra dischiuse al pari del cuore… lasciando che Gesù Sacramentato si poggi sulla sua lingua come un sigillo e si lasci manducare. Si ritira, chino e genuflettendo, per andarsi a raccogliere discosto… non c’è più neanche il mondo… solo il Figlio di Dio dentro di me, indegno peccatore: «Anima Christi, sanctífica me… Corpus Christi, salva me».

Tutto questo da sempre, da quando gli Apostoli adempirono per la prima volta al comandamento del Signore Gesù: «Haec quotiescúmque fecéritis, in mei memóriam faciétis» … «Ogni qualvolta farete questo, lo farete in memoria di me».

La partecipazione è individuale

Questa la partecipazione attiva dei fedeli. 
Che si coniuga sempre con la più elementare delle realtà: il fedele che deve attuarla.
Non un fedele immaginario, un tipo supposto possibile, un irreale frutto di qualche retorica declamatoria. Ma un fedele in carne ed ossa, un fedele che nella sua individualità è semplicemente irripetibile, un fedele che è ciò che è per i doni che Dio gli ha concessi e per i limiti che gli sono propri. Un fedele che sente, che pensa e che prega come solo lui sa fare e come solo lui può fare. Un fedele che è lui stesso e non un altro.
E questo fedele ha una sua personale sensibilità, un suo personale modo di rivolgersi a Dio, una sua specifica possibilità di comportamento, che sfuggono all’omologazione. Egli pensa come sa fare, riflette come sa fare, prega come sa fare, si muove come sa fare, pur nel quadro normativo complessivo della Ecclesia orante che innalza a Dio preci, inni e cantici spirituali. Una comunità di fedeli che non sarà mai un gregge di pecore, né un battaglione in parata, ma un insieme di singoli uomini e di singole donne che tendono ad essere una sola cosa per Cristo, con Cristo, in Cristo. Singoli uomini e donne che tali continueranno a rimanere e come tali si presenteranno, si comporteranno, vivranno il Rito liturgico, parteciperanno attivamente ad esso.
Da qui, brevemente, i tanti modi di partecipare e di pregare, dal concorso nel coro all’orazione personale, dall’uso del messalino all’uso del rosario, dalla partecipazione al canto all’ascolto del canto, dal silenzio del Canone al silenzio per tutta la Messa, dalla genuflessione saltuaria alla genuflessione continua, e potremmo elencare tanti modi per quanti fedeli ci sono. Il tutto in perfetta coerenza ed aderenza con lo svolgimento e il ritmo della celebrazione così come richiesto, raccomandato e prescritto dalla Santa Madre Chiesa. Una partecipazione che a certuni potrà apparire scollata dalla celebrazione stessa, ma che nella realtà vera è una sorta di naturale espressione della varietà delle opere e dei doni di Dio, resa più evidente, quasi un compendio, nell’uomo.

Qualche documento

È questo che ha sempre raccomandato la Chiesa, con esortazioni diverse, con istruzioni diverse, soprattutto con la catechesi; e quando è andata aumentando la tiepidezza dei fedeli, i Papi hanno ricordato, ammonito, prescritto, e i parroci hanno stimolato, perfino sostenendo la devozione popolare e personale, perché nel corso della S. Messa tutto fosse rivolto alla Gloria dell’Altissimo.
Difetti, manchevolezze, trascuratezze, superficialità non sono mancate, perché è degli uomini che stiamo parlando e non dei Santi del Paradiso, e gli uomini, anche pii, eccellono nella debolezza piuttosto che nella fortezza.
È questo che la Santa Chiesa ha raccomandato e prescritto anche ultimamente, e di queste istruzioni diamo di seguito alcuni esempi.



San Pio X, Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903


Nulla adunque deve occorrere nel tempio che turbi od anche solo diminuisca la pietà e la devozione dei fedeli, nulla che dia ragionevole motivo di disgusto o di scandalo, nulla soprattutto che direttamente offenda il decoro e la santità delle sacre funzioni e però sia indegno della Casa di Orazione e della maestà di Dio. (Premessa)
[…]
Essendo, infatti, Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima ed indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa. (Premessa)
[…]
In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi. (n° 3)



S S Pio XI, Bolla Divini cultus, 20 dicembre 1928


IX. Affinché i fedeli partecipino più attivamente al culto divino, il canto gregoriano — per quanto spetta al popolo — sia restituito all’uso del popolo. Infatti, occorre assolutamente che i fedeli non assistano alle funzioni sacre come estranei o muti spettatori ma, veramente compresi della bellezza della liturgia, partecipino alle sacre cerimonie — anche alle solenni processioni dove intervengono il clero e le pie associazioni — in modo da alternare, secondo le dovute norme, la loro voce a quelle del sacerdote e della scuola. 



S. S. Pio XII, Lettera enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947


È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui». [e questo] esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce». (Parte Seconda)
[…] 
Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il «Messale Romano», di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche esternamente, una azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può avvenire in vari modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l’una e l’altra cosa: o infine, quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme si associa al canto liturgico. […] Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano» anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura. (Parte Seconda, 3)



Istruzione sulla Musica Sacra 
e la 
Sacra Liturgia
Sacra Congregazione dei Riti, 3 settembre 1958


14 - a) Nelle Messe in canto si deve usare unicamente la lingua latina, non soltanto dal sacerdote celebrante e dai ministri, ma anche dalla «Schola cantorum» o dai fedeli.

14 - b) Nelle Messe lette il sacerdote celebrante, il suo ministro e i fedeli che insieme al sacerdote celebrante partecipano direttamente all’azione liturgica, e cioè che dicono a voce alta quelle parti della Messa che loro spettano (cfr. n. 31) devono usare unicamente la lingua latina.

16 - b) 
La «schola» e il popolo, quando rispondono secondo le rubriche al sacerdote e ai ministri che cantano, devono usare anch’essi unicamente le stesse melodie gregoriane.
 

22 - La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi partecipino nel modo proprio a ciascuno.


22 - a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore, attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si uniscano al Sommo Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il Sacrificio] e con Lui si donino». 


22 - b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se all’attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del corpo (genuflettendo, stando in piedi, sedendo), i gesti rituali, soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto.
 […] Tale armonica partecipazione hanno di mira i documenti pontifici quando parlano di «attiva partecipazione», di cui l’esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, i quali servono all’altare con la dovuta pietà interna e con l’esatta osservanza delle rubriche e cerimonie.
 

22 - c) Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta, quando vi si aggiunge anche la partecipazione sacramentale, per la quale cioè «i fedeli presenti partecipano non solo con affetto spirituale, ma anche con la sacramentale Comunione, affinché su di essi scendano più copiosi i frutti di questo santissimo Sacrificio».


23 - Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli possano partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della Messa, in maniera che venga rimosso il pericolo di ogni abuso e si possa raggiungere il fine principale della stessa partecipazione, il più pieno culto cioè di Dio e l’edificazione dei fedeli.




24 - La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri. Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo opportuno, come viene in appresso indicato.


25 - a) […] Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche (Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo gratias.).


25 - b) […] Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concerto.


26 – […] È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto.

Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la Messa cantata.




28 - Si deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli assistano anche alla Messa letta «non come estranei o muti spettatori», ma con quella partecipazione che è richiesta da un tanto mistero e che reca frutti copiosissimi.


29 - Il primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla Messa letta si ha quando ciascuno, di propria industria, vi partecipa sia internamente, facendo attenzione cioè alle principali parti della Messa, sia esternamente, secondo le diverse approvate consuetudini delle varie regioni.
 Sono degni soprattutto di lode coloro che, usando un piccolo messale adatto alla propria capacità, pregano insieme al sacerdote con le stesse parole della Chiesa. Dato però che non tutti sono egualmente preparati a comprendere adeguatamente i riti e le formule liturgiche, e atteso inoltre che le necessità spirituali non sono per tutti le stesse, né restano sempre in ciascuno le medesime, per questi fedeli vi è un’altra forma di partecipazione, più adatta e più facile, quella cioè «di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene differiscono per la forma dai sacri riti, nella loro natura però si accordano con essi».
 

30 - Il secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli partecipano al Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in comune. 
31 - Il terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene finalmente quando i fedeli rispondono liturgicamente al sacerdote celebrante quasi «dialogando» con lui, e recitando a voce chiara le parti loro proprie.
 
32 - Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera adatta e usata fin dall’antichità come preparazione alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll’aggiunta da parte di tutti dell’Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare.


33 -  Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari religiosi, a condizione però che questi siano strettamente intonati alle singole parti della Messa (cfr. n. 14 b).


34 -  Il sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e il popolo numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve essere pronunziato a chiara voce, lo pronunzi con tale voce che tutti i fedeli possano opportunamente e comodamente seguire la sacra azione.
  
93 - b) I laici invece prestano una partecipazione liturgica attiva, e ciò per il carattere battesimale, in forza del quale anche nel sacrosanto Sacrificio della Messa offrono a Dio Padre, col sacerdote, nel modo loro proprio, la vittima divina.
96 -  La partecipazione attiva dei fedeli, specialmente alla santa Messa e ad alcune azioni liturgiche più complesse, si potrà ottenere più facilmente, se vi intervenga un qualche «commentatore», il quale, al momento opportuno e con poche parole, interpreti gli stessi riti o le preghiere o le letture, sia del sacerdote celebrante che dei sacri ministri, e diriga la partecipazione esterna dei fedeli, cioè le loro risposte, le preghiere e i canti. 







martedì 11 settembre 2012

In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare?

Bartolome Esteban Murillo XVI-XVII.jpg
AVE MARIA PURISSIMA!

Cardinale Ratzinger: 

il vero significato della partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia




«Partecipazione attiva»


In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva?
Che cosa bisogna fare
?

Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. 

La parola "partecipazione" rinvia, però, a un'azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa "actio" centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità. Lo studio delle fonti liturgiche permette una risposta che, forse, in un primo tempo può sorprendere, ma che è del tutto ovvia se si prendono le mosse dai fondamenti biblici su cui abbiamo riflettuto nella prima parte.

Con il termine "actio", riferito alla liturgia, si intende nelle fonti il canone eucaristico. La vera azione liturgica, il vero atto liturgico, è la oratio: la grande preghiera, che costituisce il nucleo della celebrazione liturgica e che proprio per questo, nel suo insieme, è stata chiamata dai Padri con il termine oratio. 
Questa definizione era corretta già a partire dalla stessa forma liturgica, poiché nella oratio si svolge ciò che è essenziale alla liturgia cristiana, perché essa è il suo centro e la sua forma fondamentale. La definizione dell'Eucaristia come oratio fu poi una risposta fondamentale tanto per i pagani che per gli intellettuali in ricerca. Con questa espressione si diceva infatti a quelli che erano in ricerca: i sacrifici di animali e tutto ciò che c'era e c'è presso di voi e che non può appagare nessuno, sono ora liquidati. Al loro posto subentra il sacrificio-parola. Noi siamo la religione spirituale, in cui ha luogo il culto divino reso per mezzo della parola; non vengono più sacrificati capri e vitelli, ma la parola viene rivolta a Dio come a Colui che sostiene la nostra esistenza e questa parola si unisce alla Parola per eccellenza, al Logos di Dio che ci innalza alla vera adorazione. Forse è utile osservare anche che la parola oratio all'inizio non significa "preghiera" (per questo esisteva il termine prex), ma il discorso solenne tenuto in pubblico, che ora riceve la sua più alta dignità per il fatto che si rivolge a Dio, nella consapevolezza che esso proviene da Dio stesso e da Lui è reso possibile.

Ma finora abbiamo solamente accennalo a ciò che è centrale. Questa oratio - la solenne preghiera eucaristica, il "canone" - è davvero più che un discorso, è actio nel senso più alto del termine. In essa accade, infatti, che l’actio umana (così come è stata sinora esercitata dai sacerdoti nelle diverse religioni) passa in secondo piano e lascia spazio all’actio divina, all'agire di Dio. In questa oratio il sacerdote parla con l'io del Signore - "questo è il mio corpo", "questo è il mio sangue" - nella consapevolezza che ora non parla più da se stesso, ma in forza del sacramento che egli ricevuto, che diventa voce dell'altro che ora parla e agisce. Questo agire di Dio, che si compie attraverso un discorso umano, è la vera "azione", di cui tutta la creazione è in attesa: gli elementi della terra vengono trans-sustanziati, strappati, per cosi dire, dal loro ancoraggio creaturale, ricompresi nel fondamento più profondo del loro essere e trasformati nel corpo e nel sangue del Signore. Il nuovo cielo e la nuova terra vengono anticipati.

La vera "azione" della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso. E questa la novità e la particolarità della liturgia cristiana: è Dio stesso ad agire e a compiere l'essenziale. Egli introduce la nuova creazione, si rende accessibile, così che noi possiamo comunicare con Lui in maniera del tutto personale, attraverso le cose della terra, attraverso i nostri doni.

Ma come possiamo noi avere parte a questa azione?

Dio e l'uomo non sono del tutto incommensurabili?

L'uomo, che è finito e peccatore, può cooperare con Dio, che è infinito e santo?

Egli lo può per il fatto che Dio stesso si è fatto uomo, che è divenuto corpo e continua, ancora con il suo corpo, a venire incontro a noi che viviamo nel corpo. L'intero evento, fatto di Incarnazione, croce, resurrezione e ritorno sulla terra è presente come la forma con cui Dio prende l'uomo a cooperare con se stesso. Nella liturgia ciò si esprime, come abbiamo già visto, nel fatto che dell’oratio fa parte la preghiera di accettazione. Certamente, il sacrificio del Logos è sempre già accettato. Ma noi dobbiamo pregare perché diventi il nostro sacrificio, perché noi stessi, come abbiamo detto, veniamo trasformati nel Logos e diveniamo così vero corpo di Cristo: è di questo che si tratta. E questo deve essere chiesto nella preghiera. Questa stessa preghiera è una via, un essere in cammino della nostra esistenza verso l'Incarnazione e la Resurrezione.

In questa "azione", in questo accostarsi orante alla partecipazione, non c'è alcuna differenza tra sacerdote e laico. Indubbiamente, rivolgere al Signore l'oratio in nome della Chiesa e parlare al suo apice con l'Io di Gesù Cristo, è qualcosa che può accadere solo in forza del sacramento. Ma la partecipazione a ciò che non è fatto da alcun uomo, bensì dal Signore stesso e da Lui solo, questo è uguale per tutti. Per tutti il punto è, secondo quello che si legge in I Cor 6,17, "unirsi al Signore e diventare così una sola esistenza pneumatica con Lui".

Il punto è che, alla fine, venga superata la differenza tra l'actio di Cristo e la nostra, che ci sia solamente una azione, che è allo stesso tempo la sua e la nostra - la nostra per il fatto che siamo divenuti "un corpo e uno spirito" con Lui.

La singolarità della liturgia eucaristica consiste appunto nel fatto che è Dio stesso ad agire e che noi veniamo attratti dentro questo agire di Dio. Rispetto a questo fatto, tutto il resto è secondario.

E' chiaro poi che si possono distribuire in maniera sensata le azioni esteriori: leggere, cantare, accompagnare le offerte. Tuttavia la partecipazione alla liturgia della parola (leggere, cantare) deve essere distinta dalla celebrazione sacramentale vera e propria. 

Qui dovrebbe essere chiaro a tutti che le azioni esteriori sono del tutto secondarie.

L'agire dovrebbe venire meno quando arriva ciò che conta: l’oratio. E deve essere ben visibile che l’oratio è la cosa che più conta e che essa è importante proprio perché da spazio all'actio di Dio.

Chi ha capito questo, comprende facilmente che ora non si tratta più di guardare il sacerdote o di stare a guardarlo, ma di guardare insieme il Signore e di andargli incontro. La comparsa quasi teatrale di attori diversi, cui oggi è dato assistere soprattutto nella preparazione delle offerte, passa molto semplicemente a lato dell'essenziale. 

Se le singole azioni esteriori (che di per sé non sono molte e che vengono artificiosamente accresciute di numero) diventano l'essenziale della liturgia e questa stessa viene degradata in un generico agire, allora viene misconosciuto il vero teodramma della liturgia, che viene anzi ridotto a parodia.

La vera educazione liturgica non può consistere nell'apprendimento e nell'esercizio di attività esteriori, ma nell’introduzione nell'actio essenziale, che fa la liturgia, nell'introduzione, cioè, alla potenza trasformante di Dio, che attraverso l'evento liturgico vuole trasformare noi stessi e il mondo.

A questo riguardo l'educazione liturgica di sacerdoti e laici è oggi deficitaria in misura assai triste. 

Qui resta molto da fare.

da Joseph Ratzinger "Introduzione allo spirito della liturgia", Edizioni San Paolo, 2001, pagg. 167-172



<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>