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sabato 27 giugno 2015

Domenica 28 Giunio 2015, XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 28 Giunio 2015, XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 5,21-43.
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.
Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi
e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva».
Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia
e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando,
udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti:
«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».
E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?».
I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».
Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.
Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.
Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.
Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!».
Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 230 pagina 20.

Apparsa mentre prego molto stanca e crucciata e perciò proprio nelle peggiori condizioni per pensare a simili cose di mio. Ma stanchezza fisica, mentale e cruccio si sono dileguati al primo apparire del mio Gesù, e scrivo.

Egli è per una strada assolata e polverosa che bordeggia le rive del lago. Si incammina verso il paese circondato da gran folla che l’attendeva di certo e che gli si pigia attorno nonostante che gli apostoli lavorino di braccia e di spalle per fargli largo e alzino la voce per indurre la folla a lasciare un poco di posto.
Ma Gesù non è inquieto per tanta confusione. Più alto di tutta la testa di chi lo circonda, guarda con un dolce sorriso la turba che gli si stringe intorno, risponde ai saluti, accarezza qualche bambino che riesce a insinuarsi fra la siepe degli adulti e giunge a venirgli vicino, posa la mano sul capo degli infanti che le madri sollevano oltre il capo dei presenti perché Egli li tocchi. E cammina intanto. Lentamente, pazientemente in mezzo a questo vocio, e a queste continue pressioni che infastidirebbero chiunque.

2Una voce d’uomo grida «Fate largo, fate largo». È una voce affannata e deve essere conosciuta da molti e rispettata come quella di persona influente, perché la folla si apre, con molta fatica tanto è pigiata, e lascia passare un uomo sulla cinquantina tutto coperto da un vestone lungo e sciolto e con una specie di fazzoletto bianco intorno al capo e ricadente con le falde lungo il viso e il collo.
Giunto davanti a Gesù, si prostra ai suoi piedi e dice: «Oh! Maestro, perché sei stato via tanto tempo? La mia bambina è tanto malata. Nessuno la può guarire. Tu solo sei la speranza mia e della madre. Vieni, Maestro. Ti attendevo con un’ansia infinita. Vieni, vieni subito. La mia unica creatura sta morendo...» e piange.
Gesù posa la mano sul capo dell’uomo piangente, sul capo curvo e scosso dai singhiozzi, e gli risponde: «Non piangere. Abbi fede. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei. Alzati! Andiamo!». Queste due ultime parole hanno il tono d’imperio. Prima era il Consolatore. Ora è il Dominatore che parla.
Si rimettono in moto. Gesù ha al fianco il padre piangente e lo tiene per mano. Quando un singhiozzo più forte scuote il pover’uomo, vedo Gesù che lo guarda e gli stringe la mano. Non fa altro, ma quanta forza deve rifluire in un’anima quando si sente trattata così da Gesù!
Prima al posto del padre era Giacomo. Ma Gesù gli ha fatto cedere il posto al povero padre. Pietro è dell’altro lato. Giovanni è di fianco a Pietro e cerca con lo stesso di fare argine alla folla, come fa Giacomo e l’Iscariota dall’altro lato, dopo il padre piangente. Gli altri apostoli sono parte davanti e parte dietro a Gesù. Ma ci vuol altro! Specie i tre di dietro, fra cui vedo Matteo, non ce la fanno a tenere indietro la muraglia viva. Ma quando brontolano un po’ troppo e quasi quasi insultano la folla indiscreta, Gesù volge il capo e dice dolcemente: «Lasciate fare a questi miei piccoli!…».

3Ad un certo momento però si volge di scatto, lasciando anche andare la mano del padre, e si ferma. Si volge non solo col capo. Ma con tutto il corpo. Sembra anche più alto perché ha preso un atteggiamento da re. Col volto e lo sguardo fatto severo, inquisitore, scruta la folla. I suoi occhi hanno lampi, non di durezza ma di maestà.
«Chi mi ha toccato?» chiede. Nessuno risponde. «Chi mi ha toccato, ripeto» insiste Gesù.
«Maestro» rispondono i discepoli, «non vedi come la folla ti pigia da ogni lato? Tutti ti toccano, nonostante i nostri sforzi».
«Chi mi ha toccato per ottenere un miracolo, chiedo. Ho sentito potenza di miracolo uscire da Me perché un cuore l’invocava con fede. Chi è questo cuore?».
Gli occhi di Gesù si chinano due o tre volte, mentre parla, su una donnetta sulla quarantina, molto poveramente vestita e molto sciupata nel volto, la quale cerca di eclissarsi nella folla, di farsi inghiottire dalla calca. Quegli occhi le devono bruciare addosso. Comprende che non può sfuggire e torna avanti e gli si butta ai piedi, quasi col volto nella polvere, le mani protese che però non osano toccare Gesù.
«Perdono. Sono io. Ero malata. Dodici anni che ero malata! Sfuggita da tutti! Mio marito mi ha abbandonata. Ho speso tutto il mio avere per non essere considerata obbrobrio, per vivere come vivono tutti. Ma nessuno ha potuto guarirmi. Lo vedi, Maestro? Sono una vecchia anzi tempo. La forza è defluita da me col mio flusso inguaribile, e la mia pace con essa. M’han detto che Tu sei buono. Me l’ha detto uno che è stato guarito da Te della sua lebbra e che per essere stato tanti anni sfuggito da tutti non ha avuto schifo di me. Non ho osato dirlo prima. Perdono! Ho pensato che solo se ti avessi toccato sarei guarita. Ma non ti ho reso immondo. Ho appena sfiorato il lembo della tua veste là dove striscia al suolo, sulle lordure del suolo... Sono io pure lordura... Ma son guarita, che Tu sia benedetto! Nel momento che ti ho toccato la veste il mio male è cessato. Sono tornata come tutte. Non sarò più schivata da tutti. Mio marito, i miei figli, i parenti potranno stare con me, li potrò accarezzare. Sarò utile alla mia casa. Grazie, Gesù, Maestro buono. Che Tu sia benedetto in eterno!».
Gesù la guarda con bontà infinita. Le sorride. Le dice: «Va’ in pace, figlia. La tua fede ti ha salvata. Sii guarita per sempre. Sii buona e felice. Va’».

4Mentre parla ancora, sopraggiunge un uomo, direi un servo, il quale si rivolge al padre che è stato tutto quel tempo in una attesa rispettosa ma tormentosa come fosse sulla brace. «Tua figlia è morta. Inutile importunare più il Maestro. Il suo spirito l’ha lasciata e già le donne ne fanno i lamenti. La madre ti manda a dire ciò e ti prega di venire subito».
Il povero padre ha un gemito. Si porta le mani alla fronte e se la stringe comprimendosi gli occhi e curvandosi come fosse colpito.
Gesù, che pare non debba vedere e udire nulla, intento come è ad ascoltare e rispondere con la donna, si volge invece e pone la mano sulle spalle curve del povero padre. «Uomo, ti ho detto: abbi fede. Ti ripeto: abbi fede. Non temere. La tua bambina vivrà. Andiamo da lei». E si incammina tenendo stretto a Sé l’uomo annichilito.
La folla, davanti a quel dolore e alla grazia già avvenuta, si ferma intimorita, si divide, lascia camminare speditamente Gesù e i suoi, e poi segue come scia la Grazia che passa.
Si fanno così un cento metri circa, forse più - non sono calcolatrice - e si entra sempre più al centro del paese.

5Un affollamento di gente è davanti ad una casa di civile condizione e commenta a voce alta e stridula l’accaduto, rispondendo a più alti stridi che escono dalla porta spalancata. Sono stridi trillati, acuti, tenuti su una nota monocorde, e sembrano diretti da una voce più acuta che fa da a solo, e alla quale rispondono prima un gruppo di voci più esili, poi un altro di voci più piene. Un baccano da far morire anche chi sta bene.
Gesù ordina ai suoi di sostare davanti all’uscio e chiama con Sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Entra con questi in casa tenendo sempre stretto per un braccio il padre piangente. Sembra voglia infondergli la certezza che Egli è lì per farlo felice, con quella stretta.
Le... piangenti (io le chiamerei: le urlatrici) nel vedere il capo di casa e il Maestro raddoppiano il gridio. Battono le mani, scuotono dei tamburelli, percuotono dei triangoli, e su questa... musica appoggiano i loro lamenti.
«Tacete» dice Gesù. «Non occorre piangere. La fanciulla non è morta, ma dorme».
Le donne gettano gridi più forti e alcune si rotolano per terra, si graffiano, si strappano i capelli (o meglio: ne fanno mostra) per mostrare che è proprio morta. I suonatori e gli amici scuotono il capo davanti all’illusione di Gesù. Loro la credono tale.
Ma Egli ripete un: «Tacete!» talmente energico che il baccano, se non cessa del tutto, diviene brusio. E passa oltre.

6Entra in una cameretta. Sul letto è stesa una fanciulla morta. Magra, pallidissima, ella giace già vestita e coi bruni capelli accomodati con cura. La madre piange presso quel lettino dal lato destro e bacia la cerea manina della morta.
Gesù... come è bello ora! Come poche volte l’ho visto! Gesù si accosta sollecito. Pare che scivoli sul pavimento, in volo, tanto si affretta a quel letticciuolo. I tre apostoli restano contro la porta che chiudono in faccia ai curiosi. Il padre si ferma ai piedi del letto.
Gesù va alla sinistra del lettuccio, tende la mano sinistra e prende con questa la manina abbandonata della morticina. La mano sinistra. Ho visto bene. È la mano sinistra tanto di Gesù che della bambina. Alza il braccio destro portando la mano aperta sino all’altezza della spalla e poi l’abbassa con l’atto di uno che giura o comanda. Dice: «Fanciulla, Io te lo dico. Alzati!».
Un attimo in cui tutti, meno Gesù e la morta, restano sospesi. Gli apostoli allungano il collo per vedere meglio. Il padre e la madre guardano con occhi straziati la loro creatura. Un attimo. Poi un sospiro alza il petto della morticina. Un lieve colore monta al visetto cereo e ne annulla le lividure di morte. Un sorriso si disegna sulle labbra pallide prima ancora che gli occhi si aprano, come la fanciulla facesse un bel sogno. Gesù le tiene sempre la mano nella sua mano. La bambina apre dolcemente gli occhi, li gira intorno come se si svegliasse allora. Vede per primo il volto di Gesù che la fissa coi suoi splendidi occhi e le sorride con bontà che incoraggia, e gli sorride.
«Alzati» ripete Gesù. E scosta con la sua mano gli apparati funebri che erano sparsi sul lettuccio e ai lati (fiori, veli, ecc. ecc.) e l’aiuta a scendere, le fa fare i primi passi tenendola sempre per mano.
«Datele da mangiare, ora» ordina. «Essa è guarita. Dio ve l’ha resa. Ringraziatelo. E non dite a nessuno ciò che è accaduto. Voi sapete che era avvenuto di lei. Avete creduto e avete meritato il miracolo. Gli altri non hanno avuto fede. Inutile cercare di persuaderli. A chi nega il miracolo Dio non si mostra. E tu, fanciulla, sii buana. Addio! La pace sia a questa casa». Ed esce rinchiudendo l’uscio dietro di Sè.
La visione cessa.

Le dirò che i due punti in cui essa mi ha particolarmente letificata sono stati quelli in cui Gesù cerca nella folla chi l’ha toccato e soprattutto quando, ritto presso la morticina, le prende la mano e le ordina di alzarsi. La pace, la sicurezza è entrata in me. Non è possibile che un Pietoso suo pari e un Potente non possa avere pietà di noi e vincere il Male che ci fa morire.
Gesù per ora non commenta, come non dice nulla su altre cose. Mi vede quasi morta e non giudica opportuno che io stia meglio questa sera. Sia fatto come Egli vuole. Sono felice abbastanza nell’avere in me la sua visione.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

AMDG et BVM

venerdì 4 ottobre 2013

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C (da Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.)


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 6 ottobre 2013, XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 17, 5-10.

Gli apostoli dissero al Signore:
«Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?
Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?
Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 6 Capitolo 422 pagina 425.

1Il greto biancheggia infatti nella notte illune ma chiarissima di migliaia di stelle, di larghe, inverosimilmente larghe stelle di cielo d’Oriente. Non è il lume intenso come quello della luna, ma è già una fosforescenza dolce che permette, a chi ha l’occhio assuefatto al buio, di vedere dove cammina e ciò che lo circonda. Qui, alla destra dei viandanti che risalgono verso nord costeggiando il fiume, la mite luminosità stellare mostra il limite vegetale fatto di canneti, salici e poi alberi alti e, poiché è lume molto lieve, essi sembrano fare una muraglia compatta, continua, senza interruzione, senza possibilità di penetrazione, appena rotta là dove il letto di un ruscello o di un torrente, completamente disseccati, mette una riga bianca che si addentra verso oriente e scompare alla prima curva del minuscolo affluente ora asciutto. Alla sinistra, invece, i camminatori discernono il luccichio delle acque che scendono verso il mar Morto borbottando, sospirando, frusciando, quiete e serene. E fra la linea lucente delle acque d’indaco, nella notte, e la massa nero-opaca delle erbe, arbusti e alberi, la striscia chiara del greto, dove più larga, dove più stretta, talora interrotta da un minuscolo stagno, residuo della passata piena, ancora dotato di un poco d’acqua in via di riassorbimento e nel quale fanno ciuffo ancor verde le erbe che altrove sono disseccate nell’asciuttore del greto, certo ardente nelle ore di sole.

Gli apostoli sono costretti da questi piccoli stagni, oppure da grovigli di falaschi secchi ma pericolosi come lame al piede seminudo nei sandali, a separarsi ogni tanto per poi riunirsi in gruppo intorno al Maestro loro, che va col suo passo lungo, sempre maestoso, tacendo per lo più, con lo sguardo levato alle stelle più che curvato al suolo. Gli apostoli no, non tacciono. Parlano fra di loro, riepilogando gli avvenimenti della giornata, traendone conclusioni oppure prevedendone gli svolgimenti futuri. Qualche rara parola di Gesù, sovente detta per rispondere a una diretta domanda oppure per correggere qualche ragione storta o non caritativa, punteggia il chiacchiericcio dei dodici. E il cammino procede nella notte, ritmando il silenzio notturno di un elemento nuovo su quelle rive deserte: le voci umane e lo scalpiccio dei passi. E tacciono gli usignoli fra le fronde, stupiti che suoni discordi e aspri si mescolino, turbando, all’abituale rumore delle acque e delle brezze, soliti accompagnamenti ai loro a-soli virtuosi. 


2Ma una domanda diretta, non concernente ciò che è stato ma ciò che deve avvenire, rompe con la violenza di una ribellione, oltre che col tono più acuto delle voci agitate da sdegno o da ira, la pace non solo della notte ma quella più intima dei cuori. Filippo domanda se e fra quanti giorni saranno alle loro case. Un latente bisogno di riposo, un non detto ma sottinteso desiderio di affetti famigliari è nella semplice domanda dell’apostolo già anzianotto, che è marito e padre oltre che apostolo, che ha degli interessi da curare… 
Gesù sente tutto questo e si volge a guardare Filippo, si ferma per attenderlo, essendo Filippo un poco indietro con Matteo e Natanaele, e avutolo vicino lo cinge con un braccio dicendogli: «Presto, amico mio. Però chiedo alla tua bontà un altro piccolo sacrificio, sempre che* tu non ti voglia separare prima da Me…».

 
«Io? Separarmi? Mai!». 
«E allora… ti allontano di ancor qualche tempo da Betsaida. Io voglio andare a Cesarea Marittima passando per la Samaria. Al ritorno andremo a Nazaret e resteranno con Me quelli che sono senza famiglia in Galilea. Poi, dopo qualche tempo, vi raggiungerò a Cafarnao… E là vi evangelizzerò per farvi più ancora capaci. Ma se tu credi che la tua presenza a Betsaida sia necessaria… va’ pure, Filippo. Ci ritroveremo là…». 
«No, Maestro. È più necessario stare con Te! Ma sai… È dolce la casa… e le figlie… Penso che non le avrò molto con me in futuro… e vorrei godere un poco della loro casta dolcezza. Ma se devo scegliere fra loro e Te, scelgo Te… e per più motivi…» termina sospirando Filippo. 
«E bene fai, amico. Perché Io ti sarò tolto prima delle figlie tue…». 
«Oh! Maestro!…» dice con pena l’apostolo. 
«Così è, Filippo» termina Gesù baciando sulla tempia l’apostolo. 



3Giuda Iscariota, che ha borbottato fra i denti da quando Gesù ha nominato Cesarea, alza la voce come se vedere il bacio dato a Filippo gli facesse perdere il controllo delle sue azioni. E dice: «Quante cose inutili! Io non so proprio che necessità ci sia di andare a Cesarea!», e lo dice con un’irruenza piena di bile; pare voglia sottintendere: «e Tu che ci vai sei uno stolto». 
«Non sei tu che devi giudicare delle necessità delle cose che facciamo, ma il Maestro» gli risponde Bartolomeo. 
«Sì, eh? Quasi che Lui vedesse chiare le necessità naturali!». 
«Ohè! Sei folle o sei sano? Sai di chi parli?» gli chiede Pietro scuotendolo per un braccio. 
«Non sono folle. Sono l’unico che ho il cervello sano. E so ciò che mi dico». 
«Belle cose che dici!», «Prega Dio che non te le calcoli!», «La modestia non ti è amica!», «Si direbbe che hai paura che ti si possa conoscere per quel che sei, andando a Cesarea» dicono insieme e rispettivamente Giacomo di Zebedeo, Simone Zelote, Tommaso e Giuda d’Alfeo. 
L’Iscariota si rivolta verso quest’ultimo: «Non ho nulla da temere e voi non avete nulla da conoscere. Ma io sono stanco di vedere che si passa di errore in errore e ci si rovina. Urti coi sinedristi, dispute coi farisei. Ora ci mancano i romani…». 

«Come? Ma se non sono due lune che tu eri esaltato di gioia, eri sicuro, eri, eri, eri… tutto eri perché avevi amica Claudia!» osserva ironico Bartolomeo che, essendo il più… intransigente, è quello che solo per ubbidienza al Maestro non si ribella a contatti con i romani. 
Giuda resta per un momento ammutolito perché la logica della ironica domanda è evidente e, a meno di non apparire illogici, non si può smentire ciò che si era detto prima. Ma poi si riprende: «Non è per i romani che dico questo. Voglio dire per i romani come nemici. Esse, perché in fondo non sono che quattro donne romane, quattro, cinque, sei al massimo, esse ci hanno promesso aiuto e lo daranno. 4Ma è perché ciò aumenterà l’astio dei nemici suoi, e Lui non lo capisce e…». 

«Il loro astio è completo, Giuda. E tu lo sai come Me e anche meglio di Me» dice calmo Gesù, calcando sul «meglio». 
«Io? Io? Che vuoi dire? Chi sa le cose meglio di Te?». 
«Or ora hai detto che tu solo conosci le necessità e il come usare in esse…» gli ribatte Gesù. 
«Ma per le cose naturali, sì. Io dico che Tu conosci le cose spirituali meglio di tutti». 
«Ciò è vero. Ma appunto ti dicevo che tu conosci meglio di Me le cose, brutte se vuoi, avvilenti se vuoi, naturali, quali l’astio dei miei nemici, quali i loro propositi…». 
«Io non so nulla! Nulla so io. Lo giuro sulla mia anima, su mia madre, su Jeové…». 


«Basta! È detto di non giurare» intima Gesù con una severità che pare indurirgli persino i tratti del volto in una perfezione di statua. 
«Ebbene non giurerò. Ma mi sarà lecito dire, perché non sono uno schiavo, che non è necessario, che non è utile, che è anzi pericoloso andare a Cesarea, parlare con le romane…». 
«E chi ti dice che ciò avverrà?» chiede Gesù. 
«Chi? Ma tutto! Tu hai bisogno di sincerarti di una cosa. Tu sei sulle peste di una…», si ferma comprendendo che l’ira lo fa troppo parlare. 

5Poi riprende: «Ed io ti dico che Tu dovresti pensare anche ai nostri interessi. Tu ci hai levato tutto. Casa, guadagni, affetti, tranquillità. Siamo dei perseguitati in causa tua e lo saremo anche dopo. Perché Tu, lo dici in tutti i modi, un bel momento te ne andrai. Ma noi restiamo. Ma noi resteremo rovinati, ma noi…».
 
«Tu non sarai perseguitato dopo che Io non sarò fra voi. Te lo dico Io, che sono la Verità. E ti dico che Io ho preso ciò che spontaneamente, insistentemente mi avete dato. Dunque non mi puoi accusare di avervi levato con prepotenza uno solo dei capelli che vi cadono quando li ravviate. Perché mi accusi?». Gesù è già meno severo, è adesso di una mestizia che vuoI ricondurre con dolcezza alla ragione, e credo che questa sua misericordia, così piena, così divina, sia freno agli altri che non l’avrebbero, no, per il colpevole. 
Anche Giuda sente questo e, con uno di quei bruschi trapassi della sua anima presa da due forze contrarie, si getta a terra colpendosi al capo, al petto e urlando: «Perché sono un demonio. Un demonio io sono. Salvami, Maestro, come salvi tanti indemoniati, Salvami! Salvami!». 
«Non sia inerte la tua volontà di esser salvato». 
«C’è. Lo vedi. Io voglio essere salvato». 
«Da Me. Pretendi che Io faccia tutto. Ma Io sono Dio e rispetto il tuo libero arbitrio. Ti darò le forze per giungere a “volere”. Ma volere non essere schiavo deve venire da te». 
«Lo voglio! Lo voglio! Ma non andare a Cesarea! Non andare! 

6Ascolta me come* hai ascoltato Giovanni quando volevi andare ad Acor. Abbiamo tutti gli stessi diritti. Ti serviamo tutti ugualmente. Tu hai l’obbligo di accontentarci per quello che facciamo… Trattami come Giovanni! Lo voglio! Che c’è di diverso fra me e lui?». 
«L’animo c’è! Mio fratello non avrebbe mai parlato come tu parli. Mio fratello non…». 
«Silenzio, Giacomo. Parlo Io. E a tutti. E tu alzati e procedi da uomo, quale Io ti tratto, non da schiavo gemente ai piedi del padrone. Sii uomo, posto che tanto ci tieni ad essere trattato come Giovanni, il quale, in verità, è da più di un uomo, perché è casto ed è saturo di Carità. Andiamo. È tardi. E all’alba voglio passare il fiume. A quell’ora rientrano i pescatori che hanno ritirato le nasse ed è facile trovare un traghetto. La luna nei suoi ultimi giorni alza sempre più il suo arco sottile. Possiamo, alla sua aumentata luce, andare più spediti. 

7Udite. In verità vi dico che nessuno deve vantarsi di fare il proprio dovere ed esigere per questo, che è un obbligo, speciali favori. 
Giuda ha ricordato che tutto mi avete dato. E mi ha detto che per questo Io ho il dovere di accontentarvi per quello che fate. Ma sentite un po’. Fra voi sono dei pescatori, dei possidenti di terra, più d’uno che ha un’officina, e lo Zelote che aveva un servo. Orbene. Quando i garzoni della barca, o gli uomini che come servi vi aiutavano nell’uliveto, vigneto, o fra i campi, o gli apprendisti dell’officina, o semplicemente il servo fedele che curava la casa e la mensa, finivano i loro lavori, voi vi mettevate forse a servirli? E così non è in tutte le case e le incombenze? Chi degli uomini, avendo un servo ad arare o a pascere, o un operaio nell’officina, gli dice quando finisce il lavoro: “Va’ subito a tavola”? Nessuno. Ma, sia che torni dai campi, come che abbia deposto gli arnesi del lavoro, ogni padrone dice: “Fammi da mangiare, ripulisciti, e con veste pulita e cinta servimi mentre io mangio e bevo. Dopo mangerai e berrai tu”. Né si può dire che ciò sia durezza di cuore. Perché il servo deve servire il padrone, né il padrone gli resta obbligato perché il servo ha fatto ciò che al mattino il padrone aveva ordinato. Perché, se è vero che il padrone ha il dovere di essere umano col proprio servo, così il servo ha il dovere di non essere infingardo e dilapidatore, ma di cooperare al benessere del padrone che lo veste e lo sfama. Sopportereste voi che i vostri garzoni di barca, i contadini, gli operai, il servo di casa, vi dicessero: “Servimi perché io ho lavorato”? Non credo. 
Così anche voi, guardando ciò che avete fatto e che fate per Me - e, in futuro, guardando ciò che farete per continuare la mia opera e continuare a servire il Maestro vostro - dovete sempre dire, perché vedrete anche che avete sempre fatto 
molto meno di quanto era giusto fare per essere a pari col molto avuto da Dio: “Siamo servi inutili, perché non abbiamo fatto che il nostro dovere”. Se così ragionerete, vedrete che non sentirete più pretese e malumori sorgere in voi, e agirete con giustizia». 
Gesù tace. Tutti riflettono.

 
8Pietro urta col gomito Giovanni, che riflette tenendo gli occhi celesti fissi sulle acque che dal color indaco passano ad un argento azzurro per la luna che le tocca, e gli dice: «Chiedigli quando è che uno fa più che il suo dovere. Vorrei giungere a fare di più del mio dovere, io…». 
«Io pure, Simone. Pensavo proprio a questo» gli risponde Giovanni col suo bel sorriso sulle labbra, e chiede forte: «Maestro, dimmi: l’uomo tuo servo non potrà mai fare più del suo dovere, per dirti con questo “più” che ti ama completamente?». 
«Fanciullo, Dio ti ha dato tanto che, per giustizia, ogni tuo eroismo sarebbe sempre poco. Ma il Signore è così buono che misura ciò che gli date non con la sua misura infinita. Lo misura con la misura limitata della capacità umana. E quando vede che avete dato senza parsimonia, con una misura colma, traboccante, generosa, allora dice: “Questo mio servo mi ha dato più di quanto era suo dovere. Perciò Io gli darò la superabbondanza dei miei premi”». 
«Oh! come sono contento! Io allora ti darò misura straripante per avere questa sovrabbondanza!» esclama Pietro. 
«Sì. Tu me la darai. Voi me la darete. Tutti quelli che sono amanti della Verità, della Luce, me la daranno. E con Me saranno soprannaturalmente felici».

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Recordare nostri, Domina. Succurre nobis in fine

lunedì 8 ottobre 2012

La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi.




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LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI MOTU PROPRIO
PORTA FIDEI
DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XVI
CON LA QUALE SI INDICE L'ANNO DELLA FEDE


1. La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita. Esso inizia con il Battesimo (cfr Rm 6, 4), mediante il quale possiamo chiamare Dio con il nome di Padre, e si conclude con il passaggio attraverso la morte alla vita eterna, frutto della risurrezione del Signore Gesù che, con il dono dello Spirito Santo, ha voluto coinvolgere nella sua stessa gloria quanti credono in Lui (cfr Gv 17,22). Professare la fede nella Trinità – Padre, Figlio e Spirito Santo – equivale a credere in un solo Dio che è Amore (cfr 1Gv 4,8): il Padre, che nella pienezza del tempo ha inviato suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo, che nel mistero della sua morte e risurrezione ha redento il mondo; lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.

2. Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo. Nell’Omelia della santa Messa per l’inizio del pontificato dicevo: “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” [1]. Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato [2]. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone.

3. Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza.

4. Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre 2013. Nella data dell’11 ottobre 2012, ricorreranno anche i vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, testo promulgato dal mio Predecessore, il Beato Papa Giovanni Paolo II [3], allo scopo di illustrare a tutti i fedeli la forza e la bellezza della fede. Questo documento, autentico frutto del Concilio Vaticano II, fu auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento al servizio della catechesi [4] e venne realizzato mediante la collaborazione di tutto l’Episcopato della Chiesa cattolica. E proprio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi è stata da me convocata, nel mese di ottobre del 2012, sul tema de La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Sarà quella un’occasione propizia per introdurre l’intera compagine ecclesiale ad un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede. Non è la prima volta che la Chiesa è chiamata a celebrare un Anno della fede. Il mio venerato Predecessore il Servo di Dio Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema. Lo pensò come un momento solenne perché in tutta la Chiesa vi fosse “un'autentica e sincera professione della medesima fede”; egli, inoltre, volle che questa venisse confermata in maniera “individuale e collettiva, libera e cosciente, interiore ed esteriore, umile e franca” [5]. Pensava che in tal modo la Chiesa intera potesse riprendere “esatta coscienza della sua fede, per ravvivarla, per purificarla, per confermarla, per confessarla” [6]. I grandi sconvolgimenti che si verificarono in quell’Anno, resero ancora più evidente la necessità di una simile celebrazione. Essa si concluse con la Professione di fede del Popolo di Dio [7], per attestare quanto i contenuti essenziali che da secoli costituiscono il patrimonio di tutti i credenti hanno bisogno di essere confermati, compresi e approfonditi in maniera sempre nuova al fine di dare testimonianza coerente in condizioni storiche diverse dal passato.

5. Per alcuni aspetti, il mio venerato Predecessore vide questo Anno come una “conseguenza ed esigenza postconciliare” [8], ben cosciente delle gravi difficoltà del tempo, soprattutto riguardo alla professione della vera fede e alla sua retta interpretazione. Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa … Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” [9]. Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa” [10].

6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: “Mentre Cristo, «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio», annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” [11].
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: “Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita” (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La “fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2Cor 5,17).

7. “Caritas Christi urget nos” (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, “si fortificano credendo” [12]. Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio [13]. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio.

8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un'occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” [14]. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata [15], e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno.

Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: “Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore” [16].


10. Vorrei, a questo punto, delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto con cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà. Esiste, infatti, un’unità profonda tra l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. L’apostolo Paolo permette di entrare all’interno di questa realtà quando scrive: “Con il cuore … si crede … e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10). Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo.

L’esempio di Lidia è quanto mai eloquente in proposito. Racconta san Luca che Paolo, mentre si trovava a Filippi, andò di sabato per annunciare il Vangelo ad alcune donne; tra esse vi era Lidia e il “Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo” (At 16,14). Il senso racchiuso nell’espressione è importante. San Luca insegna che la conoscenza dei contenuti da credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio.
Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici. Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede. La Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa.
La stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza. Come attesta il Catechismo della Chiesa Cattolica: “«Io credo»; è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. «Noi crediamo» è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o più generalmente, dall’assemblea liturgica dei fedeli. «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” [17].
Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore [18].
D’altra parte, non possiamo dimenticare che nel nostro contesto culturale tante persone, pur non riconoscendo in sé il dono della fede, sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo. Questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede, perché muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio. La stessa ragione dell’uomo, infatti, porta insita l’esigenza di “ciò che vale e permane sempre” [19]. Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro [20]. Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza.

11. Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II. Nella Costituzione Apostolica Fidei depositum, non a caso firmata nella ricorrenza del trentesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, il Beato Giovanni Paolo II scriveva: “Questo Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell’opera di rinnovamento dell’intera vita ecclesiale… Io lo riconosco come uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale e come una norma sicura per l’insegnamento della fede” [21].

E’ proprio in questo orizzonte che l’Anno della fede dovrà esprimere un corale impegno per la riscoperta e lo studio dei contenuti fondamentali della fede che trovano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede.

Nella sua stessa struttura, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta lo sviluppo della fede fino a toccare i grandi temi della vita quotidiana. Pagina dopo pagina si scopre che quanto viene presentato non è una teoria, ma l’incontro con una Persona che vive nella Chiesa. Alla professione di fede, infatti, segue la spiegazione della vita sacramentale, nella quale Cristo è presente, operante e continua a costruire la sua Chiesa. Senza la liturgia e i Sacramenti, la professione di fede non avrebbe efficacia, perché mancherebbe della grazia che sostiene la testimonianza dei cristiani. Alla stessa stregua, l’insegnamento del Catechismo sulla vita morale acquista tutto il suo significato se posto in relazione con la fede, la liturgia e la preghiera.

12. In questo Anno, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica potrà essere un vero strumento a sostegno della fede, soprattutto per quanti hanno a cuore la formazione dei cristiani, così determinante nel nostro contesto culturale. A tale scopo, ho invitato la Congregazione per la Dottrina della Fede, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede, a redigere una Nota, con cui offrire alla Chiesa ed ai credenti alcune indicazioni per vivere quest’Anno della fede nei modi più efficaci ed appropriati, al servizio del credere e dell’evangelizzare.
La fede, infatti, si trova ad essere sottoposta più che nel passato a una serie di interrogativi che provengono da una mutata mentalità che, particolarmente oggi, riduce l’ambito delle certezze razionali a quello delle conquiste scientifiche e tecnologiche. La Chiesa tuttavia non ha mai avuto timore di mostrare come tra fede e autentica scienza non vi possa essere alcun conflitto perché ambedue, anche se per vie diverse, tendono alla verità [22].

13. Sarà decisivo nel corso di questo Anno ripercorrere la storia della nostra fede, la quale vede il mistero insondabile dell’intreccio tra santità e peccato. Mentre la prima evidenzia il grande apporto che uomini e donne hanno offerto alla crescita ed allo sviluppo della comunità con la testimonianza della loro vita, il secondo deve provocare in ognuno una sincera e permanente opera di conversione per sperimentare la misericordia del Padre che a tutti va incontro.
In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza.
Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,46-55). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,6-7). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4).
Per fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il Maestro (cfr Mc 10,28). Credettero alle parole con le quali annunciava il Regno di Dio presente e realizzato nella sua persona (cfr Lc 11,20). Vissero in comunione di vita con Gesù che li istruiva con il suo insegnamento, lasciando loro una nuova regola di vita con la quale sarebbero stati riconosciuti come suoi discepoli dopo la sua morte (cfr Gv 13,34-35). Per fede andarono nel mondo intero, seguendo il mandato di portare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15) e, senza alcun timore, annunciarono a tutti la gioia della risurrezione di cui furono fedeli testimoni.
Per fede i discepoli formarono la prima comunità raccolta intorno all’insegnamento degli Apostoli, nella preghiera, nella celebrazione dell’Eucaristia, mettendo in comune quanto possedevano per sovvenire alle necessità dei fratelli (cfr At 2,42-47).
Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei propri persecutori.
Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire. Per fede tanti cristiani hanno promosso un’azione a favore della giustizia per rendere concreta la parola del Signore, venuto ad annunciare la liberazione dall’oppressione e un anno di grazia per tutti (cfr Lc 4,18-19).
Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età, il cui nome è scritto nel Libro della vita (cfr Ap 7,9; 13,8), hanno confessato la bellezza di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali furono chiamati.
Per fede viviamo anche noi: per il riconoscimento vivo del Signore Gesù, presente nella nostra esistenza e nella storia.

14. L’Anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità. Ricorda san Paolo: “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,13). Con parole ancora più forti - che da sempre impegnano i cristiani - l’apostolo Giacomo affermava: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gc 2,14-18).
La fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio. Fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino. Non pochi cristiani, infatti, dedicano la loro vita con amore a chi è solo, emarginato o escluso come a colui che è il primo verso cui andare e il più importante da sostenere, perché proprio in lui si riflette il volto stesso di Cristo. Grazie alla fede possiamo riconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore risorto. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40): queste sue parole sono un monito da non dimenticare ed un invito perenne a ridonare quell’amore con cui Egli si prende cura di noi. E’ la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13; cfr Ap 21,1).

15. Giunto ormai al termine della sua vita, l’apostolo Paolo chiede al discepolo Timoteo di “cercare la fede” (cfr 2Tm 2,22) con la stessa costanza di quando era ragazzo (cfr 2Tm 3,15). Sentiamo questo invito rivolto a ciascuno di noi, perché nessuno diventi pigro nella fede. Essa è compagna di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi. Intenta a cogliere i segni dei tempi nell’oggi della storia, la fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo della presenza del Risorto nel mondo. Ciò di cui il mondo oggi ha particolarmente bisogno è la testimonianza credibile di quanti, illuminati nella mente e nel cuore dalla Parola del Signore, sono capaci di aprire il cuore e la mente di tanti al desiderio di Dio e della vita vera, quella che non ha fine.
“La Parola del Signore corra e sia glorificata” (2Ts 3,1): possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore, poiché solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo. Le parole dell’apostolo Pietro gettano un ultimo squarcio di luce sulla fede: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6-9). La vita dei cristiani conosce l’esperienza della gioia e quella della sofferenza. Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante! Le prove della vita, mentre consentono di comprendere il mistero della Croce e di partecipare alle sofferenze di Cristo (cfr Col 1,24), sono preludio alla gioia e alla speranza cui la fede conduce: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Noi crediamo con ferma certezza che il Signore Gesù ha sconfitto il male e la morte. Con questa sicura fiducia ci affidiamo a Lui: Egli, presente in mezzo a noi, vince il potere del maligno (cfr Lc 11,20) e la Chiesa, comunità visibile della sua misericordia, permane in Lui come segno della riconciliazione definitiva con il Padre.
Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), questo tempo di grazia.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 ottobre dell’Anno 2011, settimo di Pontificato.
Benedetto XVI



[1] Omelia per l’inizio del ministero petrino del Vescovo di Roma (24 aprile 2005): AAS 97(2005), 710. [2] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia S. Messa al Terreiro do Paço, Lisbona (11 maggio 2010): Insegnamenti VI,1(2010), 673.
[3] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 113-118.
[4] Cfr Rapporto finale del Secondo Sinodo Straordinario dei Vescovi (7 dicembre 1985), II, B, a, 4: in Enchiridion Vaticanum, vol. 9, n. 1797.
[5] PAOLO VI, Esort. ap. Petrum et Paulum Apostolos, nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (22 febbraio 1967): AAS 59(1967), 196.
[6] Ibid., 198.
[7] PAOLO VI, Solenne Professione di fede, Omelia per la Concelebrazione nel XIX centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, a conclusione dell’ “Anno della fede” (30 giugno 1968): AAS 60(1968), 433-445.
[8] ID., Udienza Generale (14 giugno 1967): Insegnamenti V(1967), 801.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 57: AAS 93(2001), 308.
[10] Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98(2006), 52.
[11] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8.
[12] De utilitate credendi, 1,2.
[13] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, I,1.
[14] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 10.
[15] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 116.
[16] Sermo 215,1.
[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 167.
[18] Cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III: DS 3008-3009; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 5.
[19] BENEDETTO XVI, Discorso al Collège des Bernardins, Parigi (12 settembre 2008): AAS 100(2008), 722.
[20] Cfr AGOSTINO D’IPPONA, Confessioni, XIII, 1.
[21] GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei depositum (11 ottobre 1992): AAS 86(1994), 115 e 117.
[22] Cfr ID., Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), nn. 34 e106: AAS 91(1999), 31-32, 86-87.
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Lilium candidum sanctae Trinitatis,
ora pro nobis