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martedì 30 gennaio 2024

SAN FRANCESCO DI SALES

Col suo esempio, San Francesco di Sales insegna la condotta da seguire a coloro che diffondono la Fede cattolica attraverso la stampa. Nel mese in cui si celebra la sua memoria liturgica, così come l’anniversario di questa rivista, ricordiamo le parole di Pio XI quando lo dichiarò patrono degli scrittori cattolici.

 

Ed ora, ecco ricorrere con felice augurio il terzo centenario della nascita al cielo di un altro grande Santo, il quale rifulse non solo per l’eccellenza delle virtù da lui stesso esercitate, ma anche per la perizia nel guidare le anime nella scuola della santità. Intendiamo parlare di San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa. […]

Egli parve inviato da Dio, per opporsi all’eresia della Riforma, origine di quell’apostasia della società dalla Chiesa i cui dolorosi e funesti effetti ogni animo onesto oggi deplora. […] [CONTINUA]

AMDG et D.V. MARIAE

martedì 14 marzo 2023

A san Francesco di Sales Dolcissimo Santo,

 SULLA NAVE DI DIO

A san Francesco di Sales

Dolcissimo Santo,

ho riletto un libro che vi riguarda: S. Francesco di Sales e il

nostro cuore di carne. L’ha scritto, a suo tempo, Henry Bordeaux

dell’accademia di Francia.

Prima, però, Voi stesso avevate scritto di avere un «cuore di

carne», che s’inteneriva, comprendeva, teneva conto delle realtà

e sapeva che gli uomini non sono puri spiriti, ma esseri sensibili.

Con questo cuore umano avete amato le lettere e le arti, avete

scritto con sensibilità finissima, incoraggiando perfino l’amico

vescovo Camus a scrivere romanzi. Vi siete chinato verso tutti

per dare a tutti qualcosa.

Già studente universitario a Padova, vi eravate imposto

di non fuggire o abbreviare mai conversazione con alcuno per

quanto poco simpatico e noioso; di essere modesto senza insolenza,

libero senza austerità, dolce senza affettazione, arrendevole

senza contraddire.

Avete tenuto la parola. Al padre, che vi aveva scelto per sposa

una ricca e graziosa ereditiera, avete amabilmente risposto: «Papà,

ho visto mademoiselle, ma essa merita meglio di me!».

Sacerdote, missionario, vescovo avete dato il vostro tempo

agli altri: fanciulli, poveri, ammalati, peccatori, eretici, borghesi,

nobildonne, prelati, prìncipi.

Avete avuto, come tutti, incomprensioni e contraddizioni:

«il cuore di carne» soffriva, ma continuava ad amare i contraddittori.

«Se una persona mi cavasse per odio l’occhio sinistro – avete

detto – sento che la guarderei benevolmente con l’occhio destro.

Se mi cavasse anche questo, mi resterebbe il cuore per volerle

bene».

Molti giudicherebbero questo un vertice. Per Voi il vertice è

un altro. Avete infatti scritto: «L’uomo è la perfezione dell’universo;

lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è la perfezione

dello spirito; l’amor di Dio è la perfezione dell’amore». Perciò il

vertice, la perfezione e l’eccellenza dell’universo è per voi amare

Dio.

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* * *

Siete, dunque, per il primato dell’amore divino. Si tratta di

rendere buona la gente? Cominci, questa gente, ad amare Dio;

una volta acceso e affermato nel cuore questo amore, il resto

verrà da sé.

La terapia moderna dice: non si può guarire una malattia

locale, se non si bada a riconquistare la salute di tutto il corpo

mediante un’igiene generale e potenti ricostituenti quali la trasfusione

di sangue e la fleboclisi. Su questa linea Voi avete scritto:

«Il leone è un animale potente, pieno di risorse; per questo può

dormire senza timore tanto in una tana nascosta quanto sul ciglio

di una strada battuta da altri animali». E avete concluso: dunque,

diventate leoni spirituali! riempitevi di forza, di amor di Dio e

così non avrete paura di quelle bestie che sono le mancanze.

È questo – secondo Voi – il sistema di santa Elisabetta d’Ungheria.

Questa principessa frequentò per dovere balli e divertimenti

di corte, ma ne ricavò vantaggio spirituale invece che

danno. Perché? perché «al vento (delle tentazioni) i grandi fuochi

(dell’amor divino) si dilatano, mentre i piccoli si spengono»!

I fidanzati di questo mondo dicono: «Il tuo cuore e una capanna!

». Trovano più tardi che la capanna, ahimè, non basta e

non ci vogliono più stare, perché il cuore s’è raffreddato.

Avete scritto: «Appena la regina delle api esce nei campi,

tutto il suo piccolo popolo la circonda; così l’amor di Dio non

entra in un cuore senza che tutto il corteggio delle altre virtù vi

prenda alloggio». Per voi prescrivere le virtù a un’anima priva

dell’amor di Dio è prescrivere di punto in bianco l’atletismo a

un organismo fiacco. Rafforzare con l’amore di Dio l’organismo,

viceversa, è preparare il campione e lanciarlo con sicurezza verso

le vette della santità.

* * *

Ma quale amore di Dio? Ce n’è uno fatto di sospiri, di pii

gemiti, di dolci sguardi al cielo. Ce n’è un altro, maschio, franco,

fratello gemello di quello che possedeva Cristo, quando nell’orto

disse: «Sia fatta non la mia, ma la tua volontà». Questo è l’unico

amor di Dio da Voi raccomandato.

Secondo Voi, chi ama Dio, bisogna che s’imbarchi sulla nave

di Dio, deciso ad accettare la rotta segnata dei suoi comandaUso

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menti, dalle direttive di chi lo rappresenta e dalle situazioni e

circostanze di vita da lui permesse.

Voi avete immaginato di intervistare Margherita, quando

stava per imbarcarsi per l’Oriente con suo marito san Luigi IX

re di Francia:

— Dove va, signora?

— Dove va il re.

— Ma sa di preciso dove il re vada?

— Egli me l’ha detto in via generica, tuttavia non mi preoccupo

di saper dove vada, mi preme solo d’andare con lui.

— Ma dunque, signora, non ha nessuna idea di questo viaggio?

— No, nessuna idea, tranne quella di essere in compagnia

del mio caro signore e marito.

— Suo marito andrà in Egitto, si fermerà a Damietta, in

Acri e in parecchi altri siti; non ha intenzione anche lei, signora,

d’andar colà?

— Veramente no: non ho altra intenzione che quella d’esser

vicina al mio re; i luoghi dove egli si reca, non hanno per me importanza

alcuna, se non in quanto vi sarà lui. Più che andare, io

lo seguo; non voglio il viaggio, ma mi basta la presenza del re.

Quel re è Dio e Margherita siamo noi, se amiamo Dio sul

serio. E quante volte, in quanti modi siete ritornato su questo

concetto! «Sentirsi con Dio come un bambino sulle braccia della

mamma; che ci porti sul braccio destro o sul braccio sinistro è

lo stesso, lasciamo fare a Lui». Se la Madonna affidasse il bambino

Gesù a una suora? Ve lo siete chiesto e avete risposto: «La

suora pretenderebbe non mollarlo più, ma sbaglierebbe; il vecchio

Simeone ha ricevuto sulle braccia il Bambino con gioia, ma

con gioia l’ha presto restituito. Così noi non dobbiamo piangere

troppo nel restituire la carica, il posto, l’ufficio, quando scade il

termine o ce lo richiedono».

Nel castello di Dio cerchiamo di accettare qualunque posto:

cuochi o sguatteri di cucina, camerieri, mozzi di stalla, panettieri.

Se piacerà al re chiamarci al suo consiglio privato, vi andremo,

senza commuoverci troppo, sapendo che la ricompensa non dipende

dal posto, ma dalla fedeltà con cui serviamo.

Questo il vostro pensiero. Qualcuno lo considera una specie

di fatalismo alla orientale. Ma non è. «La volontà umana – avete

scritto – è padrona dei suoi amori, come una signorina è padrona

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dei suoi innamorati, che la domandano in sposa. Ciò, prima che

essa scelga; fatta però la scelta e divenuta donna sposata, la situazione

si capovolge: da padrona che era, diventa soggetta e rimane

in balìa di colui che fu già sua preda.

Anche la volontà può scegliere l’amore a suo piacimento, ma,

una volta dichiaratasi per uno, resta sottoposta a questo. E però

vero che nella volontà esiste una libertà, che non c’è nella donna

maritata, poiché la volontà può respingere il suo amore quando

vuole, anche l’amore di Dio, eliminando ogni fatalismo.

* * *

Se vi sentissero i politici! Essi misurano l’azione dal successo.

«Riesce? Allora vale!». Voi: «Vale anche non riuscita, l’azione, se

fatta per amor di Dio; il merito della croce portata non è il suo

peso, ma il modo con cui è portata; ci può essere più merito a

portare una piccola croce di paglia che una grande croce di ferro;

il mangiare, il bere, il passeggiare fatti per amore di Dio possono

valere più del digiuno o dei colpi di disciplina».

Ma Voi avete fatto un passo ancora più avanti, dicendo che

l’amore di Dio può – in un certo senso – perfino cambiare le

cose, rendendo buone le azioni di per sé indifferenti o anche pericolose.

È il caso del gioco d’azzardo e del ballo (quello dei vostri

tempi, naturalmente), se si fa «per svago e non per attaccamento;

per poco tempo e non fino a stancarsi e stordirsi; e raramente, in

modo che non diventi occupazione invece che ricreazione».

Dunque, è alla qualità delle nostre azioni che bisogna badare,

più che alla grandezza e al numero! Avete letto ciò che ha scritto

Rabelais, vostro quasi contemporaneo, sulle devozioni insegnate

al giovane Gargantua? «Ventisei o trenta messe da ascoltare ogni

giorno, una serie di Kyrie eleyson, che sarebbero bastati per sedici

romiti!». Se avete letto, avete dato anche la risposta, insegnando

alla vostre suore: «È bene avanzare, però non con la moltitudine

delle pratiche di pietà, ma bensì perfezionandole. L’anno scorso

avete digiunato tre volte la settimana: quest’anno volete raddoppiare

e la settimana vi basterà. Ma il prossimo anno? Digiunerete

– digiunerete raddoppiando ancora – nove giorni la settimana

o due volte al giorno? Fate attenzione! È pazzia desiderare di

morire martiri delle Indie e intanto trascurare i propri doveri

quotidiani!».

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In altre parole: non tanto praticare le devozioni, quanto avere

la devozione. L’anima non è tanto una cisterna da riempire,

quanto una fontana da far zampillare!

E non solo l’anima delle suore. Con questi princìpi la santità

cessa di essere privilegio dei conventi e diventa potere e dovere

di tutti! Non diventa impresa facile (è la via della croce!), ma

ordinaria: qualcuno la realizza con atti o voti eroici alla maniera

delle aquile, che planano negli alti cieli; moltissimi la realizzano

con l’eseguire i doveri comuni di ogni giorno, in modo però

non comune, alla maniera delle colombe, che volano da un tetto

all’altro.

Perché desiderare i voli d’aquila, i deserti, i chiostri severi,

se non vi si è chiamati? Non facciamo come le malate nevrotiche,

che vogliono ciliegie d’autunno e uva in primavera! Applichiamoci

a ciò che Dio ci chiede secondo lo stato in cui siamo.

«Signora – avete scritto – bisogna accorciare un po’ le preghiere,

per non compromettere i doveri di casa. Siete sposata, siate sposa

totalmente senza eccessiva verecondia; non annoiate i vostri,

fermandovi troppo in chiesa; abbiate una devozione tale da farla

amare anche a vostro marito, ma ciò avverrà solo se questi vi

sentirà sua».

* * *

Concludendo, ecco l’ideale dell’amor di Dio vissuto in mezzo

al mondo: che questi uomini e queste donne abbiano ali per

volare verso Dio con la preghiera amorosa; abbiamo anche piedi

per camminare amabilmente con gli altri uomini; e non abbiano

«grinte fosche», ma volti sorridenti, sapendo di essere avviati verso

la gaia casa del Signore!

Novembre 1972

S.E.ALBINO LUCIANI

mercoledì 3 marzo 2021

SAN FRANCESCO DI SALES

 



  <<  12.Vivete umile, dolce e innamorata del vostro Sposo; non vi date fastidio se non potete aver memoria dei vostri piccoli mancamenti per confessarcene, perchè siccome cadete spesso senz'accorgervene, così spesso, senz'àvvedervene, vi rialzate. 

Non si dice che il giusto si vede, o si sente cadere, ma che cade sette volte : e se cade sette volte, sette volte, senz'avvertirlo, si rialza. Non vi date dunque fastidio di questo, ma, con franchezza ed umiltà, dite quello che ricordate, rimettetelo alla dolce Misericordia di Dio, il quale mette la mano sotto coloro che cadono senza malizia, affinchè non si facciano male, o restino feriti ; e li rialza e li solleva così presto, che non si accorgono d'esser caduti, perchè la divina mano h ha raccolti nel cadere ; nè si accorgono di essersi rialzati, perchè sono stati aiutati così presto che non hanno potuto pensarvi. 

Tenete conto dell'anima vostra, e non apprezzate gli anni che passano, se non per acquistare la santa eternità. >>

Lett. spirt.




lunedì 29 gennaio 2018

Settantaduemila eretici riportati alla Fede


Lettura 4
Francesco nacque nel castello di Sales, donde il cognome di famiglia, da pii e nobili genitori, e fin dai più teneri anni diede indizio della santità futura colla sua innocenza e gravità. Ancora adolescente istruito nelle scienze liberali, si diede tosto a Parigi allo studio della filosofia e teologia e, perché non mancasse nulla alla cultura del suo spirito, ottenne a Padova con somma lode la laurea in diritto canonico e civile. Nel santuario di Loreto rinnovò il voto di perpetua verginità, che aveva già fatto a Parigi; dal voto della quale virtù non poté mai essere distolto né da nessun artifizio del diavolo né da nessun attrattiva dei sensi.


Lettura 5
Ricusata una gran dignità nel senato di Savoia, si ascrisse alla milizia clericale. Indi ordinato sacerdote e fatto parroco della chiesa di Ginevra, adempì così perfettamente i doveri del suo ufficio, che il vescovo Granier lo destinò banditore della parola di Dio per la conversione dall'eresia dei Calvinisti dello Chablois e delle popolazioni confinanti con Ginevra. Egli intraprese questa spedizione con animo lieto, ma ebbe a soffrire le più dure prove; spesso gli eretici lo cercarono a morte e lo perseguitarono con diverse calunnie ed insidie. Ma fra tanti pericoli e lotte, rifulse sempre la sua inalterabile costanza; e protetto dall'aiuto di Dio, si narra aver ricondotto alla fede cattolica settantaduemila eretici, tra i quali molti illustri per nobiltà e dottrina.


Lettura 6
Morto Granier, che aveva disegnato di farselo dare per coadiutore, egli consacrato vescovo, sparse per ogni dove i raggi della sua santità, e si rese illustre per lo zelo della disciplina ecclesiastica, l'amore della pace, la misericordia verso i poveri e per ogni genere di virtù. Per accrescere il culto divino istituì un nuovo ordine di religiose sotto il nome della Visitazione della beata Vergine, e sotto la regola di sant'Agostino; dando loro delle costituzioni ammirabili per sapienza, discrezione e dolcezza. Illustrò pure la Chiesa coi suoi scritti ripieni di celeste dottrina, nei quali indica un cammino sicuro e facile per giungere alla perfezione cristiana. Infine, a cinquantacinque anni di età, nel ritornare dalla Francia ad Annecy, dopo aver celebrato la Messa a Lione il giorno di san Giovanni Evangelista, colpito da grave malattia, il giorno dopo salì al cielo, nell'anno del Signore 1622. Il suo corpo trasportato ad Annecy, fu sepolto onorevolmente nella chiesa delle monache del detto ordine e, subito, cominciò a risplendere per miracoli. I quali provati canonicamente, Alessandro VII, Pontefice massimo, lo annoverò fra i Santi, assegnando alla sua festa il 29 di Gennaio; e il sommo Pontefice Pio IX con decreto della sacra Congregazione dei Riti, lo dichiarò Dottore della Chiesa universale.

Le sue principali opere furono L' "Introduzione alla vita devota" e "Trattato dell'amore di Dio", testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi.
http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/allegati/32047/75_Udienza_Gen_02_03_11.pdf

Preghiamo
O Dio, che per la salute delle anime hai voluto che il tuo beato Confessore e Vescovo Francesco si facesse tutto a tutti: concedi benigno che noi, inebriati dalla dolcezza del tuo amore, diretti dai suoi insegnamenti e sostenuti dai suoi meriti, conseguiamo i gaudi eterni.
Per il nostro Signore Gesù

mercoledì 15 luglio 2015

San Francesco di Sales

Immagine
San Francesco di Sales,
colonna della Chiesa e maestro di vita cristiana


San Francesco di Sales, vescovo e Dottore della Chiesa, ricercatissima guida spirituale e fondatore della Congregazione della Visitazione, “martello degli eretici” e ineguagliato maestro di carità e di vita, rimane ancora oggi forse, insieme a sant’Agostino e san Tommaso, il più letto e amato fra i teologi della Chiesa Cattolica. La sua vita e il suo insegnamento non hanno mai perso di attualità e oggi, a distanza di cinque secoli, chiunque lo può verificare meditando i suoi capolavori.


Nasce nel castello di Sales il 31 agosto del 1567, primo di tredici figli (dieci maschi e tre femmine). La madre, Françoise de Sionnaz, ha appena 14 anni e il padre, François 1er des Nouvelles, signore di Boisy, ne ha 31 di più.

Dalla prima educazione ricevuta in casa passa alla scuola nella vicina La Roche e poi al collegio di Annecy. Quindi si trasferisce a Parigi al Collegio Clermont accompagnato dal precettore l’abate Diage, ma attraversa una grave crisi spirituale mentre completa gli studi umanistici e filosofici: a 19 anni parte per Padova allo scopo di laurearsi in diritto civile ed ecclesiastico.

Dopo tre anni si laurea il 5 settembre 1591. Vuol visitare Roma, ma il viaggio termina a Loreto perché i briganti infestano l’Italia centrale. A Padova si congeda dal padre spirituale Antonio Possevino, ma ritorna ad Annecy dov’è la famiglia.

Nel 1592 si iscrive all’Ordine degli Avvocati e difende diverse cause fra cui quella in favore del Vescovo. Cede alle insistenze e pressioni dello stesso per completare la sua preparazione al sacerdozio e quindi viene ordinato a dicembre del 1593.

Aveva studiato filosofia, scienze naturali, medicina, italiano e spagnolo ma le scienze sacre, teologia, greco biblico, ebraico le aveva coltivate per suo conto. Non si può tuttavia mettere in dubbio la sua conoscenza della Bibbia, in cui aveva avuto a Parigi come maestro il grande Génébrard.


Una cultura vasta e profonda

Si è detto che abbia avuto poca simpatia per la speculazione teologica e forse è vero, ma nelle dispute con gli ugonotti e coi calvinisti non mostrò mai incertezze o ambiguità dottrinali. A Padova fu amico e discepolo del gesuita Antonio Possevino, e del minore conventuale Filippo Gesualdi dai quali imparò l’amore per i Padri della Chiesa, per Tommaso e Bonaventura: in parole povere, visse e praticò le verità della fede.

Fin dai tempi di Parigi conosceva la dottrina d’amore del Ficino e del suo discepolo Pico della Mirandola: se ne può vedere una prova nell’Esercizio del sonno o riposo spirituale e nelle Norme per le conversazioni e gli incontri.

Nell’ambiente colto patavino circolavano le opere del Bembo e del Castiglione: Francesco ne valutò l’aspetto cortese e raffinato ma ne scoprì anche il limite in quanto mancava la base solida che è Cristo. Le belle maniere non possono sostituire l’amore vero, la “caritas”.

A Padova conobbe pure il teatino Lorenzo Scupoli il cui trattatello, Il combattimento spirituale, lo aiutò a dare concretezza alla sua spiritualità di tipo cristocentrica.

Preparandosi alla consacrazione episcopale redige per sé e per il suo personale un “Regolamento” che sembra una regola monastica: preghiera, studio, servizio pastorale.


Difensore della verità nella carità

Centro della sua giornata è la Messa, vissuta intensamente. Allo stesso modo teneva in gran conto il sacramento della Confessione, per sé e per gli altri.

Nel periodo dello Chablais (1594-1598) le sue lettere ci danno uno spaccato della sua anima: retto e inflessibile ma allo stesso tempo prudente e delicato non nasconde i suoi sentimenti ma ha il coraggio della verità.

L’eresia che affligge la Chiesa va combattuta e perciò Francesco conquistò la stima di Beza, il continuatore di Calvino, senza però riuscire a riportarlo in seno alla fede cattolica.

Clemente VIII, Paolo V, Leone XI, il Baronio, il Bellarmino lo ammirarono e stimarono incondizionatamente. Francesco è un oratore nato, non nel senso che comunemente si dà a questa parola ma nella sua migliore accezione poiché il vero comunicatore ha la capacità di parlare «col cuore, mentre la lingua parla soltanto alle orecchie» (sono sue felici espressioni).

I suoi modelli sono san Carlo Borromeo, san Filippo Neri, i Barnabiti, i preti dell’Oratorio. Pronunciò, in 18 anni di ministero, 3 o 4 mila sermoni e scrisse un trattatello in forma di lettera al vescovo Bourges, Andrea Frémyot, fratello di Giovanna Francesca di Chantal.

Si convince col tempo che anche lo scritto ha i suoi vantaggi: «offre più tempo della voce alla riflessione, per pensare più profondamente».

Durante la sua missione allo “Chablais” raccolse i suoi sermoni col titolo Meditazioni che chiamò poi Controversie. È evidente in questo libro il suo zelo per la salvezza delle anime e per combattere l’eresia, soprattutto quella degli ugonotti.

Fu allora che un tal Viret, calvinista sfegatato, autore di un velenoso libercolo contro la presenza reale nell’Eucarestia, lo attacca violentemente ed egli allora scrisse una Breve meditazione sul Simbolo degli Apostoli, in cui suffraga ogni affermazione con citazioni delle Scrittura e dei Padri: è con questo criterio o metodo che combatte tutte le opere dei calvinisti.

Quando il Viret osò mettere in dubbio la verginità della Madonna, Francesco fece notare l’ignoranza dell’oppositore. Al calvinista Beza propose, per ordine di Clemente VIII, un incontro ma si accorse presto della pervicace ostinazione del suo interlocutore e quando ad Annegasse, a pochi chilometri da Ginevra, ci fu una solenne celebrazione delle Quarantore e i ministri calvinisti ginevrini organizzarono una violenta opposizione, il santo compose un’opera, Difesa dello Stendardo della Croce, che fu pubblicata tre anni dopo, nel 1600, a causa di una seria malattia e di un viaggio a Roma.

Nel frattempo Francesco ricevette nella Città Eterna la nomina di vescovo titolare di Nicopoli (marzo 1599). Compose in quel tempo l’orazione funebre per il Principe di Mercoeur, al cui casato era debitore per i benefici ricevuti.


I suoi due capolavori

Scrisse pure un breve, prezioso libretto Consigli ai confessori, in cui rivolge ai suoi preti succose esortazioni per il loro ministero pastorale. Famosa la Filotea o Introduzione alla vita devota, che ha cura di formare a una vita pienamente cristiana coloro che vivono nel mondo, in famiglia, e devono assolvere compiti civili, sociali.

Questo libro fu scritto per una signora, Luisa du Chatel, andata sposa al Signore di Charmoisy, cugino del santo ed essendo utile per guidare spiritualmente persone che vivono nel mondo e non nello stato religioso, un gesuita P. Sean Fourrier, ne consigliò la pubblicazione.

Fu un successo enorme e dopo la prima edizione del 1608 ce ne furono altre quattro fino al 1611, ma siccome erano piene di errori ce ne fu una quinta nel 1619 riveduta e corretta dallo stesso autore.

Elogi senza fine ma anche critiche aspre e malevole. Più tardi compose il Trattato dell’amor di Dio, più profondo e ordinato, un vero capolavoro di spiritualità cristiana.


Pastore di Cristo senza riposo

Conviene dire qualcosa sulla sua attività di Pastore (diocesi di Ginevra con sede ad Annecy).

Prese possesso della sua diocesi il 15 dicembre del 1602 e un mese dopo scrisse la sua prima lettera pastorale.

Ordina in essa il digiuno e l’astinenza e bandisce il sinodo per il secondo mercoledì della seconda Domenica dopo Pasqua. Intima inoltre la residenza a tutti i sostenitori di beneficii. Purtroppo la resistenza del clero nell’obbedire alle sue ordinanze lo obbliga a rinnovarle con la minaccia di precise e severe sanzioni nel caso vengano eluse.

A norma del Concilio di Trento visita 260 delle 450 parrocchie della diocesi comprese le 50 rimaste in territorio francese a seguito della cessione di alcuni paesi. Tuttavia la sua perseveranza e la dolcezza nella direzione spirituale danno i loro frutti: anche il catechismo dialogato che usa per le esigenze dei piccoli produce buoni risultati, pur non avendo altri aiuti che i due fratelli minori Sean-François e Bernard.

Il metodo, da lui usato, di catechesi dialogata, incontrò dapprima difficoltà presso il clero e per due anni fu il solo catechista della città, ma poi avvenne la conversione di tutta la sua chiesa: assieme ai bambini vi erano nobili, ecclesiastici e gente del popolo.

Fu necessario occupare altre due chiese e il catechismo del Bellarmino, personalizzato con semplici sussidi esplicativi, si diffuse rapidamente anche grazie alla collaborazione dei laici che aveva coinvolto nella stessa compilazione del regolamento.

Attraverso il libretto dei Consigli ai Confessori aiuta i sacerdoti ad amministrare bene il Sacramento della Penitenza. È pieno di sapienza nel dare i consigli opportuni perché i penitenti prendano fiducia e non si scoraggino: per il duca di Bellegarde scrisse pure un “Promemoria” che è un piccolo trattato sulla Confessione.


Delicato e fermo Padre spirituale

Fu innumerevole la quantità di persone che il santo avvicinò a questo sacramento. Si esprime in termini così affettuosi da creare equivoci o malintesi nelle lettere che indirizza ad esempio alla Chantal, colla quale si è creato un rapporto spirituale così intenso da fargli dire che Dio gli ha dato un cuore di madre più che di padre… ma è amore vero, forte, di uomo di carattere, non tenerezza sentimentale priva di nerbo e di sostanza.

La Congregazione della Visitazione da lui fondata si avvalse di questo spirito dolce e gradevole, che attirò molte anime (di donne e ragazze) che si sentivano escluse dai grandi ordini formati o riformati.

La fondazione non escludeva le opere di carità che affidava a donne mature e sperimentate. Tuttavia lo scopo della Congregazione «è più per dare a Dio delle figlie d’orazione e delle anime così interiori da essere trovate degne di servire la sua Maestà infinita e di adorarlo in spirito e verità».

È per queste figlie e per la loro Madre che porterà a termine il Trattato: dai primi passi tracciati nella Filotea il cammino si avvia alle vette della perfezione cristiana.


La sua figlia fedelissima

Infatti fu la fedelissima e piissima Giovanna Francesca Chantal che lo incoraggiò e scongiurò di portare a termine questo lavoro: era nata da Benigno Frémiot e da Margherita di Berbisey il 23 gennaio 72 a Dijon e arrivò sposa a Cristophe de Barbutin, barone di Chantal, che la lasciò vedova con quattro figli.

Il fratello minore, Andrea Frémiot, divenne vescovo di Bourges nel 1603, e fu a Digione che Francesco conobbe questa pia donna mentre preparava il quaresimale alla Sainte Chapelle il 5 marzo 1604.

Si strinse allora tra il santo vescovo e la nobildonna devota una santa amicizia, che certamente li stimolò a una reciproca edificazione, poiché difficilmente si riesce a distinguere e sceverare chi dei due abbia dato il maggiore apporto alla santificazione dell’altro.

Si iniziò una lunga e intensa collaborazione che ebbe anche frutti spirituali di grande valore: lo stesso Trattato dell’amor di Dionon avrebbe avuto quella profondità e ampiezza che raggiunse attraverso i consigli e le preghiere di Giovanna Francesca.

Il santo disse e scrisse: «Ho l’impressione che Dio mi abbia affidato a lei; ne sono sempre più convinto». È un affetto vero, reale e profondo. Il “Trattato” è un’opera così perfetta che fece dire al P. Poirrat: «San Francesco di Sales forma una scuola di spiritualità da solo. Egli è il suo inizio, il suo sviluppo, la sua somma totale».

È un invito rivolto a quanti intendono rispondere con generosità all’azione di Dio, nessuno escluso. Il santo predicò moltissimo, sino a tre volte in un giorno, ma dei suoi sermoni interi se ne conoscono solo due, poiché nei 4 volumi dedicati ad essi si conoscono solo tracce o riassunti che ne facevano gli uditori.

Accompagnando la corte di Savoia a Parigi il 27 Dicembre del 1622 morì di apoplessia a Lione. Beatificato nel 1661, canonizzato nel 1665, fu dichiarato Dottore della Chiesa nel 1867 da Pio IX. La sua festa si celebra il 24 gennaio.



monsignor Luigi Tirelli


(da “Radici Cristiane”, dicembre 2005)

domenica 10 maggio 2015

L’orazione illumina l’intelletto con la chiarezza della luce di Dio e scalda il cuore al calore dell’amore celeste


NECESSITA’ DELL’ORAZIONE
  1. Poiché l’orazione illumina l’intelletto con la chiarezza della luce di Dio e scalda il cuore al calore dell’amore celeste, nulla l’eguaglia nel purificare l’intelletto dall’ignoranza e il cuore dagli affetti disordinati; è un’acqua di benedizione che fa rinverdire e rifiorire le piante dei nostri buoni desideri, monda le anime dalle imperfezioni e attenua nei cuori l’ardore delle passioni.
  2. Ma più di ogni altra, ti consiglio l’orazione mentale, che impegna il cuore a meditare sulla vita e la passione di Nostro Signore: se Lo contempli spesso nella meditazione, il cuore e l’anima ti si riempiranno di Lui; se consideri il suo modo di agire, prenderai le sue azioni a modello delle tue. E’ Lui la luce del mondo: è dunque in Lui, da Lui e per mezzo di Lui che possiamo essere illuminati e trovare la chiarezza; è l’albero del desiderio all’ombra del quale dobbiamo rinfrescarci; è la fontana viva in Giacobbe che lava tutte le nostre iniquità
    I bambini, a forza di ascoltare le mamme e balbettare dietro loro, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per noi se ci terremo vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, impareremo, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui.
    Fermiamoci qui, o Filotea, e credimi: non possiamo raggiungere il Padre che passando per questa porta; come il vetro di uno specchio non potrebbe chiudere la nostra visuale se dietro non fosse ricoperto di stagno o di piombo, allo stesso modo, la divinità non potrebbe essere da noi contemplata in questo mondo, se non si fosse unita alla sacra umanità del Salvatore, la cui vita e morte costituisce il soggetto più adatto, piacevole, dolce e utile che ci sia dato per la meditazione ordinaria. Non per nulla il Salvatore si chiama il pane disceso dal cielo; come il pane può essere mangiato con ogni sorta di vivande, così il Salvatore può essere meditato, considerato e cercato in tutte le nostre orazioni e azioni.
    Molti autori hanno utilmente suddiviso la Vita e la Morte di Nostro Signore in molti punti per favorirne la meditazione.
  3. Ogni giorno consacra all’orazione un’ora prima del pranzo, perché lo spirito sarà più libero e più fresco per il riposo della notte. Mai più di un’ora, se non per espresso consiglio del tuo padre spirituale.
  4. Se ti è possibile, compi questo esercizio in chiesa; vi troverai comodità e discreta tranquillità, perché quivi né il padre, né la madre, né la moglie, né il marito, né qualunque altro può impedirti di rimanere in pace per un’ora, mentre a casa, con tutti gli impegni, sarebbe problematico trovare modo di essere lasciati in pace per un’ora.
  5. Inizia ogni orazione, sia mentale che vocale, mettendoti alla presenza di Dio; mantienti fedele a questo principio senza eccezioni, e, in breve, ti accorgerai del profitto che te ne viene.
  6. Se mi ascolti, dirai il Padre nostro, l’Ave Maria e il credo in latino; ma imparerai nella tua lingua il significato delle parole che dici, affinché pur dicendole nel linguaggio comune della Chiesa, tu sia in grado di assaporare il senso meraviglioso e delizioso di queste preghiere che devono essere dette concentrando profondamente la mente sul loro significato, provocando reazione nei tuoi affetti; non andare in fretta per dirne molte, ma studiati piuttosto di dire quelle che dici con il cuore. Un solo Padre nostro, detto con sentimento, vale più di molti recitati in fretta e di corsa.
  7. Dire il Rosario è un modo molto utile di pregare, purché tu sappia dirlo: per questo devi avere qualche libretto che te lo insegni. E’ cosa buona dire anche le Litanie del Signore, della Madonna, dei Santi e tutte le altre preghiere che puoi trovare nei Manuali approvati e nel libro delle Ore; ma a un patto: se hai il dono dell’orazione mentale, conservale il primo posto; e ricordati che, se dopo quella, o a causa degli affari o per altri motivi, non puoi fare preghiere vocali, non devi preoccupartene. Accontentati di dire, prima e dopo la meditazione, il Padre nostro, l’Ave Maria e il Credo.
  8. Se mentre sei impegnata nell’orazione vocale, senti il cuore attirato all’orazione interiore o mentale, non resistere, lascia dolcemente scivolare il tuo spirito e non darti pensiero perché non hai finito le orazioni vocali che ti eri proposta; l’orazione mentale compiuta al loro posto è più gradita a Dio e più utile alla tua anima. Faccio eccezione per l’Ufficio divino, se sei tenuta a dirlo; in tal caso si tratta di un dovere da compiere.
  9. Se ti dovesse capitare di trascorrere tutta la mattinata senza fare orazione mentale a causa degli affari o di qualche altro motivo (però fa il possibile perché questo non capiti mai), rimedia al pomeriggio, possibilmente lontano dai pasti, perché se dovessi fare orazione in piena digestione, finiresti per assopirti e oltretutto recheresti anche danno alla salute.
    Che se poi non riesci a fare orazione nemmeno nel corso di tutta la giornata, rimedia al vuoto moltiplicando le orazioni giaculatorie, leggendo qualche passo di un libro di devozione, facendo qualche penitenza che elimini il difetto e prendi una ferma risoluzione di rimetterti in carreggiata il giorno dopo.

giovedì 29 gennaio 2015

La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.


   
24 GENNAIO
SAN FRANCESCO DI SALES
Vescovo e Dottore della Chiesa
(1567-1622)

La devozione è possibile in ogni vocazione professionale
Dalla «Introduzione alla vita devota» di san Francesco di Sales, vescovo

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.

La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.

Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.

L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.  

E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.  

Orazione:

O Dio, tu ha voluto che il santo vescovo Francesco di Sales si facesse tutto a tutti nella carità apostolica: concedi anche a noi di testimoniare sempre, nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore. Per il nostro Signore...

Deus, qui ad animárum salútem beátum Francíscum epíscopum ómnibus ómnia factum esse voluísti, concéde propítius, ut, eius exémplo, tuæ mansuetúdinem caritátis in fratrum servítio semper ostendámus. Per Dóminum.

San Francesco di Sales: “Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano]


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 2 marzo 2011

San Francesco di Sales

Cari fratelli e sorelle,

“Dieu est le Dieu du coeur humain” [Dio è il Dio del cuore umano] (Trattato dell’Amore di Dio, I, XV): in queste parole apparentemente semplici cogliamo l’impronta della spiritualità di un grande maestro, del quale vorrei parlarvi oggi, san Francesco di Sales, Vescovo e Dottore della Chiesa. Nato nel 1567 in una regione francese di frontiera, era figlio del Signore di Boisy, antica e nobile famiglia di Savoia. Vissuto a cavallo tra due secoli, il Cinquecento e il Seicento, raccolse in sé il meglio degli insegnamenti e delle conquiste culturali del secolo che finiva, riconciliando l’eredità dell’umanesimo con la spinta verso l’assoluto propria delle correnti mistiche. La sua formazione fu molto accurata; a Parigi fece gli studi superiori, dedicandosi anche alla teologia, e all’Università di Padova quelli di giurisprudenza, come desiderava il padre, conclusi in modo brillante, con la laurea in utroque iure, diritto canonico e diritto civile. 

Nella sua armoniosa giovinezza, riflettendo sul pensiero di sant’Agostino e di san Tommaso d’Aquino, ebbe una crisi profonda che lo indusse a interrogarsi sulla propria salvezza eterna e sulla predestinazione di Dio nei suoi riguardi, soffrendo come vero dramma spirituale le principali questioni teologiche del suo tempo. Pregava intensamente, ma il dubbio lo tormentò in modo così forte che per alcune settimane non riuscì quasi del tutto a mangiare e dormire. 

Al culmine della prova, si recò nella chiesa dei Domenicani a Parigi, aprì il suo cuore e pregò così: “Qualsiasi cosa accada, Signore, tu che tieni tutto nella tua mano, e le cui vie sono giustizia e verità; qualunque cosa tu abbia stabilito a mio riguardo …; tu che sei sempre giusto giudice e Padre misericordioso, io ti amerò, Signore […], ti amerò qui, o mio Dio, e spererò sempre nella tua misericordia, e sempre ripeterò la tua lode… O Signore Gesù, tu sarai sempre la mia speranza e la mia salvezza nella terra dei viventi” (I Proc. Canon., vol I, art 4). Il ventenne Francesco trovò la pace nella realtà radicale e liberante dell’amore di Dio: amarlo senza nulla chiedere in cambio e confidare nell’amore divino; non chiedere più che cosa farà Dio con me: io lo amo semplicemente, indipendentemente da quanto mi dà o non mi dà. Così trovò la pace, e la questione della predestinazione - sulla quale si discuteva in quel tempo – era risolta, perché egli non cercava più di quanto poteva avere da Dio; lo amava semplicemente, si abbandonava alla Sua bontà. E questo sarà il segreto della sua vita, che trasparirà nella sua opera principale: il Trattato dell’amore di Dio.

Vincendo le resistenze del padre, Francesco seguì la chiamata del Signore e, il 18 dicembre 1593, fu ordinato sacerdote. Nel 1602 divenne Vescovo di Ginevra, in un periodo in cui la città era roccaforte del Calvinismo, tanto che la sede vescovile si trovava “in esilio” ad Annecy. Pastore di una diocesi povera e tormentata, in un paesaggio di montagna di cui conosceva bene tanto la durezza quanto la bellezza, egli scrive: “[Dio] l’ho incontrato pieno di dolcezza e soavità fra le nostre più alte e aspre montagne, ove molte anime semplici lo amavano e adoravano in tutta verità e sincerità; e caprioli e camosci correvano qua e là tra i ghiacci spaventosi per annunciare le sue lodi” (Lettera alla Madre di Chantal, ottobre 1606, in Oeuvres, éd. Mackey, t. XIII, p. 223). 

E tuttavia l’influsso della sua vita e del suo insegnamento sull’Europa dell’epoca e dei secoli successivi appare immenso. E’ apostolo, predicatore, scrittore, uomo d’azione e di preghiera; impegnato a realizzare gli ideali del Concilio di Trento; coinvolto nella controversia e nel dialogo con i protestanti, sperimentando sempre più, al di là del necessario confronto teologico, l’efficacia della relazione personale e della carità; incaricato di missioni diplomatiche a livello europeo, e di compiti sociali di mediazione e di riconciliazione. 
Ma soprattutto san Francesco di Sales è guida di anime: dall’incontro con una giovane donna, la signora di Charmoisy, trarrà spunto per scrivere uno dei libri più letti nell’età moderna, l’Introduzione alla vita devota; dalla sua profonda comunione spirituale con una personalità d’eccezione, santa Giovanna Francesca di Chantal, nascerà una nuova famiglia religiosa, l’Ordine della Visitazione, caratterizzato – come volle il Santo – da una consacrazione totale a Dio vissuta nella semplicità e umiltà, nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie: “… voglio che le mie Figlie – egli scrive – non abbiano altro ideale che quello di glorificare [Nostro Signore] con la loro umiltà” (Lettera a mons. de Marquemond, giugno 1615). Muore nel 1622, a cinquantacinque anni, dopo un’esistenza segnata dalla durezza dei tempi e dalla fatica apostolica.

Quella di san Francesco di Sales è stata una vita relativamente breve, ma vissuta con grande intensità. Dalla figura di questo Santo emana un’impressione di rara pienezza, dimostrata nella serenità della sua ricerca intellettuale, ma anche nella ricchezza dei suoi affetti, nella “dolcezza” dei suoi insegnamenti che hanno avuto un grande influsso sulla coscienza cristiana. Della parola “umanità” egli ha incarnato diverse accezioni che, oggi come ieri, questo termine può assumere: cultura e cortesia, libertà e tenerezza, nobiltà e solidarietà. Nell’aspetto aveva qualcosa della maestà del paesaggio in cui è vissuto, conservandone anche la semplicità e la naturalezza. Le antiche parole e le immagini in cui si esprimeva suonano inaspettatamente, anche all’orecchio dell’uomo d’oggi, come una lingua nativa e familiare.


A Filotea, l’ideale destinataria della sua Introduzione alla vita devota (1607), Francesco di Sales rivolge un invito che poté apparire, all’epoca, rivoluzionario. E’ l’invito a essere completamente di Dio, vivendo in pienezza la presenza nel mondo e i compiti del proprio stato. “La mia intenzione è di istruire quelli che vivono nelle città, nello stato coniugale, a corte […]” (Prefazione alla Introduzione alla vita devota). Il Documento con cui Papa Pio IX, più di due secoli dopo, lo proclamerà Dottore della Chiesa insisterà su questo allargamento della chiamata alla perfezione, alla santità. Vi è scritto:“[la vera pietà] è penetrata fino al trono dei re, nella tenda dei capi degli eserciti, nel pretorio dei giudici, negli uffici, nelle botteghe e addirittura nelle capanne dei pastori […]” (Breve Dives in misericordia, 16 novembre 1877). 

 Nasceva così quell’appello ai laici, quella cura per la consacrazione delle cose temporali e per la santificazione del quotidiano su cui insisteranno il Concilio Vaticano II e la spiritualità del nostro tempo. Si manifestava l’ideale di un’umanità riconciliata, nella sintonia fra azione nel mondo e preghiera, fra condizione secolare e ricerca di perfezione, con l’aiuto della Grazia di Dio che permea l’umano e, senza distruggerlo, lo purifica, innalzandolo alle altezze divine. A Teotimo, il cristiano adulto, spiritualmente maturo, al quale indirizza alcuni anni dopo il suo Trattato dell’amore di Dio (1616), san Francesco di Sales offre una lezione più complessa. Essa suppone, all’inizio, una precisa visione dell’essere umano, un’antropologia: la “ragione” dell’uomo, anzi l’“anima ragionevole”, vi è vista come un’architettura armonica, un tempio, articolato in più spazi, intorno ad un centro, che egli chiama, insieme con i grandi mistici, “cima”, “punta” dello spirito, o “fondo” dell’anima. E’ il punto in cui la ragione, percorsi tutti i suoi gradi, “chiude gli occhi” e la conoscenza diventa tutt’uno con l’amore (cfr libro I, cap. XII). Che l’amore, nella sua dimensione teologale, divina, sia la ragion d’essere di tutte le cose, in una scala ascendente che non sembra conoscere fratture e abissi, san Francesco di Sales lo ha riassunto in una celebre frase: “L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è quella dello spirito, e la carità quella dell’amore” (ibid., libro X, cap. I).

In una stagione di intensa fioritura mistica, il Trattato dell’amore di Dio è una vera e propria summa, e insieme un’affascinante opera letteraria. La sua descrizione dell’itinerario verso Dio parte dal riconoscimento della “naturale inclinazione” (ibid., libro I, cap. XVI), iscritta nel cuore dell’uomo pur peccatore, ad amare Dio sopra ogni cosa. Secondo il modello della Sacra Scrittura, san Francesco di Sales parla dell’unione fra Dio e l’uomo sviluppando tutta una serie di immagini di relazione interpersonale. Il suo Dio è padre e signore, sposo e amico, ha caratteristiche materne e di nutrice, è il sole di cui persino la notte è misteriosa rivelazione. Un tale Dio trae a sé l’uomo con vincoli di amore, cioè di vera libertà: “poiché l’amore non ha forzati né schiavi, ma riduce ogni cosa sotto la propria obbedienza con una forza così deliziosa che, se nulla è forte come l’amore, nulla è amabile come la sua forza” (ibid., libro I, cap. VI). 

Troviamo nel trattato del nostro Santo una meditazione profonda sulla volontà umana e la descrizione del suo fluire, passare, morire, per vivere (cfr ibid., libro IX, cap. XIII) nel completo abbandono non solo alla volontà di Dio, ma a ciò che a Lui piace, al suo “bon plaisir”, al suo beneplacito (cfr ibid., libro IX, cap. I). All’apice dell’unione con Dio, oltre i rapimenti dell’estasi contemplativa, si colloca quel rifluire di carità concreta, che si fa attenta a tutti i bisogni degli altri e che egli chiama “estasi della vita e delle opere” (ibid., libro VII, cap. VI).

Si avverte bene, leggendo il libro sull’amore di Dio e ancor più le tante lettere di direzione e di amicizia spirituale, quale conoscitore del cuore umano sia stato san Francesco di Sales. A santa Giovanna di Chantal, a cui scrive: “[…] Ecco la regola della nostra obbedienza che vi scrivo a caratteri grandi: FARE TUTTO PER AMORE, NIENTE PER FORZA - AMAR PIÙ L’OBBEDIENZA CHE TEMERE LA DISOBBEDIENZA. Vi lascio lo spirito di libertà, non già quello che esclude l’obbedienza, ché questa è la libertà del mondo; ma quello che esclude la violenza, l’ansia e lo scrupolo” (Lettera del 14 ottobre 1604). Non per niente, all’origine di molte vie della pedagogia e della spiritualità del nostro tempo ritroviamo proprio la traccia di questo maestro, senza il quale non vi sarebbero stati san Giovanni Bosco né l’eroica “piccola via” di santa Teresa di Lisieux.

Cari fratelli e sorelle, in una stagione come la nostra che cerca la libertà, anche con violenza e inquietudine, non deve sfuggire l’attualità di questo grande maestro di spiritualità e di pace, che consegna ai suoi discepoli lo “spirito di libertà”, quella vera, al culmine di un insegnamento affascinante e completo sulla realtà dell’amore. San Francesco di Sales è un testimone esemplare dell’umanesimo cristiano; con il suo stile familiare, con parabole che hanno talora il colpo d’ala della poesia, ricorda che l’uomo porta iscritta nel profondo di sé la nostalgia di Dio e che solo in Lui trova la vera gioia e la sua realizzazione più piena.

lunedì 7 aprile 2014

"La fenice dei vescovi"


Carissimo Amico,
Re Enrico IV chiamava san Francesco di Sales “la fenice dei vescovi”, perché, diceva, “è un uccello raro sulla terra”. Dopo aver rinunciato ai fasti di Parigi e alle proposte reali di una sede episcopale prestigiosa, Francesco di Sales divenne il pastore instancabile della sua terra savoiarda, che amava sopra ogni cosa. Lasciandosi guidare dai Padri della Chiesa, egli attingeva dalla preghiera e da una grande conoscenza meditata della Scrittura la forza necessaria a compiere la sua missione e guidare le anime a Dio (cfr. Giovanni Paolo II, Lettera al Vescovo di Annecy, 23 novembre 2002).

Francesco di Sales nasce il 21 agosto 1567, in una famiglia cattolica della nobiltà savoiarda, nel castello di Sales, a una ventina di chilometri a nord di Annecy. È il maggiore di sei fratelli e sorelle. I suoi genitori seguono il principio educativo di spiegare le ragioni di ciò che esigono, perché l’obbedienza dei loro figli sia più consapevole. Molto presto, il bambino impara a servirsi di una spada, ma anche a fare l’elemosina ai poveri: se sente un povero che chiama, lascia la tavola per portargli una parte del suo pasto. Tuttavia, non è perfetto: un giorno, entra in cucina, nonostante il divieto ricevuto, e chiede al cuoco un piccolo pâté succulento ma ancora fumante. Il bruciore che sente non gli impedisce di portarlo in mano e di mangiarlo. Va quindi a farsi curare da sua madre senza rivelarle la causa di questa scottatura.
«Memorare!»


giovedì 24 gennaio 2013



Dalla «Introduzione alla vita devota» 
di san Francesco di Sales, vescovo
(Parte 1, Cap. 3)

<<La devozione è possibile in ogni vocazione e professione.
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.

Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? 

Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.

È un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.>>

RESPONSORIO Cfr. Ef 4, 32 - 5, 1; Mt 11, 29
R. Siate benevoli gli uni verso gli altri e pieni di misericordia.
Perdonatevi come Dio ha perdonato a voi in Cristo;
* fatevi imitatori di Dio, come figli carissimi.
V. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me,
che sono mite e umile di cuore;
R. fatevi imitatori di Dio, come figli carissimi.

ORAZIONE

O Dio, tu hai voluto che il santo vescovo Francesco di Sales si facesse tutto a tutti nella carità apostolica: concedi anche a noi di testimoniare sempre, nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore di Padre. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio.


Domine Iesu,
Noverim me, noverim te,
Nec aliquid cupiam nisi te.