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martedì 27 maggio 2014

«Gesù mio, misericordia!». «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna»


In occasione del suo viaggio in Angola, papa Benedetto XVI ha rilevato un'obiezione spesso fatta ai missionari del Vangelo: «Perché non lasciamo gli altri in pace? Essi hanno la loro verità ; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com'è, perché realizzi nel modo migliore la propria identità ». Il Papa ha risposto: «Se noi siamo convinti e abbiamo fatto l'esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna» (Omelia nella chiesa di São Paulo di Luanda, 21 marzo 2009). Tra i predicatori che hanno preso sul serio questo dovere di annunciare la salvezza a tutti è San Leonardo da Porto Maurizio.

Il 20 dicembre 1676, a Porto Maurizio, sulla costa ligure, nel nord Italia, viene al mondo un bambino posto con il battesimo sotto il patrocinio dei Santi Paolo e Girolamo. Dirà in seguito di aver ricevuto la grazia di avere dei genitori molto bravi. La sua giovinezza è esemplare; trascina facilmente i compagni a pregare e a fare opere buone. Uno dei suoi autori spirituali preferiti è San Francesco di Sales di cui ha sempre con sé il libro Introduzione alla vita devota. Trova sostegno morale e spirituale negli incontri di giovani organizzati dai gesuiti e degli oratoriani; vi attinge un crescente fervore per la pratica delle virtù, accompagnato dal desiderio delle penitenze. Nei giorni di festa, percorre le strade e le piazze di Roma, e, sfidando lo sprezzo e gli insulti, esorta tutti coloro che vogliono ascoltarlo a recarsi a sentire i sermoni nelle chiese.


Parole che vanno diritto al cuore

Paolo Girolamo si sente chiamato allo stato religioso.  Il suo confessore lo stimola a intensificare la sua vita di preghiera e di penitenza per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio. Un giorno, al vedere due religiosi vestiti poveramente e dall'atteggiamento modesto, Frati Minori Riformati del «Ritiro di San Bonaventura», sente nascere in sé il desiderio di abbracciare il loro genere di vita. Entrando nella chiesa del convento nel momento in cui i Fratelli iniziano la recita della Compieta, sente queste parole: « Convertici, Dio, nostra Salvezza ! » Queste parole gli vanno diritto al cuore e decide di chiedere la sua ammissione. Accolto nel noviziato, riceve, il 2 ottobre 1697, l'abito e il nome di Fra Leonardo. Un anno dopo, pronuncia i suoi voti. Il giovane religioso è l'edificazione di tutti, in particolare per la sua fedeltà alle osservanze, anche a quelle che sembrano più insignificanti. Egli ama dire: «Se, mentre siamo giovani, teniamo in poco conto le piccole cose e vi manchiamo volontariamente, quando saremo avanti negli anni e avremo più libertà, ci permetteremo di mancare ai punti più importanti».Zelante per gli studi sacri, insiste sulla necessità di acquisire nuove conoscenze per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, viene nominato professore di filosofia. Si ammala però gravemente. I suoi superiori lo mandano a Porto Maurizio, suo paese natale, ma questo cambiamento d'aria si rivela inefficace. Il giovane Padre supplica allora la Vergine Maria di ottenergli dal suo divin Figlio una salute robusta che dedicherà a guadagnare anime per il Cielo. La sua preghiera viene esaudita; l'infermità di cui soffre scompare completamente.
Nel 1708, padre Leonardo predica, non lontano da Porto Maurizio, la sua prima «missione popolare». Questo nome viene dato a una serie di sermoni predicati nel corso di diversi giorni o settimane, presso una parrocchia, da un sacerdote di passaggio. Queste missioni, allora in voga, portavano frutti abbondanti. Tradizionalmente, il predicatore prendeva per tema la necessità di convertirsi al Signore al fine di condurre una vita veramente cristiana per la salvezza della propria anima.

Nel nostro tempo, parlare della salvezza dell'anima non è più di moda. Il contesto culturale e le ideologie diffuse rinchiudono sempre più l'uomo all'interno delle realtà terrene: molti vivono solo per questo mondo e non pensano a ciò che segue la morte. Per altri, vi è certo «un'eternità» dopo la morte, ma la salvezza non costituisce un problema: si immagina che tutti senza distinzione vadano in Paradiso. Il risultato, in entrambi i casi, è la noncuranza per la salvezza delle anime.


La vera felicità


Ora, «Dio ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in Paradiso... La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova... in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore... Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei Cieli» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 1721-1724). Il Signore Gesù è venuto a rivelare agli uomini l'amore infinito del Padre che vuole che tutti siano salvati e partecipino alla sua vita divina in Cielo, ma Egli insiste anche sul fatto che gli uomini saranno giudicati secondo le loro opere e che coloro che non muoiono nell'amicizia divina non possiederanno la vita eterna. «Gesù parla ripetutamente della geenna, del fuoco inestinguibile, (cf. Mt 5,22.29; 13,42.50; Mt 9,43-48) che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo (cf. Mt 10,28). Gesù annunzia con parole severe che egli manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno (...) tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno! (Mt 25,41). La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira» (CCC, 1034-1035).

La considerazione dei Novissimi, cioè delle realtà ultime, è al cuore dell'insegnamento di padre Leonardo. «Considera, scrive, quanto sia importante per te giungere alla tua meta ultima. Ne va di tutto per te; perché, se vi arrivi, sei salvato, sei eternamente felice, colmo di tutti i beni per l'anima e per il corpo. Se invece la manchi, sei perduto, corpo e anima, perdi Dio e il paradiso, sei eternamente infelice, dannato per sempre. Ecco allora, tra tutte le occupazioni, l'unica utile, importante, necessaria: servire Dio e salvarsi. Se tu perdessi ora una parte dei tuoi beni, te ne resterebbero degli altri; se perdessi una causa, potresti ricorrere in appello; se ti accadesse di commettere qualche errore temporale, può essere riparato. E qualora tu venissi anche a perdere tutto, che importa? Comunque, che ti piaccia o no, verrà un giorno in cui bisognerà lasciare tutto. Ma se manchi la tua meta ultima, perdi tutti i beni e attiri su di te mali irreparabili per tutta un'eternità. Che giova all'uomo, dice il Salvatore, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima? (Mt 16,26). Salvarci! ecco la nostra grande, la nostra unica occupazione. Quando non si tratta che delle faccende di questo mondo, se non ci pensi, un altro può pensarci per te; ma quando si tratta di quella grande della tua salvezza eterna, se non ci pensi, chi può pensarci per te? Se non te ne prendi cura, chi può assumere questo incarico per te? Se non ti aiuti da te stesso a salvarti, chi ti salverà ? Quel Dio che ti ha creato senza di te non vuole salvarti senza di te. Se vuoi salvarti , bisogna che tu ci pensi» (Meditazione sul fine dell'uomo).


L'ostacolo da rimuovere

Prima di iniziare un'opera, è necessario rimuovere gli  ostacoli che si oppongono alla sua realizzazione. L'ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale, vale a dire una violazione pienamente cosciente della legge di Dio su una questione grave. «Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal Regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili» (CCC, 1861).

A questo proposito, ecco in quali termini padre Leonardo era solito rivolgersi ai suoi ascoltatori: «Ah! come aveva ben ragione sant'Agostino a prendersela con la strana cecità che considera il male come un bene, e il bene come un male, secondo le parole di Isaia (5,20): Guai a coloro che chiamano «bene» il male e «male» il bene! Egli non sa come chiamare, se sia frenesia, passione o demenza, questo disordine, così comune tra gli uomini, per cui, pur essendo il peccato il male più abominevole che vi sia al mondo, non vi è al mondo un male che sia detestato meno del peccato... Ecco qual è l'origine di tante cadute, e perché tante anime fanno passi falsi, e si precipitano in un abisso di iniquità: il motivo è che non si pensa, no, non si riflette al male che si fa commettendo un peccato mortale» (Sermone sulla malizia del peccato mortale).

Alcuni pensano che il peccato mortale sia commesso solo in casi eccezionali di odio o di disprezzo esplicito di Dio. Ma San Giovanni Paolo II ha ricordato nell'Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993): «La grazia della giustificazione, una volta ricevuta, può essere perduta non solo per l'infedeltà, che fa perdere la stessa fede, ma anche per qualsiasi altro peccato mortale... È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso... Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l'uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato», il che avviene «in tutte le disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave» (nn. 68 e 70). Il Catechismo spiega: «La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre (Mc 10,19)» (CCC, 1858). Tra i peccati gravi frequenti, bisogna menzionare i peccati contro il sesto e il nono comandamento: «Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l'adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria» (Compendio del CCC, 492), che, senza essere il più grave, tuttavia porta alla cecità della mente sulle realtà eterne.
Non ci si deve quindi stupire delle seguenti parole di padre Leonardo: «Peccatore, a che cosa pensi? Saresti più duro della pietra? Hai mai riflettuto alla grazia tutta speciale che Dio ti fa dandoti il tempo di fare penitenza? Insensato che sei!... Che cosa fai per metterti al sicuro? Sarebbe troppo praticare qualche piccola mortificazione?... Sarebbe troppo preparare una buona confessione generale, per porre fine a questa vita piena di disordini che conosci?» (Invito alla penitenza).


Il rimedio

Ma padre Leonardo non si accontenta di fustigare il  male; fornisce anche il rimedio: lasciarsi conquistare dal Signore che offre a tutti la sua misericordia: «Considerate che se la giustizia di Dio è infinita nei confronti dei peccatori ostinati, la sua misericordia non è meno infinita nei confronti dei peccatori penitenti. Dio odia infinitamente il peccato; ma ama infinitamente le sue creature: non appena l'anima si pente del suo peccato, ritrova l'amore del suo Dio; se tutti i peccatori volessero ricorrere a Dio con un cuore contrito e umiliato, tutti sarebbero salvati. Questa bontà infinita desidera che tutti gli uomini arrivino in Paradiso... Una madre sarebbe meno sollecita nel soccorrere il suo bambino caduto nel fuoco di quanto Dio sia sollecito nell'abbracciare il peccatore pentito. Più i vostri peccati sono grandi, più è grande anche il trionfo della bontà, della carità, della clemenza di questo Dio infinitamente ricco di misericordia» (Meditazione sulla misericordia di Dio).

« Gesù invita i peccatori... alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l'infinita misericordia del Padre suo per loro (cf. Lc 15,11-32) e l'immensa gioia [che] ci sarà in cielo per un peccatore convertito (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita in remissione dei peccati (Mt 26,28)» (CCC 545).

Diventato maestro nell'arte di guidare le anime, padre Leonardo ha spesso fatto l'esperienza dell'utilità di certe devozioni per aiutarle a convertirsi e a mantenersi nello stato di grazia ritrovato. 

Vi è prima di tutto la pratica delle tre Ave Maria. Questa pratica deve la sua origine alla benedettina tedesca santa Matilde, che un giorno chiese alla Madonna di ispirarle una preghiera che le piacesse. Le apparve la Vergine che portava sul petto a lettere d'oro l'Ave Maria. «Mai, le disse, si arriverà più in alto di questo saluto, e non mi si può salutare con più dolcezza che facendolo rispettosamente con queste parole»

Un altro giorno, la stessa santa chiedeva alla sua celeste Regina come ottenere sicuramente la grazia della perseveranza finale e della buona morte. Di nuovo, la santa Madre di Dio le si mostrò e le disse: «Se vuoi ottenere questa grande grazia, recita ogni giorno tre Ave Maria, in onore dei miei privilegi, e te la concederò ». San Leonardo si fa propagatore di questa devozione consigliando di recitare queste tre Ave Maria in onore dei privilegi di Maria: «Tutte le mattine al suo risveglio, e alla sera prima di coricarsi, l'anima devota a Maria chiederà la benedizione della sua santa Madre; non mancherà di recitare tre Ave Maria, in onore della sua purezza senza macchia, di offrirle i suoi sensi e tutte le potenze della sua anima, affinché li custodisca come cose a lei appartenenti e consacrate in suo onore, e le chiederà la grazia di non cadere, in quel giorno (o in quella notte), nel peccato».


La tromba dell'ultimo giorno


Il santo diffonde anche la breve invocazione: «Gesù  mio, misericordia!» Egli riferisce queste parole di un missionario: «Quando ritorno in un luogo in cui ho già predicato la missione, mi accade spesso di veder venire a me dei penitenti che iniziano la loro confessione con queste parole: «Padre mio, sono quel dissoluto che, diversi anni fa, è venuto a sgravarsi ai vostri piedi di un sacco di iniquità; non so se mi riconoscete, ma grazie a Dio, a partire da quella missione, non ho più commesso alcun peccato disonesto, né alcuna colpa mortale. – Come avete fatto? gli chiedeva il missionario. – Ah! Padre mio, ho messo in pratica la grande risoluzione che ci avete così fortemente inculcata di raccomandarci sovente a Dio con questa pia invocazione: 'Gesù mio, misericordia!' L'ho fatta tutti i giorni, mattino e sera, e, soprattutto nelle tentazioni, imploravo spesso l'aiuto di Dio dicendo: 'Gesù mio, misericordia!' Devo dirvi di più, Padre mio? Sentivo rinascere nella mia anima nuove forze e, in questo modo, non mi è più accaduto di soccombere»». E padre Leonardo proseguiva: «Fratelli miei carissimi, chi mi darà una voce di tuono, o piuttosto una di quelle trombe che risuoneranno nel giorno del giudizio finale, e, trasportato da un santo zelo, m'innalzerò sulla cima delle più alte montagne, e di là griderò con tutte le mie forze: Popoli smarriti! Svegliatevi una buona volta, e se volete assicurarvi la vostra eternità, raccomandatevi a Dio, ricorrete spesso a Lui, con queste o altre simili parole: «Gesù mio, misericordia!» E vi do la mia parola, poiché Gesù Cristo vi ha dato la sua prima di me nel suo santo Vangelo: «Chiedete e vi sarà dato (Mt 7,7), chiedete il mio aiuto e l'avrete, e con il mio aiuto non peccherete più». Ve ne do la mia parola, ripeto, se vi raccomandate spesso a Dio dicendo dal profondo del cuore: «Gesù mio, misericordia!» non peccherete più, e vi salverete».

L'esercizio della Via Crucis – che consiste nel seguire Gesù nelle tappe principali della sua Passione – esiste già a quell'epoca, ma è poco in uso al di fuori dell'Ordine francescano. Grazie a padre Leonardo, questa pratica si estenderà a tutta la Chiesa. Egli ne parla con affetto, e non teme di chiamarla «la madre di tutte le devozioni, in quanto la più antica, la più santa, la più pia, la più divina, la più eccellente, e meritevole, per questo, di avere, giustamente, la precedenza su tutte le altre». Da solo padre Leonardo istituirà 572 Via Crucis. La sua devozione alla Passione poggia su una lunga tradizione. San Bonaventura, per esempio, dichiara che, tra tutti gli esercizi di pietà, non ve ne sono che contribuiscano in modo più efficace alla santificazione.

Il Cielo benedice le opere del Padre e le missioni si moltiplicano. Quasi tutta l'Italia e la Corsica beneficiano delle sue predicazioni. Nel 1715, padre Leonardo viene nominato custode del convento di San Françesco al Monte, a Firenze, dove introduce la massima regolarità. Ma la solitudine di un convento ordinario non gli basta; cerca, come san Francesco ha fatto prima di lui, un luogo appartato dove poter, di tanto in tanto, vivere da solo con Dio. Fonda un eremo situato su una montagna, chiamato Santa Maria dell'Incontro, dove possono ritirarsi i religiosi che vogliono raccogliervisi. Vi si osservano le regole della più rigorosa povertà e ci si dedica ai lavori manuali. Ben presto, religiosi di diversi istituti e anche uomini laici chiedono di esservi accolti per partecipare agli esercizi spirituali. Padre Leonardo stesso lo ama tanto che solo il suo ardente zelo di apostolo può strapparlo da quel luogo.


Il sole del cristianesimo


Partito dopo il Giubileo del 1750 per un nuovo giro  di missioni, il Padre viene ben presto richiamato a Roma dal Papa. In uno spirito di obbedienza al Vicario di Cristo, si mette in cammino. Questo viaggio, in prossimità dell'inverno, gli è molto faticoso. Lasciando Tolentino si sente male, ma deve valicare le montagne. Arrivato a Foligno, desidera celebrare la Messa; a un Fratello che lo prega di rinunciarvi a causa della sua grande stanchezza, risponde: «Fratello mio, una Messa vale più di tutti i tesori del mondo». Aveva scritto in un opuscolo: «La Santa Messa non è niente di meno che il sole del cristianesimo, l'anima della fede, il cuore della religione di Gesù Cristo; tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacramenti vi si ricollegano. Essa è, in una parola, la quintessenza di tutto ciò che vi è di bello e di buono nella Chiesa di Dio... Per me, non ne ho nessun dubbio, senza la Santa Messa il mondo sarebbe a quest'ora in fondo all'abisso, trascinato dal peso spaventoso di tante iniquità. La Messa, ecco la leva vittoriosa che lo sostiene. Vedete quindi, dopo questo, a che punto il divino Sacrificio ci è indispensabile» (La Santa Messa, Tesoro Sconosciuto).

È recitando il Te Deum che padre Leonardo arriva al convento di San Bonaventura nel novembre 1751. Viene fatto scendere con difficoltà dalla carrozza: è così debole che non si sente più il suo polso. Appena arrivato all'infermeria, si confessa e riceve gli ultimi sacramenti, dopo aver pronunciato con un'energia sorprendente gli atti di fede, di speranza e di carità. Gli viene offerta una bevanda che accetta, poi dice: «Non ho abbastanza parole per ringraziare Dio per la grazia che mi concede di morire in mezzo ai miei confratelli». Poco dopo aver ricevuto l'Estrema Unzione, si addormenta tranquillamente nel Signore. Era il venerdì 26 novembre 1751. Canonizzato dal beato Pio IX, è stata dichiarato da Pio XI «celeste patrono dei sacerdoti che si dedicano alle missioni popolari».
San Leonardo, ottienici la grazia di un grande zelo per la salvezza delle anime!
Dom Antoine Marie osb

martedì 12 giugno 2012

!!!!! FIAMME dovrebbero essere (2)




FIAMME dovrebbero essere

Dall'<<Evangelo come mi è stato rivelato>>
  • Il sacerdote è generalmente sempre illuminato da Dio. Lo è quando è un vero sacerdote. Bisogna giudicare ciò che esce dalla sua anima. 31.8
  • Guai ai sacerdoti che perdono la loro fiamma apostolica! Ma guai anche a chi si crede lecito sprezzarli! Perché essi consacrano e distribuiscono il Pane Vero che dal Cielo discende, e quel contatto li rende santi come un calice sacro, anche se totalmente santi non sono.(…) Non siate più intransigenti del vostro Signore Gesù il quale al loro comando lascia il Cielo e scende per essere elevato dalle loro mani. (…). Salvare un’anima sacerdotale è salvare un numero grande di anime, perché ogni sacerdote santo, è una rete che trascina anime a Dio. 31.10
  • Non è il gesto che fa il sacerdote e non è l’abito.
    Non è la sua mondana cultura, né le relazioni mondane e potenti che fanno il sacerdote. E’ la sua anima. Un’anima tanto grande da annullare la carne. Tutto spirito .
     133.2
  • Voi siete il sale della terra e la luce del mondo, ma se falliste alla vostra missione, diverreste un insipido e inutile sale. (…)
    Voi siete la luce del mondo. (…) Chi è posto in alto brilla ed è visto perché l’occhio anche più svagato si posa qualche volta sulle alture. Direi che l’occhio materiale, che è detto specchio dell’anima, riflette l’anelito dell’anima, anelito inavvertito spesso ma sempre vivente finché l’uomo non è un demone, l’anelito dell’alto, dell’alto dove la istintiva ragione colloca l’Altissimo. (…)
    Voi dovete ricordare il Dio Vero. Fate allora di non avere in voi il paganesimo settemplice. (…)
    Voi dovete portare la luce di Dio. (…)
    La luce di Dio splende là, dove è solerte la volontà a pulire giornalmente dalle scorie che lo stesso lavoro, con i suoi contatti e reazioni e delusioni, produce. La luce di Dio splende là dove il lucignolo è immerso in abbondante liquido di orazione e di carità. La luce di Dio si moltiplica in infiniti splendori, quante sono le perfezioni di Dio delle quali ognuna suscita nel santo una virtù esercitata eroicamente, se il servo di Dio tiene netto, il quarzo inattaccabile della sua anima dal nero fumo di ogni fumigante mala passione. (…)
     169.8
  • Guai, tre volte guai, ai pastori che perdono la carità, che si rifiutano di ascendere giorno per giorno per portare in alto il gregge che attende la loro ascesa per ascendere. Io li percuoterò, abbattendoli dal loro posto e spegnendo del tutto il loro fumo.
    Guai, tre volte guai, ai maestri che ripudiano la Sapienza per saturarsi di scienza sovente contraria, sempre superba, talora satanica, perché li fa uomini  - udite e ritenete – mentre se ogni uomo ha destino di divenire simile a Dio, con la santificazione che fa dell’uomo un figlio di Dio, il maestro, il sacerdote ne dovrebbe avere l’aspetto già dalla terra, e questo solo, di figlio di Dio. Di creatura tutt’anima e perfezione dovrebbe avere aspetto, dovrebbe avere, per aspirare a Dio i suoi discepoli.  Anatema ai maestri di soprannaturale dottrina che divengono idoli di umano sapere.
    Guai, sette volte guai ai morti allo spirito fra i miei sacerdoti, a quelli che col loro insapore, col loro tepore di carne mal viva, col loro sonno pieno di allucinate apparizioni di tutto ciò che è fuorché Dio uno e Trino; pieno  di calcoli di tutto ciò che è, fuorché sovrumano desiderio di aumentare le ricchezze dei cuori e di Dio; vivono umani, meschini, torpidi, trascinando nelle loro acque morte quelli che li seguono credendoli “ vita “. Maledizione  di Dio sui corruttori del mio piccolo amato gregge. Non a coloro che periscono per ignavia vostra, o inadempienti servi del Signore, ma a voi, di ogni ora e di ogni tempo, e per ogni contingenza e per ogni conseguenza, Io chiederò ragione e vorrò punizione.
     169.9
  • Non portano a Dio quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza paziente, umile, amorosa, ma sembrano guerrieri armati che si lancino a un assalto feroce, tanto marciano con irruenza e intransigenza contro le anime.  Oh! Povere anime! Se fossero sante, non avrebbero bisogno di voi, sacerdoti, per raggiungere la Luce. L’avrebbero già in sé. Se fossero giusti, non avrebbero bisogno di voi giudici per essere tenuti nel freno della giustizia, l’avrebbero già in sé. Se fossero sani, non avrebbero bisogno di chi cura. Siate dunque mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l’amore. Perché la mansuetudine è amore, così come lo è la povertà di spirito.170.7
  • Vi è sempre qualcuno per cui l’apostolo si affatica invano. Ma non devono queste sconfitte , far perdere lena. L’apostolo non deve pretendere di ottenere tutto. Contro di lui sono forze avverse dai molti nomi che come tentacoli di piovre riafferrano la preda che egli aveva loro strappato. Il merito dell’apostolo resta ugualmente.
    Occorre andare, anche se uno solo su mille si salverà. La sua giornata apostolica sarà fruttuosa
    per quell’uno per mille, poiché egli avrà fatto tutto quanto poteva e Dio premia questo.
    Altra cosa che deve assolutamente praticare l’apostolo è l’amore. Palese amore. (…), grande amore. Il rigore paralizza il lavoro dell’apostolo e il movimento delle anime verso la Luce. Non rigore ma amore. (…)
     234.7
  • Le tre fasi della salvazione di un’anima sono:
    Essere integerrimi per poter parlare senza timore d’essere posti a tacere.  (…)
    Seconda qualità: operare anche là dove uno, meno compreso della sua missione, fuggirebbe. (…) Terzo punto: Non appena l’anima che nel silenzio si è pentita, piangendo e pensando sui suoi trascorsi, osa venire timidamente, paurosa d’essere cacciata, verso l’apostolo, l’apostolo abbia un cuore più grande del mare, più dolce di un cuore di mamma, più innamorato di un cuore di sposo, e lo apra tutto per farne fruire onde di tenerezza. 
     
    Se avrete Dio in voi, Dio che è Carità, troverete facilmente le parole di carità da dire alle anime.
     
    234.8
  • Sempre Io mi studierò a infondervi un retto discernimento nel modo di vagliare le coscienze e di scegliere il modo in cui guidarle che sono singole ed ognuna perciò, ha il suo modo speciale di sentire e di reagire alle tentazioni e agli insegnamenti. Non crediate facile l’essere cernitori di animi, tutt’altro. Ci vuole occhio spirituale tutto luminoso di luce divina, ci vuole intelletto infuso di divina Sapienza, ci vuole possesso delle virtù in forma eroica, prima fra tutte la carità. Ci vuole capacità di concentrarsi nella meditazione perché ogni anima è un testo oscuro che va letto e meditato. Ci vuole unione continua con Dio, dimenticando tutti gli interessi egoisti. Vivere per le anime e per Dio. Superare prevenzioni, risentimenti, antipatie. Essere dolci come padri e ferrei come guerrieri. Dolci per consigliare e rincuorare. Ferrei per dire: “Ciò non ti è lecito e non lo farai”. Oppure: “Ciò è bene si faccia e tu lo farai”. Perché pensatelo bene, molte anime saranno gettate negli stagni infernali, ma non saranno solo anime di peccatori, anche anime di pescatori evangelici vi saranno: quelle di coloro che avranno mancato al loro ministero, contribuendo alla perdita di molti spiriti. 239.7
  • Andate perciò guarendo gli infermi, mondando i lebbrosi, risuscitando i morti del corpo e dello spirito perché corpo e spirito possono essere ugualmente infermi, lebbrosi, morti. E voi anche sapete come si fa a operare miracolo: con una vita di penitenza, una preghiera fervente, un sincero desiderio di far brillare la potenza di Dio, un’umiltà profonda, una viva carità, un’accesa fede, una speranza che non si turba per difficoltà di sorta. In verità vi dico che tutto è possibile a chi ha in sé questi elementi. Anche i demoni fuggiranno di fronte al Nome del Signore detto da voi, avendo in voi quanto ho detto. 265.4 
  • Dio è Misericordia perché Dio è Amore.
    Il servo di Dio deve essere misericordioso per imitare Iddio.
    Dio si serve della misericordia come di un mezzo per attirare a Sé i figli sviati.
    Il servo di Dio deve servirsi della misericordia come di un mezzo per portare a Dio i figli sviati.
    Il precetto dell’amore è obbligatorio a tutti, ma deve essere tre volte tale nei servi di Dio.
    Ai servi di Dio Io dico: “Non si fa conquistare il Cielo ai credenti se non si amano con perfezione”.
    (…) Un amore totale a Dio, un amore totale al prossimo. Il vostro scopo: servire. Come? Rendendo a Dio coloro che il mondo, la carne, il demonio hanno rapito a Dio. In che modo? Con l’amore. L’amore che ha mille forme per esplicarsi, e un unico fine: far amare.
     275.4
  • Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! Che in verità se sarete santificatori, possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti. 278.5
  • Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me, e vista in loro la fede comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la Fede. Comunicate con la parola “sicura” la Speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la Divina Carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella Misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini, né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, perché ci sono essi pure. 278.6
  • Venire a Me come discepolo vuol dire rinuncia di tutti gli amori a un solo amore: il Mio. Amore egoista verso se stessi, amore colpevole verso le ricchezze, o il senso, o la potenza, amore onesto verso la sposa, santo verso la madre, il padre, amore amabile dei  e ai figli e fratelli, tutto deve cedere al mio amore se si vuole essere miei. In verità vi dico che più liberi di uccelli spazianti nei cieli devono essere i miei discepoli. (…)
    Se uno vuol venire a Me e non odia santamente suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e le sorelle, e persino la sua vita, non può essere mio discepolo.  (…)
    Io dico di odiare la pesantezza dell’amore, la passionalità carnale dell’amore al padre e alla madre, e sposa e figli, e fratelli e sorelle, e alla stessa vita, ma anzi ordino di amare, con la libertà leggera che è propria degli spiriti, i parenti e la vita. Amateli in Dio e per Dio, non posponendo mai Dio a loro, occupandovi e preoccupandovi di portarli dove il discepolo è giunto, ossia a Dio Verità. Così amerete santamente i parenti e Dio, conciliando i due amori e facendo dei legami di sangue non peso ma ala, non colpa ma giustizia.
     281.6
  • Esigi il massimo rispetto nelle ore d’istruzione e nei luoghi d’istruzione. (…)
    E’ sempre Dio che parla sulle labbra dei suoi servi, nelle ore del loro ministero. E come tale va udito con silenzio e rispetto.
     365.2
  • Sapete come l’uomo può possedere infinito amore? Essendo talmente unito a Dio da essere tutt’uno con Dio. Allora, veramente, scomparendo la creatura nel Creatore, opera il Creatore, il quale è Infinito. E così, uniti col loro Dio per potenza d’amore che tanto si stringe all’Origine da fondersi a essa, devono essere gli apostoli miei. Non sarà come parlerete ma per come amerete che convertirete i cuori. Troverete peccatori? Amateli. Soffrite per discepoli che si traviano? Cercate di salvarli con l’amore. Ricordate la parabola della pecorella smarrita. (…)
    Con ogni arte, con ogni sacrificio, anche a costo di perdere la vita nel tentativo di salvare un’anima, con ogni pazienza, voi dovrete andare cercando gli smarriti per riportarli all’Ovile. (…)
    E ogni azione deve essere sovrabbondanza della carità che non si appaga più di amare Dio o il prossimo soltanto mentalmente, ma scende nell’agone, in lotta con i nemici di Dio, per amare Dio e prossimo anche contingentalmente, in azioni anche materiali, vie ad azioni più vaste e perfette che terminano alla redenzione e santificazione dei fratelli.
    Per la contemplazione si ama Dio, ma per l’azione si ama il prossimo, né i due amori sono scissi perché uno solo è l’amore, e amando il prossimo amiamo Dio che ci comanda questo amore e che il prossimo ci ha dato per fratello.
     380.4
  • Non sarà il nome che porterete, né la veste, né le funzioni che eserciterete che vi faranno sacerdoti, ossia ministri del Cristo, maestri e medici di anime, ma sarà l’amore che possederete che vi farà tali. Esso vi darà tutto quanto occorre per esserlo, e le anime, tutte diverse fra loro, giungeranno a un’unica somiglianza: quella del Padre, se voi saprete lavorare con l’amore. 476.5
  • Due cose sono essenziali per essere veri maestri e degni di essere maestri: una vita austera per se stessi di modo di poter giudicare senza le ipocrisie  di condannare negli altri ciò che a noi si perdona. : una paziente misericordia per dare  modo alle anime di guarire e di fortificarsi. Non tutte le anime guariscono istantaneamente dalle loro ferite. (…)  Aprite le vostre braccia e il vostro cuore, sempre, alle povere anime. Che esse sentano in voi un vero e santo confidente sulle cui ginocchia non si vergognano di piangere. Se voi le condannate privandole degli aiuti spirituali, sempre più le farete malate e deboli. (…)
  • Voi dovete essere il termine di paragone, la misura di ciò che è Dio. 495.3
  • Servite il Padre vostro. Perciò i suoi interessi devono esservi sacri, anche se possono procurare dolore o lesione ai vostri interessi umani. Abbiate spirito di abnegazione e di ubbidienza. 495.5
  • Siate sempre soggetti ai Pastori in quel che è ubbidienza ai loro consigli e ordini.
    Siate sempre a loro fratelli e sorelle in quello che è aiuto nella missione e sostegno alle loro fatiche.
     583.8
  • Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati, ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la possiedo perfetta e la uso per voi che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con le travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore?  Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?   629-6
  • Grande ministero il vostro di giudicare e assolvere in nome mio! Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovete essere puri poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere perché col cuore dovrete amare l’Eucaristia e non dovranno essere mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio.
    Puri di mente perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio.   Puri di membra dovrete essere perché nel vostro seno scenderà, il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.
     629-7
  • E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale risplenderanno in cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità. 629.13 
  • Neppur l’inferno distruggerà la mia Chiesa. Non sarà il vacillare di una pietra, non ancora bene saldata, quella che farà perire l’edificio. Pace! Pace! Voi farete e bene farete, poiché ora vi conoscete umilmente per quel  che siete, poiché ora siete sapienti di una grande sapienza: quella di sapere che ogni atto ha ripercussioni ben vaste, talora incancellabili e che chi è in alto ha il dovere, più di chi non è in alto, di essere perfetto. Vedete, figli miei? Ciò che passa inosservato o scusabile, se fatto da un fedele, non passa inosservato e severo è il giudizio del popolo, se fatto da un sacerdote. (…)
    Persuaderò il mondo. Vi aiuterò a vincere il mondo, voi siatemi fedeli, non chiedo di più. E benedite chi vi umilia perché vi santifica. (…)
    Siate paterni a tutti i fedeli. Tutto ciò che Io faccio o vi faccio fare, fatelo voi pure. Anche il viaggio al Calvario, meditando e facendo meditare sulla via dolorosa, fatelo in futuro. Contemplate, contemplate il mio dolore, perché è per quello, non per la presente gloria, che vi ho salvati! 
    631.17
  • E non pensate di quanto dolore dovrà ancora soffrire il mio Cuore nei secoli, per ogni peccatore impenitente, per ogni eresia che mi nega, per ogni credente che mi abiura, per ogni – strazio negli strazi – per ogni sacerdote colpevole, causa di scandalo e rovina.  (…) Nel contemplare Giuda Io ho contemplato gli eletti ai quali l’elezione si muta in rovina per la loro perversa volontà Oh! Voi che siete fedeli, voi che formerete i sacerdoti futuri, ricordate il mio dolore, formatevi sempre più santi, per consolare il mio dolore, formateli santi perché per quanto è possibile, non si ripeta questo dolore, esortate, vegliate, insegnate, combattete, siate attenti come madri, instancabili come maestri, vigili come pastori, virili come guerrieri per sostenere i sacerdoti che da voi saranno formati. La colpa del dodicesimo apostolo, fate, oh! fate che non abbia troppe ripetizioni in futuro…634-7
  • Ripetete il gesto di Maria sulle membra degli eletti. Nessuno lo reputi indegno di lui. Io l’ho accettato quell’olio balsamico da una donna. Ogni cristiano se ne tenga onorato come di una grazia suprema da parte della Chiesa di cui è figlio e lo accetti dal Sacerdote per detergersi dalle ultime macchie. Ogni Sacerdote sia lieto di fare l’atto d’amore di Maria verso il Cristo penante sul corpo del morente fratello. In verità vi dico che ciò che non avete fatto allora a Me, lasciando che una donna vi superasse e ora vi pensate con tanto dolore, potete farlo in futuro e per tante volte quante con amore vi curverete su uno che muore per prepararlo all’incontro con Dio. 635.10
  • Trasmettete per questo in Nome mio il Sacerdozio ai migliori fra i discepoli perché la Terra non resti senza Sacerdoti. E sia carattere sacro concesso dopo acuto esame, non verbale, ma delle azioni di chi chiede d’essere sacerdote o di chi voi giudicate buono a esserlo.
    Pensate a ciò che è il Sacerdote. Al bene che può fare. Al male che può fare. Avete avuto l’esempio di ciò che può fare un Sacerdote decaduto dal suo carattere sacro. (...) Ma anche in verità vi dico che ugualmente sarà distrutta la Terra quando l’abominio della desolazione  entrerà nel novello Sacerdozio conducendo gli uomini all’apostasia per abbracciare lo dottrine d’inferno.(…)
    Sacerdoti? Più che sacerdoti dovranno essere quelli dell’ultima ora, tanto feroce sarà la persecuzione delle orde dell’Anticristo. (…) Sacerdoti? Angeli. Angeli agitanti il turibolo carico degli incensi delle loro virtù per purificare l’aere  dai miasmi di Satana. Angeli?  Più che angeli: altri Cristi, altri Me perché i  fedeli dell’ultimo tempo possano perseverare sino alla fine.
     635-11
  • Un Sacerdote indegno, impuro, eretico, infedele, incredulo, tiepido o freddo, spento, insipido, lussurioso, fa un male decuplo di quello di un fedele colpevole degli stessi peccati, e trascina molti altri al peccato. La rilassatezza nel Sacerdozio, l’accoglimento d’impure dottrine, l’egoismo, l’avidità, la concupiscenza nel Sacerdozio, voi sapete, dove sfocia: nel deicidio. Ora nei secoli futuri, non potrà più essere ucciso il Figlio di Dio, ma la fede in Dio, l’idea di Dio, sì. (…)
    La mia Chiesa scardinata dai suoi stessi ministri! 
     635-12
  • Ed Io che la sorreggo con l’aiuto delle vittime. Ed essi, i sacerdoti, che avranno unicamente la veste e non l’anima del Sacerdote, che aiutano il ribollire delle onde agitate dal Serpente infernale contro la tua barca, o Pietro. In piedi!  Sorgi!  Trasmetti quest’ordine ai tuoi successori: “Mano al timone, sferza sui naufraghi che hanno voluto naufragare, e tentano di far naufragare la barca di Dio”. Colpisci, ma salva e procedi. Sii severo, perché sui predoni giusto è il castigo. Difendi il tesoro della fede. Tieni alto il lume come un faro sopra le onde sconvolte, perché quelli che seguono la tua barca vedano e non periscano. Pastore e nauta per i tempi tremendi, raccogli, guida, solleva il mio Vangelo perché in questo e non in altra scienza è la salute. Verranno i tempi nei quali, così come avvenne a noi d’Israele e ancor più profondamente, il Sacerdozio crederà d’essere classe eletta perché sa il superfluo e non conosce più l’indispensabile, o lo conosce nella morta forma con cui ora conoscono i Sacerdoti la Legge: nella veste di essa, esageratamente aggravata di frange, ma non nel suo spirito. Verranno i tempi in cui tutti i libri si sostituiranno al Libro. (…) Così verrà il tempo in cui sarà insegnato il Vangelo scientificamente bene, spiritualmente male. Or che è la scienza se manca sapienza? Paglia è. Paglia che gonfia e non nutre. 635-13
  • Eppure Io vi dico che un tempo verrà nel quale i Sacerdoti, immemori che con poche spighe Io ho istruito gli spiriti alla Verità, e immemori di ciò che è costato al loro Signore quel vero pane dello spirito, tratto tutto e solo dalla Sapienza Divina, detto dalla Parola Divina, dignitoso nella forma dottrinale, instancabile nel ripetersi, perché non si smarrissero le verità dette, umile nella forma, senza orpelli di scienze umane, senza completamenti storici e geografici, non si cureranno dell’anima di esso, ma della veste da gettargli sopra per mostrare alle folle quante cose essi sanno, e lo spirito del Vangelo si smarrirà in loro sotto valanghe di scienza umana.  635-13
  • In verità vi dico che come il Padre e Creatore moltiplica le stelle perché non si spopoli il cielo per quelle che, finita la loro vita, periscono, così ugualmente Io dovrò evangelizzare cento e mille volte dei discepoli che spargerò fra gli uomini e fra i secoli. E anche in verità vi dico che la sorte di questi sarà simile alla mia: la sinagoga e i superbi li perseguiteranno come mi hanno perseguitato. (…)
    Ma tu Pontefice, e voi Pastori, in voi e nei vostri successori vegliate perché non si perda lo spirito del Vangelo e instancabilmente pregate lo Spirito Santo perché in voi si rinnovelli una continua Pentecoste. (...)
    E non lasciate cadere nel vuoto le mie voci future.
    Ognuna di esse è una misericordia mia in vostro aiuto, e tanto più numerose saranno quanto più per ragioni divine Io vedrò che il Cristianesimo ha bisogno di esse per superare le burrasche dei tempi.
     635-14
  • E la tua bussola, il Vangelo. In esso è la Vita e la Salute. E tutto è detto in esso. Ogni articolo del Codice santo, ogni risposta per i casi molteplici delle anime, è in esso. E fa che da esso non si scostino Sacerdoti e fedeli. Fa che non vengano dubbi su esso. Alterazioni a esso. Sostituzioni o sofisticazioni di esso. Il Vangelo è Me stesso. Dalla nascita alla morte. Nel Vangelo è Dio. Perché in esso sono manifeste le opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Il Vangelo è amore. 635-14
  • Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa

giovedì 5 aprile 2012

GIOVEDI' SANTO: MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA




giovedì 5 aprile 2012

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI GIOVEDI' SANTO MESSA DEL CRISMA, BASILICA VATICANA


Cari fratelli e sorelle!
In questa Santa Messa i nostri pensieri ritornano all’ora in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù Cristo, così che fossimo “consacrati nella verità” (Gv 17,19), come Gesù, nella sua Preghiera sacerdotale, ha chiesto per noi al Padre. Egli stesso è la Verità. 

Ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. 

“Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?” 

Così, dopo questa omelia, interrogherò singolarmente ciascuno di voi e anche me stesso. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà – come deve realizzarsi nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi? 

Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del Magistero – ad esempio nella questione circa l’Ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. 
Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?

Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada.

Lasciamoci interrogare ancora una volta: non è che con tali considerazioni viene, di fatto, difeso l’immobilismo, l’irrigidimento della tradizione? No. Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore.

Cari amici, resta chiaro che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento. Ma forse la figura di Cristo ci appare a volte troppo elevata e troppo grande, per poter osare di prendere le misure da Lui. Il Signore lo sa. Per questo ha provveduto a “traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi. Proprio per questa ragione, Paolo senza timidezza ha detto alle sue comunità: imitate me, ma io appartengo a Cristo. Egli era per i suoi fedeli una “traduzione” dello stile di vita di Cristo, che essi potevano vedere e alla quale potevano aderire. A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape.

Cari amici, vorrei brevemente toccare ancora due parole-chiave della rinnovazione delle promesse sacerdotali, che dovrebbero indurci a riflettere in quest’ora della Chiesa e della nostra vita personale. C’è innanzitutto il ricordo del fatto che siamo – come si esprime Paolo – “amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e che ci spetta il ministero dell’insegnamento, il (munus docendi), che è una parte di tale amministrazione dei misteri di Dio, in cui Egli ci mostra il suo volto e il suo cuore, per donarci se stesso. Nell’incontro dei Cardinali in occasione del recente Concistoro, diversi Pastori, in base alla loro esperienza, hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere ed amare la nostra fede, per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto; la nostra ragione ed il nostro cuore devono essere toccati dalla sua parola. L’Anno della Fede, il ricordo dell’apertura del Concilio Vaticano II 50 anni fa, deve essere per noi un’occasione di annunciare il messaggio della fede con nuovo zelo e con nuova gioia. Lo troviamo naturalmente in modo fondamentale e primario nella Sacra Scrittura, che non leggeremo e mediteremo mai abbastanza. Ma in questo facciamo tutti l’esperienza di aver bisogno di aiuto per trasmetterla rettamente nel presente, affinché tocchi veramente il nostro cuore. Questo aiuto lo troviamo in primo luogo nella parola della Chiesa docente: i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa Cattolica sono gli strumenti essenziali che ci indicano in modo autentico ciò che la Chiesa crede a partire dalla Parola di Dio. E naturalmente ne fa parte anche tutto il tesoro dei documenti che Papa Giovanni Paolo II ci ha donato e che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo.

Ogni nostro annuncio deve misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16). Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo servitori. Ma questo naturalmente non deve significare che io non sostenga questa dottrina con tutto me stesso e non stia saldamente ancorato ad essa. In questo contesto mi viene sempre in mente la parola di sant’Agostino:
E che cosa è tanto mio quanto me stesso? Che cosa è così poco mio quanto me stesso? Non appartengo a me stesso e divento me stesso proprio per il fatto che vado al di là di me stesso e mediante il superamento di me stesso riesco ad inserirmi in Cristo e nel suo Corpo che è la Chiesa. Se non annunciamo noi stessi e se interiormente siamo diventati tutt’uno con Colui che ci ha chiamati come suoi messaggeri così che siamo plasmati dalla fede e la viviamo, allora la nostra predicazione sarà credibile. Non reclamizzo me stesso, ma dono me stesso. Il Curato d’Ars non era un dotto, un intellettuale, lo sappiamo. Ma con il suo annuncio ha toccato i cuori della gente, perché egli stesso era stato toccato nel cuore.

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama
zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. 

Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile per il Vangelo di Gesù Cristo. Preghiamo il Signore di colmarci con la gioia del suo messaggio, affinché con zelo gioioso possiamo servire la sua verità e il suo amore. Amen.

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana 

LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!